mercoledì 5 settembre 2012

Madre Teresa - Meditazioni per ogni giorno dell'anno (2)








SETTIMO MESE

1.     La nostra vocazione è quella di appartenere a Ge­sù, appartenervi con convinzione, non perché la mia vocazione è operare con il povero o essere un contem­plativo, ma perché sono chiamato ad appartenere a Lui, convinto che nulla può separarmi dal suo amore. Questa è la condizione che farà di voi dei Fratelli con­templativi, il far vostra questa convinzione e il frutto di essa saranno il vostro voto di castità, la liberazione che viene dalla scelta di povertà, l'abbandono illimita­to in spirito di obbedienza e, specialmente per voi, Fratelli della Parola, quel volontario servizio della Parola, dato con tutto il cuore, a favore di coloro che sono spiritualmente i più poveri tra i poveri.

2.     Tutte le congregazioni religiose, suore, sacerdoti. ed anche il Santo Padre hanno la medesima vocazio­ne: appartenere a Gesù. « Vi ho scelti perché foste miei. » Questa è la nostra vocazione. I modi, cioè co­me occupiamo il nostro tempQ possono essere diffe­renti. Il nostro amore per Gesù tradotto in azione si serve di mezzi svariati, come se si trattasse di abiti. Io indosso questo, tu indossi quello: è un mezzo di cui mi servo. Ma la vocazione non è un mezzo. La vocazione per un cristiano è Gesù.

3.         I nostri Fratelli e le nostre Sorelle di vita attiva traducono il loro servizio in azione, i Fratelli e le So­relle contemplativi traducono l'azione di amare in preghiera, in penitenza, in adorazione, in contempla­zione e nella proclamazione della Parola che hanno meditato e adorato. La vita attiva e quella contempla­tiva non sono due cose differenti, semplicemente: in una, la fede è tradotta in azione mediante il servizio, nell'altra, la fede è tradotta in azione mediante la pre­ghiera.

4.   Fede che diventa dinamica attraverso la preghiera, fede che diventa attiva attraverso il servizio; sono la stessa cosa: lo stesso amore, la stessa compassione. Entrambi dobbiamo proclamare quella fede, sia le Sorelle che i Fratelli. Questo è qualcosa che dovrebbe incoraggiarci e rafforzarci, che ci completa a vicenda più pienamente. Poiché siamo esseri umani, abbiamo bisogno di questa distinzione, di questa separazione, di questi nomi differenti. L'anima, la mente e il cuo­re, tuttavia, hanno la stessa caratteristica: un totale abbandono in Dio. Nell'attimo in cui realizziamo di aver veramente attuato questo, allora siamo a sua di­sposizione e non esistono più differenze.

5.   Nello spirito, entrambe le congregazioni sono por­tatrici dell'amore di Dio. Noi Sorelle portiamo l'amo­re di Dio nelle opere e voi Fratelli della Parola porta­te l'amore di Dio nella evangelizzazione, ma siamo entrambi portatori di qualcosa, entrambi siamo mis­sionari. La missione di proclamare il Cristo, attraver­so le azioni e le parole, è la sola missione, la missione dell'amore e della compassione. Volendo semplificare le cose abbiamo assunto nomi diversi, ma solamente per motivi esteriori. In realtà si tratta della stessa co­sa: entrambi lavoriamo per la proclamazione del re­gno di Dio.

6.   Sin dal principio, i Fratelli si preoccupino di ascol­tare la voce di Dio nella preghiera, nell'adorazione e nella contemplazione. Può darsi che usciate per la strada e non abbiate nulla da dire... benissimo, ma potreste trovare un uomo che se ne sta in piedi all'an­golo della via. Andate da lui. Può darsi che vi offenda, ma voi siete fl e li c'è la Sua Presenza. Dovete irradia­re quella presenza che è dentro di voi, rivolgendovi a quell'uomo, con amore e rispetto. Perché? Perché cre­dete che è Gesù. Gesù non può ricevervi: perciò dove­te sapere come andare da Lui. Egli viene sotto le vesti di quella persona. Questo è il nostro quarto voto. Sie­te vincolati dalla stessa promessa; soltanto, per noi Sorelle, quell'affamato lo è più in senso materiale e per voi Fratelli è invece un affamato spirituale, una persona spiritualmente nuda, spiritualmente senza dimora. Credetemi, Fratelli, trovo assai più difficile lavorare con gente che prova questo tipo di amarezza, che avverte questa angoscia nel cuore, che si sente ri­fiutata, non amata, trascurata.

7.   La cosa essenziale deve essere sempre la stessa, il medesimo spirito di abbandono totale, lo stesso pro­posito di voler appagare la sete di Gesù, lo stesso an­nuncio, la stessa presenza, la stessa povertà, la stessa castità. I quattro voti non devono aver nulla di diver­so. Quel che state facendo, quell'amore per Cristo, quella presenza e quella parola di Dio, noi la mettia­mo nelle opere. ~ la stessa cosa. Voi dovete essere la Sua Presenza mediante la Parola e noi mettiamo la Sua Presenza negli atti.

8.   Questo è quanto dobbiamo imparare bene sin dal­l'inizio: ascoltare la voce di Dio nel nostro cuore, per­ché, allora, nel silenzio del cuore, Dio parla. Poi, dal­la pienezza dei nostri cuori, la nostra bocca deve far scaturire la parola. Questo è il legame. Un Fratello della Parola deve essere tutto questo. Nel silenzio del cuore, Dio parla e voi dovete ascoltare. Poi, nella pie­nezza del vostro cuore, che è, infatti, pieno di Dio, pieno di amore, pieno di compassione, pieno di fede, la vostra bocca annuncerà. Questo è un vero Fratello della Parola.
Ascoltate in silenzio, perché se il vostro cuore è pie­no di altre cose non potete ascoltare la voce di Dio. Ma quando avrete ascoltato la voce di Dio nella quie­te del cuore, allora il cuore sarà pieno di Dio come la Madonna era piena di grazia. E poi, da quella pie­nezza del cuore la bocca trarrà le parole.

9.   Potreste anche scrivere e la pienezza del vostro cuore si trasmetterà pure alla vostra mano. Infatti il vostro cuore potrebbe parlare attraverso la scrittura. Il vostro cuore potrebbe parlare anche attraverso i vo­stri occhi. Sapete che quando guardate la gente essi devono poter vedere Dio nei vostri occhi. Se siete di­stratti e preda del mondo allora non potranno vedere Dio con limpidezza. La pienezza del nostro cuore è espressa nei nostri occhi, nel nostro modo di toccare, in ciò che scriviamo, in ciò che diciamo, nel modo co­me camminiamo, nel modo in cui accogliamo, nel mo­do in cui diamo. Questa è la pienezza del cuore che si esprime in molti modi differenti. E questo è quanto un Fratello della Parola deve vivere, deve capire.

10.  Non è sufficiente fare una scelta, mettersi assie­me e diventare una fraternità. Non basta. Ma è molto importante per noi lasciare che Gesù viva la sua vita di amore, di preghiera, di intima unione con il Padre. Dio parla nel silenzio del cuore e noi dobbiamo ascol­tare. In un secondo tempo parleremo a Dio dalla pie­nezza del nostro cuore. E sarà Dio ad ascoltare. Di questo è composta la preghiera: di questo ascolto e di questo colloquio, un'intima unione con Dio, una inti­ma unione con Gesù.

11.  Come contemplativi, le vostre labbra debbono es­sere molto pure per poter pronunciare in ogni mo­mento le parole di Dio: proprio come le nostre mani, nella nostra vita attiva, debbono essere molto pure quando toccano il corpo di Cristo. Questo è qualcosa che deve essere veramente vita della nostra vita. Altri­menti, potremmo sciorinare un sacco di cose e impa­rarne altrettante a memoria ed essere padroni di tutta la conoscenza possibile, di tutta la teologia e di tutte le cose che riguardano Dio però non essere capaci di ac­cendere quel fuoco nei cuori della gente. Pronunce­remmo soltanto delle parole ma non vivremmo quelle parole. Ecco perché è necessario che le nostre parole siano il frutto della nostra vita, il frutto delle nostre preghiere, il frutto delle nostre mortificazioni e il frutto della nostra adorazione.

12. C'è un teologo molto famoso, un sacerdote molto santo, che in India, oggi, è considerato fra i migliori. Lo conosco assai bene ed ebbi occasione di dirgli: « Padre, lei parla tutto il giorno di Dio, chissà come si sente vicino a Lui, parlando di Dio tutto il giorno! ». Sapete che mi ha risposto? Mi disse: « Potrei parlare molto di Dio e magari parlare poco con Lui ». E poi mi spiegò: « Potrei proferire un sacco di parole e forse dire anche molte cose buone, ma poi dentro di me non trovare il tempo di ascoltare. Poiché Dio parla nel si­lenzio del cuore ».

13. E molto importante che sin dall'inizio, Fratelli, viviamo semplicemente il Vangelo. Vivete il Vangelo nella preghiera, vivete il Vangelo nelle parole! Non vi scoraggiate se non raggiungete immediatamente la vetta. Non c e motivo che ci si debba sentire sconvolti o sfiduciati, solo una piccola cosa alla volta è impor­tante: anche se una vostra azione può essere un niente in confronto a quel che la gente, all'esterno, si aspetta da voi e voi non lasciate cadere quella gocciolina di preghiera, di penitenza, nella vostra vita e nel vostro cuore, allora la gente ne verrà come defraudata. Non potete dare ciò che non avete.

14. La pienezza del nostro cuore la si rivela nelle opere: come tratto quel lebbroso, come tratto quell'a­gonizzante, come tratto i senza tetto... Talvolta è più difficile operare con la gente per la strada che con i nostri assistiti nelle case per incurabili, poiché chi sta per morire è in pace, in attesa, è pronto ad andare da Dio. Puoi toccare il malato, puoi toccare il lebbroso e credere che è il corpo di Cristo che stai toccando, ma è molto più difficile quando queste persone sono ubria­che o stanno imprecando pensare che sono Gesù cela­to dietro la maschera della sofferenza. Come devono essere pulite e amorose le nostre mani perché sappia­no porgere la compassione anche a queste persone!

15. Voi, in Occidente, vi trovate ad avere a che fare con coloro che sono i più poveri spiritualmente fra i poveri, piuttosto che con le persone povere in senso fi­sico. Assai spesso fra i ricchi vi sono persone spiri­tualmente molto, molto povere. Trovo che non sia dif­ficile' dare un piatto di riso a una persona affamata, pr6cùrare un letto a chi non ha un giaciglio, ma con­solare o eliminare quel certo tipo di amarezza, sop­primere quella rabbia, rimuovere quella solitudine ri­chiede molto tempo.

16. Gesù si è fatto Pane di vita per saziare la fame che ho di Lui ed è diventato l'affamato, cosi che io possa soddisfare il suo amore per me. Egli ha fame di noi come noi abbiamo fame di Lui. Fratelli della Pa­rola, scoprite che la Parola deve farsi carne prima di tutto nella vostra vita, venendo tra voi nell'amore, nell'unione, nella pace, nella gioia; solo allora sarete capaci di darla a coloro che sono spiritualmente i più poveri, di darla a quell'uomo che sta seduto nel parco, tutto solo e ubriaco.

17. Vi chiamate Fratelli della Parola per essere quella Parola. Siete stati scelti in special modo perché en­triate nel clima di Nazaret. Egli vi ha posto qui, pro­prio perché facciate questo: credere nella Parola del Padre suo; quella Parola contiene la vita e voi potrete dare quella vita, ossia Gesù, a tutti coloro che incon­trate, a cominciare dalla vostra stessa comunità, poi­ché l'amore comincia in famiglia. Come fa a comin­ciare in famiglia? Pregando assieme; una famiglia che prega insieme sta assieme.

18. Dovete essere una famiglia, essere quella presen­za di Cristo l'uno per l'altro. Amatevi a vicenda tene­ramente come Gesù ama ciascuno di voi. Questa è la santità dei Fratelli della Parola. Un tenero amore re­ciproco parla molto più chiaramente di tutte le parole che possiate dire. Amare sino a soffrire; richiede un sacrificio profondo proclamare la Parola di Dio. Non fare mai del male ad alcuno con la Parola, che è così sacra nella nostra vita. Vivere veramente quel che di­te: i fratelli più giovani che vi seguono imparano ve­dendo, più che ascoltando. Al giorno d'oggi i giovani non vogliono ascoltare, vogliono vedere.

19.       Voi, Fratelli, che avete scelto in particolar modo la Parola di Dio, che cuore pulito dovete avere per poter porgere l'annuncio dalla pienezza della vostra interiorità! Ma prima di annunciare è necessario ascoltare, poiché Dio parla nel silenzio del vostro cuo­re. Dovete ascoltare e soltanto allora, dal profondo della vostra pienezza interiore, parlerete e Dio ascol­terà.

20. Quel che voi, Fratelli contemplativi, dovete por­tare nel mondo è la vostra presenza; con quella pre­senza porterete la luce. Cristo deve essere la luce che brilla attraverso voi, e la gente, guardandovi, deve ve­dere unicamente Gesù. Non cercate d'essere qualco­s'altro all'infuori di questo. Dovete affrontare la sfida che vi viene da Gesù: Egli ha effuso la luce e voi prenderete la sua luce e accenderete ogni cuore che vi capiterà d'incontrare. Non opererete a grandi gruppi o con molte persone, ma nella strada, negli ospedali, nelle prigioni: in qualunque luogo dove il buio ha cir­condato un essere umano, voi dovrete essere portatori di luce.

