San Giovanni Crisostomo
INVITO A PENITENZA
Esortazione a Teodoro caduto in peccato
ESORTAZIONE A TEODORO CADUTO IN PECCATO
1. Stato dell’anima caduta in peccato
2. L’ancora di salvezza
3. Bisogna piangere i peccatori…
...e cercare la loro conversione
4. La penitenza toglie qualunque peccato
5. La pazienza di Dio con Nabucodonosor
6. Dio accetta sempre il pentimento sincero
7. Anche i buoni possono cadere
8. Dio non si allontana da noi
9. L’Inferno è per i demoni, il Cielo per noi
10. Il fuoco dell’Inferno
11. Felicità della vita eterna
12. Perdere i beni celesti è cosa più dolorosa che patire i tormenti eterni
13. I beni celesti
14. Vanità della bellezza corporale
15. Non ci sono malattie incurabili nell’anima
16. Le gioie della penitenza
17. La conversione d’un giovane
18. L’esempio dei santi Apostoli
19. La vera penitenza
|
ALTRA LETTERA ALLO STESSO PECCATORE
1. Triste condizione del peccatore
2. Instabilità della natura umana
3. I veri beni e i falsi
4. La preghiera dei buoni
5. [...]
Chi darà
pianto al mio capo e ai miei occhi una fonte di lacrime? Ho ben più
motivo adesso di piangere io che non un tempo il profeta. Se non sono
afflitto per la rovina di molte città e di intere popolazioni, lo sono
però per un’anima che vale quanto e più di molti popoli. Se infatti uno
solo che fa la volontà di Dio ha più importanza che migliaia di
peccatori, tu certo prima valevi più che quegli antichi giudei. Nessuno
quindi mi dovrebbe biasimare se io scrivessi elegie più lamentose e
facessi udire gemiti più forti che quelli del profeta. Non piango
infatti la distruzione di una città, né la prigionia di gente
peccatrice, ma la devastazione di un’anima santa, la rovina e la
distruzione del tempio che in sé portava Cristo. Se qualcuno avesse
conosciuto la bellezza di cui rifulgeva un tempo l’anima tua e che il
diavolo ora ha incenerito, non gemerebbe e farebbe suoi i lamenti del
profeta, udendo che mani barbariche hanno profanato il santo dei santi e
hanno dato fuoco e distrutto ogni cosa, i cherubini, l’arca, il
propiziatorio, le tavole della legge, l’urna d’oro? Questa sventura è
più amara di quella, perché doti molto più preziose stavano nell’anima
tua. Era essa un tempio molto più sacro di quello, poiché era splendente
non per oro e argento, ma per la grazia dello Spirito Santo e invece
dell’arca e dei cherubini conteneva Cristo e il Padre suo e il
Paraclito.
1. STATO DELL’ANIMA CADUTA IN PECCATO
Ma ora non è più così, anzi è deserta e
spogliata di quella bellezza e ornamento, privata di quel divino e
ineffabile decoro, sprovvista d’ogni sicurezza e custodia. Non c’è più
né porta, né serratura, ma resta aperta a tutti i pensieri perniciosi e
turpi; se pensieri di vanagloria, di libidine, d’avarizia o peggio
vogliono entrare, non c’è nessuno che si opponga. Prima invece come il
cielo è inaccessibile a essi tutti, così era l’anima tua. E forse
sembrerà che io dica cosa incredibile per quelli che ora vedono la
rovina e la desolazione dell’anima tua e per questo io mi affliggo e
piango e non smetterò fino a che ti riveda nel tuo splendore d’un tempo.
Se infatti questo pare impossibile agli uomini, pure tutto è possibile a
Dio. Egli infatti solleva da terra il mendico e leva su dal letame il
povero per porlo a sedere con i capi del suo popolo. Egli fa che la
sterile possa abitare in una famiglia, come madre felice di molti figli.
Il peccatore non deve disperare
Non disperare perciò di poter tornare
ottimo. Se il diavolo ha avuto tanta forza da potere, da quell’alta cima
di virtù, trascinarti all’estremo del male, molto più Dio ha forza di
tirarti su un’altra volta alla fidanza d’un tempo, e non solo questo, ma
farti molto più felice di prima. Soltanto, non ti avvilire, non
rinunziare alla speranza, non avere sentimenti di empietà. Non è la
moltitudine dei peccati che induce a disperare, ma l’avere un animo
empio. Per questo Salomone non disse già che disprezza Dio chiunque è
caduto nell’abisso dei peccati, ma solo l’empio. Solo questi hanno tali
sentimenti, che non li lasciano guardare in alto e risalire là donde
sono caduti. Questo sciagurato sentimento infatti è come un giogo posto
sul collo dell’anima, che la costringe a guardare in giù e le impedisce
di levare gli occhi al suo Signore. Ma un uomo generoso e nobile deve
spezzare questo giogo e ributtare il carnefice che glielo ha imposto e
dire col profeta: Come gli occhi d’una ancella sono volti alle mani
della sua padrona, così gli occhi nostri al Signore Dio nostro, fino a
che abbia pietà di noi. Usaci misericordia, o Signore, usaci
misericordia, perché siamo colmi di abiezione.
Davvero questi sono insegnamenti divini e
verità della sapienza celeste. Siamo proprio colmi di abiezione e
sottostiamo a mali innumerabili, ma ciononostante non cessiamo di
guardare a Dio, né smettiamo di pregarlo fino a che abbia accolto la
nostra domanda. Questo è segno di animo grande, non abbattersi, non
disperare per quanti ostacoli ci siano, non cedere anche se dopo molte
preghiere nulla si è ottenuto, ma perseverare fino a che Dio ci usi
compassione, come dice il beato David.
2. L’ANCORA DI SALVEZZA
Per questo il diavolo ci vuole condurre a
pensieri di disperazione per troncarci la speranza in Dio, ancora
salda, cui sta attaccata la nostra vita, guida che ci conduce per mano
alla via del cielo, salvezza delle anime perdute. Infatti, come dice
l’Apostolo, siamo salvi con la speranza. Essa è appunto come una catena
robusta, calata dal cielo, che porta le anime nostre e che pian piano
tira lassù quelli che si tengono fortemente attaccati a essa, levandosi
fuori dalla bufera dei mali di questa vita. Ma se uno s’infiacchisce e
lascia andare quest’ancora sacra, subito precipita e affoga nell’abisso
della malvagità. Per questo il maligno diavolo, quando ci vede aggravati
dalla coscienza delle nostre male azioni, viene ad aggiungervi il
pensiero della disperazione, grave più che il piombo; e se noi lo
accogliamo, necessariamente con simile peso saremo tirati giù e staccati
da quella catena, piomberemo nell’abisso dei mali. In questo abisso tu
pure ora ti trovi, per aver rigettato i precetti del tuo mite e umile
Signore e aver seguito invece tutti quelli del feroce tiranno, nemico
irreconciliabile della nostra salute, spezzato il giogo soave, gettato
lontano il carico leggero e in loro vece ti sei fatto incatenare con
ceppi di ferro e ti sei legata al collo una macina pesantissima. Come
potrai ora evitare che l’infelice anima tua sprofondi sempre più, dal
momento che ti sei messo nella necessità di scendere sempre più basso?
La donna che aveva ritrovato la dramma perduta, chiamava le vicine a
partecipare alla sua gioia, dicendo: Rallegratevi con me. Io invece
chiamo ora tutti gli amici miei e tuoi non a rallegrarsi, ma a gemere
con me e dico: Piangiamo insieme e alziamo lamenti. Una gravissima
sventura ci è venuta addosso, non perché abbiamo perduto gran somma
d’oro o molte pietre preziose, ma perché il migliore di quanti con noi
navigavano in questo vasto mare, è caduto, non so come, in acqua e si è
sprofondato nell’abisso.
3. BISOGNA PIANGERE I PECCATORI...
Se alcuni cercassero di distogliermi
dall’afflizione, risponderei loro con le parole del profeta: Lasciate
che pianga amaramente, voi non mi potete consolare. Il mio dolore è tale
che per quanto io pianga non sarà mai troppo, e anche Paolo, anche
Pietro in questo caso non arrossirebbero di piangere e sospirare,
rifiutando ogni consolazione. A quelli che piangono per la comune morte
del corpo si può giustamente dire che sono di poca virtù, ma quando,
invece del corpo, giace morta un’anima, tutta coperta di ferite e che
anche nella morte mostra ancora qualcosa della sua primitiva bontà e
vigore e della sua bellezza spenta, chi sarà tanto insensibile e crudele
da parlar di consolazione, invece di piangere e gemere anche lui? Come
nella morte del corpo è sapienza il non piangere, così lo è piangere
nella morte dell’anima. Colui che era giunto al cielo, che si rideva
della vanità di questa vita, che alle bellezze vive non badava più che a
quelle scolpite, e disprezzava l’oro come fango e le delizie quasi
melma, proprio lui a un tratto ci è stato preso dall’ardore di indecente
passione, ha rovinato salute, vigore e ogni bellezza ed è diventato
schiavo dei piaceri.
... E CERCARE LA LORO CONVERSIONE
Per lui dunque non verseremo lacrime e
non ci affliggeremo, fino a che non l’abbiamo riacquistato? Come lo
potrebbe chi ha anima d’uomo? Alla morte del corpo non si rimedia
quaggiù, eppure la si piange, invece soltanto qui si può far scomparire
la morte dell’anima; sta scritto infatti: Nell’inferno chi ti renderà
gloria? È dunque grande stoltezza che si pianga tanto la morte del
corpo, pur sapendo che le lacrime non lo richiameranno in vita, e che
non piangiamo noi che pure sappiamo che spesso c’è speranza di
ricondurre l’anima perduta alla vita primiera. Molti infatti anche ora e
al tempo dei nostri maggiori, dopo aver abbandonato la rettitudine ed
essere caduti dalla via stretta nel precipizio, si rialzarono in modo
tale che con la loro nuova vita fecero dimenticare quella di prima,
ottennero il premio da Dio, furono coronati e proclamati vincitori e
annoverati fra i santi.
Fin tanto che uno sta nella fornace delle
gioie terrene, anche se vede molti esempi di conversione, ritiene che
questa sia cosa impossibile, ma se appena un poco comincia a uscirne,
lascia dietro di sé quella vita quasi fosse fuoco e sente che la nuova
vita è facile e consolante. Solo non disperiamo e non rinunziamo a
risalire, poiché chi dispera, per quanto si sforzi e ardisca, non riesce
a nulla. Quando uno si è chiusa una volta la porta della penitenza e ha
sbarrato l’ingresso allo stadio, come potrà, stando fuori, far qualcosa
di bene, grande o piccolo che sia? Perciò il maligno fa di tutto per
inculcare in noi questo pensiero, poiché, fatto questo, non avrà da
faticare molto né da sudare per combatterci; come gli potrebbero
resistere quelli che giacciono abbattuti e non pensano neppure a fare
opposizione? Invece chi è riuscito a sciogliersi da questo laccio,
ricupera la sua forza antica e non cessa di lottare fino all’ultimo
respiro, e anche se ricadesse mille volte, si rialzerà sempre e finirà
l’avversario. Ma chi è inceppato da pensieri di disperazione e così ha
paralizzato la sua energia, come potrà riuscir vincitore o anche solo
combattere, se invece fugge?
4. LA PENITENZA TOGLIE QUALUNQUE PECCATO
Non mi dire che Dio perdona solo quelli
che hanno commesso piccoli peccati. Anche se uno è pieno di ogni
malvagità e ha commesso tutte le colpe che l’escludono dal regno di Dio e
questo tale non sia uno rimasto sempre infedele, ma sia pure un
cristiano e di quelli più cari al Signore e poi sia divenuto colpevole
di fornicazione, d’adulterio, ladro, ubriacone, corrotto e corruttore,
violento e quanto altro si possa dire di brutto, ebbene, io dico che
neppure questo deve disperare, anche se fosse giunto all’estrema
vecchiaia carico di tanta orrenda e indicibile malvagità. Difatti, se
l’ira divina fosse una passione, sarebbe giusto disperarsi sapendo che
non possa spegnersi questa fiamma accesa da si grandi peccati. Ma Dio è
impassibile, e quando punisce e castiga, non lo fa per ira, ma con molta
sollecitudine e bontà; e perciò bisogna confidare assai e fare
assegnamento sulla forza della penitenza.
Sollecitudine divina verso i peccatori
Non perché egli abbia sofferto qualche
cosa prende provvedimenti contro i peccatori, giacché nessun danno può
essere recato alla sua natura: egli mira al nostro bene, affinché non
diventiamo peggiori per la convinzione che egli non tenga conto dei
nostri peccati. Come uno che si sottrae alla luce non fa male a questa,
ma solo immerge se stesso nelle tenebre, così chi è solito disprezzare
l’infinita potenza di Dio, a essa non fa male alcuno, ma procura a se
stesso il massimo dei danni. Perciò Dio ci minaccia castighi e spesso ce
li infligge, non certo per vendicarsi, ma per tirarci a sé. Anche il
medico non si affligge né si sdegna per la violenza dei malati
deliranti, anzi fa di tutto e s’affatica perché possano cessare da tali
escandescenze, non badando a sé, ma alla loro utilità, e se quelli
accennano appena a tornare in sé, ne gode e si rallegra e con maggior
impegno somministra loro medicine, non per vendicarsi di quello che gli
han detto prima, ma per meglio provvedere al loro benessere e ricondurli
a perfetta sanità. Così Dio, quando noi cadiamo in eccessi di pazzia,
dice e fa di tutto non già per vendicarsi, ma per liberarci dalla
malattia; e questo si comprende anche solo con la retta ragione.
