giovedì 27 settembre 2012

I cattolici e la politica



 Di fronte alla gravità dei fatti della recentissima cronaca politica, i cattolici possono diventare anch'essi preda della cosiddetta "anti-politica". Sarebbe un errore fatale,dal momento che quella italiana rappresenta ancora, grazie a Dio, una lodevole "eccezione". A questo proposito riporto di seguito un articolo dal blog di Sandro Magister e uno studio di padre Paolo Scarafoni L.C., Rettore della Università Europea di Roma sui caratteri di una spiritualità politica cristianamente ispirata.

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L'talia, agli occhi della Chiesa di Roma, è una sorvegliata speciale.

È l'unico paese, in Europa occidentale, che resiste alla corsa verso la legalizzazione delle famiglie omosessuali, dell'eutanasia, dell'eugenetica.

È l'unico paese in cui la Chiesa cattolica è ancora una Chiesa di popolo.

Curiosamente, però, quest'ultima realtà non è affatto condivisa né amata da una parte importante degli stessi cattolici italiani.

Sono quei cattolici che il sociologo e politico Arturo Parisi ha definito i "figli primogeniti" della Chiesa e guardano con sussiego escludente a quei tanti, tantissimi cattolici "irregolari" che magari vanno poco a messa e si discostano dai precetti, ma si sentono pur sempre appartenenti alla fede cattolica:

Sul terreno politico, tale frattura si esprime in almeno quattro tipologie.

1. La prima è quella dei cattolici che provengono dal grande partito che per decenni ha governato l'Italia, la Democrazia Cristiana, e da quella organizzazione di Chiesa che ne preparò i leader, l'Azione Cattolica.

Oggi che la DC non c'è più e l'AC è l'ombra di quello che fu in passato, questi cattolici hanno il loro piccolo partito di riferimento nell'Unione di Centro presieduta da Pierferdinando Casini, che è anche presidente dell'Internazionale Democratico Cristiana. Oppure sono accasati nel principale partito della sinistra, il Partito Democratico.

2. La seconda tipologia è quella dei cattolici che si autodefiniscono "adulti". Provengono anch'essi dal ceppo della DC e dell'Azione Cattolica. Ma rivendicano più dei primi la loro autonomia di giudizio nel campo politico, rispetto ai dettami della gerarchia della Chiesa.

Due loro esponenti di spicco sono l'ex presidente del consiglio ed ex presidente della Commissione europea Romano Prodi e la presidente del PD Rosi Bindi. Nel 2005, nei referendum sulla fecondazione assistita, disobbedirono pubblicamente all'indicazione di non andare a votare, data dalla conferenza episcopale italiana presieduta dal cardinale Camillo Ruini. Indicazione rivelatasi vincente.

3. La terza tipologia è quella di chi fa attività politica e appartiene ai movimenti e alle organizzazioni che compongono in Italia la galassia cattolica: associazioni di lavoratori, gruppi di volontariato; ma anche Comunione e Liberazione, Opus Dei, Sant'Egidio, focolarini, carismatici, neocatecumenali.

Nel linguaggio politico corrente, tutte insieme queste tre tipologie identificano in forma praticamente esclusiva il cattolico che si impegna nella vita pubblica.

È a questi cattolici, non ad altri, che si pensa generalmente in Italia, quando il papa o i vescovi invocano l'avvento di "una nuova generazione di politici cattolici".

Sono i leader di queste organizzazioni che si danno da fare, con discorsi, convegni, manifesti, per dar corpo al "ritorno dei cattolici in politica". Nel presupposto di rimediare a una avvenuta loro estromissione, o riduzione al silenzio, in quest'ultimo caso – si lamenta – per colpa della gerarchia ecclesiastica che si sarebbe messa a far politica in proprio.

Il limite di queste tre tipologie sommate è che esse rappresentano una frazione molto ristretta della popolazione cattolica italiana. Con un passato di scadente comprensione e tutela dei capisaldi dell'antropologia – vita, famiglia, scuola – più sottoposti ad attacco. Con una base elettorale anch'essa modesta.

L'elettorato delle grandi cifre, infatti, quello che realmente pesa, è ad esse estraneo.