21. In Dio vi è una grande umiltà. Può chinarsi sulla gente come noi e dipendere da noi perché tutte queste cose vivano, crescano, portino. frutto. Eppure avrebbe potuto farlo senza il nostro aiuto. Tuttavia si è china­to e ha preso ciascuno di noi, ci ha chiamati qui, in­sieme, perché formassimo questa fraternità. Se ci fos­simo rifiutati, non avrebbe potuto costituirla. Avrem­mo potuto dirgli di no. Ciascuno di noi avrebbe potu­to dire di no. Dio avrebbe aspettato pazientemente finché fosse venuto qualcuno che avrebbe detto di sì. Tutto ciò mi fa capire che quando Gesù diceva: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore ~, davvero Egli voleva dire che avremmo dovuto impara­re che la chiamata è un dono che viene da Dio stesso.

22. L'esatto volere di Dio nei nostri confronti: dovete essere santi. La santità è il più grande dono che Dio può offrirci perché è per questo scopo che ci ha creato.
In ragione di questo siete diventati Fratelli della Pa­rola. Non siete venuti qui per passare il tempo, anche se lo trascorrete pregando. Siete venuti qui per essere la personificazione del suo amore, della sua compas­sione. Siete stati inviati.

23. Lo scopo di Dio, quello per cui noi esistiamo, è che io e voi dobbiamo essere dei contemplativi. Dob­biamo essere utili alla gente annunciando la Parola di Dio, portando l'amore della Parola di Dio agli uomi­ni. Come deve essere sincero e puro il vostro cuore, poiché è dalla pienezza del vostro cuore che deve sgor­gare l'annuncio.

24. Cos'è la contemplazione? E vivere la vita di Ge­sù. Ecco quel che intendo quando dico: amare Gesù. E vivere la sua vita dentro di noi, vivere la nostra vita nella sua vita. Questa è la contemplazione. Dobbiamo avere un cuore puro per saper vedere: nessun senti­mento di gelosia, d'ira, nessun conflitto e specialmen­te nessuna mancanza di carità. Per me, contemplazio­ne non è stare particolarmente appartato in un luogo buio, ma consentire a Gesù di vivere la sua Passione, il suo amore, la sua umiltà dentro di noi, pregando con noi, stando sempre con noi, santificando attraver­so noi.

25. Amate... siate davvero dei contemplativi nel cuore del mondo. Qualunque cosa facciate, anche se aiutate qualcuno ad attraversare la strada, lo fate a Gesù. Anche quando date a qualcuno un bicchiere d'acqua, lo fate a Gesù. Si tratta di un piccolo insegnamento semplice, ma che è di gran lunga il più importante.

26. Fratelli, annunciare la Parola di Dio, essere la Parola di Dio per la vostra gente, deve essere lo scopo della vostra esistenza. Ma non potete dare, non potete proferire la Parola a meno che viviate quella Parola, a meno che preghiate quella Parola. Per essere capa­ci di dare, dovete possedere. A questo scopo dovete mantenervi santi, per poter comprendere quel che vuole Gesù... egli vuole abitare in voi e agire attraver­so voi.

27. Il mondo, oggi, ha fame non soltanto di pane, ma è affamato soprattutto di amore; ha fame di essere ac­cettato, di essere amato. Hanno fame di sentire la presenza del Cristo. In molti paesi, la gente ha tutto, salvo questa presenza, questa consapevolezza. Ecco perché la vita di preghiera e di sacrificio ci porta a dare quell'amore. Se sarete contemplativi, sarete quella presenza, quel pane di Dio da spezzare.

28. La gente ha fame della Parola di Dio che dà la pace, che dà l'unità, che dà la gioia. Ma non potete dare quello che non possedete. Ecco perché è necessa­rio intensificare la vostra vita di preghiera. Lasciate che Gesù vi catturi, preghi con voi e attraverso voi e allora sarete veri contemplativi nel cuore del mondo.

29. Siamo chiamati ad amare il mondo. Dio amò tan­to il mondo che diede ad esso Gesù. Oggi ama così tanto il mondo che gli dà voi e me per essere il suo amore, la sua compassione, e quella presenza, quella vita di preghiera e di sacrificio, di abbandono a Dio. E in particolare, Fratelli, la risposta che Dio vi chiede di essere dei contemplativi. In realtà ogni singolo cristiano, ogni cattolico, che vive una vita unita con l'Eucarestia, unita con Gesù, è un contemplativo.

30. Abbiamo una casa riservata alla vita contempla­tiva nel Bronx Meridionale. Un tassista si rifiutò di condurmi là. Le Sorelle non sapevano che stavo arri­vando, per cui dovevo prendere un tassi, ma quell'uo­mo si rifiutò di portarmi in un posto simile! Dissi:
« Ma viviamo lì, le mie Sorelle vivono lì ». Disse anco­ra di no. Insistetti: « Benissimo, mi siederò accanto a voi e così vedrete che non accadrà nulla né a me né a voi ». Entrai nel tassi e partimmo. Spalancò la bocca quando vide le giovani Sorelle saltare e ridere e la gente inchinarsi, mentre quelli che mi riconoscevano presero a parlare con me anche se alcuni erano ubria­chi, però si tolsero il cappello con rispetto. Non riu­sciva a credere ai suoi occhi, avvertendo quella Pre­senza. Questo è un episodio particolarmente bello.

31. Ricordo ancora la prima volta in cui le Sorelle contemplative entrarono in un parco di New York, erano vestite di bianco e recitavano il Rosario. Quan­do un uomo le vide esclamò: « Oh, no, non sono anco­ra pronto, non sono pronto ». Allora le Sorelle gli si fecero più vicine e dissero: « Siamo Sorelle. Dio vi ama ». Egli ripeté: « Non sono pronto. Voi venite dal cielo, siete angeli che venite dal cielo a prendermi e io non sono pronto ». Credeva che gli angeli fossero ve­nuti a prenderlo! Questo vi dimostra quello che la gente attende da noi.





OTTAVO MESE

1.   L'amore di Cristo per noi lo condusse al Getsema­ni e al Calvario, e il peccato fu la causa di tutto ciò, i nostri peccati e i peccati del mondo. Il peccato porta a questo tuttora. Se fossimo puri come gli angeli e buo­ni come i santi non vi sarebbe bisogno delle Missionarie della Carità. Dio non è amato e onorato come do­vrebbe dalla stirpe che Egli ha innalzato alla sublime dignità di figli adottivi. Vi è un vuoto e Dio sta cer­cando qualcuno che si ponga in questo vuoto dinanzi a Lui, si adoperi per questa stirpe e preghi perché Egli non abbia a sterminarla. E per colmare questo vuoto che noi, Missionarie della Carità, gioiamo in una situazione che per natura dovremmo odiare. Fac­ciamo tutto quello che ci è possibile proprio per fare dimenticare a Dio l'ingratitudine dell'uomo in cam­bio del suo amore sconfinato e perché non dimentichi di usare misericordia. E lì, davanti a noi, appeso alla croce e grida: « Ho sete ». E per spegnere la sete di questo divino Signore che le Missionarie della Carità compiono tutte queste opere che sembrano follia per il mondo. Sicuramente è per noi una benedizione ave­re una piccola parte nella sequela della croce.

2.         Guardiamo la compassione di Cristo per Giuda, l'uomo che ha ricevuto tanto amore e tuttavia ha tra­dito il suo Maestro, il Maestro che mantenne un sa­cro silenzio e che non lo avrebbe tradito dinanzi ai suoi compagni. Gesù avrebbe potuto facilmente par­lare pubblicamente e rivelare agli altri le intenzioni nascoste del gesto di Giuda, ma non lo fece. Preferì, piuttosto, usare misericordia e carità; invece di con­dannarlo, lo chiamò amico. Se soltanto Giuda avesse guardato Gesù negli occhi come fece Pietro, oggi Giu­da sarebbe stato l'amico della misericordia di Dio. Gesù ebbe sempre compassione.

3.
Gesù è la Luce
Gesù è la Verità
Gesù è la Vita
Noi dobbiamo essere:
la Luce della Carità
la Verità dell'Umiltà
la Vita della Santità.

4. Le nostre opere d'amore altro non sono che opere di pace. Compiamole con amore sempre più grande e con sempre maggiore efficacia, ciascuno a proprio modo, nella vita quotidiana, nella vostra casa, nel vo­stro quartiere, è sempre lo stesso Gesù che dice: Ero affamato: non soltanto di cibo, ma della pace che viene da un cuore puro.
Ero assetato: non di acqua, ma della pace che estin­gue la sete bruciante provocata dalla guerra.
Ero nudo: non degli abiti, ma di quella meraviglio-sa dignità che dovrebbe rivestire i corpi degli uomini e delle donne.
Ero senza casa: non senza un rifugio fatto di matto­ni, ma senza un cuore che comprenda, che protegga, che ami.

5. Poiché l'amore per essere genuino deve anche far soffrire: Dio amò il mondo a tal punto da donare suo Figlio. Suo Figlio amò il mondo a tal punto da dare la sua vita per esso.
E Gesù dice: « Come il Padre ha amato me dandomi al mondo, così anch'io ho amato voi dando la mia vita per voi. Rimanete nel mio amore, dando voi stes­si» (Cv. 15, 9). Questo darsi è la preghiera, è il sacri­ficio della castità, è la povertà, è l'obbedienza e il ser­vizio libero offerto con tutto il cuore.

6. Dobbiamo amare sino ad essere disposti a soffrire. Non basta dire: « Io amo ». Dobbiamo tradurre questo amore in un atto vitale. E come si può fare? Donarsi sino a soffrire. Tempo fa, in una nostra casa per bam­bini non avevamo più zucchero per loro. Un bimbo di quattro anni udì che « Madre Teresa non aveva zuc­chero per i bambini ». Andò a casa e disse ai genitori:
« Non mangerò zucchero per tre giorni. Darò il mio zucchero a Madre Teresa ». Dopo tre giorni i genitori portarono il piccino a casa nostra. Era cosi piccolo che a malapena sapeva pronunciare il mio nome eppure seppe insegnarmi come amare di un amore grande. Non fu tanto quello che mi diede, ma il fatto che die­de con grande amore, e diede sino al sacrificio, sino a provare sofferenza.

7.         Alcune settimane fa ricevetti una lettera di un ra­gazzino dagli Stati Uniti. Doveva fare la Prima Co­munione. Disse ai genitori: « Non state a preoccuparvi di comperarmi un abito particolare per la mia Pri­ma Comunione. Farò la Prima Comunione con la di­visa della scuola. Non organizzatemi alcuna festa, ma datemi per favore la somma corrispondente. La invie­rò a Madre Teresa ». E così, quel ragazzino di sette o Otto anni, già nel suo cuore fu capace di amare sino al sacrificio.

8. « Qualunque cosa facciate al più piccolo dei miei fratelli l'avrete fatto a me. » « Questo è il mio coman­damento, che vi amiate gli uni con gli altri. » Soppri­mete questo comandamento e l'intiera grande opera della Chiesa di Cristo cadrà in frantumi. Poiché Gesù venne sulla terra per dare alla carità il giusto posto nel cuore degli uomini. « Da questo » diceva « gli uo­mini conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri »... e questo comandamento durerà in eterno. Un amore sincero per il tuo prossi­mo consiste nel desiderare che stia bene e nel fargli del bene.

9. Ascolta Gesù, il tuo cooperatore, che ti dice: «Voglio che tu sia il mio fuoco d'amore tra i poveri, i malati, i morenti e i bambini; voglio che tu porti i po­veri a me ». Impara questa frase a memoria e quando ti accorgi di mancare di generosità, ripetila. Possiamo rifiutare il Cristo proprio come rifiutiamo gli altri, come se gli dicessimo: « Non ti presterò le mie mani per operare, né i miei piedi per camminare, né la mia mente per studiare insieme, né il mio cuore per amare con te. Tu bussi alla porta, ma io non ti darò la chiave del mio cuore ». Ecco quel che prova Gesù con un fon­do di amarezza: sente di non poter vivere la sua vita dentro un’anima

10. Alcune settimane fa, raccolsi una bimba dalla strada, e dal volto potei arguire éhe la piccina aveva fame. Non saprei dire da quanti giorni quella piccola non mangiava. Le diedi un pezzo di pane e la piccina, preso il pane, briciola dopo briciola, cominciò a man­giarlo. Le dissi: « Mangia, mangia il pane. Hai tanta fame ». La piccola mi guardò e disse: « Ho paura che quando il pane sarà finito avrò fame di nuovo ». La sofferenza di un affamato è qualcosa di terribile. La piccina aveva già sperimentato la sofferenza dell'affa­mato, che magari voi non avete mai sperimentato, né vi capiterà di sperimentare mai. Ma ricordate, ricor­date di condividere la gioia di amare, donandovi al.­l'altro sino a sentire dolore.