5. LA PAZIENZA DI DIO CON NABUCODONOSOR
Se qualcuno però ne dubitasse, gliene
daremo la prova con la Sacra Scrittura. Dimmi un po’, chi mai fu più
scellerato del re di Babilonia? Egli aveva fatto tale esperienza della
potenza divina che giunse a prostrarsi davanti al suo profeta e
domandare che gli si offrissero doni e profumi, ma poi di nuovo si
insuperbì a tal punto che fece gettare legati nella fornace quelli che
non preferivano lui a Dio. Eppure questo così feroce, empio e più belva
che uomo, il Signore lo chiama a penitenza e gli offre altri motivi per
convenirsi; in primo luogo il miracolo stesso avvenuto nella fornace e
poi quella visione che egli ebbe, ma gli fu interpretata da Daniele, la
quale sarebbe stata sufficiente a piegare anche un’anima di pietra e,
dopo questa esortazione che veniva spontanea dalla visione. Lo stesso
profeta gli diede un buon consiglio dicendo: Per questo, o re, ti sia
gradito il mio consiglio, espia i tuoi peccati con le elemosine e le tue
colpe con l’usar misericordia ai poveri e forse Dio pazienterà per le
tue mancanze. Che cosa dici, o saggio e beato profeta? Sarà possibile
dopo tale caduta rialzarsi, dopo tale malattia guarire, dopo tanta
pazzia rinsavire? Il re già si è chiusa ogni speranza poiché non ha
voluto riconoscere il suo Creatore, che l’aveva sollevato a tanto onore,
sebbene potesse narrare prove della potenza e provvidenza divina verso
di sé e verso i suoi antenati. Poi ebbe di nuovo dimostrazioni
chiarissime della sapienza e prescienza divina e vide fallire le magie e
tutte le arti diaboliche e ciononostante fece peggio di prima. Infatti
un ragazzo prigioniero gli seppe spiegare quello che i suoi dotti magi
non capivano e riconoscevano superiore alla capacità umana e con tale
prodigio non solo indusse il re a credere ma a proclamare e insegnare a
tutto il mondo questa verità. Sicché se prima non aveva scusa di non
conoscere Dio, molto meno ora, dopo tale miracolo, dopo averlo
riconosciuto e insegnato agli altri. Se infatti non avesse creduto
fermamente che vi è un solo vero Dio, non avrebbe tanto onorato il
servitore di Dio e non avrebbe impartito tali ordini agli altri. Eppure,
dopo tale dichiarazione, ricadde di nuovo nell’idolatria e giunse a
tale pazzia da gettare nella fornace i servi di Dio che non volevano
adorare lui. Ebbene, si vendicò forse Dio di questa apostasia, come
avrebbe dovuto? Gli diede invece prove ancor maggiori della sua potenza,
facendo in modo che di nuovo tornasse alla sua fede dopo si grande
stoltezza. E, cosa più mirabile, perché non negasse fede per la
grandezza del prodigio, non lo fece altrove, ma proprio in quella stessa
fornace ch’egli aveva fatto accendere e dove aveva gettato legati i tre
fanciulli. Già lo spegnere la fiamma sarebbe stata cosa mirabile e
incredibile, ma Dio misericordioso, per incutergli maggior timore e
impressione e togliergli l’accecamento, fece qualche cosa di ancora più
grande e straordinario. Lasciò che si facesse fuoco quanto quello voleva
e diede prova della sua potenza non col sopprimere il fuoco, ma col
renderlo inoffensivo. Perché poi qualcuno, vedendo i fanciulli illesi
nel fuoco, non pensasse che quello fosse un fuoco immaginario, permise
che restassero divorati dalle fiamme quelli che li avevano gettati,
mostrando che quello che si vedeva era fuoco davvero, e del resto non
avrebbe consumato i combustibili che l’alimentavano. Ma nulla è più
potente del comando di Dio e ogni cosa ubbidisce a lui che dal nulla
l’ha fatto venire all’esistenza; e lo si vide anche allora: la fiamma
che aveva ricevuto corpi corruttibili, si astenne dal bruciarli quasi
fossero incorruttibili e restituì intatto quel che aveva ricevuto e anzi
con molto splendore. Come i re dal palazzo reale, così dalla fornace
uscirono i fanciulli e nessuno badò più al re, ma tutti fissavano gli
occhi su questo mirabile spettacolo e mai diadema o porpora o altro
ornamento regale attirò tanto le turbe degli infedeli, come la vista di
quei tre fedeli che erano rimasti a lungo nel fuoco e ne uscivano come
se ci fossero stati solo in sogno. Persino i capelli, così facili a
consumarsi, erano rimasti più duri del diamante nella fiamma
divoratrice. Non fu solo cosa mirabile che, scagliati nella fiamma, non
ne avessero danno alcuno, ma che continuamente parlassero; si sa infatti
che a bocca chiusa si può qualche istante resistere al fuoco, ma chi
apre la bocca, immediatamente muore. Ora, dopo tali prodigi, dopo che i
presenti, vedendoli, ne erano rimasti sbalorditi e gli assenti ne erano
stati informati per iscritto, proprio il re, che aveva notificato
l’accaduto agli altri, rimase incorreggibile e tornò alla primiera
malvagità. Eppure Dio non lo castigò, ma attese pazientemente,
ammonendolo con sogni e per mezzo del profeta; e siccome con tutto ciò
non si correggeva, finalmente lo castigò, non per vendicarsi del male
già commesso, ma per impedire i mali futuri e questo castigo non fu
perpetuo, ma solo per pochi anni, dopo di che lo restituì all’onore di
prima, senza che dal castigo avesse avuto danno, ma solo il massimo dei
beni: la salda fede in Dio e il pentimento delle colpe passate.
6. DIO ACCETTA SEMPRE IL PENTIMENTO SINCERO
Tale infatti è l’amor di Dio verso
l’uomo, che non rifiuta mai un sincero pentimento, ma, fosse pur uno
giunto all’estremo limite della malvagità, se poi volesse tornare sulla
via della virtù, Dio lo riceve e accoglie e fa di tutto per ricondurlo
nello stato di prima. Ma c’è di più; anche se uno non mostra pieno
pentimento, egli non rigetta neanche un pentimento breve e scarso e pure
a questo da grande ricompensa. Lo si vede da quel che il profeta Isaia
dice del popolo Giudaico: «Per il suo peccato l’ho afflitto per un poco e
l’ho percosso e ho distolto da lui il mio sguardo, ed egli s’è afflitto
e camminava triste e io l’ho guarito e consolato». Ce lo potrebbe
attestare quel re tanto empio, che si lasciò indurre dalla moglie a
commettere delitti; appena se ne afflisse e si vestì di sacco e
disapprovò i suoi misfatti, si attirò talmente la misericordia, che Dio
lo liberò da tutti i castighi già preparati. Disse infatti Dio a Elia:
Hai visto come Achab si è compunto davanti a me? Non farò venire
castighi al tempo suo, perché ha pianto davanti a me. In seguito Manasse
che superò tutti per furore e tirannia, sovvertì il culto mosaico,
chiuse il tempio, fece fiorire il falso culto degli idoli e fu più empio
che tutti i suoi predecessori, quando poi si convertì, fu annoverato
tra gli amici di Dio. Se egli avesse guardato la grandezza dei propri
peccati, avrebbe disperato di potersi rialzare e convertire e sarebbe
rimasto privo di tutto il bene che poi ottenne; ma lui, invece di badare
all’eccesso dei suoi peccati, guardò all’infinita misericordia di Dio,
e, spezzate le catene del diavolo, si rialzò, riprese la lotta, e la
terminò vittoriosamente. Non solo con questi fatti Dio ci vieta ogni
pensiero di disperazione, ma anche con le parole del salmista: Oggi, se
udirete la sua voce, non indurite i vostri cuori come fecero gli Ebrei
nel deserto.
La penitenza non si misura dalla durata, ma dall’ardore
Questa parola «oggi» la si può dire
finché si è vivi e anche da vecchi, giacché il valore della penitenza
non si misura col tempo ma con la disposizione dell’anima. Così gli
abitanti di Ninive non ebbero bisogno di pregare molti giorni per
cancellare il loro peccato, ma in meno di un giorno fecero sparire la
loro iniquità. Il ladrone non ebbe bisogno di molto tempo per ottenere
l’ingresso in paradiso, ma giusto nel tempo che si dice una sola parola,
si tolse di dosso i peccati di tutta la vita e, prima ancora degli
Apostoli, ricevette il premio. Vediamo che anche i martiri hanno
ottenuto splendide corone non in molti anni, ma in pochi giorni e spesso
anche in uno solo. Abbiamo dunque bisogno soprattutto di coraggio e di
buona disposizione, e se disporremo la nostra coscienza a detestare la
vita cattiva e a metterci per quella buona con animo così risoluto come
Dio vuole e richiede, la brevità del tempo non ci toglierà niente,
giacché molti, che erano ultimi, sono passati davanti ai primi. Non è
infatti cosa tanto tremenda il cadere, quanto il rimanere a terra senza
rialzarsi, con la cattiva volontà e l’indifferenza, nascondendo la
debolezza del nostro libero arbitrio sotto pensieri di disperazione. A
questi tali quasi dubbioso il profeta dice: Forse che chi è caduto non
si rialza, o chi s’è allontanato non ritorna?
7. ANCHE I BUONI POSSONO CADERE
Se tu domandi di quelli che, dopo aver
creduto, sono caduti, di tutti si deve dire che, se son caduti, prima
stavano ritti e non coricati: chi giace a terra, come può cadere? Ma ti
saran dette anche altre cose, sia con parabole che con fatti e
ragionamenti convincenti. Così quella pecora che si era allontanata
dalle altre novantanove e che poi fu ricondotta fra loro, non significa
altro per noi se non la caduta e il ritorno dei fedeli. Era infatti una
pecora non di qualche altro gregge, ma che apparteneva al numero delle
rimanenti e andava al pascolo sotto lo stesso pastore, ma poi si sviò e
non per poco, ma per monti e per valli, vale a dire molto lontano dalla
retta via. Forse che il pastore la lasciò andare? No, certo; anzi la
riportò senza trascinarla, senza batterla, ma prendendola sulle proprie
spalle. Come i migliori medici riconducono a sanità i malati più gravi
con molta sollecitudine, non solo curandoli secondo le leggi della
medicina, ma talvolta usando loro speciali riguardi, così Dio con quelli
molto rovinati dal vizio, non ha rigorose esigenze nel ricondurli alla
virtù, ma procede con calma, piano piano e li sostiene sicché non
diventi più profonda la separazione e più grave l’errore. Questo non lo
si vede solo dalla precedente parabola, ma anche da quella del figliuol
prodigo. Questi pure non era un estraneo, ma era figlio di un uomo buono
e fratello d’un bravo giovane, eppure cadde non in una colpa ordinaria
ma, per così dire, nell’estremo dei mali; ricco, libero, nobile, si
trovò peggio degli schiavi, degli estranei, dei mercenari. Eppure
ritornò allo stato di prima e riebbe tutto l’antico onore. Se avesse
disperato della sua vita e, avvilito per quanto gli era accaduto, fosse
rimasto in paese straniero, non avrebbe ottenuto quello che di fatto
ottenne, ma rifinito dalla fame avrebbe incontrato la più lacrimevole
delle morti. Invece si pentì e non disperò e dopo tanta miseria, ritornò
al primitivo splendore, indossò una ricca veste e godette riguardi
maggiori che il fratello mai caduto. Disse infatti quest’ultimo: Da
tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando, eppure mai
mi hai regalato un capretto, per fare un po’ d’allegria con i miei
amici; invece quando è venuto questo tuo figlio che si è divorato un
patrimonio con le meretrici, hai ucciso per lui il vitello grasso. Tanta
è l’efficacia del pentimento!
8. DIO NON SI ALLONTANA DA NOI
Pensando a questi esempi così belli, non
restiamo nei peccati e non disperiamo della riconciliazione, ma diciamo
anche noi: «tornerò al Padre mio» e riaccostiamoci a Dio. Egli infatti
non si allontana mai da noi, ma siamo noi che cerchiamo di allontanarci
da lui. Egli dice: Io sono un Dio che sta vicino e non un Dio lontano. E
per mezzo dello stesso profeta egli accusa i peccatori dicendo: Non
sono forse i vostri peccati che mettono la separazione fra me e voi?
Poiché dunque è questo che ci allontana da Dio, leviamo via questo muro
così dannoso che ci impedisce di avvicinarci.
Senti ora la stessa verità dimostrata con
i fatti. Tra i fedeli di Corinto un personaggio distinto aveva commesso
una colpa, quale nemmeno i gentili ricordavano. Costui era certo un
fedele e amico di Cristo; certuni dicono anzi che fosse un sacerdote.
Ebbene, forse che san Paolo lo escluse definitivamente dal numero di
quelli che si salvano? Niente affatto! Anzi egli in molti modi
rimprovera i Corinti di non averlo condotto a convertirsi. Volendo poi
mostrarci che non c’è peccato che non si possa guarire, dice a proposito
di questo più peccatore che i pagani: Lasciate questo tale in potere di
Satana a rovina della sua carne, affinché il suo spirito sia salvo nel
giorno del nostro Signore Gesù Cristo. Ma questo lo diceva prima che
quello si pentisse; quando poi si fu pentito, disse: a questo tale è
sufficiente un rimprovero pubblico; e scrisse loro di fargli coraggio e
di accogliere il suo pentimento, perché non restasse vittima di Satana.
Così pure san Paolo rialzò tutto il popolo dei Galati che era caduto,
dopo aver ricevuto la fede, operati miracoli e sofferte molte
tribolazioni per Cristo. Che avessero fatto prodigi, lo mostra dicendo:
Colui che vi concede lo Spirito Santo e opera cose straordinarie in voi.
E che molto avessero lottato per la fede, anche questo lo indica
dicendo: Tanto avrete dunque sofferto invano, se pure è invano? Eppure
dopo tanto progresso, commisero un peccato bastevole a renderli estranei
a Cristo; lo dichiara egli stesso: ecco, io Paolo vi dico che, se vi
circoncidete, Cristo non vi gioverà più nulla. E di nuovo: Quanti avete
cercato la santità nella pratica della legge mosaica, siete decaduti
dalla grazia. Eppure dopo una sì grave caduta, li accoglie e dice:
Figliolini miei, per i quali di nuovo soffro le doglie del parto, fino a
che si formi Cristo in voi; e così dimostra che anche dopo la più
grande perversione, è possibile riprendere la conformità con Cristo,
poiché Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva.
9. L’INFERNO È PER I DEMONI, IL CIELO PER NOI
Convertiamoci dunque, o dilettissimo, e
facciamo la volontà di Dio. Per questo infatti ci ha creato e condotto
all’esistenza, per farci partecipare ai beni eterni, per concederci il
regno dei cieli, e non per gettarci nell’inferno e metterci nel fuoco
eterno. Questo non fu fatto per noi, ma per il diavolo; per noi già da
un pezzo è preparato e stabilito il regno dei cieli. Che sia così, il
Signore lo mostra molto bene quando dice a quelli di destra: Venite,
benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi
fin dal principio del mondo; e a quelli di sinistra: Via da me,
maledetti, nel fuoco eterno, preparato, non già per voi, ma per il
diavolo e i suoi angeli. Non era dunque destinato a noi l’inferno, ma
per quello e per i suoi angeli, mentre il regno è stato preparato fin da
quando fu creato il mondo e proprio per noi. Non ci rendiamo quindi
indegni di entrare nel talamo celeste; finché restiamo quaggiù, anche se
avessimo commesso peccati senza numero, è sempre possibile liberarcene,
purché dimostriamo pentimento delle colpe commesse. Ma quando fossimo
condotti là, neppure con la più terribile penitenza, ci sarà modo di
salvarsi, e anche se ci scricchiolassero i denti e piangessimo e
ardentemente supplicassimo, non ci sarà chi venga a refrigerarci nemmeno
con la punta del dito, in mezzo alle fiamme, ma udiremo quello che udì
già quel ricco: c’è un abisso immenso spalancato tra noi e voi.