4. Ma è proprio qui la quarta tipologia. Essa è composta dalle decine di milioni di cattolici "anonimi" che in Italia non appartengono ad alcuna associazione confessionale; che magari non vanno in parrocchia ma frequentano i santuari; che hanno una pratica religiosa differenziata, dall'assidua alla intermittente, eppure iscrivono in massa i figli all'ora di religione; che hanno riserve più o meno grandi rispetto alla Chiesa eppure devolvono a suo sostegno l'otto per mille del gettito fiscale; che anche quando disubbidiscono all'uno o all'altro precetto morale ritengono che il papa e i vescovi facciano bene a predicare cose alte ed esigenti, non importa se impopolari.

Tra i "figli primogeniti" delle prime tre tipologie e quelli "irregolari" di quest'ultima c'è anche una distanza di orientamento politico. Mentre i primi si collocano al centro e a sinistra, gli altri pendono più a destra.

Non è un caso che i governi di destra presieduti da Silvio Berlusconi siano stati anche quelli che più sono andati incontro alle attese della gerarchia della Chiesa in difesa della vita "dal concepimento alla morte naturale".

Nei governi Berlusconi i cattolici non erano affatto assenti, né inattivi. Ma erano, appunto, quasi tutti estranei alle filiere sopra descritte. Come il ministro del welfare Maurizio Sacconi, di matrice socialista, o la sottosegretaria alla sanità Eugenia Roccella e il capogruppo Gaetano Quagliariello, entrambi cresciuti politicamente nel partito radicale.

Cattolici del quarto tipo – e non solo dei primi tre – sono presenti anche nell'attuale governo "tecnico" presieduto da Mario Monti (nella foto), lui stesso un cattolico "tout court".

E così ve ne sono in altri organi dello Stato, nel corpo diplomatico e tra i dirigenti della Banca d'Italia. Era quest'ultimo il caso, ad esempio, di Anna Maria Tarantola, vicedirettore generale, da pochi mesi nominata presidente della Radiotelevisione italiana.

Per non dire dell'alto numero di cattolici presenti nelle amministrazioni locali.

È a questi cattolici senza etichetta che più guarda la gerarchia della Chiesa.

A Benedetto XVI e al cardinale Angelo Bagnasco poco interessa un "rassemblement" dei soli cattolici "virtuosi", al centro dello schieramento, come vagheggiato dal segretario dell'UDC Casini e da altri leader di organizzazioni cattoliche.

Tanto meno pensano di delegare ad essi quel ruolo di guida del popolo cristiano, anche nel campo politico, che la gerarchia cattolica ritiene proprio e costitutivo.

In Italia il papa e i vescovi non vogliono una Chiesa di pochi eletti, ma di popolo.

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Sull'argomento di questa nota il cardinale Bagnasco, presidente della conferenza episcopale italiana, ha detto recentemente parole molto chiare, in un'ampia intervista al settimanale "Tempi" del 19 settembre:

"I laici cattolici non sono soltanto quelli che appartengono a movimenti, associazioni e gruppi ecclesiali. Ci sono tanti altri credenti che – pur senza particolari appartenenze – vivono la propria fede facendo riferimento alla parrocchia. Sono quelli che credono e praticano, costruendo la testimonianza del Vangelo all'interno dei diversi ambienti di vita: famiglia, lavoro, città. Se osserviamo la realtà italiana da questo punto di vista, notiamo che dai livelli periferici ai livelli nazionali, di cattolici nella società e nella politica ce ne sono tanti, anche se ce ne vorrebbero ancora di più. Essi costituiscono una presenza significativa che deve crescere in competenza perché si ha bisogno di uno sguardo d'insieme, facendo perno sulla visione antropologica della dottrina sociale della Chiesa. In essa, – come è noto a tutti – l'etica della vita è il fondamento, e l'etica sociale il coerente sviluppo di una società a dimensione umana. [...] Proprio in questo orizzonte, vorrei rilanciare anche una felice provocazione del papa: 'Ci si è adoperati perché la presenza dei cristiani nel sociale, nella politica o nell'economia risultasse incisiva, e forse non ci si è altrettanto preoccupati della solidità della loro fede, quasi fosse un dato acquisito una volta per tutte'".

E nella prolusione al consiglio permanente della CEI del 24 settembre, ha nuovamente insistito su quest'ultimo punto:

"Da tempo parliamo di una nuova generazione di politici cristianamente ispirati; chiediamoci se ci siamo adeguatamente preoccupati di sostenerne la vita spirituale. [...] Non dimentichiamo che i cattolici che hanno lasciato traccia, e di cui spesso si evoca il nome, erano anzitutto dei credenti di prim’ordine, con una forte presa soprannaturale".