11. Se un ragazzo lascia il campo del padre e va a la­vorare altrove, non sarà più collaboratore di suo pa­dre. Essere collaboratore significa lavorare con qual­cuno, condividerne la stanchezza, le umiliazioni, la vergogna e non soltanto il successo. Coloro che condi­vidono ogni cosa, sono compagni che danno amore per amore, sofferenza per sofferenza. Gesù, tu sei morto, tu hai dato ogni cosa, la vita, il sangue, tutto. Ora toc­ca a me. Metto in tavola ogni cosa. Il soldato comune combatte nelle file, ma colui che è fedelissimo cerca di stare accanto al capitano per condividerne il destino. Questa è l'unica verità, l'unica cosa che importa; que­sto è lo spirito di Cristo.

12. Dobbiamo operare con grande fede, con fermez­za, con efficienza; e soprattutto con grande amore e gioiosità, poiché senza questo la nostra opera sarà soltanto un lavoro di schiavi che servono un duro pa­drone.

13. La grandezza della nostra vocazione sta anche nel fatto che dobbiamo sentirci obbligati a provvedere a Cristo stesso che si cela dietro le sembianze dolorose e sofferenti del povero. Siamo obbligati ogni giorno ad esercitare il nostro ministero sacerdotale toccando il corpo di Cristo che ci si presenta sotto la forma di una umanità sofferente, dando la Santa Comunione a tutti coloro con i quali veniamo in contatto, diffondendo la fragranza del suo amore ovunque andiamo.

14. Una vita interiore sincera fa ardere d'amore la vita attiva e consumare ogni energia per essa. Fa si che troviamo Gesù nei vicoli bui degli slums, nelle miserie più penose del povero, come l'uomo-dio nudo sulla Croce, triste, disprezzato da tutti, l'uomo della sofferenza, annientato come un verme, dalla flagella­zione e dalla crocefissione. Questa vita interiore ci aiuta a servire Gesù nel povero.

15. Desidero vivere in questo mondo che è cosi lonta­no da Dio, che ha volto così pesantemente le spalle al­la luce di Gesù, per aiutare loro, i nostri poveri e caricarmi almeno un poco delle loro sofferenze. Poiché è soltanto nell'essere una cosa sola con essi che possia­mo riscattarli, portando Dio nelle loro vite e condu­cendoli a Lui.

16. So che tutti voi amate i poveri - altrimenti non sareste qui - ma ognuno di noi cerchi di rendere questo amore più gentile, più caritatevole, più gioio­so. Che i nostri occhi vedano con maggiore chiarezza e intensità di fede il volto del Cristo nel volto del po­vero.

17. La carità del povero è come una fiamma che bru­cia. Più asciutto è il combustibile e più splendore emana; in altre parole, i nostri cuori debbono rimane­re separati dalle cure terrestri e restare uniti total­mente alla volontà di Dio. Allora il nostro servizio sa­rà ubbidiente e sgombro da tutto ciò che è inutile.

18. Mantenete sempre vivo l'amore per il più povero dei poveri. Non pensiate che sia una perdita di tempo nutrire l'affamato, visitare e prendersi cura dell'am­malato e dell'agonizzante, aprire la porta ed accoglie­re il rifiutato, chi non ha casa. No, questo è il nostro amore di Cristo tradotto in azione. Più umile sarà la vostra opera, più grandi dovrebbero essere il vostro amore e la vostra efficienza. Non abbiate paura della vita di sacrificio che proviene da una vita di povertà.

19. Noi tutti aspiriamo al paradiso dove risiede Dio, ma abbiamo il potere di essere in paradiso con Lui anche adesso, di essere felici con Lui anche in questo momento. Tuttavia, essere felici con Lui ora, significa amare come Lui ama, aiutare come Lui aiuta, donare come Lui dona, servire come Lui serve, soccorrere co­me Lui soccorre, ed essere con Lui ventiquattr'ore su
ventiquattro.

20. Miei cari figli, senza la sofferenza, il nostro lavo­ro sarebbe soltanto una attività sociale, molto enco­miabile e d'aiuto, ma non sarebbe l'opera di Gesù Cristo, non una parte della sua redenzione. Gesù vol­le aiutarci condividendo la nostra vita, la nostra soli­tudine, la nostra agonia e la nostra morte. Tutte que­ste cose Egli prese su di sé e le portò con sé in quella notte terribilmente buia; soltanto essendo una cosa so­la con noi ci ha riscattati, consentendoci di fare lo stesso; tutta la desolazione dei poveri, non soltanto la loro povertà materiale, ma anche la privazione spiri­tuale devono essere riscattate e noi dobbiamo condivi­derle.

21. Cristo doveva trattare con le folle che gridavano, che facevano a gomitate, era il loro stesso entusiasmo a manifestarsi cosi ed era fastidioso. Non si preoccu­pavano molto delle sue esigenze. Nelle loro espressio­ni di familiarità a volte capitava persino che si dimen­ticassero di Lui. Tuttavia aveva pazienza con essi, fossero pure aggressivi quanto volevano, alla fine avrebbe usato loro pietà. Non si vergognava dei pec­catori, non passava loro accanto senza guardarli e se essi avessero voluto, avrebbero potuto averlo con loro come chiunque altro, per quanto questo gli potesse costare... « Sono venuto » diceva « non per i giusti, ma perché i peccatori si pentano. » Noi, Missionarie della Carità, abbiamo ricevuto la grazia, infatti, di essere chiamate a imitare questo tremendo amante del pove­ro e dell'abbandonato. Proprio come Cristo, abbiamo a che fare con folle immense. Siamo state chiamate ad essere le sue collaboratrici negli slums permettendogli di irradiare la sua vita in noi e attraverso noi in quei quartieri disastrati.

22. Che ognuno di noi possa vedere Gesù Cristo nel­la persona del povero. Più disgustoso sarà il lavoro o le persone a cui accudire, più grandi saranno la no­stra fede, il nostro amore e la gioiosa dedizione che dedichiamo a Nostro Signore, nascosto in questa sof­ferenza.

23. Più uniti siamo a Dio, più grandi saranno il no­stro amore e la prontezza nel servire il povero con tut­to il cuore. Molto dipende da questa unione dei cuori. L'amore di Dio Padre per il Figlio e del Figlio per il Padre dà vita allo Spirito Santo Dio. Cosi pure l'amo­re di Dio per noi e il nostro amore per Dio dovrebbe­ro dar vita a questo libero servizio, donato con tutto il cuore, al povero.

24.        Gesù dice: « Qualunque cosa facciate al più pic­colo dei vostri fratelli l'avrete fatto a me. Quando ac­cogliete uno di questi piccoli, accogliete me. Se darete un bicchiere d'acqua in mio nome, l'avrete dato a me. » E per essere certi di comprendere quello di cui ci parla, ci dice che nell'ora della nostra morte saremo giudicati soltanto su questo. Avevo fame e mi deste da mangiare. Ero nudo e mi avete vestito. Ero senza casa e mi avete ospitato. Non è fame soltanto di pane, è fa­me d'amore. Essere nudo non significa soltanto non avere un pezzo di stoffa con cui coprirsi, essere nudo è essere privo della dignità umana ed anche della bella virtù della purezza ed è anche privazione del recipro­co rispetto. Essere senza casa non è soltanto essere senza una casa fatta di mattoni; essere senza casa si­gnifica anche essere rifiutati, emarginati, non amati.

25. Il papa Paolo VI dice che vocazione significa ca­pacità di prestare attenzione alle voci imploranti nel mondo; voci di anime innocenti che soffrono, che non hanno conforto, guida, amore. Questa richiesta viene soddisfatta dal nostro voto di servizio libero, e com­piuto con tutto il cuore nei confronti del povero. Pro­prio come Cristo è venuto a fare il bene, curando gli infermi, scacciando i demoni, predicando il regno di Dio, anche noi dobbiamo dedicarci interamente alla ricerca del povero, dell'abbandonato, del malato, del­l'infermo, dell'agonizzante, sia che si trovi nelle città o nei villaggi, o magari in mezzo alle immondizie; dobbiamo cercare di aver cura di essi, aiutandoli, re­candoci a visitarli, e portando loro il messaggio di Cristo, facendo del nostro meglio per condurli a Dio.

26. Non accettiamo la povertà soltanto perché siamo costretti ad essere poveri, ma perché abbiamo scelto di essere poveri per amore di Cristo; poiché, pur essendo ricco, egli si fece povero per amore nostro. Non in­ganniamo noi stessi.

27. Con il voto di povertà priviamo noi stesse del pos­sesso e del libero uso dei beni temporali. La virtù del­la povertà provoca la distruzione dell'attaccamento disordinato alle cose di questo mondo. Il voto è il mezzo e la virtù è lo scopo. Il metodo principale per riuscire ad osservare i punti essenziali della povertà è la stretta osservanza della vita comunitaria; cioè, ognuno, compreso la superiore, dovrebbe ritenersi soddisfatta di aver da mangiare e di che vestirsi e del­le attrezzature date a tutti eguali, senza il minimo privilegio di spese che non siano veramente necessa­rie.

28. Dobbiamo fare del nostro meglio per tenere lo sguardo libero e sgombro dalle cose di questo mondo, cosicché il nostro servizio al povero possa diventare un unico, generoso atto d'amore. Fu proprio questo « saper vedere » che rese padre Damien l'apostolo dei lebbrosi, che fece San Vincenzo de' Paoli il padre dei poveri, che fece si che ciascuno di noi abbandonasse ogni cosa per servire i poveri.

29.        Al mondo può apparire sciocco che noi godiamo di un cibo frugale, che mostriamo di gustare un umile alimento; che possediamo soltanto tre abiti fatti di stoffa grezza o delle vecchie tonache, che li aggiustia­mo e vi mettiamo le toppe, che ne abbiamo grande cu­ra e rifiutiamo di avere qualcosa in più; che godiamo nel camminare con scarpe di qualunque forma e colo­re; che ci facciamo un bagno con un secchio d'acqua soltanto, in stanzette da bagno minuscole; che sudia­mo e traspiriamo ma rifiutiamo di avere un ventilato­re; che ce ne andiamo in giro affamate e assetate ma rifiutiamo di mangiare nelle case della gente. Che ri­fiutiamo radio e grammofoni che potrebbero rilassarci i nervi tormentati dal duro compito di tutto un giorno; che percorriamo grosse distanze sotto la pioggia o sot­to il sole cocente dell'estate, o che andiamo in biciclet­ta, viaggiamo in tram, in seconda classe, o nella terza classe di treni sovraffollati; che dormiamo su letti du­ri, trascurando i materassi spessi e morbidi che con­forterebbero i nostri corpi doloranti dopo tutta una giornata di duro lavoro; che ci inginocchiamo su tap­peti ruvidi e logori in cappella, abbandonando quelli più spessi e morbidi; che gioiamo nel giacere nelle corsie comuni in ospedale tra i poveri di Cristo, quan­do potremmo tranquillamente avere stanze private; che lavoriamo come dei facchini a casa e fuori casa quando potremmo facilmente assumere dei servi e fa­re soltanto i lavori leggeri; che proviamo piacere nel ripulire i gabinetti e lo sporco della casa dei moribon­di e del « Shishu Bhavan », la casa del neonato, come se questi fossero i più bei lavori del mondo, conside­randolo un tributo a Dio. Per il mondo noi stiamo sprecando la nostra vita preziosa, seppellendo i nostri talenti. Sì, le nostre vite sono profondamente sprecate se usiamo soltanto la luce della ragione. La nostra vi­ta non ha senso se non guardiamo il Cristo nella sua povertà.

30. Nostro Signore ci offre un efficace esempio: « Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli dell'aria il loro nido dove posarsi, ma il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo ». Sin dal primo giorno della sua esi­stenza umana venne cresciuto in una povertà che nes­sun essere umano fu mai in grado di sperimentare, poiché « pur essendo ricco, si fece povero ». Poiché io sono sua collaboratrice, il suo «altro-Cristo », devo es­sere allevata e nutrita con questa povertà che Nostro Signore richiede da me.

31. La povertà del nostro Salvatore è anche più gran-de di quella della più povera delle bestie del mondo. « Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli dell'aria i lo­ro nidi, ma il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo. » E così era veramente. Non aveva una casa sua, né una fissa dimora. I Samaritani lo avevano scaccia­to ed egli doveva cercarsi un rifugio. Tutto era incer­to, cibo e abitazione. Riceveva qualsiasi cosa come elemosina della carità altrui. Tale è infatti la grande povertà... Che commozione si prova quando pensiamo che egli è il Buon Pastore, il Signore del cielo e della terra e quando pensiamo a quello che avrebbe potuto possedere! Ma è proprio questo che rende maestosa la sua povertà, che è una povertà volontaria dettata dal­l'amore per noi, con l'intento di arricchirci spiritual­mente.
Dobbiamo considerarci visitati dalla grazia per cs­sere stati chiamati a condividere nel nostro piccolo la grande povertà di questo immenso Dio. Ci esalta an­che il magnifico vagabondaggio della nostra vita. Il nostro non è un andare a zonzo, ma un coltivare que­sto vagabondo spirito di abbandono. Non abbiamo nulla su cui far conto, tuttavia viviamo in modo subli­me, non disponiamo di nulla su cui camminare, eppu­re camminiamo senza paura; nulla su cui appoggiar­ci, ma ci appoggiamo su Dio con fiducia: siamo suoi ed egli è il nostro Padre provvidente.