Cerchiamo di rinsavire qui, te ne scongiuro, e riconosciamo il Signor
nostro come va riconosciuto. La speranza d’ottenere il perdono dovremmo
perderla solo se fossimo all’inferno; là soltanto questa medicina perde
la sua forza e l’opportunità; ma fin che siamo qui è sempre
efficacissima, anche se venisse usata nella vecchiaia. Perciò il diavolo
fa di tutto per radicare in noi pensieri di disperazione; egli sa bene
che, se ci pentiamo anche solo un poco, ciò non sarà senza ricompensa.
Ma come un bicchiere d’acqua fredda ha pronta la sua mercede, così chi
si pente dei suoi gravi peccati, anche se il pentimento non appare
proporzionato alle colpe, pure ottiene una ricompensa. Nessun bene, per
quanto piccolo, sarà trascurato dal giusto Giudice. Infatti, se egli
esamina così minutamente i peccati che ci castiga anche per le parole e i
pensieri, quanto più nel giudizio non terrà conto delle opere buone,
grandi o piccole che siano?
La penitenza non è difficile
Anche se non riesci a tornare all’antica
integrità di vita, pure cerca di staccarti in qualche modo dalla tua
presente malattia e impurità e questo non sarà inutile. Solo comincia
una buona volta e apri la via alla lotta, finché resti fuori è naturale
che la riabilitazione ti sembri difficile o impossibile. Infatti, prima
d’averne fatta la prova, per quanto la cosa sia leggera e tollerabile,
ci sembra che debba essere molto difficile; ma quando affrontiamo
davvero le difficoltà con animo risoluto, la più gran parte della
sofferenza scompare, la fiducia sottentra al tremore e alla disperazione
e diminuisce il timore, accresce la facilità e fortifica la speranza.
Perciò il maligno tolse di vita Giuda, affinché, messosi per la via
buona, non tornasse col pentimento là, donde era caduto. Io infatti, per
quanto possa parere strano, non direi che neppure il peccato di Giuda
fosse troppo grande per poter trovare rimedio nella penitenza. Perciò ti
prego e scongiuro a scacciare dall’anima ogni suggestione diabolica e a
venire a salvezza. Se io ti obbligassi senz’altro a tornare alla
perfezione d’un tempo, avresti ragione d’inquietarti, per essere questa
cosa troppo difficile; ma se ora mi limito a chiederti di non aggiungere
nuove colpe alle già commesse, a risollevarti e a metterti per la via
opposta, perché mai indugi, rifiuti e ti tiri indietro?
Il pensiero della morte
Non hai mai visto quelli che avevano
passato la vita nelle crapule, nell’ubriachezza, nei divertimenti e
nelle altre stoltezze di questo mondo? Dove sono ora quelli che con
molta superbia, con tanto seguito passavano tronfi per le piazze? Quei
tali, vestiti di seta, tutti profumati, che mantenevano tanti parassiti e
non sapevano staccarsi dal teatro? Dov’è ora la loro ostentazione? Sono
finiti i banchetti sontuosi, la turba dei musicisti, gli ossequi degli
adulatori, le risa sfrenate, il rilassamento dell’anima, la dissipazione
della mente, la vita molle, oziosa e inutile. Dov’è andato a finire
tutto questo? Che è avvenuto di quel corpo che godeva tante cure e
pareva così bello? Va al sepolcro, guarda la polvere, le ceneri, i
vermi, contempla quel luogo ripugnante e gemi amaramente. E si fermasse
alle ceneri il castigo! Ma ora distogli la mente dal sepolcro e da
questi vermi e pensa al verme che non muore mai, al fuoco che non si
spegne mai, allo scricchiolio dei denti, alle tenebre esteriori,
all’afflizione ad angustia, alla parabola di Lazzaro e del ricco
epulone, che era padrone di tante ricchezze, vestiva di porpora e non
poté ottenere una goccia d’acqua, sebbene ne avesse tanta necessità. Le
cose di questo mondo non valgono più di un sogno. Come i condannati alle
miniere o a qualche pena anche più dura, quando incatenati in quella
orribile vita, addormentandosi vedono in sogno di trovarsi tra ogni
sorta di delizie, svegliatisi poi non ricavano da tali sogni nessun
giovamento, così quel ricco che, come in un sogno, aveva accumulato
ricchezze nella vita presente, partito da questa vita, era punito da
quell’atroce supplizio. Pensa a queste cose, opponi quel fuoco eterno a
questa fiamma di passione che ora ti avvolge ed esci finalmente da
questa fornace. Chi avrà spento qui quella della concupiscenza, non avrà
da sperimentare quella di là; ma chi non riesce a dominare questa,
quando passerà nell’altro mondo, sarà avvolto dalle fiamme eterne.
Quanto tempo credi tu che potrai godere della vita presente? Io penso
che non ti rimangano più di cinquant’anni, anche se arrivassi
all’estrema vecchiezza e neppure di questo siamo sicuri; e se non
possiamo neppure riprometterci di giungere fino alla sera della nostra
vita, come potremmo far assegnamento su un gran numero d’anni? Né questo
solo è incerto, ma c’è pure l’instabilità delle cose, poiché spesso la
vita è lunga, ma non è sempre un godimento; ma questo è appena
incominciato che subito se ne va. Però, se ti piace, supponiamo pure che
tu viva tanti anni e non ci sia nessun capovolgimento; che cosa è tutto
questo in confronto dei secoli senza fine e dei castighi atroci e
insopportabili dell’altra vita? In questa, tanto le cose buone che le
penose finiscono, e molto presto; ma di là esse si prolungano in una
durata infinita e nella loro qualità differiscono dalle gioie e dai
dolori di questa vita tanto che non si può dire.
10. IL FUOCO DELL’INFERNO
Sentendo parlare di fuoco dell’inferno,
non te lo figurare simile al nostro; questo infatti brucia e consuma la
cosa a cui si apprende, ma quello, quando s’attacca a qualcuno, continua
a farlo bruciare senza finire mai; per questo è detto: fuoco
inestinguibile. Anche i peccatori diventano immortali, non per averne
onore, ma solo per subire in eterno quel tormento. Quanto esso sia
orrendo, non c’è parola che lo possa spiegare; e solo con esempi tratti
dalle piccole pene di questa vita, ci si può fare una pallida idea di
quelle pene tremende. Così se qualche volta nel bagno l’acqua sarà
insopportabilmente calda, pensa allora al fuoco dell’inferno e se
qualche volta sarai arso da una febbre tormentosa, procura di meditare
allora la fiamma infernale e potrai intenderne bene la differenza.
Poiché, se il bagno e la febbre ci tormentano e ci inquietano tanto,
quando sprofonderemo in un fiume di fuoco che ci trascinerà davanti al
tremendo tribunale, che proveremo allora? Certo ci scricchioleranno i
denti a quei dolori e torture insostenibili. E nessuno ci darà sollievo;
manderemo gemiti strazianti, tra la fiamma che sempre più ci avvolge,
non vedremo nessuno, tranne i puniti con noi in una immensa solitudine.
Chi potrà dire il terrore che dalle tenebre verrà alle anime nostre?
Poiché quel fuoco, come non consuma, così non illumina; altrimenti non
sarebbero tenebre. Solo quando uno ci si trova, può rendersi conto
dell’agitazione, del tremore, dell’impotenza, dello sbalordimento enorme
che ce ne verrà. Molti e svariati sono là i tormenti e da ogni parte
una tempesta di castighi piomberà sull’anima.
Eternità delle pene
Se poi qualcuno dicesse: Ma come potrà
l’anima essere in grado di subire tanta moltitudine di punizioni e di
rimanere nei tormenti per secoli senza fine? Pensi a quello che avviene
di qua, come spesso molti sopportano lunghe e dolorose malattie. E se
muoiono, non è già perché l’anima sia consumata, ma solo perché viene
meno il corpo, sicché, se questo non cedesse, l’anima non finirebbe di
soffrire; ma quando le sarà restituito il corpo incorruttibile e
incapace di logoramento, non ci sarà più nulla che impedisca l’infinita
durata del castigo. In questa vita non è possibile che si trovino
insieme queste due cose, cioè un tormento acerbissimo e una lunga
durata, poiché l’una cosa si oppone all’altra, per essere il corpo di
natura corruttibile, sicché non tollera le due cose unite; ma quando
diventerà incorruttibile, non ci sarà più quella opposizione e tutti e
due questi mali con gran violenza ci domineranno senza fine. Non ci
mettiamo in mente che l’eccesso del tormento possa far venir meno
l’anima, poiché allora neppure il corpo verrà meno, ma rimarrà con
l’anima in eterno tormento e non avrà termine. Quale godimento e quanto
tempo vuoi tu contrapporre a castigo così tremendo? Vuoi cento o
duecento anni di godimenti terreni? Ma che sono mai di fronte a secoli
senza fine? Quello che è il sogno di un giorno in confronto di tutta la
vita, lo sono i godimenti di questa vita in confronto alla vita eterna.
C’è mai qualcuno che per fare un bel sogno accetti poi d’essere
tormentato per sempre? E chi sarà mai tanto pazzo da fare un simile
scambio? Non starò adesso a mostrare quanta amarezza ci sia nelle
delizie mondane; non è questo il momento per tali ragionamenti; li
faremo quando ti sentirai la forza di fuggirle. In questo momento
infatti, tutto preso come sei dalla passione, tu ci crederesti impazziti
se dicessimo che i piaceri sono amari; ma quando per grazia di Dio ti
sarai liberato da questo male, allora tu stesso ne comprenderai molto
bene la bruttura. Perciò mettiamo da parte per altro tempo simili
discorsi e per ora diciamo solo questo: supponiamo pure che i piaceri
mondani siano veri piaceri e le delizie vere delizie, e che non abbiano
nulla di amaro e di vergognoso, che diremo però del castigo che ci
aspetta? Che faremo poi, dopo aver goduto i beni fugaci e inconsistenti
di questa vita, quando di là dovremo soffrire un tormento eterno, mentre
ora potremo in brevissimo tempo evitare quelle torture e giungere a
godere i beni che ci sono preparati? Poiché questo pure ha fatto la
bontà di Dio verso gli uomini, che cioè non fosse tanto lungo il tempo
della lotta, ma che, dopo aver combattuto brevemente e quasi in un
batter d’occhio (che tale è la vita presente di fronte all’eterna),
riceviamo una corona eterna. E non sarà piccolo tormento per le anime
dei dannati il pensare che in questi pochi giorni di vita potevano
assicurarsi l’eternità e invece per la loro incuria si sono gettati da
sé in un’eterna sventura. Per non cadervi pure noi, rialziamoci finché
il tempo è propizio, finché ci sono giorni di salvezza, mentre è grande
la forza del pentimento. Se invece noi saremo pigri e inerti non solo ci
coglieranno i mali già detti, ma altri più terribili. Questi infatti
sono i tormenti propri dell’inferno e ben più terribili. La perdita
irrimediabile dei beni celesti poi porta tale strazio, tanta afflizione e
angoscia che, se anche non ci fosse alcun tormento per i peccatori,
questa da sola basterebbe a straziarli più atrocemente che tutte le
torture d’inferno e a riempire di terrore le anime nostre.
11. FELICITÀ DELLA VITA ETERNA
Rifletti quale sia la vita futura, almeno
per quanto è possibile pensarla, giacché nessun discorso potrebbe
spiegarcela degnamente, ma solo ce ne possiamo fare un’idea oscura e
inadeguata da quello che ci è stato rivelato. Dice la scrittura: non ci
sarà più né dolore, né tristezza, né gemito. Che ci può essere per noi
di più beato che una tale vita? Là non c’è più da temere né povertà, né
malattia; non si dovrà più vedere né chi faccia ingiustizie, né chi le
patisca, né chi esasperi, né chi venga esasperato, né chi si adiri o
porti invidia o sia acceso di turpe passione, né chi stia in ansietà per
provvedersi il necessario, né chi si disperi per cariche e
magistrature. Tutta la tempesta delle nostre passioni sarà spenta e
finita e tutto sarà in pace, letizia, gioia; tutto sereno e limpido,
tutto luce diurna e splendore, luce non come quella d’adesso, ma
un’altra luce, tanto più splendida di quella del sole, quanto il sole è
più splendido d’un lumicino. Là infatti non c’è notte, né addensamento
di nubi; non si patirà ardore o calore, non ci sarà notte o tramonto, né
gelo, né arsura, né altra vicenda di stagione; ma le cose saranno
ordinate in modo tutto diverso che conosceranno solo quelli che ne
saranno degni. Non ci sarà vecchiaia, né gli incomodi della vecchiaia;
sarà eliminato tutto ciò che sa di corruttibilità e dappertutto dominerà
la gloria immortale. Ma meglio di tutto questo, sarà il poter
continuamente conversare con Cristo in compagnia degli angeli e
arcangeli e delle potenze celesti.
Guarda il cielo ora e col pensiero sali
più alto del cielo e rifletti alla trasformazione di tutto il creato,
poiché non resterà così ma diverrà molto più bello e splendido; e come
l’oro è più fulgido del piombo, tanto il mondo nuovo sarà migliore di
questo, come dice il beato Paolo: anche la natura sarà liberata
dall’asservimento alla corruzione. Ora infatti essendo corruttibile
subisce tutto quello che i corpi naturalmente subiscono, ma allora,
liberata da tutto questo, ci si mostrerà ornata di bellezza imperitura;
riceverà corpi incorruttibili, ed essa pure si trasformerà in meglio.
Non ci saranno più sedizioni e battaglie, poiché grande sarà l’armonia
del coro dei santi, sempre perfettamente d’accordo tra loro. Là non ci
sarà più da temere il diavolo né le sue insidie, non ci sarà più la
minaccia dell’inferno, la morte, né quella del corpo, né quella tanto
più tremenda dell’anima: ogni timore di questo genere sarà scomparso. E
come un bimbo figlio di re, allevato dapprima nella povertà, nel timore,
nelle minacce, perché con la troppa condiscendenza non si guasti e si
renda indegno dell’eredità paterna, quando poi sale sul trono, cambia
completamente la sua situazione e con la porpora e il diadema, con una
schiera di guardie, si mette con autorità a governare senza più tener
conto della sua precedente soggezione, e anzi tiene un contegno tutto
diverso dal primo, così allora avverrà a tutti i santi. Che queste
parole non siano un vanto senza fondamento! Andiamo con la mente alla
montagna ove Cristo si trasfigurò, guardiamolo splendente, sebbene
neppure là egli abbia mostrato tutta la gloria della vita futura. Poiché
dalle parole dell’evangelista si rileva che quanto si vide allora era
una condiscendenza, non una esatta manifestazione di tutta la sua
gloria. Dice infatti: splendette come sole. La gloria dei corpi
incorruttibili non manda luce come il corpo corruttibile, né la loro
luce è concessa a occhi mortali, ma per essere vista esige occhi
immortali. Perciò allora sul monte si rivelò solo per quanto poteva
essere visto senza rovinare gli occhi di chi lo vedeva; ma neppure così
la sopportarono e caddero col volto a terra.
