mercoledì 26 settembre 2012

La debolezza morale più grave di oggi? Essere increduli





 Da un anno esatto Angelo Scola è il Vescovo di Milano: per l'occasione propongo una intervista concessa dal porporato a Marco Politi qualche anno fa....  Il video di sopra, invece, è recentissimo: come è vero che oggi come ieri la debolezza morale più grave è l'incredulità. Chissà che il prossimo Anno della Fede non ci aiuti!

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Il Cristo giallo, Paul Gauguin, olio su tela, 1889, Albright Knox Art Gallery, Buffalo, New York
Il Cristo giallo, Paul Gauguin, olio su tela, 1889, Albright Knox Art Gallery, Buffalo, New York
Chiesa e società post­moderna. È la grande sfida dell’oggi. In un colloquio serrato il patriarca di Venezia, Angelo Scola, non si sottrae al confronto e, anzi, nel lungo colloquio che ho avuto con lui, il porporato parte da una confessione dal sapore autocritico. «La debolezza dell’attuale proposta cristiana» ha affermato «sta nell’incapacità di mostrare l’implicazione antropologica, sociale e cosmologica dei misteri della nostra fede».

Il dogma serve?
ANGELO SCOLA: Rispondo riprendendo un bel sottotitolo di una grande opera di De Lubac, Cattolicesimo, che recitava: Gli aspetti sociali del dogma.
Che cosa significa mostrarne le implicazioni sociali?
SCOLA: Si tratta di affrontare la natura drammatica della persona, perché ognuno di noi è uno, ma siamo “uno di anima e di corpo”, “uno di uomo e di donna”, “uno di individuo e di comunità”.
Perché parla di natura drammatica?
SCOLA: Il linguaggio odierno confonde dramma con tragedia. La parola dramma, invece, indica semplicemente che noi siamo sempre tesi tra questi due poli, in maniera costitutiva: anima e corpo, uomo e donna, individuo e comunità. Se mi fa male lo stomaco, ragiono peggio. Se sono triste perché mia moglie mi ha lasciato, mi fa male lo stomaco. Se sono collocato nella differenza sessuale maschile, non mi potrò capire se non facendo riferimento all’altro modo, per me irraggiungibile, di essere nella differenza sessuale, quello femminile. Analogamente io non posso mai scindere il mio io individuale dalle relazioni sociali in cui è immerso. E ciò si riflette anche nell’esercizio della mia libertà. Perché la struttura della libertà è tale per cui sono sempre polarmente teso tra la mia autoaffermazione e la necessaria uscita verso l’altro.
Allora l’odierno divorzio tra fede e cultura…
SCOLA: In ultima analisi ha una radice antropologica. In altri termini: insistiamo sull’identità dell’“io” come se non fosse già immerso nell’azione. Separiamo la persona dal suo compito. Lo si vede talora in noi sacerdoti. Avendo un desiderio sincero di autenticità, intensifichiamo giustamente l’ascesi, i ritiri spirituali, la meditazione, la lectio divina e così via. E guai se non ripartissimo sempre da questi fondamentali! Il problema è non perderli quando si passa all’azione. Bisogna esplicitare le implicazioni antropologiche e sociali del dogma in cui crediamo. Altrimenti si mutuano le ragioni dell’azione dalla mentalità dominante e ci si spacca in due. Si è cristiani nell’intenzione, ma nell’azione si diventa altro.
Un esempio concreto?
SCOLA: Bisogna aiutare gli ultimi, bisogna sostenere la pace… cose sacrosante. Il problema è perché e come la fede spalanca agli ultimi, perché e come chiama a spendersi per la pace.
Il patriarca Angelo Scola
Il patriarca Angelo Scola
Eminenza, il Papa teme il disgregarsi dei valori cristiani nella società. Dove si scontrano Chiesa e cultura contemporanea? Dove sta il maggiore punto di frizione?
SCOLA: Paradossalmente l’enfasi moderna sul soggetto – che è sacrosanta – ha prodotto la tesi postmoderna della morte del soggetto. La sfida per la Chiesa è, da un lato, di raccoglierne la giusta istanza, avendo il coraggio di dire che in questi termini non era stata vista prima della modernità, e dall’altro di affermare con coraggio che è possibile una nuova antropologia. Non ingenua, ma “critica”.
Per arrivare dove?
SCOLA: Ad un’esistenza degna di questo nome, in cui il valore intangibile e sacro della persona – in sé stessa e nelle sue relazioni – sia riconosciuto, e in cui si manifesti la possibilità per l’uomo di costruire una società della vita buona, in cui dimensione personale e dimensione sociale siano simultaneamente perseguite e non vengano trascurati i dati costitutivi dell’esperienza elementare dell’uomo: gli affetti, il lavoro, il riposo.
La via?
SCOLA: Gesù Cristo altro non è che la via verso questo.
Questa società buona non la può costruire anche un ateo?
SCOLA: Certamente. E noi ne siamo ben contenti. Gesù, infatti, dice di essere la via alla verità. Il cristianesimo è la pienezza dell’umano, non è in nulla alternativo all’umano. Ovviamente questa pienezza deve fare i conti con il peccato. Ecco perché c’è un elemento di rottura, di discontinuità, di gratuità: l’evento Cristo irrompe nella mia vita.
