giovedì 20 settembre 2012

Esempio, Unità, Annuncio

 

















Esempio, unità ed evangelizzazione. Benedetto XVI centra su questi tre pilastri il discorso rivolto questa mattina 20 settembre ai vescovi di recente nomina che hanno partecipato al convegno promosso dalle Congregazioni per i vescovi e per la Chiesa orientali. Servizio, perché “il vescovo, primo testimone della fede, accompagna il cammino dei credenti offrendo l’esempio di una vita vissuta nell’abbandono fiducioso a Dio”. Unità, perché per raggiungere tutti gli uomini i pastori devono “collaborare tra loro e con il successore di Pietro”. Evangelizzazione, partendo dalla consapevolezza che questa “non è opera degli specialisti, ma dell’intero Popolo di Dio, sotto la guida dei pastori”.

Il Papa sottolinea subito nel suo discorso i tre eventi centrali dell’anno che sta per iniziare: l’Anno della Fede, il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano e il ventennale del catechismo della Chiesa cattolica. Un anniversario, quest’ultimo, molto caro a Benedetto XVI, che durante tutto il suo Pontificato, e anche nella recente esortazione post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente, lo ha indicato come uno dei testi fondamentali cui attingere nella vita di fede. Il catechismo della Chiesa cattolica – dice il Papa- è “norma sicura per l’insegnamento della fede e la comunione nell’unico credo. La realtà in cui viviamo esige che il cristiano abbia una solida formazione”.
Una formazione che permette anche l’unità della fede. Ai vescovi, il Papa ricorda che il fatto che i nuovi vescovi incontrino il successore di Pietro deve “alimentare il senso di responsabilità per tutta la Chiesa. In quanto membri del collegio episcopale, infatti, dovete sempre avere una speciale sollecitudine per la Chiesa universale, in primo luogo promuovendo e difendendo l’unità della fede”. Ricorda, il Papa, che Gesù ha affidato l’annuncio del Vangelo soprattutto ai pastori, che “devono collaborare tra loro e con il successore di Pietro”.
Qual è la priorità dei vescovi? Il Papa si rifà alla lettera apostolica Porta Fidei, che indice l’Anno della Fede, e sottolinea che la loro “preoccupazione prioritaria” è di “promuovere e sostenere un più convinto impegno ecclesiale a favore della nuova evangelizzazione”. Obiettivo finale: riscoprire la gioia del credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede. E i vescovi devono “alimentare la comunione” tra tutte le realtà delle loro diocesi, perché “l’evangelizzazione non è opera di alcuni specialisti, ma dell’intero popolo di Dio, sotto la guida dei Pastori”.
E qui si giunge ad un punto centrale di tutto il pensiero di Joseph Ratzinger, che è poi diventato tema centrale di tutto il Pontificato: la nuova evangelizzazione, cominciata “proprio con il Concilio, che il Beato Giovanni XXIII vedeva come una nuova Pentecoste che avrebbe fatto fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente  verso tutti i campi dell’attività umana”.
Una nuova Pentecoste che ha prolungato i suoi effetti nonostante le difficoltà dei tempi, e ha toccato ogni espressione della Chiesa, con tante figure (il Papa cita come esempio Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II) che “hanno reso bello il volto della Chiesa del nostro tempo”. Una eredità cui i nuovi vescovi devono “attingere” per “formare nella fede i loro fedeli, affinché la loro testimonianza sia credibile. Chiede, il Papa, di catechizzare, di presentare i contenuti della fede, ma soprattutto di essere testimoni credibili. Il vescovo – dice Benedetto XVI - deve essere “autorevole maestro e araldo della fede” e vivere “la presenza del Signore”, perché “non si può essere al servizio degli uomini senza essere prima servi di Dio”. Il Papa chiede ai nuovi sacerdoti preghiera e Eucarestia quotidiana, carità che porti ad essere vicini ai sacerdoti, ma anche ai poveri e ai sofferenti, per “sostenerli e consolarli”. Vuole, Benedetto XVI, una cura particolare per i seminaristi, che devono essere “formati umanamente, spiritualmente, teologicamente e pastoralmente”. E infine, chiede di essere vicini alle famiglie, ai genitori e ai ragazzi e ai giovani, perché “possano costruire la loro vita sulla salda roccia dell’amicizia con Cristo. Di seguito il discorso del Papa.