Dimmi, se uno ti conducesse in un luogo
splendido, dove tutti sedessero con vesti d’oro e in mezzo a quella
moltitudine ti mostrasse un altro, vestito e incoronato tutto di pietre
preziose, e poi ti proponesse di far parte anche tu di quel popolo, non
faresti tu di tutto, pur di ottenere l’adempimento di quella promessa?
Apri ora gli occhi della mente e contempla quella scena, dove non già
uomini in ricche vesti, ma uomini più splendidi dell’oro e delle pietre
preziose e dei raggi del sole e di ogni visibile fulgore; e non solo
uomini ma chi è molto più di loro, cioè angeli, arcangeli, troni,
dominazioni, principati e potestà. Quanto al Re del cielo non è
possibile dire come sia glorioso: la sua bellezza, il suo decoro, il suo
fulgore, la sua gloria, la sua maestà, la sua magnificenza sono
superiori a ogni parola e a ogni pensiero. Ci priveremo dunque di sì
grandi beni, solo per evitare una breve sofferenza? Se fosse necessario
morire ogni giorno mille volte e patire anche dolori d’inferno per
vedere Cristo venire nella sua gloria ed essere annoverati fra i suoi
santi, non sarebbe giusto patire tutto? Senti quel che dice il beato
Pietro: È tanto bello per noi lo stare qui. Se lui, veduta una debole
immagine dei beni futuri, provò tanta gioia nell’anima che non volle più
saperne di cose di terra, che si dirà quando giungerà la realtà,
quando, spalancata la reggia, si potrà contemplare il Re, non più in
modo misterioso, né rispecchiato nelle creature, ma faccia a faccia, non
più con la fede, ma con la visione diretta?
12. PERDERE I BENI CELESTI È COSA PIÙ DOLOROSA CHE PATIRE I TORMENTI ETERNI
Ci sono molti, tanto stolti, che pensano
solo a evitare i supplizi dell’inferno; io invece ritengo che sia
castigo assai più doloroso dell’inferno l’essere privato della gloria
del cielo e che chi si danna non soffra tanto per i mali dell’inferno
quanto per essere privo della felicità del cielo: questa è la pena più
acerba di tutte. Adesso, molte volte, vedendo il re che esce dalla
reggia con grande scorta, noi riteniamo fortunati quelli che gli stanno
accanto e possono partecipare alla sua conversazione, ai suoi consigli,
alla sua gloria e anche se abbiamo tanti beni, ci diciamo disgraziati e
ci sembra di non aver nulla in confronto del grande onore che hanno
quelli che gli stanno vicini; eppure sappiamo che questo splendore è
caduco e per nulla sicuro, sia per le guerre, che per le insidie degli
invidiosi, e anche senza di questo, solo perché tale gloria di per sé
non vale nulla. Quando poi si tratta del Re di tutte le cose, che domina
non una parte della terra, ma l’universo, che tiene in pugno il mondo e
col suo palmo misura i cieli, tutto regge con la sua potente parola,
per cui tutti i popoli sono niente e quasi un po’ di saliva, non ci
parrà il massimo dei castighi il non trovarci nella sua corte e ci
basterà solo di scansare l’inferno? Che c’è di più triste di un’anima
che la pensa così? Ma quando questo Re verrà a giudicare la terra, non
verrà mica su un carro dorato tirato da due bianche mule, né indosserà
la porpora, né cingerà diadema.
La venuta del Signore per il giudizio finale
Ma come verrà? Ascolta i profeti che lo
dicono e lo proclamano, per quanto è possibile a uomini. Uno dice: Dio
verrà in modo manifesto, il nostro Dio non verrà di soppiatto; davanti a
lui ardore di fuoco e intorno a lui tremenda tempesta; chiamerà il
cielo e la terra per fare giudizio del popolo suo. Isaia poi ci descrive
anche il castigo dicendo così: Ecco verrà il giorno del Signore, giorno
insanabile d’ira e di furore, a rendere deserta tutta la terra e a
distruggere da essa tutti i peccatori. E le stelle del cielo e Orione e
tutti gli astri non daranno più la loro luce e si oscurerà il sole
nascente e la luna non avrà più chiarore. Manderò sventure su tutta la
terra, farò scontare agli empi i loro peccati; rovinerò la prepotenza
degli iniqui, umilierò la iattanza dei superbi, e quelli che rimarranno,
saranno pregiati più che oro fine e l’uomo più che pietra preziosa.
Poiché il cielo sarà scosso e la terra tremerà sulle sue fondamenta per
il furore e l’ira del Signore degli eserciti, nel giorno in cui verrà il
suo furore. Così pure: Si aprirà il cielo, si scuoterà la terra, sarà
tutta agitata, turbata, immiserita, traballante come un ubriaco e un
crapulone; sarà scossa come una capanna nell’orto, cadrà giù, né si
potrà rialzare, poiché su di essa domina l’iniquità. Dio porrà la sua
mano sopra gli astri del cielo in quel giorno e sopra i regni della
terra e raduneranno la moltitudine in un carcere e la chiuderanno in una
fortezza. Allo stesso modo parla Malachia: Ecco viene il Signore
onnipotente, e chi potrà sopportare il giorno della sua venuta, e chi
avrà forza di guardarlo? Poiché egli viene come fuoco di fonderia e come
fiamma di lavanderia e si sederà per purificare gli uomini come si
purga l’oro e l’argento. E di nuovo: Ecco viene il giorno del Signore,
ardente come fornace e li abbrucerà; tutti i pagani e tutti gli iniqui
saranno come canne e il giorno che viene darà loro fuoco, dice il
Signore onnipotente e non rimarrà né radice, né sarmento.
Daniele poi, l’uomo dei desideri, dice:
Stavo guardando finché furono collocati i troni e l’Antico dei giorni
sedette; la sua veste era come neve, i suoi capelli come candida lana,
il suo trono fiamma di fuoco, le sue ruote fiamma ardente; un fiume di
fuoco lo precedeva. Un milione di angeli lo servivano e cento milioni
gli stavano attorno. Incominciò il giudizio e furono aperti i libri. E
un poco più avanti dice: Io guardavo in una visione notturna ed ecco
sulle nubi del cielo veniva Uno, che pareva un figlio d’uomo e si
accostò all’Antico dei giorni e fu offerto al cospetto di lui, e gli fu
dato potere, onore e regno e tutti i popoli, tribù e lingue lo
serviranno. Il suo potere è un potere eterno, che non passerà mai e il
suo regno non decadrà mai. Sentii un brivido nel mio spirito, io Daniele
e le visioni del mio capo mi turbavano. Nel giorno del giudizio si
spalancheranno tutte le porte del cielo, o, piuttosto, la stessa volta
celeste sarà tolta di mezzo: il cielo sarà avvolto come un volume, come
si toglie una tenda o un paravento, per essere trasmutato in meglio.
Allora tutto l’universo sarà pieno di sbalordimento, di orrore e
tremore; anche gli angeli allora avranno gran paura e non i soli angeli,
ma gli arcangeli, i troni, le dominazioni, i principati, le potestà;
sta scritto infatti: Si scuoteranno le potenze dei cieli. Infatti, se
quando i giudici di questo mondo sottopongono a giudizio anche una sola
città, tremano tutti, anche quelli che sono fuori pericolo, allorché la
terra tutta sarà giudicata da un giudice tale che non ha bisogno di
testimoni né di prove, ma che anche senza di ciò può citare fatti,
parole, pensieri e rivelare tutto esattamente sia a chi ha peccato, sia a
chi non ne sapeva nulla, come non sarà naturale che ogni potenza tremi e
sia scossa? Anche se non fosse quel fiume di fuoco, anche se non
fossero presenti angeli tremanti, ma fossero solo convocati gli uomini e
gli uni fossero lodati e ammirati, gli altri cacciati via senza onore
ed esclusi dalla gloria di Dio (poiché sta scritto: Sia tolto di mezzo
l’empio, che non veda la gloria del Signore), e questo solo fosse il
castigo, la privazione di tali beni non strazierebbe l’anima del reietto
più atrocemente d’ogni pena d’inferno? Che gran male sia questo, ora
non è possibile esporlo a parole, ma allora lo sapremo chiaramente a
fatti. Aggiungi poi il fatto che quelli non solo se ne andranno
svergognati, a capo chino, cercando di nascondere il viso, ma che
saranno trascinati verso il fuoco, gettati nei tormenti, dati in potere a
feroci demoni e tutto ciò nel momento stesso in cui saranno coronati,
esaltati e presentati al trono regale tutti quelli che operarono il bene
e fecero cose degne della vita eterna.
13. I BENI CELESTI
Questo avverrà nel giorno del giudizio;
ma chi ci potrà descrivere la sorte dei beati, la dolcezza, il
vantaggio, la gioia di star sempre con Cristo? Quando l’anima sarà
ristabilita nella sua nobiltà e potrà guardare fidente il suo Signore,
non si può dire quanto piacere e quanto vantaggio ne godrà, non solo per
la gioia dei beni presenti, ma anche per la certezza che essi non
finiranno mai. È una felicità che né parola può esporre, né mente può
comprendere adeguatamente; mi proverò tuttavia di spiegarla in qualche
modo, come si mostrano cose grandi col paragone di cose piccole.
Prendiamo l’esempio da quelli che nella vita presente godono dei beni
del mondo, potenza, ricchezza, gloria; come van superbi della loro
fortuna! Non sembra loro nemmeno d’essere sulla terra, sebbene godano di
cose che neppure meritano il nome di beni e che non resteranno ma se ne
andranno più rapide che un sogno, e se anche avranno una certa durata,
servono solo per la vita presente e non vengono con noi oltre la morte.
Ora, se queste cose danno tanta gioia a chi le possiede, che sarà delle
anime chiamate a infiniti beni nel cielo, beni stabili che durano in
eterno? E non è solo questione di durata, ma anche di quantità e
qualità, i beni celesti sono tanto superiori ai presenti, che mente
umana non può comprenderlo. Adesso infatti come una creaturina nel seno
materno, viviamo in questo mondo ristretti e non possiamo farci un’idea
dello splendore e della libertà del mondo futuro. Ma quando verrà il
momento del parto e la vita presente nel giorno del giudizio metterà
alla luce le sue creature, allora i mal formati passeranno dal buio alle
tenebre, dal tormento a un supplizio più fiero, ma quelli ben formati e
che hanno custodito fedelmente la somiglianza col loro Re, gli saranno
presentati e assumeranno la celebrazione di quella celeste liturgia che
gli angeli e gli arcangeli rendono al Dio dell’universo.
L’amore di Dio per le anime
O mio caro, non distruggere per sempre
questa somiglianza con Cristo, ma procura di ristabilirla al più presto e
di renderla più profonda. Dio ha voluto che la bellezza del corpo fosse
soggetta alle vicende della natura, ma quella dell’anima è libera da
ogni necessità e schiavitù, appunto perché molto migliore di quella del
corpo e dipende solo da noi e da Dio. Si è così mostrato molto buono con
noi il Signor nostro e ci ha fatto questo grande onore di sottomettere
alle vicende della natura ciò che poco vale, poco giova e si può perdere
senza danno, mentre ci ha concesso di costruire noi stessi la nostra
vera bellezza. Se infatti ci avesse concesso di essere padroni di
formare la bellezza del nostro corpo, avremmo avuto un’occupazione
superflua, avremmo perduto tutto il tempo in cose inutili e avremmo
completamente trascurato l’anima. Ora infatti, pur non avendo tale
potere, facciamo di tutto e ci sforziamo di costruirci una bellezza
apparente, giacché non possiamo farcela reale; e con i colori, con la
tintura e con capigliatura ben composte e con abiti eleganti e col
dipingerci gli occhi e con molti altri artifici ci procuriamo una falsa
bellezza; quale cura mai avremmo per l’anima e per la virtù se fosse in
nostro potere procurarci una reale bellezza fisica? Ben presto non
avremmo più altra occupazione, se ciò dipendesse da noi, ma in questa
consumeremmo tutto il tempo, e adorneremmo in mille modi la carne, che è
serva, lasciando l’anima, che è la padrona abbandonata, trascurata e
abbrutita peggio che se fosse schiava. Perciò Iddio ci ha liberati da
questa misera cura e ci ha affidato l’abbellimento della parte migliore,
così l’uomo che non può rendere bello il suo corpo quando è brutto, può
ricondurre l’anima sua, anche ridotta all’estrema bruttezza, alla più
alta bellezza e renderla così gradevole e amabile da attirarsi le
simpatie non solo degli uomini, ma di Dio stesso, Re dell’universo, come
dice il Salmista: «Il Re sarà desideroso della tua bellezza».
Non vedi come tra le stesse donne
perdute, se una è ributtante e sfacciata, non vogliono sposarla nemmeno i
gladiatori e gli schiavi fuggitivi; ma se una bella, nobile, modesta
per qualche disgrazia si riduce in tale stato, persino uomini illustri e
nobili non rifuggono dal prenderla in moglie?. Se dunque anche tra gli
uomini si usa tanta misericordia e si fa così poco conto dell’opinione
pubblica da togliere una disgraziata dall’infamia per farla propria
moglie, quanto più ne userà Dio alle anime che per la tirannide del
diavolo hanno perduto la loro celeste nobiltà e si sono disonorate in
questo mondo corrotto! È questa un’immagine che si trova molto spesso
nei profeti, quando rivolgono la parola a Gerusalemme, caduta anch’essa
nella turpitudine di nuovo genere, come dice Ezechiele: Le altre donne
perdute vogliono denaro, tu invece lo dai per peccare, tanto sei
pervertita. E un altro dice: Tu siedi ad aspettarli, come una cornacchia
abbandonata.
Eppure questa gran peccatrice Dio la
richiama a sé. Infatti la prigionia in Babilonia non era tanto un
castigo quanto una conversione e un ritorno alla virtù; se infatti Dio
davvero avesse voluto punirla, non avrebbe fatto tornare in patria la
popolazione, né avrebbe fatto ricostruire più grandi e più splendidi
città e tempio. Sta scritto appunto: La gloria ultima di questa casa
sarà maggiore della prima. Se dunque Dio non ha escluso dalla penitenza
quella che tante volte si era disonorata, molto più accoglierà l’anima
tua che è caduta ora per la prima volta. Non c’è nessuno infatti tra
quanti amano la bellezza corporea, per quanto pazzo sia, che arda di
tanto amore per la sua diletta, quanto Dio brama la salvezza delle anime
nostre; e lo si può vedere da quello che avviene ogni giorno, e lo si
può rilevare dalle Sacre Scritture. Vedi infatti in principio di Geremia
e in molti altri passi dei profeti, come Dio, trascurato e disprezzato,
sempre di nuovo corre a cercare ansiosamente l’amicizia di quelli che
lo fuggono. Lo ha detto egli stesso nell’Evangelo: Gerusalemme,
Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono inviati a te,
quante volte ho voluto radunare i tuoi figli, come la gallina accoglie i
suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto. E san Paolo scrive
ai Corinti: Dio ha voluto che per mezzo di Cristo il mondo si
riconciliasse con lui, senza più tener conto dei loro peccati, ha
affidato a noi la parola di riconciliazione. Noi siamo gli ambasciatori
di Cristo, come se Dio vi esortasse per mezzo nostro, noi vi preghiamo
per Cristo, riconciliatevi con Dio. Pensa ora che queste parole sono
dette anche per noi, giacché non solo l’incredulità, ma anche la vita
impura crea tale profonda inimicizia, poiché la mentalità carnale è
odiosa a Dio. Distruggiamo adunque tale ostacolo, leviamolo di mezzo,
sopprimiamolo, per ottenere la felicità della riconciliazione e divenire
nuovamente amabili e desiderabili a Dio.
