giovedì 27 settembre 2012

Gesù sposato? Impossibile, Lui la Croce ce l'aveva già!


La vicenda della presunta “moglie” di Gesù, che sarebbe attestata da un frammento papiraceo molto problematico e controverso, è raccontata con prudenza e rigore dal coptologo Alberto Camplani (v. sotto), che insegna storia del cristianesimo all’università di Roma La Sapienza ed è stato tra gli organizzatori del convegno internazionale teatro del clamoroso annuncio.
Annuncio preparato senza lasciare nulla al caso: testate americane preavvertite, una conferenza stampa preventiva tenuta da Karen L. King per preparare uno scoop mondiale che però è stato subito messo in discussione dagli specialisti. Ragioni consistenti indurrebbero a concludere che il papiro sia anzi una maldestra contraffazione (come tante altre provenienti dal Vicino Oriente) che potrebbe essere stata finalizzata alla vendita, da parte di un privato a una prestigiosa istituzione, del frammento e di altri manoscritti. Nel quadro, del tutto implausibile, di una lettura del fenomeno gnostico tendenziosa e piegata a un’ideologia contemporanea che con la vicenda storica del cristianesimo antico e con la figura di Gesù non ha nulla a che vedere. Insomma, in ogni caso un falso. 


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 L'articolo citato  di Alberto Camplani.
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«La scoperta di una studiosa di Harvard fa intendere che Gesù ebbe una moglie». Con questo titolo Fox News ha ripreso da altre testate la notizia di una conferenza tenuta la sera dello scorso 18 settembre da Karen L. King, durante il decimo congresso internazionale di studi copti, che era ospitato dall’Istituto Patristico Augustinianum, a poche decine di metri dal Vaticano.
Di tenore simile, ma con variazioni di tono e di consapevolezza critica, nonché riferimenti poco pertinenti al Codice da Vinci, sono state le notizie circolate su molti media europei e italiani nei giorni immediatamente seguenti. Il fatto è presto detto: nel corso della conferenza la studiosa aveva presentato un frammento di papiro che riporta, in traduzione copta, frasi di un dialogo intrattenuto da Gesù con i discepoli a proposito di un personaggio femminile, Maria, definita «mia moglie» (ta-hime, forma rara di ta-shime, corrispondente in copto al nostro “donna” o “moglie”). Nulla di strano per un congresso scientifico: in questo caso, tuttavia, il legame troppo immediato tra ricerca e giornalismo — che poco giova ai tempi lunghi del più serio dibattito scientifico — era già stato perseguito da prima del congresso, se è vero che le precocissime notizie pubblicate lo stesso giorno negli Stati Uniti dipendevano da un’intervista rilasciata dalla studiosa ad Harvard prima della partenza per l’Italia. Mentre i media, con toni più o meno sensazionalistici, tratteggiava i contorni della scoperta, suscitando un improvviso interesse per il congresso di studi copti, King e il sito della sua università mettevano a disposizione on-line la forma provvisoria (draft) di un poderoso articolo da lei scritto, con la collaborazione di altri giovani studiosi, circa questo frammento di papiro e il suo contenuto, che sarà non pubblicato negli atti del congresso (destinati ad apparire non prima del gennaio 2015), ma è stato proposto all «Harvard Theological Review», e sarà pubblicato nel prossimo gennaio se superererà il consueto processo di valutazione (peer review). L’articolo dunque si presenta con tutti i crismi della scientificità e dell’obiettività, come era del resto da attendersi da parte di King, nota studiosa di gnosticismo e di questioni di genere nel cristianesimo primitivo. Le conclusioni fondamentali sono le seguenti: è un frammento antico, risalente al iv secolo; il testo greco che sta alla base della traduzione copta è ancora più antico, forse composto attorno al ii secolo; esso è testimone di ambienti in cui si dibatteva della condizione coniugale di Gesù: «Affermazioni circa lo stato coniugale di Gesù nacquero per la prima volta un secolo dopo la morte di Gesù nel contesto delle controversie intracristiane sulla sessualità, il matrimonio e la discepolanza» scrive tra l’altro la studiosa.
Anticipo subito che nutro una riserva su questo punto dell’argomentazione di King. Non solo: ritengo che esso abbia dato adito alla deriva giornalistica della notizia, che ha trasformato espressioni che esprimono l’intimità e la consustanzialità spirituale tra il Salvatore e i suoi discepoli, consuete nei testi gnostici, nell’affermazione di una presunta condizione coniugale di Gesù: una condizione che — se non può certo essere accettata come tratto storico sulla base di questo testo — sarebbe secondo King parte del dibattito cristiano del ii secolo a proposito di Gesù e della sessualità.
Davanti a un oggetto di questo genere che, a differenza di tanti altri presentati nel corso del congresso, non è stato scoperto nel corso di scavi, ma proviene dal mercato antiquario, bisogna però adottare numerose precauzioni, che ne stabiliscano l’attendibilità e che ne escludano il carattere di contraffazione. Innanzitutto esso va studiato nella sua materialità: da che tipo di manoscritto potrebbe provenire? Che datazione può essergli attribuita dal punto di vista paleografico?