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Quanto alla tipologia dei cattolici "adulti", Benedetto XVI ha detto contro di loro una parola definitiva nell'omelia dei vespri della vigilia della festa dei santi Pietro e Paolo del 2009:

"La parola 'fede adulta' negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Lo si intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede 'fai da te', quindi. E lo si presenta come 'coraggio' di esprimersi contro il magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo schema del mondo contemporaneo.

"È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una 'fede adulta'. Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo.

"Così fa parte della fede adulta, ad esempio, impegnarsi per l’inviolabilità della vita umana fin dal primo momento, opponendosi con ciò radicalmente al principio della violenza, proprio anche nella difesa delle creature umane più inermi. Fa parte della fede adulta riconoscere il matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita come ordinamento del Creatore, ristabilito nuovamente da Cristo.

"La fede adulta non si lascia trasportare qua e là da qualsiasi corrente. Essa s’oppone ai venti della moda. Sa che questi venti non sono il soffio dello Spirito Santo; sa che lo Spirito di Dio s’esprime e si manifesta nella comunione con Gesù Cristo". (S. Magister)


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I cattolici e la politica
                           di padre Paolo Scarafoni, L.C.

  Il consumarsi delle esperienze cattoliche nell’ambito politico ed economico, verificatosi negli ultimi venti anni in Italia, non è la loro bocciatura o il loro fallimento. Esso significa piuttosto un compimento, un naturale esaurimento. Tali esperienze hanno realizzato un grande bene per la nazione, con un respiro universale, di autentica ricerca del bene comune. Restano come modello d’ispirazione per intraprendere nuove esperienze in un mondo che è cambiato.
Da un punto di vista della storia dell’impegno dei cattolici siamo ora all’inizio di una fase simile a quella dell’Opera dei Congressi, che è stata un grande coordinamento tra le realtà cattoliche presenti in Italia, durato trent’anni anni dal 1874 al 1904, al tempo di Leone XIII, il Papa dell’enciclica sociale Rerum Novarum.
L'Opera dei Congressi e dei comitati cattolici coinvolgeva tutte le iniziative cattoliche associative, e nei Congressi si sono creati uno spazio ed un tempo di grande libertà di riflessione, di espressione e di progettazione; ogni categoria sociale faceva i suoi Congressi. C’erano tante iniziative cattoliche nel sociale, nell’agricoltura, nel lavoro, nell’impresa e nel credito; non prevaleva la mentalità della corsa alla carica politica. Gabriele De Rosa ha realizzato uno studio molto accurato di questo periodo (Storia del movimento cattolico, Bari 1962).
Possiamo dire che proprio il dibattito libero tra i cattolici favorito dall’Opera dei Congressi, ha permesso di superare posizioni tendenti all’integralismo e di giungere a maturare una robusta laicità della politica da parte dei cattolici, specialmente con l’esperienza del Partito Popolare del primo dopoguerra (cfr. G. De Rosa, Storia del Partito Popolare Italiano, Bari 1966) e poi con l’altra e diversa esperienza della Democrazia Cristiana del secondo dopoguerra.
Sul quel modello, adesso lo spirito di Todi è la formazione di una nuova classe politica di giovani che deve maturare prima di tutto nel sociale (agricoltura, nuove tecnologie, banche, professioni, sindacato, imprese e mondo del lavoro autonomo, ong, ecc.).
I giovani di oggi partono da una posizione svantaggiata perché in questa fase non hanno riferimenti, non fanno grandi esperienze sociali, e non sono protagonisti di trasformazioni sociali; questo significa che se non si offre loro la possibilità di fare esperienze significative non saranno in grado di pensare ad un grande progetto per il paese, per l’Europa e per il mondo intero.
Oggi, nel declino della Seconda Repubblica, in una situazione di scelte “trasversali” della maggioranza dei cattolici impegnati, va ripreso il cammino di nuove riflessioni tra tutti e di avvio di nuove esperienze nel campo sociale ed economico (le riflessioni di Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate hanno suscitato forte impatto, proprio in questa direzione); e tutto ciò non esclude in principio la formazione di una compagine politica chiaramente identificata come cattolica.
La riflessione parte necessariamente dal bilancio positivo di un grande ciclo, di una grande esperienza del cattolicesimo politico: l’eredità da non perdere della grande cultura della mediazione politica cristiana. È importante riconoscere il livello della “grande politica” che si è riusciti a concepire e attuare (ricostruzione nazionale e non di parte; idea dell’Europa; idea della cassa del mezzogiorno; programmazione democratica). È stata messa in atto una grande operazione dello stato. I cristiani hanno fatto bene.
Vanno poi messi in evidenza i principi ispiratori che sono sempre validi. A monte c’è una solida spiritualità cristocentrica, basata sui misteri della incarnazione, della passione e morte e della risurrezione di Cristo, a garanzia della freschezza del servizio dei cristiani per il mondo. Deve essere ripreso con vigore lo spirito della Gaudium et Spes con la nascita di un nuovo entusiasmo di andare verso il mondo per il suo sviluppo (da non confondere con l’ottimismo oggi fuori luogo proprio del tempo del documento conciliare). Ci deve essere una simpatia verso il mondo, una amorevolezza verso tutti.
Gli interventi del magistero di Paolo VI, Giovanni Paolo II, fino a quelli di Benedetto XVI segnano gli sviluppi mondiali e gli impegni concreti auspicabili da parte della Chiesa e dei cristiani; essi sono punti fermi e molto chiari a cui ispirarsi per collaborare allo sviluppo del mondo. La città terrena è oggi completamente inserita in una realtà secolarizzata nella quale sono presenti i cristiani. E’ indispensabile il rispetto delle minoranze, religiose e culturali, riconoscendo che non è sufficiente che una legge sia votata a maggioranza perché essa sia una buona legge.
E’ necessario porre anche il problema della distinzione tra l’agire in quanto cristiani a livello di evangelizzazione e l’agire da cristiani a livello di partecipazione civile nell’ambito delle differenti istituzioni pubbliche. Questo non significa affatto un dualismo tra spirituale e temporale, ma un’articolazione interna nella presenza pubblica del singolo cristiano che sul piano politico impegna solo se stesso e la sua responsabilità individuale o di gruppo organizzato.
Da questa visione nasce la laicità nell’impegno politico ispirato cristianamente che trova sul piano culturale-naturale terreni di unità con tutte le persone di buona volontà credenti e non credenti senza alcun privilegio. Queste considerazioni non significano affatto uno spirito rinunciatario e passivo, al contrario significano il vero punto di partenza per proposte chiare, iniziative incisive, senza per altro pretendere posizioni comode e di privilegio.