14. VANITÀ DELLA BELLEZZA CORPORALE
So che tu ora ammiri la bellezza di
Ermione, e ti pare che non ce ne sia altra uguale sulla terra; ma se tu
lo vuoi, mio caro, tu puoi diventare tanto più bello ed elegante di essa
quanto una statua d’oro è meglio d’una di creta. Se la bellezza del
corpo fa tanta impressione e ammirazione nella gente, chi potrà
uguagliare la bellezza che rifulge nell’anima? Poiché la bellezza del
corpo in sostanza non è che il risultato di muco, sangue, umori,
secrezioni provenienti dalla nutrizione, che vanno a dar vivacità agli
occhi e alle guance, e se tutti i giorni non avvenisse questa specie di
irrigazione prodotta dallo stomaco e dal fegato, la pelle avvizzirebbe,
gli occhi si infosserebbero e sarebbe subito finita ogni bellezza.
Sicché, se tu considerassi che cosa c’è in quegli occhi così belli, in
quel naso così ben fatto, in quella bocca e in quelle labbra, diresti
che tutta quella bellezza è un sepolcro imbiancato, tanta è la sozzura
di cui è pieno. Se tu vedessi un fazzoletto con un po’ di queste
secrezioni e umori, non sopporteresti di toccarlo neppure con la punta
delle dita, anzi nemmeno di vederlo; e allora perché perder la testa
dietro un corpo che è tutto un ripostiglio di simile sozzura? Tale
invece non era la tua bellezza, ma quanto il cielo è superiore alla
terra, anzi molto più splendida ed eccellente di questo.
L’anima separata dal corpo nessuno l’ha
mai veduta, tuttavia cercherò di fartene vedere la bellezza col paragone
delle potenze superiori. Senti dunque come la bellezza degli angeli
sbalordì il profeta Daniele, che, volendo descriverla, e non trovando
corpo alcuno somigliante, fece ricorso al confronto con metalli preziosi
e persino al bagliore del lampo. Se gli angeli volendo mostrarsi non
già apertamente in tutta la loro bellezza, ma solo in maniera molto
velata, hanno mandato tale splendore, quali appariranno mai quando sarà
tolto ogni velo? Ora simile a questa bisogna immaginare la bellezza
dell’anima. Sta scritto infatti: Saranno come angeli. Anche tra le cose
corporee, quelle più leggere e sottili e che più si accostano alle
incorporee, sono molto migliori e mirabili delle altre. Così il cielo è
più bello della terra, il fuoco più che l’acqua, le stelle più che le
rocce e ammiriamo l’arcobaleno più che le rose, le viole e tutti gli
altri fiori della terra. Insomma, se fosse possibile vedere con occhi
corporei la bellezza dell’anima, tu ti rideresti di questi paragoni
materiali, tanto sono inadeguati a esprimere la fulgida beltà
dell’anima.
Esortazione a lasciare il peccato
Non trascuriamo l’acquisto di un tale
bene e di tanta beatitudine, tanto più che la speranza dei beni futuri
ci rende assai facile il giungere a tale bellezza. Dice infatti
l’Apostolo: la tribolazione brevissima e leggera di questa vita ci
procura un cumulo enorme di eterna gloria, purché noi miriamo non alle
cose visibili, ma a quelle invisibili; poiché le cose visibili sono
temporanee, invece quelle invisibili sono eterne. Ora se il beato Paolo
chiama leggere le sue tribolazioni, che tu ben conosci, perché non si
prendeva di mira le cose visibili, molto più sarà sopportabile il
cessare dalla vita impura. Non ti proponiamo infatti di esporti a
pericoli come i suoi, né al suo quotidiano morire, né alle battiture, ai
flagelli, alle catene, né all’inimicizia universale, né all’odio dei
compatriotti, alle continue veglie, ai lunghi viaggi, ai naufragi, agli
assalti dei briganti, alle insidie dei connazionali, alle sofferenze per
gli amici, alla fame, al freddo, alla nudità, all’arsura, alla
tristezza sia per le cose tue che per quelle altrui. Niente di tutto
questo ti domandiamo, ma solo ti supplichiamo a liberarti da quella
maledetta schiavitù, a tornare alla primiera libertà, riflettendo al
castigo della vita impura e all’onore della tua vita di prima. Che a
quelli senza fede non faccia impressione il sentir parlare della
risurrezione e non ne provino timore, non fa nessuna meraviglia; ma che
noi, che siamo certi della vita futura più che della presente, viviamo
così trascurati e miserabili, senza che tale pensiero ci faccia
impressione alcuna, questo è segno di grande stoltezza. Se infatti noi
credenti ci comportiamo da increduli e anzi siamo peggio di loro (poiché
non mancano tra loro persone distinte per virtù naturali), come potremo
essere scusati o perdonati? Molti mercanti dopo il naufragio non si
sono avviliti, ma si sono imbarcati di nuovo per lo stesso viaggio,
sebbene avessero patito tale danno per opera dei venti e non per propria
incuria. Noi invece, che siamo sicuri di arrivare in porto e sappiamo
benissimo come non ci può incogliere naufragio, o altro minimo danno se
noi non vogliamo, non riprenderemo il nostro proposito, non riprenderemo
il nostro commercio, e ce ne resteremo pigramente con le braccia
inerti? E voglia il cielo che siano solo inerti e non lavorino piuttosto
alla nostra rovina, che sarebbe un’insigne pazzia. Non sarebbe infatti
un vero pazzo quel lottatore che invece di gettarsi contro l’avversario,
percuotesse la propria testa e la propria faccia? Il diavolo ci ha
fatto inciampare e ci ha atterrati; perciò bisogna rialzarsi, non darci
per vinti, e non buttarci da noi nel precipizio, né aggiungere altri
colpi a quelli ricevuti da lui.
Efficacia del pentimento
Anche il beato David cadde in una colpa
simile alla tua, anzi, oltre questa, commise pure un omicidio. Forse che
non pensò più a rialzarsi? Anzi, si rialzò subito e riprese a
combattere contro il nemico e lo batté così vigorosamente che, anche
dopo la sua morte poteva soccorrere i suoi discendenti. Infatti quando
Salomone commise quel gran peccato e si meritò di morire mille volte,
Dio gli disse che per riguardo a Davide gli lasciava intero il regno: Io
certo farò in due il tuo regno e lo darò a un tuo servo, ma non farò
questo durante la tua vita. E perché? Per riguardo a tuo padre David; lo
prenderò dalla mano di tuo figlio. E a Ezechia, che pure era virtuoso,
quando fu in estremo pericolo, Dio ugualmente per riguardo a David
concesse protezione: Difenderò questa città per la mia gloria e per
amore del mio servo David. Tanta è la forza del pentimento! Se invece
egli avesse pensato, come tu ora, che ormai era impossibile rendersi
propizio Dio, e se avesse detto fra sé: Dio mi aveva molto onorato,
m’aveva posto tra i profeti, m’aveva dato il potere sui miei compagni,
mi aveva salvato da innumerevoli pericoli; come potrò, io che dopo tanti
benefici mi sono reso colpevole di gravissimi peccati, rendermi di
nuovo Dio propizio? Se avesse ragionato così, non solo non avrebbe fatto
tutto il bene che fece poi, ma avrebbe perduto pure quello fatto prima.
15. NON CI SONO MALATTIE INCURABILI NELL’ANIMA
Non solo le ferite del corpo producono la
morte quando non sono curate, ma anche quelle dell’anima; ma intanto
noi siamo tanto stolti che curiamo con gran diligenza quelle e non ci
curiamo di queste. Anzi persino se la malattia è inguaribile, non ci
perdiamo di coraggio e anche se i medici ci ripetono che nessuna
medicina ci può guarire, pure insistiamo a chiedere un qualche rimedio.
Per le anime invece, dove non esistono malattie incurabili (non
provengono infatti da una necessità di natura), ce ne disinteressiamo e
lasciamo ogni speranza, come se fosse malattia altrui; dove la natura
della malattia ci dovrebbe far disperare, cerchiamo la guarigione come
se ci fosse molta speranza di ottenerla; dove invece non c’è motivo
alcuno di avvilirsi, ci comportiamo come se non ci fosse più nessuna
speranza, tanto facciamo più conto del corpo che dell’anima! E così non
riusciamo a salvare né anima, né corpo.
Infatti chi trascura il più importante, e
mette tutta la sua premura nel meno importante, manda l’uno e l’altra
in rovina e perdizione. Chi invece rispetta il buon ordine e mette in
salvo e cura il più importante, anche se non si cura del resto, salva
pure questo col salvare il principale. Ce lo ha detto chiaramente
Cristo: Non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere
l’anima, temete invece chi può mandare anima e corpo all’inferno. Sei
persuaso adesso che non bisogna mai disperare, quasi che le malattie
dell’anima fossero inguaribili, oppure c’è bisogno d’altri ragionamenti?
Anche se tu mille volte disperassi di te stesso, noi però non
dispereremo mai di te, né crederemo vero noi quello che disapproviamo
negli altri, sebbene non sia la stessa cosa disperare di sé e disperare
di un altro. Chi pensa così di un altro, facilmente è scusato; ma chi lo
pensa di se stesso, no. E perché? Perché il primo non è padrone della
volontà e del pentimento dell’altro, ma dispone solo di sé. Con tutto
ciò noi non disperiamo di te, anche se tu fossi del tutto disperato:
anche in questo caso ci sarà una via per tornare alla virtù e riprendere
la vita di prima. Stà sentire: gli abitanti di Ninive sebbene avessero
udito la precisa e gravissima minaccia del profeta: Tre giorni ancora e
Ninive sarà distrutta, non per questo si avvilirono, ma pur senza
speranza di placare Dio, anzi con ogni probabilità di non poterlo
placare (giacché quella profezia non appariva minaccia condizionata, ma
assoluta decisione) vollero ugualmente fare penitenza, dicendo: Chissà,
forse Dio cambierà parere e si lascerà commuovere e smetterà il suo
furore e noi non periremo. E Dio vide le loro opere, come s’erano
distolti dalle loro malvagità, e Dio cambiò parere e non mandò il
castigo che aveva minacciato. Ora, se uomini barbari e ignoranti hanno
potuto comprendere tale verità, molto più dobbiamo capirla noi, istruiti
nella legge divina e che abbiamo conosciuto tanti esempi del genere sia
a parole che a fatti.
Dio ama i peccatori
Egli dice: i miei pensieri non sono come i
vostri, né le mie vie come le vostre; ma quanto il cielo è distante
dalla terra, altrettanto i miei pensieri differiscono dai vostri e le
mie intenzioni dalle vostre. Se noi quando i nostri servi hanno commesso
molte mancanze perdoniamo loro, se promettono di correggersi e li
rimettiamo nell’onore di prima e talvolta persino concediamo loro una
maggiore fiducia, molto più lo farà Dio. Se Dio ci avesse creato allo
scopo di poterci castigare, avresti ragione di disperare e di dubitare
della tua salvezza; ma dal momento che ci ha creato per sua sola bontà e
per farci godere dei beni eterni e per questo fa di tutto dal primo
giorno della nostra esistenza fino a ora, che cosa ci può rendere
dubbiosi? Abbiamo provocato il suo sdegno più di qualunque altro uomo?
Per questo appunto bisogna smettere di peccare e pentirsi dei peccati
già commessi e dar prova d’una profonda mutazione. Infatti i peccati,
una volta commessi non lo disgustano tanto quanto il non voler cambiar
vita per l’avvenire. Il cadere in peccato è in qualche modo cosa umana,
ma il perseverare in esso non è umano, ma diabolico. Vedi anche come per
mezzo del profeta Dio biasima più l’una cosa che l’altra; dice infatti:
Dopo che essa ebbe commesse tante turpitudini, le ho detto: torna a me,
e non è ritornata. E altrove, volendo mostrare quanto brami la nostra
salvezza, quando, dopo tanti delitti, gli promisero di camminare per la
retta via, egli li udì e disse: Chi darà loro di essere tanto saggi da
temermi e praticare i miei comandamenti tutti i giorni della loro vita,
affinché possano essere felici essi e i loro figli per sempre? E Mosé
parlando a essi diceva: Israele, che altro chiede il Signore da te, se
non che tu torni al Signore Dio tuo, che cammini nelle sue vie e che lo
ami? Egli dunque che tanto brama di essere amato da noi e che in tutti i
modi cerca il nostro amore e per questo non ha risparmiato neppure il
suo Unigenito, egli che sempre desidera di vederci riconciliati a sé,
come non ci accoglierà e non ci amerà se ci convertiremo? Senti anche
che cosa dice per bocca del profeta: Di’ tu per primo i tuoi peccati per
essere giustificato. Questo egli lo domanda affinché diventi forte il
nostro amore per lui; infatti, quando un amico, pur avendo subito gravi
torti dagli amici, non per questo cessa di amarli, se vuole che si parli
di questi torti, lo fa solo per dimostrare la saldezza della sua
amicizia e per muovere gli amici a un maggiore e più vivace amore.
Ora se il solo riconoscere i propri
peccati ottiene già tanto conforto, molto più ne otterrà il
purificarsene con le opere buone. Se così non fosse e se quelli che sono
usciti una volta dalla retta via, non potessero più tornare nello stato
di prima, nessuno o ben pochi entrerebbero nel regno dei cieli; ora
invece troviamo che i più gloriosi fra i santi sono appunto dei
peccatori convertiti. Proprio quelli che molto peccarono, mostreranno
altrettanto impegno nel fare il bene, consci come sono di quanto male
devono rendere conto. Questo lo spiegò pure Cristo quando disse a
Simone, a proposito di quella donna: Vedi questa donna? Sono entrato in
casa tua e non mi hai lavato i piedi; essa invece me li ha lavati col
suo pianto e asciugati con i suoi capelli. Non mi hai dato il bacio ed
ella da che è entrata non smette di baciarmi i piedi. Non mi hai
profumato la testa, ed essa mi ha profumato i piedi. Per questo ti dico:
le sono perdonati i molti suoi peccati perché molto ha amato. Invece a
chi poco si perdona, poco ama. Disse poi alla donna: Ti sono rimessi i
tuoi peccati.