Eppure tutte le inchieste, anche quelle fatte per conto della Cei, denunciano il fatto che in realtà Cristo è così citato come Dio o il Papa?
SCOLA: Il motivo è tanto singolare quanto, se si vuole, semplice. Perché, come dimostrano film anche recenti, è facile seguire a parole Gesù Cristo fino al Venerdì Santo… il problema è credere che è risorto! Per credere che è risorto, infatti, io devo fare l’esperienza che la liberazione dal timore della morte – cioè la mia personale risurrezione – è possibile e, in qualche modo, è già anticipata nei miei affetti trasfigurati e nel mio lavoro rigenerato. Questo è il punto. Non è così difficile oggi parlare di Dio! Paradossalmente non è difficile neanche parlare della Chiesa, basta parlarne male… Ma parlare di Gesù Cristo senza cedere all’autoinganno che si tratti di un passato, esige che uno abbia giocato la sua libertà con l’evento che è capitato sul Golgota ma che vive nel presente. In altri termini: significa aver accettato la sfida di Lessing, mostrando nella propria esperienza umana che non è vero che è impossibile scavalcare il “maledetto fossato” dello spazio e del tempo che ci separa da Gesù.
Uno dei punti di frizione con la società riguarda la sessualità. È attuale il messaggio religioso tradizionale?
SCOLA: Qui siamo di fronte a una delle provocazioni più grandi per il cristianesimo, ed è un peccato che la novità epocale del magistero di Giovanni Paolo II non sia stata ancora bene assimilata, anzitutto da noi pastori.
In che cosa consiste questa novità?
SCOLA: Consiste nel rintracciare i fondamenti antropologici della visione cristiana del corpo e della sessualità in modo tale che ne risultino illuminati, e perciò comprensibili, i criteri etici. Lo smarrimento sta proprio nel non capire questo. Spesso ci si comporta come quel padre o quella madre che, volendo veramente bene al proprio figliolo, quando egli dice «Stasera io esco», si limita a rispondere: «No, tu non esci». E se il ragazzo insiste: «Ma perché?», sa unicamente ribadire: «Perché è così». Non diamo ragioni convincenti a livello antropologico.
E quali sono queste ragioni?
SCOLA: Le ragioni derivano dall’unità duale di uomo e donna. Dall’inscindibile unità tra la differenza sessuale, il dono di sé e la fecondità. La differenza sessuale non è una semplice diversità… Qui si nasconde l’equivoco. La diversità, infatti, può essere superabile e spesse volte, quando non viene superata, può diventare foriera di prevaricazione e di sopruso, mentre la differenza è interna all’io. Quella del corpo e dell’eros è un’autoevidenza. Non è un carattere in qualche modo aggiunto, esterno all’io. Se io mi trovo situato nella differenza sessuale maschile, sono strutturalmente orientato all’altro modo di essere uomo, che è differente dal mio. Questo cosa dice? Dice inclinazione verso l’altro, dice l’origine dell’amore.
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, Paul Gauguin, olio su tela, 1897, Museum of Fine Arts, Boston
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, Paul Gauguin, olio su tela, 1897, Museum of Fine Arts, Boston
E dunque lei sostiene?
SCOLA: Che bisogna ridire con forza questa natura “nuziale” dell’amore (io, l’altro e il terzo: padre, madre e figlio), cioè questa inscindibile unità tra differenza sessuale, dono di sé e fecondità. Affermando con chiarezza che se le tecnologie oggi consentono di separare questi tre fattori, non è conveniente separarli. Il Papa in questo senso ha dato un grandissimo contributo, e c’è ancora molto lavoro da fare.
I giovani accetteranno questa impostazione?
SCOLA: È un discorso che può aiutarli a capire che se noi parliamo di matrimonio indissolubile, non è per una fissazione anacronistica, ma perché è il modo più umano e compiuto di vivere il rapporto tra l’uomo e la donna. Ho in mente i miei genitori, dopo sessant’anni di matrimonio, e ho ancora presente lo sguardo pieno di stima, di tenerezza e di perdono con cui si guardavano…
Lei sa che l’Italia a stragrande maggioranza respinge il matrimonio eterno?
SCOLA: Alla fine di una vita uno si accorge che il matrimonio indissolubile è stato il grande alveo in cui l’io è rimasto protetto da ogni evasione destabilizzante e dal rischio di autoannichilimento purtroppo abbastanza radicati nell’uomo.
Non teme che possa essere percepita come una visione troppo rassicurante?
SCOLA: Un giorno in aereo mi è capitata tra le mani una rivista con un articolo su Picasso e i suoi nudi erotici dipinti alla fine della vita, e ho pensato: quest’uomo è indubbiamente un genio che, a più di ottant’anni, frequentando tante modelle, ha certamente saputo cogliere alcuni aspetti del femminile che mio padre e mia madre – camionista il mio papà, una donna che aveva fatto la seconda elementare mia mamma – neanche si sarebbero sognati... Però, umanamente parlando, mio padre e mia madre erano più riusciti nell’esperienza dell’amore di Picasso, perché nella fedeltà al loro matrimonio avevano imparato il permanente dono di sé. Picasso, cambiando molte donne, avrà anche colto tanti aspetti profondi della psicologia del femminile, ma l’esperienza intensamente umana dei miei… Beh, aveva ben altra qualità.