In secondo luogo: che tipo di testo è, in quale contesto letterario si inserisce la sconcertante affermazione di Gesù? Che significato essa assume in quello specifico contesto?
Va detto che ambedue i livelli della ricerca (il papiro e il testo) presentano numerosissimi problemi. King ammette che alcuni colleghi hanno messo in questione l’autenticità del papiro, mentre altri papirologi hanno espresso un giudizio più favorevole.
Una parte dei coptologi raccolti a Roma durante il congresso, davanti alla fotografia apparsa in rete e su alcuni giornali, ha espresso dubbi circa l’autenticità (tra gli altri Emmel, Funk, Suciu, Orlandi, Buzi), pur riservandosi la possibilità di formulare un giudizio più circostanziato non appena si diano le condizioni per studiare la questione con maggiore cognizione di causa. Essi hanno osservato sia il carattere del frammento, che rende difficilmente ricostruibile il tipo di manoscritto da cui proviene (codice letterario? amuleto?), sia le caratteristiche della scrittura, che si allontana dalla massima parte dei modelli noti per il iv secolo e da un numero vastissimo di modelli più tardi; qualcuno è giunto a esprimere l’ipotesi che i caratteri copti del frammento siano una maldestra riproduzione del copto prodotto a stampa.
Se da una parte non è affatto detto che la peculiarità dell’oggetto significhi necessariamente contraffazione (spesso nuovi reperti escono dalle tipologie note), d’altra parte è compito della comunità scientifica valutare se tale originalità è di mano moderna o antica: in altri termini, bisogna rendere conto della natura specifica di questa scrittura, che appare lontana dai modelli noti, ad esempio i codici di Nag Hammadi, e piuttosto diversa anche dai codici indicati dalla studiosa come termine di paragone.
Questo potrebbe indirizzare la ricerca in due direzioni diverse, ovviamente influenti sul giudizio che si deve esprimere sul testo. In altre parole, o il manoscritto è contraffazione moderna, e allora qualsiasi ulteriore indagine perde di significato; oppure è stato redatto in ambienti che non volevano trasmettere un testo letterario, ma un testo a uso interno o privato, come accadeva tra l’altro nelle officine della magia tardoantica. Questi ultimi potrebbero aver utilizzato testi noti, di carattere soprattutto gnostico, per costruire uno scritto nuovo, ai loro occhi particolarmente efficace, nello stesso modo in cui altri loro colleghi costruivano testi assemblando versetti evangelici. Se così fosse, il significato stesso del frammento ne risulterebbe fortemente ridimensionato.
Ma veniamo al testo, che si presenta come un dialogo di Gesù con i discepoli e una donna. Il quadro è familiare per chi conosce la letteratura apocrifa o i dialoghi di resurrezione. Soprattutto nella Pìstis Sophìa, nel Vangelo di Maria, nel Vangelo di Tommaso e nel Vangelo di Filippo troviamo i parallelismi più pertinenti, ben rilevati da King. Le donne appaiono come i discepoli più pronti a riconoscere una consonanza spirituale con il Salvatore e una di esse, Maria Maddalena, figura del vero gnostico, è chiamata «consorte» di Gesù (nel Vangelo di Filippo si usano il greco koinonòs e il copto hôtre, che coprono l’area semantica che va dal “compagno” sino al “coniuge”).
Il nuovo frammento è in consonanza con questi testi, anzi sembra presupporli, quando dice: «Gesù disse loro: Mia moglie (...) lei sarà capace di divenire mia discepola». Bisogna però intendersi sul significato di queste espressioni. King propone di vederle non come una prova dello stato coniugale del Gesù storico, ma come un tentativo di fondare una visione positiva del matrimonio cristiano/gnostico sull’“argomento” del legame matrimoniale tra Gesù e Maria Maddalena («Il Vangelo della moglie di Gesù ci permette di vedere che, probabilmente già nel secondo secolo, altri cristiani ritenevano che Gesù fosse sposato»).
Ma non è così: in ambedue i casi si tratta di espressioni del tutto metaforiche, simbolizzanti la consustanzialità spirituale tra Gesù e le sue discepole, che trovano amplissimo riscontro nella letteratura biblica e in quella cristiana primitiva.
Ma il problema vero è quello di verificare se il celibato di Gesù sia mai stato messo in dubbio o oggetto di dibattito nella tradizione cristiana primitiva, gnosticismo compreso. Le prime testimonianze su Gesù nulla dicono di uno stato coniugale, anche quando parlano di Maria Maddalena. E se nel ii secolo il filosofo pagano Celso, nella sua radicale critica al cristianesimo (riportata frammentariamente da Origene) registra le infamanti dicerie riguardanti la madre di Gesù e i suoi rapporti extraconiugali, nulla sa invece escogitare contro Gesù stesso che riguardi un suo eventuale stato matrimoniale.
Tale silenzio, interno ed esterno alla tradizione cristiana, mi pare più significativo dell’interpretazione letterale di poche espressioni del nuovo testo, che devono a mio avviso essere intese in senso totalmente simbolico.

L'Osservatore Romano 28 settembre 2012