16. LE GIOIE DELLA PENITENZA
Per questo anche il diavolo sapendo come i
gran peccatori quando cominciano a pentirsi, lo fanno con molto
impegno, consci come sono dei loro disordini, teme e trema di vederli
incominciare; se infatti ci si mettono, poi non li tiene più nessuno;
come divorati dall’ardore della penitenza, rendono l’anima più pura
dell’oro fino e la memoria e coscienza delle colpe di prima è quasi un
vento impetuoso che li spinge nel porto della virtù. Questo è il
vantaggio che essi hanno su quelli che non sono mai caduti: una volontà
più risoluta; tutto sta, come dicevo, che incomincino. Giacché il
difficile sta appunto qui, tornare all’entrata, giungere al vestibolo
della conversione, respingere e abbattere il nemico, che si è appostato
là e si oppone furiosamente. Se una volta resta vinto, non potrà in
seguito mostrare tanto furore; egli resterà colpito proprio là dove era
forte, noi prenderemo più ardire e con facilità potremo continuare
questa gloriosa lotta. Mettiamoci dunque sulla via del ritorno, corriamo
alla città celeste, di cui siamo cittadini e dove è nostro dovere di
vivere.
Il disperare di noi stessi non solo ha
questo danno che ci chiude la porta del cielo e ci rende ancora più
fiacchi e trascurati, ma anche ci da in preda a una follia satanica. Il
diavolo infatti è diventato tale appunto perché prima disperò e poi
dalla disperazione cadde nel pazzo furore. L’anima, se arriva a
disperare della sua salvezza, poi non si rende più conto come precipiti
sempre più in basso e dice e fa di tutto contro la sua salute. E come i
maniaci, quando hanno perduto l’uso della ragione, non temono più nulla,
non si vergognano di nulla, ma fanno tutto senza riguardo, anche a
rischio di cadere nel fuoco, nel mare o in un precipizio; così quelli
presi dalla pazzia della disperazione diventano insopportabili, corrono a
ogni malvagità, e, se non viene la morte a metter fine a tale pazzia,
si tirano addosso mali senza numero. Perciò ti scongiuro, prima che tu
sia totalmente immerso in questa specie di ubriachezza, torna in te e
svegliati e rigetta questa satanica ebrietà e se non lo puoi fare tutto
in una volta, fallo almeno a poco a poco.
A me certo pare che ti sarebbe molto più
facile troncare a un tratto tutti i legami che ti trattengono e darti
all’esercizio della penitenza. Ma se questo ti pare troppo difficile,
entra nel modo che ti sembra meglio nella via del bene, purché ti ci
metta e ottenga la vita eterna. Sì, ti prego e ti scongiuro, per la tua
buona riputazione di prima, per quella tua fiducia d’un tempo, fà che
possiamo vederti di nuovo raggiungere la stessa elevata virtù e
perseveranza. Abbi riguardo a quelli che si sono scandalizzati per causa
tua, a quelli che sono caduti, a quelli divenuti più pigri, a quelli
che disperano della virtù. Adesso infatti la tristezza grava sulla
schiera dei tuoi fratelli, compiacenza e allegria invece si trova nelle
riunioni degli infedeli e nei giovani più dissipati. Ma se tu ritorni
alla vita così accurata, si capovolgerà la situazione e tutta la nostra
vergogna passerà a quelli e noi saremo fieri di vederti di nuovo
coronato e celebrato in più chiara luce. Tali vittorie portano maggior
riputazione e piacere. Non riceverai soltanto il premio delle tue opere
buone, ma anche della consolazione e del coraggio fatto agli altri,
rimanendo quale esempio bellissimo, se qualcuno cadesse in simili mali,
del come possa rialzarsi e salvarsi. Non disprezzare un sì grande
guadagno, non ci far morire con questa afflizione, ma fà che possiamo
respirare e cacciare da noi questa tristezza che ci annebbia lo spirito a
tuo riguardo. Ora infatti, lasciati da parte i nostri mali, noi
piangiamo le tue sventure. Ma se tu vorrai rinsavire e aprire gli occhi e
venir di nuovo ricevuto nella milizia angelica, ci libererai da questo
lutto e cancellerai la maggior parte dei nostri peccati. Ci dicono
infatti le divine Scritture che può avvenire che uno tornando a
penitenza risplenda di fulgida luce e spesso anche più di quelli che non
sono mai caduti. Così appunto i pubblicani e le meretrici ottengono il
regno dei cieli e così molti degli ultimi hanno la precedenza sui primi.
17. LA CONVERSIONE D’UN GIOVANE
Ti voglio narrare un fatto avvenuto tra
noi e di cui tu potrai essere testimonio. Tu conosci probabilmente quel
giovane, figlio di Urbano, quel fenicio, rimasto orfano molto presto,
molto ricco di denaro, di servi e di terreni. Egli dapprima, lasciati
gli studi, deposto il suo bel vestito e ogni cura di cose temporali,
indossò un povero abito, si ritirò sui monti in solitudine e si diede
alla pratica della vita di perfezione non solo in modo proporzionato
alla sua età, ma come avrebbe fatto un uomo tra i più virtuosi. In
seguito fu pure iniziato ai sacri misteri, e attese ancor più alla sua
santificazione e tutti godevano e lodavano Dio che questi, allevato fra
le ricchezze, di nobile famiglia, e ancora molto giovane, avesse
calpestato senz’altro le vanità del mondo e corresse alla vera
perfezione. Or mentre egli conduceva questa mirabile vita, certi uomini
perversi, che per legge di parentela avevano cura di lui, riuscirono a
riportarlo tra le tempeste del mondo. Gettò via l’abito religioso, scese
dal monte nella piazza e cavalcava con molto seguito, girando per tutta
la città e non voleva metter giudizio. Lo prese l’amore dei godimenti,
cadde in amori illeciti e ormai tutti ritenevano disperata la salvezza
dell’anima sua, tale sciame di adulatori lo circondava, oltre poi
l’essere orfano, giovane e ricco assai. E quelli che con facilità
biasimano tutto, accusavano chi lo aveva indotto a quella vita di prima
dicendo che così aveva fallito nella vita spirituale e adesso neppure
poteva essere utile per i suoi stessi affari, avendo troppo presto
smesso gli studi, sicché non ne poteva cavare vantaggio alcuno. Così si
diceva e ne veniva molto disonore; ma alcuni santi uomini che più volte
avevano fatto la caccia a questa selvaggina e che per esperienza
sapevano bene che chi è armato di fiducia in Dio non deve disperare
neppure di simili peccatori, lo tenevano continuamente d’occhio, se lo
vedevano comparire in piazza e s’avvicinavano e lo salutavano
gentilmente. Le prime volte quello, da cavallo, rispondeva di traverso,
tanto si era fatto sfrontato. Ma quelli, benigni e affettuosi, non ne
facevano caso, mirando a una cosa sola: a strappare l’agnello ai lupi; e
con la perseveranza vi riuscirono. In seguito infatti quello, come
riavutosi da uno stordimento, e arrossendo di fronte a tanta loro
sollecitudine, quando li scorgeva venire da lontano, scendeva da cavallo
e a capo chino e in silenzio stava a udire tutto quello che gli
dicevano e sempre più mostrava rispetto e onore verso di loro. Così in
poco tempo, con la grazia di Dio, lo tirarono fuori da quelle reti e lo
restituirono alla solitudine e alla vita virtuosa di prima. Adesso egli
si è tanto distinto, che la sua vita antecedente, paragonata a quella
attuale, è cosa da nulla. Infatti avendo imparato per esperienza dove
stava il pericolo, ha distribuito ai poveri tutte le sue ricchezze, così
s’è liberato da tutti questi pensieri, ha tolto ogni pretesto a quelli
che gli volessero tendere insidie; e ora, camminando nella via del
cielo, è giunto ormai alla perfezione.
Conversione di un vecchio
Quello cadde e si rialzò mentre ancora
era giovane; ma un altro dopo aver sopportato grandi fatiche nella
solitudine dove con un solo compagno conduceva vita angelica, giunto
ormai verso la vecchiaia, non so come, con un po’ di tiepidezza offrì a
Satana la via per tentarlo, e così lui che da quando era monaco non
aveva mai veduto persona d’altro sesso, fu preso da una gran brama di
conversare con loro. Cominciò con l’esigere dal compagno che gli
preparasse carne e vino, minacciando, se non l’otteneva, di andarsene
giù al mercato; e questo diceva non perché realmente desiderasse mangiar
carne, ma per avere un pretesto per poter andare in città. Il compagno,
molto incerto e temendo, con l’opporsi, di spingerlo a qualche grave
colpa, gli diede modo di soddisfare il suo desiderio. Questo allora,
vedendo riuscita vana la sua trovata, senza più simulare, disse
apertamente che voleva a ogni costo scendere in città. Quando il
compagno vide che non riusciva a trattenerlo, finì per lasciarlo andare,
ma seguendolo da lontano, osservava che mai significasse quest’andata.
Vedutolo entrare in un luogo infame e comprendendo di quale colpa si
fosse macchiato, quando quello ricomparve, lo abbracciò amorevolmente e,
senza dirgli una sola parola di rimprovero, si limitò a esortarlo che,
soddisfatta la sua passione, tornasse alla sua solitudine. Egli allora,
arrossendo per tanta moderazione, rimase fortemente impressionato e
compunto per quanto aveva commesso, seguì il compagno al monte; ivi
giunto, lo pregò di chiuderlo in un’altra colletta, serrando bene la
porta, e di portargli in certi giorni pane e acqua, dicendo a quelli che
lo cercassero che egli era morto.
Avendo persuaso il compagno, si chiuse
dentro e rimase là continuamente, con digiuni, preghiere e lacrime
purificando l’anima sua. Dopo molto tempo, ci fu da quelle parti gran
siccità e tutta la gente del paese era molto afflitta; ora uno ebbe in
sogno l’ordine di recarsi da quel recluso e di supplicarlo a fare
orazione perché cessasse la siccità. Egli partì difatti con alcuni
compagni e dapprima trovarono solo quell’altro monaco, dal quale fu
detto loro che quello che cercavano era morto. Pensando d’essersi
ingannati, si rimisero a pregare ed ebbero di nuovo la stessa visione di
prima. Allora fecero molta insistenza con quello che li aveva
ingannati, supplicandolo a far loro vedere il suo compagno, perché: Non è
morto, dicevano, ma vive. Udito ciò, egli capi che non poteva più stare
al patto e li condusse da quel santo uomo. La porta era sbarrata, ma
scoperchiarono il tetto, entrarono tutti e si prostrarono ai suoi piedi,
gli narrarono l’accaduto e lo supplicarono a salvarli dalla fame.
Quello dapprima non ne voleva sapere, dicendo che era ben lontano da
poter sperare tale grazia; teneva infatti il suo peccato sempre davanti
agli occhi, come se l’avesse commesso proprio allora. Ma quando gli
ebbero narrato tutto, si lasciò persuadere a far orazione e ottenne che
cessasse la siccità.
18. L’ESEMPIO DEI SANTI APOSTOLI
Tu non ignori poi, anzi conosci non meno
di noi il fatto di quel giovane che prima era stato discepolo di san
Giovanni evangelista e poi per molto tempo fu capo di briganti, come il
santo riuscì a ripigliarlo inseguendolo come fosse una fiera e, dai
nascondigli dei ladroni, lo fece tornare alla primiera virtù e più volte
io ti ho udito ammirare la grande condiscendenza del santo che era
giunto a baciare quella mano sanguinaria e ad abbracciare quel giovane e
così poté ricondurlo allo stato di prima. Anche il beato Paolo quando
si convertì Onesimo, quell’inutile schiavo fuggitivo e ladro, non solo
lo abbracciò lui, ma pregò pure il padrone di lui a usare allo schiavo
convertito gli stessi riguardi che all’Apostolo suo maestro: Ti
supplico, diceva, per il mio figlio Onesimo, che ho generato qui in
prigione; egli prima ti era inutile, ma adesso è utile a te e a me. Te
l’ho rimandato e tu accogli lui come frutto delle mie viscere. Avrei
voluto tenermelo, perché mi servisse al posto tuo nella prigionia che
soffro per l’Evangelo; ma non ho voluto far niente senza il tuo parere,
che non sia il tuo un beneficio fatto per forza, ma spontaneo. Per
questo forse si è allontanato per un poco da te, perché tu lo riavessi
per sempre, non più schiavo, ma fratello carissimo, specialmente a me;
quanto più non sarà caro a te e come uomo e come cristiano? Se dunque
sei mio amico, ricevilo come riceveresti me. Scrivendo poi ai Corinzi
egli dice: Non accada che quando verrò io debba piangere per molti che
hanno peccato e non hanno fatto penitenza. E aggiunge: L’ho detto e lo
ripeto: quando tornerò, non avrò riguardi. Vedi di chi piange e a chi
non ha riguardi? Non ai peccatori, ma a quelli che non si sono
convertiti; anzi, non semplicemente ai non convertiti, ma a quelli che
dopo essere stati esortati una, due, tre volte non vogliono saperne di
convertirsi. Infatti quando scrive: Ve l’ho detto e lo ripeto come
presente e ve lo scrivo di nuovo come assente, intende proprio questo,
che ora io temo accada tra noi.
La confessione deve rinnovare l’anima
Infatti se qui non c’è Paolo che
minacciava i Corinzi, c’è però Cristo che parlava per la bocca di lui, e
se resteremo ostinati nel peccato, non ci risparmierà, ma ci colpirà
con grande castigo in questa vita e nella futura. Affrettiamoci dunque a
presentarci al suo cospetto e apriamo i nostri cuori. Hai peccato, ci
dice, non aggiungerne altri e prega per quelli già commessi. E di nuovo:
il giusto è il primo ad accusare se stesso. Non aspettiamo che venga
l’accusatore, ma prendiamo noi il suo posto e così ci renderemo benevolo
il giudice. Io so bene che tu ammetti di aver peccato e che ti reputi
un grande disgraziato; ma questo solo non mi basta; voglio anche
convincerti che con la confessione puoi ottenere la giustificazione.
Fino a che tu non fai una confessione efficace, per quanto ti accusi,
non arriverai a staccarti dal peccato. Uno non farà mai una cosa col
debito impegno e diligenza, se non è convinto che la fa a suo vantaggio.
Chi semina non mieterà, se dopo la semina non si attende la messe. Chi
vorrebbe mai fare una gran fatica, se questa non gli porta nessun
frutto? Così chi semina parole, lacrime e confessione, se non fa questo
con la speranza di averne bene, non potrà staccarsi dal peccato, poiché
lo trattiene il male della disperazione; anzi, come il contadino che non
spera di mietere, non bada a togliere ciò che danneggia il campo, così
chi piange e riconosce i suoi peccati, ma da ciò non si aspetta alcuna
utilità, non potrà mai eliminare ciò che guasta il suo pentimento. Ora
ciò che rovina il pentimento è il continuare a commettere i peccati. Se
l’uno costruisce e l’altro demolisce, che ci guadagnano, se non fatica?