Come tener conto del principio del piacere, che è un elemento forte del moderno?
SCOLA: Nelle Lettere di Berlicche dello scrittore Lewis un demonio anziano istruisce un giovane diavolo su come bisogna portare gli uomini alla perdizione.
Come fa?
SCOLA: Sostiene che un sistema infallibile è quello di insistere – come fanno anche taluni cattolici – nel presentare il piacere come una cosa contro Dio.
E invece?
SCOLA: Il problema è situare il piacere all’interno dell’esperienza del godimento. E la differenza si può forse cogliere proprio guardando all’atto coniugale. Il desiderio cerca il godimento che è per sempre, definitività. Il luogo del gaudium per i grandi Scolastici è il paradiso. Il piacere da solo non dura. È sempre puntuale. Questo apre la grande questione di cosa sia il desiderio che, in ultima analisi, può essere descritto come desiderio di essere definitivamente amati e di amare definitivamente.
Un traguardo raggiungibile?
SCOLA: Si tratta di eccepire che il compimento del desiderio non è alla portata del mio io desiderante. Questo è il punto. Il fatto che l’orizzonte del mio desiderio sia l’infinito non significa che io sono capace di esaudirlo.
E allora?
SCOLA: Per realizzarlo devo passare dall’altro. E se passo dall’altro, a quel punto il mio desiderio incontra il sacrificio, perché l’altro mi è sempre differente. Il segreto sta nel capire che il sacrificio non incomincia là dove finisce il desiderio, e il volere non termina dove comincia il dovere. Dovere è interno al volere. Sacrificio è interno al desiderio.
Il sacrificio come componente strutturale del desiderio?
SCOLA: Mi pare che queste cose le dica anche Freud. Quando parla, in modo un po’ truculento, del principio di “castrazione”, intende dire che finché il bambino nel rapporto con la madre non impara “a cedere” (sacrificare) qualcosa al padre, non riesce a dire io. Vive la madre come un puro prolungamento di sé. Su questo punto la psicologia del profondo e la visione cristiana delle cose vanno d’accordo.
Girasoli, Paul Gauguin, olio su tela, 1901, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo
Girasoli, Paul Gauguin, olio su tela, 1901, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo
Cosa può imparare la Chiesa dal mondo moderno?
SCOLA: Due cose per me sono estremamente importanti: anzitutto dare tutto il peso necessario alla libertà della persona e poi accettare il principio che, essendo il mondo salvato da Cristo, la Chiesa deve concepirsi come segno trasparente e vitale di questa salvezza. Perciò deve recepire dalle circostanze della vita di tutti i giorni la “carne” della sua proposta. In altre parole, l’evangelizzazione non è riducibile a dei contenuti che io ho già in tasca e che devo trasmettere, ma si gioca nelle imprevedibili circostanze personali, comunitarie e sociali con le quali mi confronto.
Si potrebbe dire che il mondo è protagonista e non più visto come nemico?
SCOLA: «Il campo è il mondo» dice Matteo (Mt 13, 38). Il mondo non è fuori dalla Chiesa, non è altra cosa in modo assoluto. Dopo il travaglio degli anni che hanno preparato e seguito il Concilio Vaticano II, penso che oggi siamo in grado di offrire una teologia più serena del rapporto Chiesa-mondo. Per esempio, oggi tutti noi uomini dell’Occidente annaspiamo di fronte alla tragicità del momento geopolitico: non è che noi cristiani abbiamo soluzioni preconfezionate in tasca! Ma siamo chiamati a metterci al lavoro, con tutti gli uomini, ognuno facendo la propria parte.
Di questo rapporto sereno con il mondo fa parte anche l’accettazione di ciò che di positivo ha portato l’Illuminismo?
SCOLA: Penso di sì, una volta che lo individuiamo bene. D’altronde si potrebbe discutere molto di quanto il triplice motto “libertà, eguaglianza, fraternità” fosse già cristianamente ispirato o meno. Comunque è fuori discussione che la conquista del rispetto assoluto della dignità di ogni singolo e dei conseguenti diritti personali, sociali, politici ed economici, come punto sacro e invalicabile, ultimamente garantito da Dio, è un principio irrinunciabile. D’altra parte sono fortemente convinto che una riflessione equilibrata e fedele alla sana dottrina cristiana possa dare il suo contributo agli sviluppi oggi più interessanti della fenomenologia, dell’ermeneutica o anche della filosofia trascendentale. Queste sono le correnti di pensiero che tentano di rispondere all’“Illuminismo ancora insoddisfatto”.

( Per gentile concessione de la Repubblica)