La ripresa dei principi ispiratori è necessaria più che mai ora perché questo spirito è stato mortificato nei decenni appena trascorsi. Ronald Reagan e Margaret Thacher hanno segnato un cambio epocale che è coinciso con la caduta del comunismo. Hanno introdotto nella democrazia principi e procedure liberali; la sinistra europea (compresa quella italiana) è andata dietro alle loro proposte. Possiamo dire che in quegli anni è stata adottata la scelta del liberalismo, anzi tutto educativo (nel modo di educare i bambini e i giovani). Questa scelta educativa ha inciso molto nella gioventù. La Chiesa è rimasta sola a difendere i poveri. Oggi la nostra democrazia intrisa di procedure liberali rischia di morire per un processo fisiologicamente oligarchico e per mancanza di ideali forti. In questa situazione è indispensabile formulare un invito pressante a continuare a puntare sulla democrazia. Siamo di fronte ad una crisi prima di tutto della democrazia. Bisogna tornare a puntare sulla democrazia e a riorganizzarla.
I cristiani anche in Italia dagli anni 80-90 in poi non si sono organizzati bene, non hanno saputo rispondere bene alla vittoria del liberalismo nel mondo. Hanno lasciato penetrare la mentalità egoistica nell’organizzazione sociale e politica e nella vita quotidiana delle famiglie; hanno perso la battaglia nel campo educativo.
Anche la sinistra europea ha ceduto al liberalismo e si è limitata a difendere i privilegi di alcuni gruppi, ma non ha difeso i poveri nel mondo, pensando anch’essa che lo sviluppo sarebbe venuto soltanto dal capitalismo liberale. Di fatto la sinistra ormai ha perso il contatto vero con il popolo. Si è buttata sulle battaglie minoritarie, per lo più contro natura, e per lo più frutto di gruppi di pressione e di élites culturali nei confronti delle quali si è messa in atteggiamento di soggezione e dipendenza culturale (fecondazione artificiale, questioni di genere e matrimoni omosessuali, ecc.). Queste questioni in Italia sono state messe alla prova popolare per la prima volta con il referendum sulla legge 40 e la sinistra è stata battuta, dimostrando di essere ormai lontano dal sentire popolare, perché il popolo non va contro natura in genere. Bisogna ringraziare molto il Cardinale Camillo Ruini che ha colto l’opportunità di far collaborare i cristiani con tutti coloro che difendono le posizioni a favore della natura umana.
Tuttavia la Chiesa cattolica in Italia, ma anche in altre parti, nella confusione generale non ha perso tempo del tutto. In questi ultimi venti anni, con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, il Cardinale Camillo Ruini e il cardinale Angelo Bagnasco, ha elaborato un approfondimento sui temi della vita, della famiglia, e della dottrina sociale, per poter affrontare meglio le nuove sfide.
Inoltre nel suo insieme e dovunque nel mondo la Chiesa cattolica è rimasta l’unica voce in difesa dei poveri e dei più deboli, e di questo ha preso chiara coscienza. I cristiani immersi nella maggioranza pagana non sono chiamati a realizzare progetti di potere, in modo prioritario; devono soprattutto esprimere “il primato dello spirituale” e forti identità culturali che mettano al centro la persona umana, difesa, rispettata e promossa sin dal concepimento. Devono ripartire dalle iniziative sociali, del lavoro, dell’impresa, e della cultura. Non debbono permettere che la crisi delle democrazie occidentali degenerate in oligarchie diventi la crisi definitiva degli ideali democratici. In questi ideali è presente il vero sviluppo umano integrale, che non è l’edonismo, che ora invece viene proposto come forma dello sviluppo (cfr. Caritas in veritate 76: “Una società del benessere, materialmente sviluppata, ma opprimente per l’anima, non è di per sé orientata all’autentico sviluppo. … Non ci sono sviluppo plenario e bene comune universale senza il bene spirituale e morale delle persone, considerate nella loro interezza di anima e di corpo”).