NONO MESE

1. Vi è tanta sofferenza ovunque! Siate santi e fervo­rosi, poiché Dio vuol servirsi di voi per dar sollievo a questa sofferenza. Per dimostrare che il Cristo è di natura divina, che è il Messia promesso, il Vangelo veniva predicato ai poveri. La prova che quanto fac­ciamo è opera di Dio è che il Vangelo viene predicato ai poveri. Pregate e ringraziate Iddio per avervi scelti a vivere questo tipo di vita e a compiere questo lavoro.

2. Vocazione, oggi, significa anche comprendere la faticosa ma stupenda missione della Chiesa, ora più che mai impegnata ad insegnare all'uomo la sua vera natura, il suo fine ultimo, il suo destino e a rivelare al fedele le immense risorse della carità di Cristo.

3. Abbracciando la vocazione di Missionarie della Carità, ci poniamo di fronte al mondo come amba­sciatrici di pace, predicando il messaggio d'amore, che si è fatto azione e che supera tutte le barriere di na­zionalità, di credo, o di paesi.
L'ambasciatore indiano a Roma disse alla gente: « Queste nostre Sorelle in breve tempo hanno fatto di più per avvicinare i nostri due paesi, grazie alla loro influenza ispirata all'amore, che non noi con tutti i nostri mezzi ufficiali ».

4. Siamo state strumenti della predicazione della Pa­rola di Dio ai poveri, ai negletti, alle vittime del dolo­re, alle persone sole di tutte le nazioni. Per quanto indegne, Dio si è servito di noi per farsi conoscere e amare da questo mondo, che ha dimenticato Dio. Ab­biamo il privilegio di entrare proprio nelle case dei fe­deli poveri e dimenticati, spingendoli fuori, loro e i lo­ro figli, dai loro giacigli di abbandono e portandoli tutti assieme a lodare Dio in mezzo alla sua chiesa, facendoli partecipare al sacrificio della Messa e a se­dersi alla mensa del Signore. Quello che il Vaticano Il ci chiede di fare oggi, noi l'abbiamo cominciato già a fare, con la grazia di Dio, dal momento stesso della fondazione della nostra Congregazione.

5. Rinnoviamo il nostro amore per i poveri, ma sa­premo farlo soltanto se saremo fedeli alla povertà di cui abbiamo fatto voto e che abbiamo liberamente scelto.

6. Siccome l'indigenza dei poveri è dovuta al crescen­te rialzo del costo della vita, cerchiamo di essere più attenti nel rispettare un tenore povero di vita nelle nostre case. Abbiamo dei bisogni quotidiani che i no­stri poveri non si possono permettere; rendiamocene conto in modo che anche noi sperimentiamo la priva­zione negli alimenti, nei vestiti, nell'uso dell'acqua, della luce elettrica e del sapone... tutte cose di cui so­vente i nostri poveri mancano. Siccome possiamo ave­re tutte queste cose facilmente, le usiamo in abbon­danza, forse con più spreco che se ci trovassimo nella vita secolare.

7. Il nostro abbigliamento sia dignitoso in modo da non disgustare i laici e spingerli a rifiutare il nostro servizio. Comunque i nostri abiti non devono essere' eleganti né confezionati con bei tessuti. Per motivi di salute o di clima può darsi che ci troviamo ad aumen­tare i capi di vestiario, ma non dobbiamo disporre di alcunché di superfluo. Comunque, facciamo attenzio­ne a non confondere la mancanza di pulizia, di ordine o di lindore con la povertà. La sporcizia, la trascura­tezza nel vestire sono segni di pigrizia e di poca de­cenza. Non aiutano la salute né la edificazione. San Bernardo era solito dire: « Amo la povertà, non la sporcizia ».

8. Le Sorelle non devono vergognarsi di chiedere l'e­lemosina di porta in porta se questo è necessario e si facciano mendicanti per i membri poveri del Cristo, che visse Egli stesso di carità durante la sua vita pub­blica e che esse servono ora nel malato e nel povero.

9. Dipendiamo unicamente dalla provvidenza divina. Non accettiamo sussidi del governo, non accettiamo donazioni della Chiesa, non accettiamo uno stipendio; abbiamo consacrato le nostre vite per donarci al più povero dei poveri con tutto il cuore, il nostro è un ser­vizio libero e volontario e ci basta la gioia di chi si sente amato. La nostra gente desidera ardentemente di essere amata e noi abbiamo la tenerezza, l'amore di Dio che continuamente ci provoca.

10. Quando Nostro Signore ebbe bisogno delle nostre Sorelle per la sua opera tra i poveri chiese loro,

espressamente, la povertà della croce. Nostro Signore, sulla croce, non possedeva nulla. Era sulla croce che gli era stata data da Pilato. I chiodi e la corona di spi­ne glieli avevano dati i soldati. Quando mori era nu­do; croce, chiodi e corona gli erano stati tolti ed Egli era avvolto in un sudano donatogli da un animo com­passionevole e venne sepolto in una tomba che non gli apparteneva. Eppure Gesù non avrebbe avuto biso­gno di comportarsi a quel modo. Avrebbe potuto mo­rire come un re e poi semplicemente risorgere. Scelse la povertà perché nella sua infinita sapienza e saggez­za sapeva che quello era il vero modo di possedere Dio, di conquistare il suo cuore, di portare giù, sulla terra, il suo amore.

11. Una volta che si prova il desiderio di avere del denaro, soppraggiunge il desiderio di possedere anche quello che ci si può procurare col denaro: il superfluo in genere, belle stanze, il lusso sulla tavola, più abiti, ventilatori e così via. Cresceranno anche i nostri biso­gni, perché una cosa tira l'altra e il risultato sarà una infinita insoddisfazione. Questo è quanto accade. Se anche vi capitasse di dover avere delle cose, ricordate che i vostri superiori devono poter contare su di voi. In quanto religiosi dovete acquistare le cose più a buon mercato e il vostro buon esempio nel risparmia­re terrà alto lo spirito di povertà.

12. A casa, le Sorelle dovranno essere sempre molto occupate sia nei lavori dell'orto che in oggetti di arti­gianato da vendere, poiché Nostro Signore lavorò per sua madre. Era un vero operaio. Era conosciuto come il figlio del falegname; visse una vita di duro lavoro per quasi vent'anni, senza mai esitare né dubitare della volontà del Padre, anche se era venuto per con­durre le anime a Dio. Nel duro lavoro che svolgeva nella bottega del suo padre putativo, mostrò le più grandi doti che un essere umano può avere: l'umiltà, l'obbedienza, la povertà. Sempre si teneva al di sopra delle preoccupazioni materiali, Egli, il padrone di tutto, lavorò non per il lavoro in se stesso, ma per chi lo aveva mandato, per il suo Padre celeste. Le raffigu­razioni di San Giuseppe sono tra le più belle che co­nosciamo.

13. Siccome siamo e intendiamo restare povere con i poveri per amore di Cristo, sacrifichiamo di buon grado il piacere di avere una stanza tutta per noi. Il dormitorio comune è un mezzo per esercitare molte virtù: la povertà, la modestia, la pulizia e l'ordine. Inoltre aiuta ad alimentare lo spirito familiare.

14. « Sia che mangiate o che dormiate fate tutto per la gloria di Dio. » Il Cristo, certamente, non si conces­se sontuosi banchetti durante la sua vita. I suoi geni­tori erano poveri e i poveri non hanno buone cose in tavola. In realtà si trovò sovente ad affrontare una ve­ra mancanza di cibo, come ci insegnano la moltiplica­zione dei pani e dei pesci e la spigolatura delle spighe di grano mentre camminava tra i campi. La riflessio­ne su questi esempi dovrebbe essere un ricordo salu­tare quando in missione o a casa i nostri pasti sono frugali. Se le portate sono buone, ringraziate Dio; se non lo sono, ringraziatelo ancora di più perché vi ha dato l'occasione di imitare il nostro Salvatore nella sua povertà. Va considerato un difetto parlare del cibo o lamentarsi per ciò che ci è stato servito; l'esse­re occupati in tali pensieri ad ogni modo non è edifi­cante.

15. Un uomo ricco di Delhi, parlando della nostra Congregazione, ebbe a dire: « Quanto è meraviglioso vedere le Sorelle, libere da tutto ciò che è profano... nel ventesimo secolo, quando si ritiene che tutto è sor­passato tranne quello che è di moda ». Attenetevi a questi semplici modi di essere poveri: riparandovi da sole le scarpe, eccetera... amando la povertà come amate vostra madre.

16. Non andate alla ricerca di Dio in terre lontane... Egli non è là. E accanto a voi, è con voi. Tenete sem­pre la lampada accesa e lo vedrete di continuo. Riem­pite la lampada di tutte queste piccole stille d'amore e vedrete come è dolce il Signore che amate.

17. Penso che non avrò timore per voi, Fratelli, se saprete intensificare il vostro amore personale per il Cristo. Allora tutto andrà bene. La gente vi passerà accanto senza curarsi di voi, ma questo non vi addolo­rerà, non vi sentirete offesi. La prima volta che uscirete fuori può darsi che vi getteranno delle pietre; va benissimo. Portatevi sull'altro lato della strada e la­sciate che ve le gettino anche da quella parte; quel che importa è che continuiate per la vostra strada, che ab­biate afferrato per mano il Cristo e state certi che Lui non vi lascerà.

18. Gesù farà grandi cose con voi, Fratelli, se glielo lascerete fare e se non cercherete di interferire con Lui. Si interferisce nei piani di Dio quando ci si im­batte in qualcuno o in qualcosa che non è adatto a voi. Siate severi con voi stessi e siate molto severi con quel che ricevete dall'esterno. La gente può arrivare qui con splendide idee, con bei progetti, ma tutto ciò che vi allontana dalla realtà di ciò che avete dato a Dio, deve rimanere fuori da voi.

19. Siate fedeli nel piccolo, perché in questo risiede la vostra forza. Per il buon Dio non vi è nulla di piccolo, perché Egli è tanto grande quanto noi siamo piccoli. Ecco perché Egli si curva su di noi e si preoccupa di fare quelle piccole cose per noi e ci offre l'occasione di provare il nostro amore per Lui. Poiché Egli fa tutto questo, anche ciò che è piccolo diventa grande. Dio non può far nulla di piccolo, Egli è l'infinito. Sì, miei cari figli, siate fedeli nelle piccole esperienze d'amore, nelle piccole fedeltà alla Regola, che costruiranno in voi una vita santa, facendovi simili a Cristo.

20. La mia preghiera per tutte le famiglie è che cre­sciate in santità attraverso questo amore vicendevole. Portate Gesù ovunque andate. Che gli altri vedano in voi soltanto Gesù. Pregate per i vostri figli e pregate che figli e figlie abbiano il coraggio di dire si a Dio e di consacrare le loro vite, totalmente, a Lui. Ci sono tante, tante famiglie che sarebbero così felici se i loro figli dessero le loro vite a Dio. Così, pregate per loro, perché siano capaci di soddisfare il desiderio del loro cuore.

21. Col voto di castità noi diamo il nostro cuore al Si­gnore, al Cristo crocefisso; nei nostri cuori egli tiene il primo posto.
Nel Vangelo leggiamo che Dio è come un amante geloso. Non possiamo avere due padroni, poiché ser­viremmo uno e odieremmo l'altro.
I voti stessi non sono che dei mezzi per condurre l'anima a Dio, e il voto di castità in particolare è inte­so come un mezzo per donare il cuore a Dio. Il cuore è una delle facoltà più nobili e più elevate ma è anche fonte di pericolo. Con il nostro voto consacriamo il cuore a Dio e rinunciamo alle gioie della vita familia­re. Sì, noi rinunciamo al dono naturale che Dio ha fatto alle donne di diventare madri in cambio del do­no più grande, quello di essere le vergini di Cristo, di diventare madri di anime.

22. Nostro Signore ha un amore veramente speciale per la castità. La sua stessa madre, San Giuseppe e San Giovanni, il discepolo prediletto, si erano tutti votati alla castità. Perché desidero essere casta? Vo­glio esserlo perché sono la sposa di Gesù Cristo, il Fi­glio del Dio vivente. Voglio essere casta per l'opera che debbo compiere come cooperatrice del Cristo. La mia castità deve essere così pura da saper trascinare i più impuri al cuore sacratissimo di Gesù.

23. Dobbiamo convincerci che niente adorna di mag­gior splendore l'animo umano che la virtù della casti­tà e niente lo insozza maggiormente che il vizio oppo­sto. Tuttavia non vi può essere dubbio che la gloria della castità non sta nell'immunità dalla tentazione, ma nella vittoria sopra queste tentazioni.