Chi si lava perché ha toccato un morto e poi di nuovo lo tocca, che gli
serve il lavarsi? Così se un uomo digiuna per espiare i suoi peccati e
poi torna a commetterli, chi ascolterà la sua preghiera? Quando uno
dalla virtù ritorna al peccato, Dio prepara la spada contro di lui. Come
il cane che torna al suo vomito fa schifo, così lo stolto che per sua
malizia torna a peccare.
19. LA VERA PENITENZA
Non devi dunque limitarti ad ammettere
che hai peccato e ad accusare te stesso, ma fà penitenza in modo tale
che tu possa riavere la grazia; così potrai ottenere che la tua
confessione ti ottenga di non più ricadere nei peccati di prima. Anche
gli infedeli possono giudicare severamente se stessi e proclamarsi
peccatori. Anche tra i più spudorati attori e attrici ce ne sono che si
dicono disgraziati, ma non come bisognerebbe. Per questo neanche si
potrebbe dire che quella è una vera confessione, poiché non la fanno con
la compunzione dell’anima, né con lacrime amare, né con un cambiamento
intimo, ma parlano dei loro peccati per far bella figura di ingenua
sincerità davanti a chi li ascolta; giacché i peccati sembrano ben
diversamente gravi quando ne parla un altro che quando ne parla chi li
ha commessi. Ci sono poi di quelli che per la gran disperazione sono
divenuti insensibili a segno che con grande indifferenza raccontano a
tutti i loro peccati come se non li riguardassero. Ma tu non devi essere
come questi tali; non devi confessare i tuoi peccati per disperazione,
ma con molta fiducia e, troncando alla radice ogni avvilimento, mostrare
invece molto impegno. E qual è questa radice da cui nasce la
disperazione? È la fiacchezza di volontà, che la produce e la nutre.
Come nella lana una specie di infezione produce la tignuola e questa
aumenta il guasto, così dalla fiacchezza nasce la disperazione e questa
aumenta la debolezza, e l’una fa crescere l’altra in modo grave e
deplorevole. Ma se si riesce a sopprimerne una, facilmente si arriva a
dominare l’altra. Infatti chi non è più fiacco di volontà, non cadrà
nella disperazione, e chi è animato da buona speranza e non dispera, non
si lascerà andare alla fiacchezza. Bisogna distruggere questa coppia,
scindere questo binomio, questa mentalità che si appesantisce nelle sue
molteplici manifestazioni. Non è unico, ma svariato l’aspetto di questo
accoppiamento di pusillanimità e di disperazione. Così, per esempio
avviene che il penitente compia molte grandi opere buone, ma poi
commette un peccato che annulla tutto il bene fatto; ora proprio questo
può far cadere in disperazione, quasi che fosse distrutto quello che si
era costruito e sia rimasta completamente inutile tutta quella fatica.
Valore delle opere buone
Per scacciare questo pensiero, si deve
riflettere che se non ci fossero state quelle opere buone, il peccato
commesso dopo ci avrebbe certamente portato alla perdizione totale. Ora
invece le opere buone si sono comportate come una corazza che, pur
lacerandosi, impedisce alla freccia acuta e mortale di fare al corpo
tutto il male che potrebbe e così lo salva in buona parte dal pericolo.
Chi se ne va all’altra vita con molte opere sia buone che cattive,
troverà qualche riguardo nel castigo e nei tormenti; ma chi è del tutto
sprovvisto d’opere buone e va di là solo con opere cattive, non si può
dire quanto patirà nel castigo eterno. Là infatti si bilanceranno le
opere cattive e le buone, e se queste faranno piegare la bilancia dalla
loro parte, otterranno la salvezza di chi le ha compiute e il danno
proveniente dalle cattive non sarà tale da tirare l’uomo fuori del luogo
di salvezza. Ma se predominano le opere cattive, lo manderanno nel
fuoco dell’inferno, giacché le opere buone non avranno efficacia
sufficiente per impedire quell’irresistibile caduta. E questo non è un
ragionamento nostro, ma lo dice la Sacra Scrittura: darà a ciascuno
secondo le opere sue. Non solo nell’inferno, ma anche in paradiso ci
sono molte diversità. Cristo infatti dice: Ci sono molte dimore nella
casa del Padre mio, e: altro è lo splendore del sole e altro quello
della luna. Non c’è da farsi meraviglia che si distingua tanto
minutamente, se dice che anche una stella differisce dall’altra. Ora,
sapendo tale verità, non smettiamo di far opere buone e non ci
stanchiamo, né, per non poter uguagliare il sole e la luna, disprezziamo
le stelle; giacché se splenderemo come una stella, avremo anche noi un
posto nel cielo.
Anche se non saremo oro o pietre
preziose, basta che siamo argento e saremo collocati anche noi
nell’edificio celeste; ma non succeda che siamo di quel materiale che
sarà facile preda del fuoco. E neppure avvenga che, non arrivando a fare
opere grandi, ci asteniamo anche dalle piccole, che sarebbe una vera
pazzia, e Dio ce ne liberi. Come la gente si arricchisce con il non
trascurare nemmeno i più piccoli guadagni, così avviene nelle ricchezze
spirituali. Sarebbe cosa strana che mentre il nostro Giudice non
trascura nemmeno un bicchiere d’acqua fredda, noi, non potendo fare
opere molto importanti, non cercassimo di farne almeno delle piccole.
Chi non trascura le piccole, saprà nell’occasione compiere con grande
impegno quelle importanti; ma chi le disprezza non sarà premuroso
neppure delle altre; e perché ciò non accada, Cristo ha stabilito grandi
ricompense anche per queste. C’è cosa più semplice che visitare i
malati? Eppure egli da per questo un grande premio.
Assicurati dunque la vita eterna, metti
la tua gioia nel Signore, e supplicalo; sottomettiti un’altra volta al
suo giogo soave, porta il carico leggero, fà che il termine della tua
vita sia degno del principio; non lasciare che tale tesoro di meriti
vada perduto. Che se tu continui a irritare Dio con quello che fai,
rovini te stesso. Se invece, prima che il danno sia completo e che tutto
il campo sia sommerso, tu ostruirai i canali che l’inondano, potrai
ricuperare quello che si è guastato e aggiungere nuova messe di meriti.
Pensa a tutto questo, scuoti la polvere, sorgi da terra e metterai paura
al tuo avversario. Egli infatti si crede d’averti atterrato per sempre;
ma se ti vedrà tornare alla lotta, resterà sorpreso e meno pronto a
farti inciampare, e tu avrai maggior sicurezza di non restare più
colpito. Se bastano le disgrazie altrui a istruirci, molto più quelle
che abbiamo subito noi.
Questo io mi aspetto di vedere presto in
te, che, per grazia di Dio tu divenga più bello di prima e che dia prova
di tale virtù da poter fare del bene anche ad altri costì. Solo non
disperare, non ti abbattere; questo non cesserò di dirti ogni volta che
ti vedrò e di fartelo dire da altri; e se ascolterai questo, non avrai
più bisogno di altri rimedi.
ALTRA LETTERA ALLO STESSO PECCATORE
1. TRISTE CONDIZIONE DEL PECCATORE
Se fosse possibile mostrare con lo
scritto le lacrime e i gemiti, questa lettera ne sarebbe piena. Piango
non perché stai curando il patrimonio paterno, ma perché ti sei tolto
dal numero dei fratelli e hai calpestato il patto che avevi stretto con
Cristo. Per questo rabbrividisco, di questo mi dolgo, per questo temo e
tremo, sapendo come il disprezzare i loro impegni attira una grande
condanna su quelli che si sono arruolati nella santa milizia di Cristo e
che poi per propria viltà si fanno disertori. Che per questi tali il
castigo sia più grave è chiaro da ciò: nessuno accuserebbe mai di
diserzione chi non ha obblighi militari; ma quando uno è diventato
soldato ed è trovato disertore, corre l’estremo pericolo.
Ciò che mette paura, mio caro Teodoro,
non è già che un lottatore cada, ma che non si rialzi più; non è
preoccupante che un soldato sia ferito, ma che, dopo la ferita, disperi
di guarire e non si voglia medicare. Nessun commerciante per aver fatto
naufragio una volta e perduto il carico, ha mai smesso di navigare, ma
di nuovo affronta il mare, le onde e le lunghe traversate e si rifà le
ricchezze perdute. Vediamo atleti che, dopo molte cadute, han
conquistato la corona, e qualche soldato che era fuggito, poi s’è
dimostrato valoroso e ha vinto i nemici. Persino molti che per la
violenza delle torture avevano rinnegato Cristo, sono poi tornati alla
lotta e hanno guadagnato la corona del martirio. Ognuno di questi, se
dopo la prima caduta si fosse disperato, non avrebbe goduto poi del
trionfo. Così adesso tu, mio caro Teodoro, perché il nemico è riuscito
ad atterrarti per un momento, non ti devi buttare da te nel precipizio;
ma rialzati valorosamente e torna presto là di dove sei uscito e non
credere che questa breve caduta sia un disonore per te. Tu infatti non
disprezzeresti un soldato che venisse dalla guerra ferito; vergogna
sarebbe il gettar le armi e il tenersi lontano dal nemico; ma finché uno
resta dove si combatte, anche se è colpito, anche se indietreggia un
poco, nessuno sarà tanto spietato e tanto inesperto di cose di guerra da
fargliene un capo di accusa. Solo chi non va a combattere è sicuro di
non essere ferito; ma chi si getta animosamente sul nemico, qualche
volta è ferito e talvolta cade a terra. È quello che ora è accaduto a
te: mentre stavi per schiacciare il serpente, ne hai avuto un morso. Ma
fatti coraggio: con una breve penitenza, di quella ferita non resterà
più traccia; anzi, con la grazia di Dio arriverai a stritolare il capo
del maligno.
Non ti turbare d’essere caduto proprio in
principio: il diavolo vedeva molto bene il fervore della tua virtù e da
molti indizi congetturò che tu saresti divenuto per lui un potente
avversario; capiva che chi cominciava con tale ardore, facilmente
sarebbe arrivato a debellarlo. Per questo si diede da fare, vigilò per
piombarti addosso, ma a tutto suo danno, se tu vorrai resistere
valorosamente. Chi infatti non aveva ammirato la tua mutazione in bene
tanto pronta, sincera e fervorosa? Non badavi più ai piaceri della
mensa, disprezzavi il lusso delle vesti, calpestavi ogni sorta di fasto,
tutto lo studio per la sapienza mondana l’avevi rivolto alla parola di
Dio; consumavi i giorni interi nelle sante letture e le intere notti
nell’orazione; non ti ricordavi più della dignità di tuo padre, né ti
venivano più in mente le ricchezze; ma ritenevi superiore a ogni nobiltà
il prostrarti ai piedi dei fratelli e raccomandarti alle loro orazioni.
Tutto questo irritava il maligno e lo provocava a fiera battaglia; non
t’ha però ferito mortalmente. Anche se ti avesse atterrato dopo molti
anni passati in continui digiuni, dormendo in terra, e nelle altre
pratiche ascetiche, neppure allora ci sarebbe da disperare, pur
potendosi dire che è un gran danno il restar vinto dopo tanti sudori,
fatiche e vittorie. Ma che ti abbia fatto cadere di sorpresa, proprio
all’inizio della lotta, avrà questo solo risultato, di farti tornare con
più impegno alla battaglia. Egli ti ha assalito come un feroce pirata
mentre avevi appena iniziato il viaggio e non al ritorno e quindi la tua
nave non era carica. Come chi assale un animoso leone, se lo ferisce
lacerandogli solo la pelle, non fa che provocarlo di più contro di sé e
renderlo più fiero e più difficile a catturare, così il nostro comune
nemico voleva infliggerti un colpo mortale, ma non gli è riuscito e
piuttosto ha ottenuto che tu sia più vigilante e più mortificato in
avvenire.
2. INSTABILITÀ DELLA NATURA UMANA
La natura umana è instabile; pronta a
lasciarsi traviare e pronta a riaversi e come presto cade, così presto
si rialza. Il beato David, eletto da Dio re e profeta, dopo molte opere
buone, diede a vedere come anch’egli fosse uomo e fu preso da
disordinata passione per la donna altrui e non fermò qui: la passione lo
spinse all’adulterio e questo lo indusse all’omicidio; ma sebbene reo
di questi due peccati, si guardò bene dal commetterne un terzo; invece
si rivolse subito al medico e usò medicine: digiuno, lacrime, lamenti,
lunghe orazioni, ripetuta confessione del suo peccato e così si rese
propizio Dio a tal segno che, nonostante l’adulterio e l’omicidio, la
memoria paterna fu più forte dell’idolatria di suo figlio. Salomone
infatti, figlio suo, fu preso nello stesso laccio che suo padre e per
far piacere alle donne si allontanò dal Dio paterno. Vedi quanto male
faccia il non frenare la concupiscenza e il pervertire l’ordine naturale
fino a fare dell’uomo lo schiavo delle femmine! A questo Salomone
dunque, che prima era stato giusto e saggio, ma che per il suo peccato
rischiava di perdere tutto il regno, Dio, per riguardo ai meriti del
padre, concesse di conservare la sesta parte del regno.
Se tu un tempo ti fossi dedicato
all’eloquenza mondana e poi l’avessi trascurata, io ti esorterei a
occupartene di nuovo, ricordandoti i processi, i tribunali, la gloria
che vi si acquista, i motivi di sperare buona riuscita; ma poiché tutta
la nostra sollecitudine è per le cose del cielo e non c’importa nulla di
ciò che sta sulla terra, io ti rammento un altro processo e un altro
tribunale tremendo e spaventoso. Tutti noi infatti dobbiamo comparire
davanti al tribunale di Cristo. Là siede come giudice quello che tu ora
disprezzi. Che diremo allora? Come ci difenderemo, se continueremo a
disprezzarlo? Egli ci ha prevenuto col dirci: Che giova all’uomo
guadagnare il mondo intero, se rovina l’anima sua? Diremo forse che
siamo stati ingannati da altri? Ma neppure ad Adamo tornò buona la scusa
di dare la colpa alla donna e dire: La donna che hai messo con me mi ha
ingannato; e neppure alla donna giovò dare la colpa al serpente.
Mio caro Teodoro, è un pauroso processo
quello, dove non c’è bisogno né di accusatori né di testimoni, giacché
tutto è chiaro ed evidente per quel giudice e si deve render conto non
solo delle opere, ma anche dei pensieri, giacché quel giudice scruta
anche i più riposti segreti del cuore. Forse porterai per tua scusa la
debolezza della natura e l’incapacità a portare il giogo. Ma che scusa è
mai questa, di non saper portare il giogo soave e sostenere il peso
leggero? È proprio cosa tanto pesante il ristorarsi dalle fatiche?