Ci troviamo in un misto di maturazione e stagnazione. Siamo arrivati all’obsolescenza di un modello di sviluppo basato sul petrolio. Andiamo verso uno stile di vita meno consumistico. E’ tutto il ciclo della globalizzazione – cioè quella prima ed iniziale fase di internazionalizzazione dei commerci, dei prodotti, dei processi tecnologici e finanziari che aspiravano ad una crescita mondiale – ad aver ceduto.
C’è una strana situazione: il processo di crisi che da vari anni si verifica sotto i nostri occhi è caratterizzato da una doppia tendenza, apparentemente schizofrenica. Da una parte cogliamo, specialmente in tutti i paesi dell’Occidente, un processo di “maturità dello sviluppo”. Vale a dire che un intero ciclo dello sviluppo delle forze produttive ha raggiunto un livello di automazione nelle tecnologie dei processi e dei prodotti. Dall’altra assistiamo alla crescita della “stagnazione economica”. Nel meccanismo della globalizzazione non è solo la dinamica delle reti ad imporsi, ma contemporaneamente avviene  l’estenuarsi di una crescita produttiva che trova nell’astrattezza dello scambio solo di denaro attraverso denaro una sua ferrea logica di eliminazione della forza lavoro sia manuale che intellettuale. Non c’è il rilancio. Bisogna pensare un nuovo modello sociale. La gente non deve disperare se non ha tre pellicce e tre televisioni. Questo ciclo è finito.
Comprendere il significato profondo di questa crisi internazionale significa comprendere una radicale questione di emergenza antropologica che richiede nuove riflessioni e nuovi impegni pratici e un nuovo impegno educativo. Crisi profonda, che non è prima di tutto finanziaria, ma crisi dell’antropologia che è dietro al capitalismo che è in crisi. Questo modello antropologico ha portato alle sperimentazioni disumane. Si postula la possibilità che ci siano vite umane che non hanno dignità di esserci.
La considerazione della persona umana esclusivamente come soggetto individuale è entrata in crisi. Ha portato al pensiero debole, alla giustificazione dell’egoismo morale, dell’utilitarismo economico e dell’indifferentismo sociale. Ci sono state molte conseguenze gravi nel campo della biogenetica. In questo contesto però ci sono state due novità provenienti dalla Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II e l’allora cardinal Joseph Ratzinger, verso la fine degli anni ottanta del passato secolo, elaborarono un nuovo concetto di persona, che rispondesse adeguatamente all’enorme crescita delle forze scientifiche biogenetiche collegate agli interventi di manipolazione artificiale fortemente lesivi della dignità del genere donna e uomo; e delle forti ingiustizie sociali che segnavano una crescita di differenza fra ricchi e poveri, forti e deboli.
A partire da quelle riflessioni, che possiamo dire “dei due Pontefici” si è andato precisando un Progetto Culturale specialmente nel nostro Paese, che ha offerto una visione della relazionalità umana straordinariamente utile per l’impegno culturale e politico dei cristiani; una concezione relazionale della persona che ha aperto nuove strade. È doveroso ripetere un ringraziamento particolare al Cardinale Camillo Ruini, vicario di Roma e presidente della Conferenza Episcopale Italiana durante buona parte del pontificato di Giovanni Paolo II e all’inizio del pontificato di Benedetto XVI.
La nozione di persona così elaborata è una nozione analogica e relazionale, che viene maturando in gradi diversi e su piani essenzialmente differenti. Così si sostiene nella Enciclica Evangelium Vitae nn. 1 e 18-20.