24. Qualcosa d'interiore e di esteriore aiuta a far vi­vere la castità: Una certa diffidenza in noi stessi e una fiducia del tutto particolare in Dio e nel cuore sacratissimo di Gesù, che è la fonte e la sorgente di ogni santità. Il costante ricordo della presenza di Dio e lo spirito di preghiera. L'accostarsi frequente alla santa Eucarestia che è il frumento dell'eletto. La mortificazione della carne. La fedele osservanza delle regole della modestia e del tatto e un supremo disprezzo per le amicizie parti­colari. La vera amicizia è un dono di Dio. L'amicizia sincera è affettuosa e riservata, non è esclusiva e la­scia libertà nella scelta degli amici. L'amore al lavoro, anche nella calda stagione.
Schiettezza con il proprio padre superiore e col pa­dre spirituale nelle confessioni.
Grande prudenza, specialmente nel comportamen­to con l'altro sesso. L'imprudenza ha causato la rovi­na di molte religiose.
Un amore personale per la Madonna, la Vergine Immacolata. Ella ci guarderà dall'alto e se sbagliamo ci ricorderà che Lei è il rifugio dei peccatori.

25. Quando riusciamo a tenere a mente che al matti­no abbiamo tenuto nelle mani un Dio tutto santo, sa­remo maggiormente pronte a trattenerci da tutto ciò che possa macchiare la nostra purezza. Di qui un profondo rispetto per la nostra persona; un rispetto per gli altri, comportandoci con tutti con normali atti di cortesia, ma astenendoci da sentimentalismi o da affetti disordinati.

26. Dobbiamo avere amore, gentilezza ed eroismo che tocchi il cuore di Dio e porti molte anime al cuore ferito di Gesù. Come debbono essere pure le nostre mani se devono toccare il corpo di Cristo così come il sacerdote lo tocca sotto le apparenze del pane sull'al­tare! con quanto amore, devozione e fede egli alza l'Ostia Consacrata: dobbiamo avere gli stessi sentimenti quando solleviamo il corpo di un povero mala­to. Mettiamo lo stesso amore, la stessa fede e devozio­ne nei nostri atti ed egli lo accetterà come se l'avessi­mo fatto personalmente a lui.

27. Se amiamo Dio con tutta l'anima, se abbiamo per Gesù Cristo un amore che sovrasta ogni cosa, se ab­biamo un tenero amore per la Madonna, saremo me­no inclini ad essere eccessivamente attaccati alle crea­ture. Perché l'amore per Gesù produca questi effetti, deve essere intenso, generoso e assorbirci intieramen­te. Dovrà riempirci talmente la mente e il cuore che non concederemo più attenzione agli affetti umani. Se dovessimo trovarci aggrovigliati in affetti disordinati, Gesù che non può tollerare idoli nei nostri cuori ci rimprovererà severamente. Egli stesso proteggerà con gelosa cura i cuori di coloro che si sono donati a Lui.

28. Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di pregare per conoscere la volontà di Dio, per avere l'amore che ci insegna ad accettare la volontà di Dio, per come fa­re la volontà di Dio.

29.    Questo fare la volontà di Dio è obbedienza. Gesù venne a fare la volontà del Padre suo e la fece sino al­la morte, alla morte in croce. « Si faccia di me secondo la tua parola », fu la risposta che Maria ha fatto an­che a nome nostro quando abbiamo scelto di diventare Missionarie della Carità. Il modo più sicuro per giungere a una vera santità e al compimento della no­stra missione di pace, di amore e di gioia è la via del­l'obbedienza.

30.    Fedeltà nelle piccole cose, non per interesse per­sonale - questa sarebbe l'opera di menti meschine - ma per uno scopo più grande, che è fare la volontà di Dio, che devo rispettare anche nelle piccole cose. Sant'Agostino dice: « Le piccole cose sono poca cosa effettivamente, ma l'essere fedeli nel poco è importan­te». Non è, infatti, Nostro Signore altrettanto presen­te in una piccola ostia come in una grande? La più piccola delle regole contiene la volontà del Signore quanto i grandi impegni della vita.




DECIMO MESE

1.   Siccome la nostra Congregazione va crescendo, na­turalmente vi è il pericolo che vada diminuendo quel bello spirito familiare. E compito di ciascuno di noi proteggerlo e far sì che la vita d'amore e di unità, di umiltà e di servizio, vivano e portino molti frutti in ognuno di noi e nelle persone che serviamo. Allo sco­po di proteggere lo spirito d'amore di questa famiglia e l'unione nella vita spirituale, dobbiamo essere in grado di edificarci vicendevolmente e attraverso il buon esempio di una vita di preghiera e di unione con Dio, incoraggiarci e aiutarci l'un l'altro a restare fe­deli alla nostra vocazione.

2.   Egli mi ha amato veramente sino alla morte. So io amare Gesù sino a dare la mia vita? Come posso amare Gesù che non vedo se non so amare mia Sorel­la o mio Fratello... o il povero, che vedo? Se non ne sono capace, San Giovanni dice: « Sei un bugiardo ».

3.   Il bel nome di « sorella », costituisce un altro forte legame per i membri della stessa famiglia. La sacrali­tà ditale nome è così grande che il re Salomone, nel suo Cantico dei Cantici, chiama l'anima con questo dolce appellativo.

4.   Nel povero e nelle nostre Sorelle e Fratelli, c'è Ge­sù, e quindi noi siamo ventiquattr'ore su ventiquattro alla sua presenza. Per questo siamo dei contemplativi anche in mezzo al mondo. Magari sapessimo impara­re come trasformare in preghiera il nostro lavoro, compiendolo assieme a Gesù, per Gesù, dedicato a Gesù, per la gloria del suo nome e per il bene delle anime!

5.   Se a volte avessimo la sensazione che il Maestro è lontano, chiediamoci se forse non sarà perché io mi sono tenuta lontana da una mia Sorella? Ecco una co­sa che ci garantisce il paradiso: tutti quegli atti di ca­rità e di gentilezza con cui abbiamo riempito le nostre vite. Non sapremo mai quanto bene possa proprio fa­re anche un sorriso solamente. Raccontiamo alla gen­te quanto Dio sia buono, misericordioso e comprensi­vo... e noi ne siamo la prova vivente? Possono essi scorgere veramente questa bontà, questa misericordia, questa comprensione, viva in noi?

6. La santità cresce così in fretta dove c'è la bontà! Non ho mai sentito dire di anime buone che vadano fuori strada. Il mondo è perduto per mancanza di dolcezza e di bontà. Nelle case religiose questa man­canza di gentilezza e di bontà sono in grande pericolo, poiché è sopravvenuta una tal abitudine l'uno dell'al­tro, che alcuni pensano di essere liberi e di dire qual­siasi cosa a chiunque, in ogni occasione. E si attendo­no che le altre Sorelle sopportino questa mancanza di gentilezza. Perché non cercare di mettere un freno al­la vostra lingua? Voi sapete quello che siete in grado di fare ma non potete sapere quello che l'altro è capa­ce di sopportare. Perché allora non dare prima di tut­to a voi stessi l'occasione di essere santi? La vostra santità sarà di grandissimo aiuto alle vostre sorelle in misura maggiore dell'occasione che date ad esse di sopportare la vostra scortesia?

7.   Se non avete amore l'uno per l'altro, allora come potete amare il Cristo? Come potranno gli altri vede­re Gesù in voi? Ecco perché, per vedere Gesù, ci oc­corre un cuore puro. Amatevi l'un l'altro. Ecco quan­to Gesù è venuto ad insegnarci. Tutto il Vangelo è molto semplice. Mi ami? Obbedisci ai miei comanda­menti. Egli gira e rigira l'argomento per giungere a dire una cosa: amatevi l'un l'altro. Vuole che noi sia­mo veramente molto amorevoli. Perciò, date col cuore.

8.   Che le vostre azioni siano fatte con animo gentile. Non pensate di essere gli unici a saper compiere un lavoro efficace, un'opera che meriti di essere mostra­ta. Questo vi rende dure nel giudicare le altre Sorelle che non hanno gli stessi talenti. Dio chiederà a quella Sorella unicamente quello che egli le ha dato e non quello che ha dato a voi; quindi perché interferire nel piano di Dio? Sue sono tutte le cose ed Egli dà ad ognuno nella misura che giudica giusta. Tu fai del tuo meglio e cerca di pensare che le altre fanno an­ch'esse del loro meglio, secondo il disegno di Dio. Può darsi che il loro meglio sia un fallimento totale... a te che importa? Pensa a seguire la strada che Lui ha scelto per te. E anche per gli altri lascia che sia Lui a scegliere.

9.   Un amore intenso non misura, dà e basta. Per es­sere un apostolo del Sacro Cuore, uno deve bruciare d'amore, di un vivo amore per le Sorelle. Se volete la pace, non potete dire quello che vi pare e piace, la prima parola che vi salta in mente.

10.  Il saper pensare al prossimo è il fondamento di una grande santità. Se imparate quest'arte di saper essere sensibili, diverrete sempre più uguali a Cristo, poiché il suo cuore era mite ed Egli pensava sempre agli altri. Gesù « andava facendo il bene ». La Ma­donna alle nozze di Cana non fece altro che preoccu­parsi degli altri che si trovavano nel bisogno, metten­done al corrente Gesù. La sensibilità di Maria, di Gesù e di Giuseppe ai bisogni degli altri fu talmente grande che rese Nazaret la dimora del Dio Altissimo. Se anche noi avremo questo genere di sensibilità reci­proca, le nostre comunità diventeranno veramente la dimora del Dio Altissimo.

11.  Come diventeranno belle le nostre famiglie dove albergherà questa totale sensibilità verso i bisogni l'u­no dell'altro! Il mezzo più rapido e più sicuro è la lin­gua: usatela per il bene degli altri. Quando si ha il cuore che straripa d'amore, la bocca lo esprime. Se il vostro cuore è pieno d'amore, parlerete d'amore.

12.  Siate sinceri nei vostri rapporti vicendevoli e ab­biate il coraggio di accettarvi l'un l'altro come siete. Non siate sorpresi o preoccupati per un fallimento re­ciproco; vedete piuttosto di scoprire quel che c'è di buono in ognuno, poiché ciascuno di noi è fatto a immagine di Dio. Gesù l'ha detto così bene: « Io sono la vite e voi i tralci ». Proviamo a vedere e ad accettare ogni Fratello e ogni Sorella come un tralcio del Cri­sto, che è la vite. Quella linfa vitale che scorre dalla vite attraverso ciascun tralcio è sempre la medesima.

13.  In breve, siate un vero tralcio della vite, che è Gesù. I mezzi più sicuri per attuare tutto ciò saranno quelli di approfondire il nostro amore vicendevole: co­noscendo ciò che è più gradito all'altro; percependo il bisogno dell'altro; apprezzando e conoscendo le quali­tà e i lati positivi l'uno dell'altro.

14.  « Se qualcuno mi ama, ascolterà la mia Parola. «Vi do un comandamento nuovo: amatevi l'un l'altro come io ho amato voi.» «Mio padre lo amerà e noi verremo da Lui e por­remo la nostra dimora in lui.
Amandoci l'un l'altro attraverso le nostre opere fa­voriremo una crescita della grazia e una crescita nel­l'amore divino. Siccome l'amore di Gesù è il nostro amore vicendevole, noi potremo amare come Egli ama, ed Egli manifesterà se stesso attraverso noi, fra noi e al mondo intero. Da questo amore che avrete tra di voi conosceranno che siete suoi.

15.  Queste parole di Gesù: « Amatevi l'un l'altro, co­me io vi ho amato », dovrebbero essere per noi non soltanto una luce, ma dovrebbero essere una fiamma che brucia quell'egoismo che impedisce la crescita nella santità. Gesù « ci amò sino alla fine », sino al confine estremo dell'amore: la croce. Questo amore deve venire dall'interno, dalla nostra unione con il Cristo. Deve essere una manifestazione del nostro amore per Dio, superiora e Sorelle in una unica fami­glia, una famiglia con un Padre comune, che è in cie­lo. Amare per noi deve riuscire naturale come il vive-re e il respirare, un giorno dopo l'altro sino alla no­stra morte.

16.  L'amore comincia in famiglia, proprio all'interno della nostra comunità. Non possiamo amare il mondo esterno se non amiamo i nostri Fratelli e le nostre So­relle all'interno della Congregazione. Perciò dico che ci occorre un cuore veramente puro per essere capaci di vedere Dio. Quando vediamo Dio l'uno nell'altro, possiamo dire di amarci vicendevolmente come Egli ci ama. Questo è quanto Gesù è venuto ad insegnarci: che Dio ci ama e che vuole che ci amiamo tra di noi con quel suo stesso amore.

17.  Santa Teresa del Bambin Gesù disse: « Quando penso e attuo con carità, sento che, è Gesù che opera attraverso me. Più sono strettamente unita a Lui, più amo tutti gli altri abitanti del Carmelo ». Per capire queste cose e per metterle in pratica abbiamo bisogno di pregare molto, il che ci unisce a Dio e si ripercuote continuamente sugli altri. Le nostre opere di carità non sono nient'altro che uno straripamento del nostro amore per Dio éhe è dentro di noi. Per cui, chi è più unito a Lui ama al massimo il suo prossimo.

18.        Come è bello vedere che l'amore vicendevole è una realtà vivente! Le giovani Sorelle hanno un profondo amore e rispetto per le Sorelle più anziane. Le Sorelle più anziane trattano le Sorelle più giovani con rispetto e amore, poiché esse, come voi, appartengono a Gesù. Egli ha scelto ciascuno di voi per se stesso, perché siate il suo amore e la sua luce nel mondo. Il modo più semplice per diventare questa luce è di esse­re gentili e amorevoli, sensibili e sincere tra di voi: « Da questo conosceranno che siete miei discepoli».