Poiché a questo ci chiama Cristo dicendo: Venite a me tutti voi che
siete affaticati e aggravati e io vi farò riposare; prendete su di voi
il mio giogo e imparate da me perché io sono mite e umile di cuore; il
mio giogo infatti è soave e il mio carico è leggero. Che c’è infatti di
più soave che l’essere liberato dalle preoccupazioni, dagli affari, dai
timori, dalle fatiche, trovarsi fuori dalle onde tempestose della vita e
restare in un porto tranquillo?
3. I VERI BENI E I FALSI
Qual è la cosa che ci sembra porti
maggior felicità e sia la più desiderabile a questo mondo? Tu dirai
certo che sono i posti di comando, la ricchezza e la stima degli uomini.
Ma se queste cose vengono paragonate alla libertà cristiana, diventano
le più miserabili. Il magistrato infatti è esposto al furore del popolo,
ai capricci irragionevoli della moltitudine, al timore dei magistrati
più potenti, alla sollecitudine per i sudditi e chi ieri era
governatore, oggi è cittadino privato. Poiché la vita presente non
differisce punto da un teatro e, come sulla scena uno è re, l’altro
magistrato, un terzo è generale, un quarto soldato, ma, finita la
rappresentazione, il re non è più re, il magistrato non è più magistrato
e il generale non è più generale, così anche nel giorno del giudizio
ognuno avrà la sua ricompensa non secondo il posto che aveva nel mondo,
ma in base alle sue opere. Si dovrà allora far conto della gloria, che
cade giù come il fiore del fieno? Oppure la ricchezza, mentre l’averla è
considerata una disgrazia? Dice infatti la Scrittura: Guai ai ricchi! E
anche: Guai a quelli che confidano nella loro potenza e si vantano per
la moltitudine delle loro ricchezze. Ma al cristiano non avverrà di
diventare semplice cittadino dopo essere stato un governatore, né da
ricco diventerà povero, né da glorioso diventerà ignobile. Egli resta
ricco anche se è mendicante, e viene innalzato quando cerca di
umiliarsi, e nessuno gli potrà togliere il potere che ha di dominare non
sugli uomini ma sugli stessi magistrati del principe delle tenebre.
La castità perpetua
Convengo anch’io che il matrimonio è cosa
legittima; sta scritto infatti: È degno d’onore il matrimonio e
l’unione coniugale senza infedeltà; ma Dio punirà gli scostumati e gli
adulteri. Ma a te non è più lecito contrarre un legittimo matrimonio.
Quando si è scelto lo sposo celeste, il rinunciarvi per unirsi a una
donna è un adulterio, anche se tu lo dicessi mille volte matrimonio;
anzi è tanto peggio d’un adulterio, quanto Dio è superiore agli uomini.
Nessuno t’inganni col dire: Dio non proibisce di prender moglie. Lo so
anch’io; non ha proibito il matrimonio, ma ha proibito l’adulterio, che è
ciò che vuoi fare tu. Non ti venga mai in mente di parlare di
matrimonio! Che meraviglia c’è che un matrimonio sia giudicato un
adulterio, quando implica il disprezzo di Dio?
Nella Scrittura vediamo che un omicidio
fu una azione virtuosa, perché fatto conforme alla mente di Dio, mentre
un atto di umanità fu condannato peggio che un omicidio, perché fatto
contro gli ordini di Dio. Infatti fu ritenuto opera meritoria che Finees
uccidesse un uomo e una donna che peccavano, mentre Samuele, il santo
amico di Dio, pur passando le notti intere in pianto, in gemiti e
suppliche, non poté liberare Saul dalla condanna inflittagli da Dio,
perché contro il volere di lui aveva salvato la vita a un re pagano che
doveva uccidere. Se dunque un atto di compassione fu punito più che un
omicidio, perché contravveniva al comando di Dio, che meraviglia ci sarà
che un matrimonio venga punito più che un adulterio, quando implichi
disprezzo per Cristo? Come già ti ho detto, se tu fossi un privato
qualunque, nessuno ti accuserebbe di diserzione; ma adesso non sei più
padrone di te, poiché ti sei arruolato nell’esercito di un Re così
grande. Se nel matrimonio la donna non è più padrona del proprio corpo,
ma lo è il marito, molto più quelli che vivono in Cristo non sono più
padroni del loro corpo. Proprio colui che ora è disprezzato è quello che
allora giudicherà; pensaci continuamente e pensa pure a quel fiume di
fuoco: sta scritto infatti: Un fiume di fuoco lo precedeva. Chi da Dio è
gettato nel fuoco, non vedrà mai la fine del suo supplizio. Invece gli
sregolati piaceri della vita non differiscono punto dalle ombre e dai
sogni: non è ancora finito il peccato, che già è finito il piacere del
peccato; ma la sua punizione non finisce mai. Il godimento è breve, il
tormento è eterno.
Instabilità delle cose di questo mondo
Dimmi tu: che cosa c’è di stabile nel
mondo? La ricchezza, che molte volte non dura dal mattino alla sera? La
gloria? ma senti quel che dice un uomo giusto: La mia vita passa più
veloce di un corriere. Come questi prima ancora di fermarsi, balzano di
sella, così la gloria non è giunta ancora che già è sparita. Non c’è
cosa più preziosa dell’anima e questo non lo negano nemmeno quelli che
sono giunti all’estremo limite della stoltezza. Anche un poeta pagano ha
detto: Non c’è nulla che valga quanto l’anima.
So bene che sei divenuto troppo debole
per sostenere la lotta contro il maligno; so che ti trovi in mezzo alle
fiamme dei piaceri; ma se tu dicessi al nemico: non vogliamo essere
schiavi dei tuoi piaceri, né inchinarci a quella passione che è radice
di tutti i mali; se tu alzassi gli occhi al cielo, il Salvatore anche
ora allontanerebbe la fiamma da te ed essa brucerebbe quelli che ti
hanno gettato nel fuoco e a te, in mezzo alla fornace, manderebbe la
nube, la rugiada, lo zefiro, sicché il fuoco non giungerebbe più ai tuoi
pensieri e alla tua coscienza; solo sta attento a non darti fuoco da
te. Molte volte infatti delle città fortificate che avevano resistito
alle armi e alle macchine da guerra, sono poi senza fatica cadute in
potere del nemico per il tradimento di uno o due di quelli che vi
stavano dentro. E perciò se non ti rovina qualche tuo pensiero interno,
per quanto faccia il nemico al di fuori, non riuscirà a nulla.
4. LA PREGHIERA DEI BUONI
Per grazia di Dio hai molti che ti
compatiscono, che ti esortano, che tremano per la tua salvezza: il santo
Valerio, il suo degnissimo fratello Florenzio, Porfirio così pieno
della sapienza di Cristo e altri molti. Ogni giorno questi ti
compiangono e non cessano di pregare e già da tempo avrebbero ottenuto
ciò per cui pregano se tu avessi voluto toglierti un momento dalle mani
del nemico. Non è forse strano che mentre gli altri non disperano di te e
continuamente pregano per riaverti tra loro, tu invece, caduto una
volta sola, non voglia rialzarti, ma preferisca restare a terra, e in
certo modo gridi al tuo nemico: Uccidimi,, percuotimi, non mi
risparmiare? Forse che chi è caduto non si rialza? dice la Sacra
Scrittura. Tu invece la contraddici e combatti; infatti, quando uno
caduto si dispera, fa come se dicesse che uno caduto non si può più
rialzare. Te ne scongiuro, non fare a te stesso questo torto, non dare a
noi un simile dispiacere. Non dico ora, che non hai ancora vent’anni ma
anche se fossi molto più avanzato in età e dopo aver vissuto sempre per
Cristo, avessi poi nell’estrema vecchiezza subìto questo danno, neppure
allora sarebbe giusto disperare, ma dovresti riflettere al ladrone
giustificato sulla croce, agli operai dell’undicesima ora, che
ricevettero la paga di tutta la giornata.
Fallacia delle cose mondane
Però come non è giusto che uno disperi
anche se è caduto in fin di vita, se ha giudizio; così è pericoloso
nutrirsi di simile speranza e dire: adesso mi voglio godere i piaceri
della vita, poi farò un po’ di penitenza e riceverò la paga intera. Mi
ricordo che proprio tu, quando ti esortavano a frequentare le scuole
superiori, hai risposto più volte: E se dovessi morir presto di cattiva
morte, come potrei presentarmi a colui che ha detto: Non aspettare a
tornare al Signore e non rimandare da un giorno all’altro. Torna a
questi pensieri e temi il ladro: così Cristo chiama la morte, perché
arriva imprevista. Rifletti alle sollecitudini della vita, sia privata
che pubblica, al timore che ispirano i governanti, all’invidia dei
concittadini, ai frequenti ed estremi pericoli, alle fatiche, alle
tribolazioni, alle adulazioni servili e persino sconvenienti agli stessi
schiavi, se appena onesti, e pensa che qui finisce il frutto delle
fatiche; che cosa ci potrebbe essere di più penoso? A molti poi è
accaduto di non poter neppure godere di quei beni per cui s’erano tanto
affaticati e, dopo aver logorato la loro gioventù nelle fatiche e nei
pericoli, quando speravano di raccoglierne il frutto, se ne sono andati
senza nulla portare con sé. Se uno dopo aver molto faticato e combattuto
per il suo sovrano, appena è se osa guardarlo con fiducia, come oserà
presentarsi al re del cielo chi ha sempre vissuto e militato fra i suoi
nemici?
Dovrò forse parlarti delle sollecitudini
domestiche per la moglie, i figli, i servi? È un guaio avere una moglie
povera, è un guaio averne una ricca. La prima è un peso per l’economia
domestica, la seconda diventa la padrona di suo marito. È triste aver
figli ed è triste non averne; se non ci sono figli, è stato inutile il
matrimonio; se ci sono, è una dura schiavitù: il bimbo si ammala, ed
ecco gran timore; muore piccolo, è un dolore inconsolabile, e per ogni
periodo della vita dei figli ci sono fatiche, sollecitudini e timori in
quantità. Che dire poi dei vizi dei servi? Ti pare una vita questa, o
Teodoro, dove uno da solo deve pensare a tante cose, servire a tanti,
vivere sempre per gli altri, senza poter pensare a sé? Non vanno così le
cose tra noi, o caro, e tu stesso ne sei testimone.
La libertà cristiana
In quel po’ di tempo in cui avevi potuto
emergere sopra i flutti, tu sai di quanta gioia e letizia hai goduto.
Poiché nessuno è davvero libero, se non chi vive per Cristo; egli è
superiore a tutte le disgrazie; a meno che non voglia farsi male da sé,
un altro non gliene può fare, ma è invulnerabile; non può nulla su di
lui la perdita dei beni, sapendo che niente abbiamo portato in questo
mondo e niente ne possiamo portar via; non si lascia prendere dalla
brama dell’onore e della gloria, sapendo che la nostra patria è il
cielo; non si contrista per gli oltraggi, non s’infuria per le percosse,
per un cristiano c’è una disgrazia sola: offendere Dio. Tutto il resto,
come la perdita delle ricchezze, l’esilio, il pericolo di morte, non
gli sembrano sventure e quel che fa rabbrividire tutti, cioè il
passaggio da questa all’altra vita, per lui invece è più dolce della
vita. Come uno, salito su una scogliera elevata, contempla il mare e
vede i naviganti, gli uni travolti dalle onde, altri sbattuti sugli
scogli subacquei, altri spinti dal vento in tutt’altra direzione da
quella che vorrebbero e quasi zimbello dei venti, molti naufraghi
ridotti a nuotare o aggrappati a una tavola o a qualche rottame, altri
poi galleggiare già morti, spettacolo di molteplici e varie calamità;
così chi milita per Cristo si è tirato fuori dal tumulto e dai flutti
della vita e siede sicuro in luogo elevato. Che cosa c’è infatti di più
sicuro ed elevato che avere un’unica sollecitudine, quella di piacere a
Dio? Hai visto, Teodoro, i naufragi di quelli che navigano per questo
mare? Perciò, te ne scongiuro, fuggì il mare, fuggì le onde e mettiti al
sicuro in alto, dove non potrai essere raggiunto.
C’è la risurrezione, c’è il giudizio;
all’uscire da questo mondo ci attende una sentenza paurosa: tutti
dobbiamo presentarci al tribunale di Cristo. Non invano egli minaccia
l’inferno, non invano ci ha preparato sì grandi beni. Ombra e meno che
ombra sono le cose di questa vita, piene di molti timori, di molti
pericoli, di estrema schiavitù. Non sciupare la vita presente e la
futura, mentre, se vuoi, puoi guadagnare e l’una e l’altra. Che servendo
Cristo, si guadagni pure la vita presente, l’insegna san Paolo dicendo:
Io non vi condanno. E anche: Questo lo dico a vostro vantaggio. Vedi
dunque che chi vive solo per Cristo è superiore a chi vive nel
matrimonio. Una volta usciti da questo mondo non c’è più pentimento;
nessun atleta può continuare la lotta dopo che è terminata la gara e
finito lo spettacolo. Pensa sempre a questa verità e spezza la spada
affilata del nemico, quella con cui uccide tanti. È questa la
disperazione, che toglie ogni fiducia ai caduti. È un’arma assai potente
e solo con essa egli mantiene prigionieri quelli che ha preso, ma se
noi vogliamo, con l’aiuto di Dio, la possiamo spezzare.
So che ho oltrepassato i limiti di una
lettera, ma mi scuserai, non l’ho fatto apposta; l’affetto e la mestizia
mi hanno trascinato e costretto a scriverti, sebbene molti mi volessero
impedire, dicendomi: Tu fai una fatica inutile e semini sulle pietre.
Ma io non ho ascoltato nessuno e dicevo tra me che, con l’aiuto di Dio,
la mia lettera poteva essere utile; se poi, che Dio non voglia, restasse
inutile, avremo almeno il vantaggio che nessuno ci potrà accusare di
aver taciuto. Non vogliamo essere da meno dei naviganti che, scorgendo
dei naufraghi aggrappati a qualche trave, calano le vele, gettano
l’ancora e montano sulla scialuppa per salvare uomini ignoti, di cui
solo conoscono la sventura. Se poi quelli non volessero essere salvati,
nessuno ne accuserà chi ha cercato di salvarli. Questo è quanto potevamo
fare noi; crediamo poi che, per grazia di Dio, ci sarà anche il tuo
contributo e che presto ti vedremo di nuovo nel gregge di Cristo sano e
salvo. Voglia Dio che presto ti possiamo riavere, per le preghiere dei
santi, ristabilito nella vera santità, o carissimo. Se tu hai ancora
qualche stima per noi, se non ci hai cacciato completamente dalla tua
memoria, sii tanto gentile da risponderci, che così ci farai un gran
piacere.
GLORIA A DIO!