 La persona umana non è riducibile semplicemente ad una “pratica attività sensibile”, ma esiste in quanto soggetto che contiene in sé un’autonomia propria; ogni persona ha valore in sé stessa e non può essere considerata in alcun modo solamente come parte di un tutto, come hanno fatto le ideologie e le ingegnerie sociali.
Allo stesso tempo l’essere umano è un individuo-in-relazione (cioè “persona”). Le relazioni sociali sono ontologicamente costitutive della persona. Compito delle scienze sociali e politiche è analizzare i conflitti emergenti in queste relazioni e procedere alla civilizzazione dei conflitti stessi. Così, gradualmente, emerge con chiarezza che le relazioni hanno diritti che vanno al di là degli individui e necessitano di criteri etici per la governabilità, a cominciare dalla prima forma di società che è la famiglia, per poi comprendere la religione, la politica, l’economia e ogni altro tipo di associazione.
La società, formata dai due generi, è il risultato di riflessioni e azioni sia razionali che irrazionali e dalla volontà della politica di produrre decisioni e governabilità. La situazione strutturale della società si configura, quindi, sia di forme rispondenti al diritto, sia anche di strutture di peccato. C’è un dinamismo delle relazioni, molto più accelerato nelle circostanze storiche attuali, presente nella società, che sviluppa o regredisce la società stessa. È il costruirsi costante della nazione e dello stato e di forme organizzative mondiali. La globalizzazione è un fenomeno che ancora non è chiarito. Si auspica una qualche forma di governo mondiale che porti razionalità e diritto nella globalizzazione (cfr Caritas in veritate, cap. 5: “La collaborazione della famiglia umana”).
Sviluppo e progresso sono una vocazione della persona in quanto relazionale (Populorum progressio, Caritas in veritate). Per il progresso è indispensabile l’autonomia e la libertà, nella verità e nella relazionalità (nella Chiesa, tra i cattolici, e nella società intera). Se non c’è questo gli uomini si trasformano in mezzi per una certa idea di progresso che favorisce alcuni; e quindi vengono negate le libertà, e c’è l’asservimento di molti a pochi che conoscono tutto e decidono tutto. Sono caduti in questa tentazione perfino gli americani. Sono le così dette lobby e potentati economici e finanziari transnazionali che “possiedono le soluzioni per tutto”. Normalmente queste ideologie e organizzazioni interpretano le situazioni di sottosviluppo come necessità storiche e strutturali per i loro fini. Anche a livello sociale ora incolpano, per esempio, le aspirazioni delle classi popolari a dare ai propri figli l’opportunità di un livello più alto, come un errore storico contro le leggi economiche, che causa la difficoltà attuale del capitalismo nei paesi sviluppati. Si tratta di interpretazioni tendenziose. Caritas in veritate insiste sull’autonomia e la libertà come indispensabili per il progresso vero. Insiste sull’autonomia e sulla possibilità di organizzarsi in diversi modi nell’economia. Un’economia pervasa da una maggiore gratuità e con tempi più lenti accanto a quella dura e veloce del profitto. Che al meno non venga negata la possibilità di svilupparsi in un altro modo. Il progresso è una chiamata, una vocazione, che appunto richiama in gioco la responsabilità umana, l’impegno in prima persona; e non li elimina, come vorrebbero fare alcuni, che pretendono di avere la soluzione per tutti, e di fatto sfruttano gli altri e li usano come mezzi.
La tendenza all’unificazione del genere umano non deve significare un asservimento, una diminuzione della libertà e dell’autonomia. Abbiamo avuto esperienze molto negative, ma la tentazione continua ad essere forte con altri strumenti, specialmente con la comunicazione e l’appiattimento culturale, che sopprime perfino le espressioni autentiche della natura umana.