19.  Cerchiamo di comprendere la tenerezza dell'a­more di Dio. Poiché egli dice nelle Scritture: « Anche se una madre dimenticasse il proprio figlio, io non vi dimenticherò. Vi ho scolpito nel palmo della mia ma­no ». Quando ti senti sola, quando ti senti rifiutata, quando ti senti malata e dimenticata, ricorda che sei un bene prezioso per Lui. Egli ti ama. E allora dimo­stra anche tu quell'amore vicendevole, poiché è tutto quello che Gesù è venuto a insegnarci.

20.  Chiediamo alla Madonna e a San Giuseppe di fare delle nostre comunità quello che essi hanno fatto di Nazaret per Gesù. Non dobbiamo aver paura. Ge­sù ha detto: « Non temete, io sono con voi » e « Amatevi come io ho amato voi »... da questo sapranno che appartenete a Gesù. L'amore non vive di parole, né lo si può esprimere a parole, intendo dire che quell'amo­re che lo serve e viene da Lui e che trova Lui, tocca Lui, lo serve e lo ama negli altri. Tale amore è vero, ardente, puro, libero da timori e da dubbi. Non c'è amore più grande dell'amore che il Cristo stesso ci ha mostrato. Ecco perché vi chiedo di amarvi tra voi co­me Cristo ci ha amato. Come il Padre ha amato Lui, Egli ha amato noi e ci ama ancora. Ci ha chiamato per nome; siamo un bene prezioso per Lui.

21.  Persone di qualunque nazionalità sono ben accet­te nella nostra Congregazione poiché in questa come pure in qualunque altra scelta vogliamo esseri veri fi­gli della nostra Santa Madre Chiesa. I nazionalismi non hanno senso con le regole della nostra costituzio­ne e ci renderebbero infedeli allo spirito della nostra vocazione. Per cui non dovremmo mai avere una opi­nione sfavorevole di quella gente che appartiene ad altra nazione che non è la nostra, poiché questo de­nuncerebbe una grande mancanza di carità.

22.  San Clemente riferiva di aver udito da San Pietro che Nostro Signore era solito sorvegliare da vicino, come una madre i propri figli, i suoi discepoli mentre dormivano, per servirli in qualsiasi loro piccolo biso­gno.
Tale è la catena che ci unisce e ci lega, il vecchio al giovane - una catena d'oro - mille volte più salda del vincolo della carne e del sangue, dell'interesse e dell'amicizia, perché questi consentono di vedere i di­fetti del corpo e i vizi dell'anima, mentre la carità tut­to copre, tutto nasconde, per offrire esclusivamente all'ammirazione e all'amore l'opera delle mani di Dio, il prezzo del sangue di Gesù Cristo e il capolavoro dello Spirito Santo.

23.  Non dobbiamo temere di proclamare l'amore di Cristo e di amare come Egli ha amato. Nel lavoro che dobbiamo compiere - non importa quanto piccolo o umile sia - metteteci l'amore di Cristo. Non abbiate paura di mantenere il vostro cuore puro e indiviso e di irradiare la gioia di essere la sposa del Cristo croce­fisso. Non temete di abbassarvi col Cristo e di assog­gettarvi a coloro che esercitano autorità dall'alto e che perciò esigono obbedienza sino alla morte. Sii felice che ancora una volta Cristo stia camminando per il mondo tramite te, e tramite te vada facendo del bene.

24.  La regola più importante di una famiglia ben or­ganizzata, di una famiglia fondata sull'amore e sul­l'unione, è che i figli dimostrino fiducia illimitata e obbedienza ai propri genitori. Gesù mise in pratica questo per trent'anni a Nazaret, poiché non abbiamo udito niente di lui salvo che « era loro sottomesso », cioè faceva ciò che gli veniva detto.

25.  Se la nostra obbedienza è pronta, semplice, cieca e gioiosa è anche la prova migliore della nostra fede. Se Dio ama chi dona gioiosamente, quanto più amerà chi obbedisce gioiosamente! Dobbiamo ubbidire come ha obbedito il Cristo... fino alla morte, alla morte in croce. Egli vedeva la volontà del Padre in ogni cosa e in ognuno, così da poter dire: « Faccio le cose che sono a lui gradite». Obbedì a Caifa e a Pilato, poiché la lo­ro autorità era conferita a essi dall'alto: a loro si sotto­mise con spirito d'ubbidienza e con dignità. Non badò ai limiti umani di Caifa e Pilato, ma teneva fisso lo sguardo sul Padre per amore del quale si sottomise ad essi. Obbediamo alla maniera di Gesù e le nostre vite saranno gradite a Dio che dirà: « Questo è il mio fi­glio diletto, nel quale mi sono compiaciuto ».

26.  Una obbedienza vissuta bene ci libera dall'egoi­smo e dall'orgoglio e ci aiuta così a trovare Dio e in Lui l'umanità intera. L'obbedienza è una grazia spe­ciale, che genera infallibilmente pace, gioia interiore e una salda unione con Dio.

27.  L'obbedienza trasforma le piccole cose e le occu­pazioni di tutti i giorni in atti di viva fede e la fede in un atto di amore e l'amore tradotto in azione è servi­zio al Dio amante. L'obbedienza vissuta con gioia crea una consapevolezza vivente della presenza di Dio cosicché quella fedeltà agli atti di obbedienza, come la campanella, la precisione nell'orario o i pasti, che so­no i frutti di una obbedienza costante, pronta, gioiosa, completa, divengono le gocce d'olio che tengono acce­sa la luce di Gesù nella nostra vita.

28.  Se vogliamo davvero progredire nella santità at­traverso l'obbedienza, rivolgiamoci costantemente alla Madonna, perché ci insegni come obbedire, e a Gesù che fu obbediente sino alla morte: Egli, pur essendo Dio, « andò e fu ad essi sottomesso ».

29.  Questo completo abbandono di se stessi a Dio as­sicura a noi il suo costante aiuto, poiché, obbedendo, facciamo sempre la sua santissima volontà e ottenia­mo di conseguenza la liberazione dai dubbi, dalle an­sietà e dagli scrupoli.

30.  Quando obbediamo siamo infallibili. Domandate allo Spirito Santo questa grazia soltanto. Solo Gesù, nel Santissimo Sacramento, Gesù sulla croce, può in­segnarci l'obbedienza, con la realtà del suo stesso esempio.

31.    Un certo sacerdote amava i cinesi e voleva fare qualcosa per essi. In quest'opera s'impegnò talmente che sembrava persino che i suoi occhi fossero diventati a mandorla come quelli dei cinesi. Se vivo costante­mente in compagnia di Gesù finirò per assomigliargli e fare come Lui. Niente è più gradito a Dio della no­stra obbedienza. Amiamo dunque Dio non per quello che dà, ma per quello che si degna di prendere da noi. I nostri piccoli atti d'obbedienza ci danno l'occasione di provargli il nostro amore.




UNDICESIMO MESE


1. Come Gesù nella sua Incarnazione divenne uno di noi in ogni cosa salvo che nel peccato, così anche noi quando siamo stati mandati come Fratelli contempla­tivi in nuovi paesi o in nuovi stati all'interno dello stesso paese, in vero spirito di missionarietà:
- saremo distaccati dalla nostra terra d'origine, dalla nostra cultura e lingua;
- impareremo ad amare la nuova terra e i suoi abitanti, apprenderemo la loro lingua, c'informeremo sulla loro storia, cultura e convinzioni religiose;
- rispetteremo le loro abitudini e i loro costumi e tuttavia, in quanto membri di una famiglia religiosa internazionale, manterremo la libertà di usare ciò che è sacro, bello, e necessario dalle culture di qualsiasi popolo e nazione nell'intera famiglia di Dio, adottan­do, tuttavia, in modo particolare, la cultura, gli usi e le consuetudini di Gesù Cristo e dei suoi santi che non passeranno mai di moda e che contengono il me­glio di tutte le culture di tutto quanto il mondo.

2.         Se entriamo a far parte di una Comunità fuori del nostro paese o veniamo mandati in missione, accette­remo liberamente la nostra destinazione, felici di sof­frire e morire con la gente, se occorrerà, e pronti a re­stare in quel luogo finché l'obbedienza non ci farà tornar via.
Nell'adattarci al modello di vita della gente fra cui stiamo, sacrificheremo ciò che non è strettamente ne­cessario alla nostra vita, tenendo presente che siamo in rapporto non solamente coi poveri di quel paese ma con i poveri di tutto il mondo.

3.         L'abbandono totale... Per noi, la vita contemplativa significa anche una risposta ardente e gioiosa alla sua richiesta di una unione piu intima con Lui me­diante:
- un abbandonarsi completamente nelle sue mani;
- un cedere totalmente ad ogni suo gesto d'amore, dandogli libertà suprema sopra di noi, perché Egli possa esprimere il suo amore come più gli piace, sen­za tener conto di noi stessi;
- un bramare con ardente desiderio tutto il sacri­ficio e la gioia insite in quell'unione.
Ciò significa anche:
- essere prigioniero volontario del suo amore, vittima volontaria del suo amore ferito, olocausto vi­vente e
- anche se ci taglia a pezzi, saper gridare: « Ogni brandello è tuo ».

4.         Una fede amante significa per la nostra vita con­templativa:
- una confidenza assoluta, incondizionata e in­crollabile in Dio, nostro Padre amorevole, anche quando pare che tutto stia fallendo;
- un guardare a Lui solo come nostro aiuto e pro­tettore;
- uno smettere di dubitare e di essere scoraggiati, gettando tutte le nostre preoccupazioni e i nostri af­fanni sul Signore e camminando con ~n senso di com­pleta libertà;
- essere coraggiosi e assolutamente senza paure di fronte agli ostacoli, ben sapendo che niente è im­possibile a Dio e
- un fare totalmente assegnamento sul nostro Pa­dre celeste, mossi da quello spontaneo abbandono, ti­pico dei bambini, interamente persuasi della nostra assoluta nullità, ma confidando sino ad apparirne sconsiderati, nella sua bontà paterna, animati da co­raggiosa confidenza.

5.         La letizia è proprio il frutto dello Spirito Santo e un chiaro segno che esso regna dentro di noi. Gesù condivise la propria gioia con i Suoi discepoli: « Che la mia gioia sia in voi e che la vostra gioia sia piena (Gv. 15,11). La nostra gioia è un frutto della genero­sità, assenza di egoismo e stretta unione con Dio; poi­ché concede il massimo colui che dona con gioia e Dio ama un lieto donatore.

6. Ce ne andremo volontariamente in città e villaggi, per tutto il mondo, anche nei quartieri più squallidi e pericolosi, con Maria, la Madre Immacolata di Gesù, alla ricerca dei più poveri spiritualmente, sorretti dal tenero affetto dì Dio e proclamando ad essi la buona novella della salvezza e della speranza, cantando con loro le sue canzoni, portando loro il Suo amore, la sua pace e la sua gioia.

7. Chiameremo i peccatori alla conversione e li por­teremo a Dio con il nostro personale interessamento nei loro confronti, proclameremo con loro la miseri­cordia di Dio, e quando sarà necessario ricorderemo loro anche la giustizia di Dio e gli indicheremo la via della salvezza mediante lo spirito di abnegazione e la croce; li condurremo a un completo cambiamento delle attitudini e del cuore, mediante la fede nel nome di Gesù e vivendo il suo messaggio di amore per il Padre e per il prossimo.

8. Istruiremo gli ignoranti con la forza dell'esempio delle nostre vite, vissute interamente in e con Gesù Cristo Nostro Signore, diventando testimoni della ve­rità del Vangelo con una tenace devozione personale, e un amore ardente a Cristo e alla sua Chiesa ed an­che con la proclamazione verbale della Parola di Dio, senza timore, apertamente e chiaramente, secondo l'insegnamento della Chiesa, ovunque se ne presenti l'opportunità.

9. Consiglieremo i dubbiosi ascoltandoli attentamen­te, con amore, devotamente e poi annunciando loro la verità di Dio, con fermezza, gentilmente e con amore.
Sosterremo coloro che sono tentati con la nostra preghiera, le nostre mortificazioni e un amore com­prensivo; quando poi se ne offrirà l'occasione, anche con parole di luce e di incoraggiamento.
Daremo la nostra amicizia a chi è senza amici, con­forteremo gli ammalati e chi soffre con un amore vero e mostrando loro la nostra personale partecipazione, identificandoci con essi nel loro dolore e sofferenza e pregando con essi perché Dio li conforti e li guarisca e incoraggiandoli a offrire le loro sofferenze al Signore per la salvezza del mondo intero.

10   Sopporteremo pazientemente le offese non op­ponendoci ai malvagi... se qualcuno ci colpirà sulla guancia destra offriamogli anche la sinistra; se qualcuno ci prende qualcosa, non cerchiamo di ri­prenderla.
Perdoneremo le ingiurie, non desiderando vendet­ta, ma restituendo bene per male, amando i nostri ne­mici, e pregando per coloro che ci perseguitano e be­nedicendo coloro che ci maledicono.
Porteremo il dono della preghiera dentro le vite di quelli che spiritualmente sono i più poveri, pregando con loro e per loro e facendo sperimentare ad essi, personalmente, la preghiera e la realtà della promes­sa di Gesù: « Chiedete e vi sarà dato. Qualunque cosa chiediate in nome mio ve la concederò ».