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Cari Fratelli nell'episcopato,
Il pellegrinaggio alla Tomba di san Pietro, che avete compiuto in questi giorni di riflessione sul ministero episcopale, assume quest'anno particolare rilievo. Siamo infatti alla vigilia dell'Anno della fede, del 50° anniversario dell'apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e della tredicesima Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi sul tema: «Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». Questi eventi, ai quali si deve aggiungere il ventennale del Catechismo della Chiesa Cattolica, sono occasione per rafforzare la fede, di cui, cari Confratelli, voi siete maestri ed araldi (cfr Lumen gentium, 25). Vi saluto ad uno ad uno, ed esprimo viva riconoscenza al Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, anche per le parole che mi ha rivolto, e al Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Il ritrovarvi insieme a Roma, all'inizio del vostro servizio episcopale, è un momento propizio per fare esperienza concreta della comunicazione e della comunione tra di voi, e, nell'incontro con il Successore di Pietro, alimentare il senso di responsabilità per tutta la Chiesa. In quanto membri del collegio episcopale, infatti, dovete sempre avere una speciale sollecitudine per la Chiesa universale, in primo luogo promuovendo e difendendo l'unità della fede. Gesù Cristo ha voluto affidare la missione dell'annuncio del Vangelo anzitutto al corpo dei Pastori, che devono collaborare tra loro e con il Successore di Pietro (cfr ibid., 23), affinché esso raggiunga tutti gli uomini. Ciò è particolarmente urgente nel nostro tempo, che vi chiama ad essere audaci nell'invitare gli uomini di ogni condizione all'incontro con Cristo e a rendere più solida la fede (cfr Christus Dominus, 12).
Vostra preoccupazione prioritaria sia quella di promuovere e sostenere «un più convinto impegno ecclesiale a favore della nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l'entusiasmo nel comunicare la fede» (Lett. ap. Porta fidei, 7). Anche in questo siete chiamati a favorire e alimentare la comunione e la collaborazione tra tutte le realtà delle vostre diocesi. L'evangelizzazione, infatti, non è opera di alcuni specialisti, ma dell'intero Popolo di Dio, sotto la guida dei Pastori. Ogni fedele, nella e con la comunità ecclesiale, deve sentirsi responsabile dell'annuncio e della testimonianza del Vangelo. Il Beato Giovanni XXIII, aprendo la grande assise del Vaticano II prospettava «un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale ed una formazione delle coscienze», e per questo - aggiungeva - «è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962). Potremmo dire che la nuova evangelizzazione è iniziata proprio con il Concilio, che il Beato Giovanni XXIII vedeva come una nuova Pentecoste che avrebbe fatto fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente verso tutti i campi dell'umana attività (cfr Discorso di chiusura del I periodo del Concilio, 8 dicembre 1962). Gli effetti di quella nuova Pentecoste, nonostante le difficoltà dei tempi, si sono prolungati, raggiungendo la vita della Chiesa in ogni sua espressione: da quella istituzionale a quella spirituale, dalla partecipazione dei fedeli laici nella Chiesa alla fioritura carismatica e di santità. A questo riguardo non possiamo non pensare allo stesso Beato Giovanni XXIII e al Beato Giovanni Paolo II, a tante figure di vescovi, sacerdoti, consacrati e di laici, che hanno reso bello il volto della Chiesa nel nostro tempo.
Questa eredità è stata affidata anche alla vostra cura pastorale. Attingete da questo patrimonio di dottrina, di spiritualità e di santità per formare nella fede i vostri fedeli, affinché la loro testimonianza sia più credibile. Allo stesso tempo, il vostro servizio episcopale vi chiede di «rendere ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15) a quanti sono alla ricerca della fede o del senso ultimo della vita, nei quali pure «lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina» (Gaudium et spes, 22). Vi incoraggio, perciò, ad impegnarvi affinché a tutti, secondo le diverse età e condizioni di vita, siano presentati i contenuti essenziali della fede, in forma sistematica ed organica, per rispondere anche agli interrogativi che pone il nostro mondo tecnologico e globalizzato. Sono sempre attuali le parole del Servo di Dio Paolo VI, il quale affermava: «Occorre evangelizzare - non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici - la cultura e le culture dell'uomo... partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra di loro e con Dio» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 20). A questo scopo è fondamentale il Catechismo della Chiesa Cattolica, norma sicura per l'insegnamento della fede e la comunione nell'unico credo. La realtà in cui viviamo esige che il cristiano abbia una solida formazione!
La fede chiede testimoni credibili, che confidano nel Signore e si affidano a Lui per essere «segno vivo della presenza del Risorto nel mondo» (Lett. ap. Porta fidei, 15). Il Vescovo, primo testimone della fede, accompagna il cammino dei credenti offrendo l'esempio di una vita vissuta nell'abbandono fiducioso in Dio. Egli, pertanto, per essere autorevole maestro e araldo della fede, deve vivere alla presenza del Signore, quale uomo di Dio. Non si può essere, infatti, al servizio degli uomini, senza essere prima servi di Dio. Il vostro personale impegno di santità vi veda assimilare ogni giorno la Parola di Dio nella preghiera e nutrirvi dell'Eucaristia, per attingere da questa duplice mensa la linfa vitale per il ministero. La carità vi spinga ad essere vicini ai vostri sacerdoti, con quell'amore paterno che sa sostenere, incoraggiare e perdonare; essi sono i vostri primi e preziosi collaboratori nel portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Ugualmente, la carità del Buon Pastore vi farà attenti ai poveri e ai sofferenti, per sostenerli e consolarli, come anche per orientare coloro che hanno perduto il senso della vita. Siate particolarmente vicini alle famiglie: ai genitori, aiutandoli ad essere i primi educatori della fede dei loro figli; ai ragazzi e ai giovani, perché possano costruire la loro vita sulla salda roccia dell'amicizia con Cristo. Abbiate speciale cura dei seminaristi, preoccupandovi che siano formati umanamente, spiritualmente, teologicamente e pastoralmente, affinché le comunità possano avere Pastori maturi e gioiosi e guide sicure nella fede.
Cari Fratelli, l'Apostolo Paolo scriveva a Timoteo: «Cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace...Un servo del Signore non dev'essere litigioso, ma mite con tutti, capace di insegnare, paziente, dolce nel rimproverare» (2 Tm 2,22-25). Ricordando, a me e a voi, queste parole, imparto di cuore a ciascuno la Benedizione Apostolica, perché le Chiese a voi affidate, spinte dal vento dello Spirito Santo, crescano nella fede e la annuncino sui sentieri della storia con nuovo ardore.
Fonte: L'Osservatore Romano