L’avvento del Cristianesimo nella storia riconosce che la dimensione del temporale ha bisogno della dimensione dello spirituale anche nella realizzazione dei fini cosiddetti “intermedi”, cioè aventi un valore autonomo in quanto tali e perciò denotabili come “fini infra valenti”. Hanno valore in quanto tali, non in funzione di altri valori, ma non sono assoluti (libertà di coscienza; la libertà religiosa è un fine assoluto). Nei fini infravalenti c’è l’amore, l’amorevolezza, la “pietà” (concetto sviluppato da Don Giuseppe De Luca nei suoi scritti). Dice la Gaudium et Spes in proposito al n. 38: “Coloro pertanto che credono alla carità divina, sono da lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani”. Questi fini infravalenti, specialmente la carità nel suo senso di amore diffuso e presente in tante persone, costituiscono il tessuto sociale di base per lo sviluppo. Cioè essi sono la configurazione del modo di essere e di vivere della popolazione. Possiamo anche dire che sono il fondamento dello “sviluppo integrale” al quale è chiamato l’uomo nel suo intimo. Queste riflessioni sono molto importanti per comprendere che per la crescita e lo sviluppo della società, i cristiani possono apportare e promuovere tanti valori fondamentali condivisi con tante altre persone. Nella pratica ciò significa che per lo sviluppo sociale ed economico non si tratta di far intervenire la Chiesa come istituzione che persegue come suo scopo proprio i fini assoluti; è indispensabile invece fare riferimento ai così detti fini infravalenti, da perseguire di per sé, ma non necessariamente obbligatori, ovvero riferirsi a quelle caratteristiche positive che costituiscono la relazionalità sociale. E non soltanto questo. Significa soprattutto che non vengono perseguiti soltanto fini propri di benessere e di felicità, ma il bene comune, che richiede di promuovere ciò che favorisce tutti, e che potrebbe non essere immediatamente favorevole al singolo. Il bene e la felicità di ciascuno, non è realmente possibile, se non iscritta nel bene comune. Esso va cercato e perseguito apposta e intenzionalmente. Così si esprime Caritas in veritate, n. 7: “Accanto al bene individuale c’è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. È il bene di quel ‘noi tutti’, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di polis, di città”.
 Il rapporto positivo con il mondo come fondamento dello sviluppo umano è sottolineato anche in altri scritti dei pontefici. Giovanni Paolo II nel suo libro intervista Memoria e identità riprende il pensiero di Garrigou Lagrange, con le tre vie della santificazione, che segnano il rapporto con il mondo creato: la via purgativa (conflittualità e spesso distanza); la via illuminativa (scoperta dei valori delle creature, per sforzo ma anche per illuminazione e rivelazione); la via unitiva che è la via della libertà a partire dall’unione con Cristo, nel quale tutto è redento. Lo scopo vero dell’uomo è Dio, raggiunto nella libertà. La valorizzazione di tutto ciò che esiste, rispecchia proprio questo rapporto con Dio, come dice San Paolo: “Tutto è vostro, voi siete di Cristo, Cristo è di Dio”. In questo senso si esprimeva la Gaudium et Spes n. 37: “Redento da Cristo e diventato nuova creatura nello Spirito Santo, l'uomo, infatti, può e deve amare anche le cose che Dio ha creato. Da Dio le riceve: le vede come uscite dalle sue mani e le rispetta. Di esse ringrazia il divino benefattore e, usando e godendo delle creature in spirito di povertà e di libertà, viene introdotto nel vero possesso del mondo, come qualcuno che non ha niente e che possiede tutto: «Tutto, infatti, è vostro: ma voi siete di Cristo e il Cristo è di Dio » (1Cor 3,22)”.
Riconoscere l’importanza del temporale significa anche cogliere la dimensione dei “mezzi temporali ricchi” e l’altra dei “mezzi temporali poveri” (Gaudium et Spes n. 38: “Così pure egli ammonisce a non camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita”). I primi, i mezzi temporali ricchi, esigono una certa misura di successo tangibile e di gestione del potere. Questi mezzi sono propri del mondo; ma conviene ribadire che sono più omogenei ad una presenza cristiana ed ecclesiale i “mezzi temporali poveri” (vedi la dottrina di Giorgio La Pira). Si potrebbe anche pensare a tante azioni politiche, ispirate cristianamente, che si dotano di mezzi poveri. Più sono dinamiche politiche prive di forza, più sono efficaci e durevoli nel tempo. Ciò non toglie la drammatica opacità della realtà politica e la persistenza delle dinamiche della forza presenti nella storia e che un cristiano, politicamente impegnato, non può non esaminare con profondo discernimento, senza cadere negli errori di “spiritualismo astratto”.