11.  L'umiltà è verità; perciò, in tutta sincerità dob­biamo essere capaci di levare lo sguardo e dire: «Pos­so compiere tutte queste cose in Lui che mi dà la for­za ». Grazie a tale affermazione di San Paolo, dovete nutrire una certa fiducia nel compiere la vostra opera
-      o meglio, l'opera di Dio - bene, efficacemente, anche perfettamente, con Gesù e per Gesù. Convince­tevi che da soli non potete fare nulla, che non posse­dete nulla eccetto il peccato, la fragilità e la miseria: che tutti i doni della natura e della grazia che avete, li avete per merito di Dio.

12.       L'aspetto missionario della nostra chiamata alla contemplazione troverà la sua espressione nel recarci con sollecitudine dallo spiritualmente più povero tra i poveri;
- personalmente, per proclamare la pace, la gioia e l'amore di Dio in qualunque luogo siamo mandati, come pure in spirito, in ogni parte dell'immenso creato di Dio, dal pianeta più lontano sino agli abissi del mare, dalla cappella del convento più isolato sino alla chiesa più abbandonata, da una clinica per l'aborto di una città sino alla cella di una prigione in un'altra, dalla Sorgente di un fiume in un continente alla grotta di una montagna solitaria in un altro, e anche dentro il paradiso e fino alla porta dell'inferno, pregando con e per ciascun essere creato da Dio perché venga salvato e santificato ciascuno per cui è stato sparso il sangue del Figlio di Dio.

13.       L'aspetto contemplativo della nostra vocazione missionaria ci fa radunare assieme tutto l'universo per portarlo nel mezzo del nostro cuore, dove risiede Colui che è la fonte e il Signore del creato, mantenen­doci in comunione con Lui, bevendo alla sorgente stessa la calma profonda e la quiete interiore e la fre­schezza di Dio, lasciando che l'acqua pura della gra­zia divina scorra copiosamente e incessantemente dal­l'origine su tutta la creazione.

14.       L'aspetto universale della nostra vita di contem­plazione ci fa pregare e contemplare con ogni cosa e per ogni cosa, specialmente con gli spiritualmente più poveri tra i poveri di tutto quanto il mondo.

15.       L'aspetto di semplicità della nostra vita di con­templazione ci fa vedere il volto di Dio in ogni cosa e in ognuno, ovunque e sempre. Ci fa vedere la sua ma­no in tutti gli avvenimenti e ci fa fare tutto quel che facciamo... sia che pensiamo, studiamo, lavoriamo, parliamo, mangiamo o ci riposiamo... in Gesù, con Gesù, per Gesù e a Gesù, sotto lo sguardo amoroso del Padre, essendo totalmente a sua disposizione, qualunque sia la forma in cui egli scelga di venire a noi.

16. Non dobbiamo sprecare il nostro tempo alla ri­cerca di esperienze straordinarie nella nostra vita di contemplazione, ma vivere di pura fede, attenti e pronti alla sua venuta, compiendo i nostri doveri gior­no dopo giorno con straordinario amore e devozione.

17.       La nostra contemplazione è gioia pura, nella con­sapevolezza della presenza del Signore. ~ puro silen­zio, mentre sperimentiamo la sua pienezza. La con­templazione è la nostra vita. Non è tanto un modo di fare quanto un modo di essere. ~ il possesso del no­stro spirito da parte dello Spirito Santo che alita in noi la pienezza di Dio e che ci manda incontro a tutto il creato come suo personale messaggio d'amore.

18.       La nostra vita di contemplazione è semplice­mente: un realizzare la costante presenza di Dio e il suo tenero amore per noi anche nelle piccolissime cose della vita e un essere costantemente a sua disposizione, amandolo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta l'anima e con tutte le forze, senza guardare in quale forma Egli si presenta a noi.
Siamo chiamati a restare immersi nella contempla­zione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo che si amano vicendevolmente e amano noi, manifestandolo nelle grandi meraviglie della creazione, della reden­zione e della santificazione.

19.       Non dobbiamo fare troppo affidamento sui libri scritti dagli uomini per imparare la contemplazione, bensì porci dinanzi a Gesù e domandargli di mandar­ci il suo Spirito perché ci insegni come contemplare.

20.       La formazione non ci verrà data tanto dalle paro­le, ma dall'esempio vivente di coloro che di essa si oc­cupano, come pure di ciascuno nella comunità, e ver­rà anche dalla preghiera, dal sacrificio e dalla vera, personale sollecitudine per coloro che stanno prepa­rando, nelle loro vite, la via per il Signore.

21.       Gesù che contempla dentro di noi è anche la roc­cia della nostra contemplazione, la foresta della no­stra meditazione, il deserto della solitudine, il nostro eremo, la grotta nella quale rimaniamo profonda­mente immersi nella contemplazione di Dio, in comu­nione con tutti i nostri Fratelli e le nostre Sorelle.

22. Trascorreremo due ore al giorno, all'alba e al tramonto, in adorazione di Gesù, esposto nel Santissi­mo Sacramento. Le nostre ore di adorazione saranno ore speciali di riparazione per il male della società e di intercessione per i bisogni di tutto il mondo, espo­nendo l'umanità malata per il peccato e sofferente ai raggi che risanano, che sostengono, che trasformano, emananti da Gesù, nell'Eucarestia.

23.       I contemplativi e gli asceti di tutte le epoche e di tutte le religioni hanno cercato Dio nel silenzio, nella solitudine del deserto, della foresta, dei monti. Gesù stesso trascorse quaranta giorni nel deserto e lunghe ore in comunione con il Padre, nel silenzio della notte sulle montagne.

24.       Anche noi siamo chiamati a ritirarci, a intervalli, in un silenzio più profondo e in solitudine con Dio, assieme alla comunità come pure privatamente, per essere soli con Lui, non con i nostri libri, i nostri pen­sieri ed i ricordi, ma strappati completamente da ogni cosa, per abitare amorevolmente con la sua presenza: silenziosi, svuotati, in attesa, immobili.

25. Il sacramento della penitenza è un atto dell'amo­re perfetto di Dio, verso l'uomo e l'intero universo. Essa cerca di riconciliare l'uomo con Dio, l'uomo con l'uomo e l'uomo con la creazione di Dio, operando l'unità in Gesù, con Gesù e attraverso Gesù di tutto ciò che era stato distrutto dal peccato. E per noi una gioiosa identificazione col Cristo crocefisso; è una fa­me di perdersi in Lui, cosicché nulla rimanga di noi, ma Lui solo nella sua gloria radiosa che trascina tutti gli uomini al Padre. « Se il chicco di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto» (Cv. 12, 24).

26.       Proprio come un rigido inverno apre la strada alla primavera, la penitenza ci prepara alla santità di Dio, riempiendoci della sua visione e del suo amore. Ci rende sempre più mondi dal peccato e ci pone in sintonia con l'opera dello Spirito che vive in noi, po­nendo tutto il nostro essere sotto la potente influenza di Gesù. Ci immerge nella profonda contemplazione di Dio.

27.       « Noi siamo tenuti in esilio dalla presenza del Si­gnore fino a che siamo dentro questo corpo e bramia­mo ancora le cose di questo mondo » (San Francesco d'Assisi). Non è possibile alcuna contemplazione sen­za ascetismo e senza sacrificio di se~. « La strada verso Dio richiede una sola cosa indispensabile: una since­ra negazione di sé, esteriore e interiore, attraverso l'abbandono di sé, sia nel soffrire per il Cristo che nell'annullarsi in tutte le cose » (San Giovanni della Croce).

28.       Adotteremo particolari gesti e atteggiamenti di preghiera servendocene significativamente per meglio esprimere la nostra devozione. Perciò
-           useremo l'acqua santa come un segno di purifi­cazione interiore e di benedizione di Dio;
-           faremo il segno della croce accuratamente come un segno di completa appartenenza al Padre, al Fi­glio e allo Spirito Santo, scelti e messi da parte per la contemplazione e l'amore, sigillati ai poteri della car­ne, del mondo e del diavolo;
-           terremo le nostre mani giunte in preghiera co­me un segno di profondo rispetto e adorazione di Dio;
-           ci inginocchieremo con devozione, come un se­gno di adorazione, di supplica, di intercessione, di umiltà e di penitenza;
-           pregheremo stando in piedi, eretti, nella pre­ghiera liturgica, come un segno della partecipazione comunitaria del popolo di Dio nella adorazione pub­blica della Chiesa - la Chiesa pellegrina verso il Pa­dre - come segno pure della nostra liberazione e re­surrezione in Cristo, e del nostro rispetto, della nostra vigilanza e disponibilità in ogni cosa;
-           pregheremo stando seduti con grande concen­trazione significando la nostra capacità di ascolto, di docilità, di intimità, di contemplazione e di amorevole fiducia;
-           ci prostreremo profondamente nell'adorazione come simbolo di un totale abbandono.

29.       Faremo del nostro meglio per introdurre e inco­raggiare la preghiera personale e familiare, la medi­tazione e la lettura spirituale, partecipando la Parola di Dio, nelle Scritture, fra di noi e, se è possibile, in ogni casa che visitiamo.

30.       Rinunciamo deliberatamente a tutti i desideri di vedere il frutto della nostra fatica, facendo tutto quel che possiamo e come meglio ne siamo capaci, lascian­do il resto nelle mani di Dio.






DODICESIMO MESE

1.         Vi sono tre segni che denunciano una vera umiltà; vediamo di possederli:
1. Deferenza, rispetto e obbedienza verso i supe­riori.
2  Accettazione gioiosa di tutte le umiliazioni.
3. Carità verso gli altri, in particolare verso i più poveri e umili.

2. Come potrò diventare umile? Con le umiliazioni che mi verranno, accettandomi come sono e rallegran­domi della mia debolezza. Per natura non possono piacerci queste cose, ma la fiducia in Dio può fare tutto. Dio ha bisogno del vostro vuoto e della vostra modestia e non della vostra ricchezza. Una Sorella fervorosa è conscia della propria debolezza e cerca di essere felice quando gli altri la constatano.

3. Questi sono i modi con cui possiamo mettere in pratica l'umiltà: parlando il meno possibile di noi stessi; rifiutando di immischiarci negli affari degli altri; bandendo la curiosità; accettando allegramente le opposizioni e le corre­zioni; passando sopra agli errori altrui; accettando insulti e offese; accettando di venir trascurati, dimenticati e non amati; non cercando di essere particolarmente prediletti e ammirati; rispondendo con gentilezza anche se provocati; non calpestando mai la dignità di nessuno; cedendo alla discussione, anche se si ha ragione; scegliendo sempre ciò che è più duro.

4.         Non dimentichiamo che noi dobbiamo umiltà a Dio oltre a un profondo rispetto per Lui, e che questa nostra umiltà non è soltanto una imitazione di Cristo ma anche un modo perfetto di donarsi a Gesù, poiché, quando siamo capaci di accettare con gioia tutte que­ste umiliazioni, il nostro amore per Gesù diventa molto intimo e molto ardente.

5.         Non è umiltà invece:
il bisogno, quando si viene umiliati e corretti, di cercar sempre di giustificarsi;
il rifiutare di riconoscere i propri sbagli, facendo ricorso anche alla slealtà;
lo scaricare il biasimo su qualcuno;
il nutrire l'ambizione di venire lodati;
il bramare qualche incarico per comandare.

6.         Se sarete umili, niente vi toccherà, né lodi né igno­minie, perché vi conoscete. Se venite biasimati, non vi sentirete scoraggiati; se qualcuno vi dirà santo non vi metterete su un piedistallo. Se siete santo, ringraziate Dio; se siete peccatore, non rimanete tale. Cristo ci dice di mirare molto in alto, non di essere come Abra­mo o come Davide o qualche altro santo, ma di essere come il Padre celeste.

7.         Il tempo dell'Avvento è come il tempo di primave­ra nella natura, quando ogni cosa si rinnova ed è così fresca e rigogliosa. L'Avvento dovrebbe compiere questo in noi... rinnovarci e renderci rigogliosi, capaci di ricevere Cristo in qualunque forma venga a noi. A Natale viene come un bambino, piccolo, indifeso, cosi bisognoso di sua madre e di tutto quello che l'amore di una madre può dare. Fu l'umiltà di sua madre che la rese capace di essere la serva del Cristo... il Dio da Dio, Dio vero da Dio vero. Guardiamo e tocchiamo la grandezza che ricolma la profondità della loro umiltà. Non possiamo fare meglio di Gesù e di Maria. Se ve­ramente vogliamo che Dio ci riempia, dobbiamo svuotare noi stessi, attraverso l'umiltà, di tutto l'egoi­smo che è dentro di noi.

8.         Chiediamo alla Madonna di rendere « miti e umi­li » i nostri cuori come fu quello di suo Figlio. Fu den­tro di lei e da lei che venne formato il cuore di Gesù. Cerchiamo tutti noi, durante questo mese, di mettere in pratica l'umiltà e la mitezza. Impariamo a essere umili accettando con gioia le umiliazioni: non lascia­moci sfuggire nessuna occasione. E così facile essere orgogliosi, pungenti, instabili ed egoisti... così facile! Ma siamo stati creati per cose più grandi; perché ce­dere a cose che tolgono bellezza al nostro cuore? Quanto possiamo apprendere dalla Madonna! Era tanto umile perché apparteneva tutta a Dio. Era piena di grazia. Si servì dell'onnipotente forza che era in lei, la grazia di Dio.

9.         L'umiltà irradia sempre la grandezza e la gloria di Dio. Come sono meravigliose le vie del Signore! Egli sperimentò l'umiltà, l'insignificanza, l'essere indifeso, la povertà, per dimostrare al mondo quanto lo amava. Le Missionarie della Carità non abbiano paura di es­sere umili, piccole, indifese per dimostrare il loro amore a Dio.

10.       E amando Nostro Signore e il prossimo che la nostra umiltà fiorirà, ed è nell'essere umile che il no­stro amore diventerà vero, devoto, ardente.

11.       Preoccupiamoci realmente di imparare la lezione della santità da Gesù, il cui cuore era umile e mite. La prima lezione che apprendiamo da questo cuore èl'esame di coscienza' e il resto - l'amore e il servizio
- seguono di stretta misura. L'esame non è solo ope­ra nostra, ma una collaborazione tra noi e Gesù. Non dobbiamo sprecare il nostro tempo in inutili occhiate alle nostre miserie, ma dovremmo elevare i nostri cuori a Dio e lasciare che la sua luce ci illumini, così che Lui faccia il cammino con noi.

12.       Dio vuole che stiamo stretti a Lui. San Giovanni dice che Egli ci ha aperto il suo cuore. Diventate pic­coli e poi potrete entrare dentro di esso. Una cosa è se sono io a dirmi peccatore, ma fate che sia qualcun al­tro a dire questo di me e io mi leverò subito a prote­stare. Se vengo accusato falsamente può darsi che ne soffra, ma nel profondo c'è la gioia, invece se la corre­zione è fondata - se qualcosa in me l'ha meritato allora spesso mi fa più male. Dobbiamo essere con­tenti che i nostri sbagli siano conosciuti ed essere aperti con i nostri superiori sugli errori e sulle nostre manchevolezze.

13.       Potreste avere estasi e visioni, e tuttavia ingannar­vi. Attenzione! Ci sono i fili di seta dell'orgoglio e del­l'inganno, per esempio, che nascondono buone quali­tà: una bella voce, l'abilità di far contenti gli altri, ec­cetera. « Non posso far questo, non posso far quello... ma posso essere pigro. » L'orgoglio spesso si fa scudo dietro la pigrizia.

14.       Dolersi e scusarsi è cosa naturalissima, ma sono tutti mezzi che il diavolo usa per accrescere il nostro orgoglio. La correzione a volte fa molto male quando è molto vera.

15.       L'umiltà è la madre di tutte le virtù: la purezza, la carità, l'obbedienza. San Bernardo e tutti i santi co­struirono la propria vita sull'umiltà. La benevolenza e l'orgoglio non possono stare assieme, perché l'orgo­glio fa tutto per se stesso, mentre la carità ha bisogno di dare. Le Sorelle più amate sono quelle che sono umili. La conoscenza di sé ci pone in ginocchio e ciò è indispensabile per amare. Infatti la conoscenza di Dio dà amore e la conoscenza di sé dà umiltà.

16.       La conoscenza di sé è indispensabile nella confes­sione. Ecco perché i santi potevano dire di essere dei malvagi criminali. Guardavano Dio e poi guardavano se stessi... e vedevano la differenza. Di qui il motivo per cui non erano mai sorpresi quando qualcuno li accusava, anche falsamente. Conoscevano se stessi e conoscevano Dio. Ci offendiamo perché non conoscia­mo noi stessi e i nostri occhi non sono fissi soltanto su Dio; così, non abbiamo una vera conoscenza di Dio. Quando i santi si guardavano con quel senso di orro­re, intendevano realmente questo. Non fingevano.

17.       Dobbiamo essere in grado di saper fare una di­stinzione tra conoscenza di sé e peccato. Il conoscere se stessi aiuterà a risollevarsi, mentre il peccato e la debolezza che conducono a ricadere porteranno allo sconforto. Una profonda fiducia e confidenza verrà proprio attraverso la conoscenza di sé. Allora vi rivol­gerete a Gesù perché vi sostenga nella vostra debolez­za, mentre se pensate di essere forti, non crederete di aver bisogno del Signore.

18.       Le umiliazioni provengono anche dagli angoli più impensati, come dalle persone stesse votate a Dio: i vescovi, i sacerdoti e le suore. Siete guardati in ma­niera sprezzante da alcuni a causa della vostra man­canza di cultura o di istruzione, e la vostra inefficien­za nel lavoro è vista come una mancanza di qualifica­zioni adeguate o a causa della vostra goffaggine. Al­cuni non capiscono il vostro modo di vivere o la nostra carità verso il povero e così vi criticano. Anche Cristo venne disprezzato dalla classe intellettuale della sua nazione, dai sommi sacerdoti e dai Farisei. E un nuo­vo motivo di benedizione questo poter condividere lo stesso destino del Cristo, anche se pure in piccolissima parte.

19.       La gioia non è soltanto una questione di tempe­ramento nel servizio di Dio e delle anime; è sempre qualcosa di molto difficile... una ragione di più per cercare di acquisirla e farla crescere nei nostri cuori.

20.       La gioia è una necessità e una forza per noi, an­che fisicamente. Una Sorella che ha coltivato uno spi­rito di gioia si sente meno stanca ed è sempre pronta ad andare in giro a compiere il bene. Una Sorella ri­piena di gioia predica anche senza predicare. Una So­rella gioiosa è come la luce solare dell'amore di Dio, la speranza di una felicità eterna, la fiamma di un amore ardente.

21.       La gioia è la migliore difesa contro le tentazioni. Il demonio è portatore di polvere e sudiciume; si serve di ogni occasione per scagliarci contro quello che ha. Un cuore lieto sa come difendersi da questo sudiciu­me. Gesù può prendere pieno possesso della nostra anima soltanto se essa si abbandona a lui con gioia. « Un santo triste è un tristo santo-», era solito dire San Francesco di Sales. Santa Teresa era preoccupata per le sue Sorelle solamente quando vedeva una di esse perdere la gioia.

22.       Ai bambini e ai poveri, a tutti coloro che soffrono e sono soli, fate loro, sempre, il dono di un sorriso; da­tegli non soltanto la vostra attenzione ma anche il vo­stro cuore.
Può darsi che non saremo capaci di dare molto, ma possiamo sempre donare la gioia che si sprigiona dà un cuore che vive in rapporto d'amore con Dio. La gioia è molto contagiosa. Perciò, siamo sempre pieni di gioia quando andiamo tra i poveri.

23.       Qualcuno una volta mi domandò: « Sei sposata? », e io risposi: «Sì, e trovo difficile talora sorridere a Ge­sù, perché a volte Egli può essere anche molto esigen­te». E piuttosto vero tutto questo. E accade dove na­sce l'amore, quando è impegnativo... e nonostante questo noi possiamo donarlo a Lui con gioia.

24.       Noi desideriamo poter accogliere Gesù a Natale, non in quella gelida mangiatoia che è a volte il nostro cuore, ma in un cuore pieno d'amore e di umiltà, in un cuore così puro, così immacolato, così caldo di amore l'uno per l'altro.

25.       La venuta di Gesù a Betlemme portò gioia al mondo e a ogni cuore d'uomo. Lo stesso Gesù conti­nua a venire nei nostri cuori durante la Santa Comu­nione. Vuole donare la stessa gioia, la stessa pace. In questo Natale possa la sua venuta portare a ciascuno di noi quella pace e quella gioia che Egli brama di darci. Preghiamo molto per la venuta di questa grazia di pace e di gioia nel nostro stesso cuore, nelle nostre comunità, nelle nostre famiglie e nella Chiesa.

26.       Gesù venne in questo mondo per uno scopo. Ven­ne per darci la buona novella che Dio ci ama, che Dio è amore, che ama te e ama me. Egli vuole che ci amiamo vicendevolmente come Egli ama ciascuno di noi. Amiamolo! Come lo amò il Padre? Lo diede a noi. Gesù come amò me e te? Dando la propria vita. Diede tutto quello che aveva... la sua vita... per me e per te. Morì sulla croce perché ci amava e vuole che ci amiamo fra di noi come Lui ci ha amato. Quando contempliamo la croce, capiamo come ci ha amato. Quando guardiamo la mangiatoia, capiamo come ci ama ora di tenero amore, te e me, la tua famiglia e ogni famiglia. E Dio ci ama di un amore tenero.
tutto quanto Gesù è venuto a insegnarci: il tenero amore di Dio. « Vi ho chiamato per nome, perché sie­te miei.»

27.       La letizia e la gioia erano la forza della Madon­na. Questo la fece l'ancella volenterosa di Dio, suo Figlio, poiché non appena venne in lei, « si mise in fretta in viaggio ». Soltanto la gioia poteva averle dato la forza di mettersi in fretta in viaggio per le monta­gne della Giudea per servire la cugina. E così anche per noi: anche noi come lei dobbiamo essere vere an­celle del Signore e, quotidianamente, dopo la Santa Comunione inerpicarci in fretta su per le montagne delle difficoltà che incontriamo per offrire, con tutto il cuore, il nostro servizio ai poveri. Donare Gesù ai po­veri come l'ancella del Signore.

28.       La gioia è preghiera, la gioia è forza, la gioia èamore, una rete d'amore con la quale puoi catturare le anime. Dio vuol bene a chi dona in letizia. Egli concede il massimo a chi dona con gioia. Se nel vostro lavoro incontrate delle difficoltà e le accettate con gio­ia, con un grande sorriso - in questo lavoro come in ogni altra opera buona - essi vedranno le vostre buo­ne opere e glorificheranno il Padre. Il modo migliore per mostrare la vostra gratitudine a Dio e alla gente è di accettare ogni cosa con gioia. Un cuore gioioso è il risultato logico di un cuore che brucia d'amore.

29.       «Chi dite voi che io sia?» (Mt. 16, 15).
Tu sei Dio.
Sei Dio vero da Dio vero.
Generato non creato.
Della stessa sostanza del Padre.
Sei il Figlio del Dio Vivente.
Sei la seconda Persona della Santissima Trinità.
Sei una cosa sola con il Padre.
Sei con il Padre sin dal principio.
Tutte le cose sono state create da te e dal Padre.
Sei il Figlio diletto nel quale il Padre si è compia­ciuto.
Sei il figlio di Maria, concepito dallo Spirito Santo nel suo grembo.
Sei nato a Betlemme.
Sei stato avvolto da Maria in fasce e posto in una mangiatoia piena di paglia.
Ti ha riscaldato il respiro di un asino che portò in groppa tua madre con te nel suo grembo.
Sei il figlio di Giuseppe, il falegname, come lo chiamava la gente di Nazaret.
Sei un uomo comune senza molta istruzione, come ti giudica la classe colta di Israele.

30.       Chi è Gesù per me?
Gesù è il, Verbo fatto carne.
Gesù è il Pane di Vita.
Gesù è la Vittima immolata per i nostri peccati sul­la croce.
Gesù è il sacrificio offerto nella Santa Messa per i peccati del mondo e per i miei.
Gesù è la Parola da annunciare.
Gesù è la verità da rivelare.
Gesù è la via da percorrere.
Gesù è la luce da accendere.
Gesù è la vita da vivere.
Gesù è l'amore da amare.
Gesù è la gioia da condividere.
Gesù è il sacrificio da offrire.
Gesù è la pace da donare.
Gesù è il Pane di vita da dare come cibo.
Gesù è l'affamato da saziare.
Gesù è l'assetato da dissetare.
Gesù è l'ignudo da vestire.
Gesù è il senza tetto da ospitare.
Gesù è l'ammalato da risanare.
Gesù è l'abbandonato da amare.
Gesù è il rifiutato da accogliere.
Gesù è il lebbroso a cui lavare le piaghe.
Gesù è il mendicante a cui donare un sorriso.
Gesù è l'ubriacone da ascoltare.
Gesù è il malato mentale da proteggere.
Gesù è il bimbo da tenere tra le braccia.
Gesù è il cieco da condurre per mano.
Gesù è il muto per il quale parlare.
Gesù è lo storpio con cui camminare.
Gesù è il drogato da aiutare.
Gesù è la prostituta da togliere dalla strada e da soccorrere.
Gesù è il prigioniero da visitare.
Gesù è l'anziano da servire.

31.       Per me
Gesù è il mio Dio.
Gesù è il mio sposo.
Gesù è la mia vita.
Gesù è il mio solo amore.
Gesù è la cosa più importante per me.
Gesù è il mio tutto.
Gesù, ti amo con tutto il cuore, con tutta me stessa.
Gli ho dato tutto, anche i miei peccati ed egli mi ha scelta come sua sposa con tutta la tenerezza del suo amore.
Ora e per sempre sono la sposa del mio Sposo cro­cefisso.
Così sia.