L’uomo occidentale, nella fase storica che viviamo, oscilla tra l’illusione che la scienza possa garantire quasi tutto ed il disperare che oramai le forze della natura, malgovernate, travolgeranno “inevitabilmente” l’intera umanità in tempi brevi. Sono queste le dinamiche della paura e della ricerca ossessiva di sicurezza che hanno, in parte, motivi validi e, in parte, sono frutto di emotività irrazionale. È indispensabile mantenere l’equilibrio.
Nei confronti di questa situazione che caratterizza le opinioni pubbliche europee ed americane è necessario offrire incoraggiamenti e speranze di futuro. A questo si accompagnano le testimonianze dei principi cosiddetti “non negoziabili”, che fanno parte di quei fini infravalenti, in quanto sono vissuti nel tessuto sociale, ma fanno anche parte dei fini assoluti. Principi riguardanti la dignità della persona umana e della vita sin dal concepimento fino alla morte naturale; la realtà della famiglia ed il rifiuto di manipolazioni genetiche che rendano incomprensibili le relazioni affettive e familiari; l’obbligo e la libertà di educazione da parte dei genitori. Sono concetti che non discriminano credenti e non credenti, ma richiamano alla responsabilità della coerenza, i comportamenti ed i principi umanistici che dovrebbero ispirare le popolazioni europee e americane. Concetti che non negano l’autonomia delle mediazioni politiche. Non si può quindi far risalire al complesso dei principi non negoziabili le decisioni che “avrebbero diviso le società europee”, e attualmente anche americane, producendo i fallimenti della mediazione laica. Tutt’al contrario eventuali battaglie culturali riguardanti la condanna dell’aborto o l’unità della famiglia hanno esaltato i più deboli e le messo in evidenza le necessarie esigenze di maturazione razionale in questo momento di forti paure irrazionali. Tutto ciò rischiara anche la ricerca di un comune terreno di “nuovo umanesimo” nell’unità politica di credenti e non credenti. Si pone così in evidenza il ruolo della Bioetica (cfr. Caritas in veritate n. 74) e l’impegno nel campo educativo scolastico (un’educazione pubblica ma non solamente statale sia nella scuola che nell’università).
La distinzione tra temporale e spirituale apre ai cristiani la strada di una “spiritualità” del servizio verso gli altri. Servizio agli altri che affonda le proprie radici in straordinarie pagine bibliche. Servo sofferente, Cristo,San Paolo. Marx fallisce proprio sull’uomo. Che cosa offriamo noi cristiani: un nuovo stile, non dobbiamo avere fretta ad entrare in politica. Il Papa ci chiama a non stare fermi, a uscire dal nostro ego, ma non a buttarci irresponsabilmente nella politica. Dobbiamo dare segni di vitalità nel mondo sociale, del lavoro, delle imprese, dell’economia, della cultura. È necessaria un’Opera dei Congressi del ventunesimo secolo. I cristiani possono apportare. Non ci sono altre organizzazioni, altre forze che hanno una visione universale, che cerchino veramente il bene comune.
Servire la città terrena, costruire la polis nei suoi fini che sono coerenti e consistenti e perciò infravalenti rispetto ai fini ultimi e individuali, ma non in contraddizione. La figura del servizio come figura antropologica legata alla figura del Servo sofferente di Isaia e poi portata a compimento da Gesù Cristo è presentata in memorabili episodi evangelici. È il filone più autentico di quel preambolo culturale e religioso che fornisce e alimenta la vita di preghiera e di contemplazione del cristiano impegnato politicamente così come fu nel professor Giorgio La Pira, Alcide De Gasperi, Giuseppe Dossetti ed in Aldo Moro. Tuttavia il progresso della storia e della governabilità politica non è automatico, dipende da una complessa realtà sistemica di conflitti, interessi, decisioni e azioni tra loro compresenti.
Grazie alla forza evangelica del Cristianesimo i cristiani dovrebbero testimoniare un’intensità “radicale” verso la partecipazione politica come la forma più alta della pietà (benevolenza, amorevolezza) che si incarna nella storia. Quella “pietà”, come ebbe a dire don Giuseppe De Luca, che si materializza nell’amore di Dio verso l’uomo e nel reciproco amore di dilezione dell’uomo verso Dio.
Fonte: Zenit