sabato 1 settembre 2012

Martini: Guidami sulla Via della Vita - Meditazioni per ragazzi

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GUIDAMI SULLA VIA DELLA VITA
MEDITAZIONI PER RAGAZZI
Queste meditazioni degli Esercizi agli alunni delle scuole medie dei Seminari della diocesi di Milano,
predicati dal Cardinale Carlo Maria Martini, sono state trascritte dal registratore e non riviste dall’Autore.
Prima edizione: 1986 Quarta ristampa: 1993
EDITRICE ELLE DI CI


Introduzione
Abbiamo invocato lo Spirito Santo e ora rivolgiamo la nostra preghiera alla Madonna:
«O Maria, noi ti ringraziamo perché è tuo dono se noi siamo qui riuniti.
Ti ringraziamo perché ci troviamo tutti insieme ad ascoltare, con te, Gesù. Donaci di conoscerlo come tu lo conosci. Donaci di saperlo pregare e ascoltare come tu lo preghi e lo ascolti. Sorreggi i momenti facili e i momenti difficili delle nostre giornate e fa' che le tentazioni non ci turbino e non ci spaventino.
Sii sempre vicina a ciascuno di noi nel giorno e nel la notte, in ogni istante della nostra vita.
Tu, sede della sapienza, prega per noi. Tu, aiuto dei cristiani, prega per noi. Tu, rifugio dei peccatori, prega per noi».

Il tema degli Esercizi
Sono molto contento di essere tra voi per trascorrere alcuni giorni di riflessione comune e di preghiera.
Ho pensato di parlarvi di Gesù perché credo sia questo il desiderio del Signore; più precisamente, della conoscenza di Gesù. Il suggerimento mi è venuto da un piccolo volume scritto dal teologo Hans Urs von Balthasar: «Gesù ci conosce? Noi conosciamo Gesù?».
La domanda, a prima vista, potrebbe sembrare superflua, ma se ciascuno di noi si chiede: «Come mi conosce Gesù? Chi sono io per lui?» ci accorgiamo subito che occorre riflessione e approfondimento.
Ci potrà essere utile leggere il salmo 138 che inizia con un'affermazione: «Signore, tu mi scruti e mi conosci». Per questo vi consiglio di tenerlo presente in questi giorni.
Il tema dei nostri Esercizi vorrebbe quindi comprendere un interrogativo: «Gesù mi conosce?», e poi una risposta: «Tu mi ami e mi conosci».

Metodo degli Esercizi
Gli Esercizi spirituali sono un vero e proprio lavoro perché si tratta di «fare esercizio» personalmente, non di guardare un altro che si esercita o semplicemente di ascoltare un altro che parla.
Provate a pensare alla ginnastica: fare esercizio di ginnastica non significa guardare una partita di football, bensì fare degli esercizi ginnici.
In questi giorni voi dovrete fare un esercizio spirituale, un lavoro: il mio compito sarà soltanto quello di guidarvi. Volta per volta vi darò una traccia che comprenderà tre momenti. Enuncerò il titolo della singola meditazione e poi:

1) vi insegnerò a raccogliere i testi del Vangelo o della Scrittura;
2) vi spiegherò come capirli;
3) vi farò vedere come pregarli.
Questi tre momenti dovrete ripeterli per conto vostro, ma non sarà difficile perché cercherò di offrirvi degli esempi: lavorerete dunque sul titolo che vi darò ad ogni meditazione raccogliendo i testi, sforzandovi di capirli e di pregare su di essi.
Comunione e comunicazione
Sono venuto non solo per aiutarvi a riflettere, ma per pregare e per stare con voi. È la cosa più importante per il Vescovo vivere un momento di comunione, sia pregando in comune sia facendo silenzio. Perché anche nel mio silenzio pregherò con voi.
Tuttavia ho previsto un incontro con le varie classi per potervi anzitutto ascoltare. In questi incontri vorrei che ciascuno riuscisse ad esprimere quelle domande o quelle riflessioni che nascono dal lavoro fatto durante la giornata, e che riuscisse a esprimerle con libertà e tranquillità.
Naturalmente potrete anche scrivermi parlandomi di voi o di ciò che emerge dagli Esercizi. Quando non si tratta di cose strettamente personali risponderò in pubblico. Infine, nei limiti consentiti dal tempo, potrò ricevere chi avesse veramente bisogno di un colloquio privato.
Vorrei però sottolineare l'importanza della coscienza di comunione: soprattutto nella preghiera dobbiamo avere la certezza di essere una sola cosa e dobbiamo pregare come se fossimo una persona sola davanti al Signore.
Lettura del salmo 138
Per introdurci alla meditazione di domani leggiamo ora quel salmo 138 che ci spiega come Dio ci conosce.
Dapprima lo leggerò io e voi seguirete il testo (tra lascerò i versetti 19-22).
Quando avrò terminato, voi farete l'esercizio di sottolineare con la penna tutti i verbi che parlano del come Dio ci conosce: ad esempio, va sottolineato mi scruti, mi conosci, tu sai.
Dopo un momento di silenzio, ciascuno dirà ad alta voce i verbi che ha segnato. Concluderemo rileggendo insieme il salmo lentamente, in preghiera.
(Pausa di silenzio)
ARCIVESCOVO: Ho già ripetuto i primi tre verbi. Cosa viene adesso?
RAGAZZO: «Penetri da lontano i miei pensieri».
ARCIVESCOVO: Bravissimo! Come dici tu?
RAGAZZO: «Ti sono già note le mie vie... Già le conosci... Mi circondi».
ARCIVESCOVO: Sì, anche «mi circondi» è un modo di conoscere. E tu?
RAGAZZO: «Poni su di me la tua mano».
ARCIVESCOVO: Bene, e poi tu hai segnato: «Mi guida la tua mano». Questo guidare è un conoscere di Dio. Mi guida perché mi conosce. Anche «mi afferra» è un'altra metafora per indicare la conoscenza che il Signore ha di me. La stessa espressione: «Mi hai creato» significa che Dio mi conosce come colui che mi sta facendo. Tu cosa hai detto?
RAGAZZO: «Hai tessuto».
ARCIVESCOVO: Sì, il Signore ci conosce come un tessitore conosce il suo tessuto. Non avete sottolineato, al v. 14: «Ti lodo perché mi hai fatto»? È la conoscenza attiva di Dio. È più facile che venga all'occhio il verbo che viene dopo: «Mi conosci fino in fondo». E poi?
RAGAZZO: «Non ti erano nascoste».
ARCIVESCOVO: Qui la conoscenza di Dio è espressa in maniera negativa. Possiamo anche segnare: «Mi hanno visto i tuoi occhi». Cosa c'è nella riga seguente?
RAGAZZO: «Era scritto».
ARCIVESCOVO: È un altro modo di conoscere, cioè la mia vita, le mie cose sono scritte in Dio. Adesso dovete passare al versetto 23.
RAGAZZO: «Tu scrutami... conosci».
ARCIVESCOVO: Bravissimo! Prima però metterei: «Provami» perché il Signore, provandomi, mi conosce, mi mette alla prova e mi entra dentro. Poi c'è: «Vedi», Dio vede e, quindi, «guidami».
Forse non pensavamo che il salmo 138 potesse esprimere così intensamente la conoscenza di Dio verso di noi: è un conoscere, uno scrutare, un penetrare, un esplorare, un comprendere, un circondare, un mettere sopra la mano, un far riposare la mano sul capo, un afferrare. I verbi attivi parlano di plasmare, creare, tessere, ricamare (nel testo ebraico il verbo è appunto ricamare, anche se in italiano è tradotto con tessere), fare, vedere, provare, guidare.
Il salmo ci offre l'immagine di tutto quello che cercheremo di dire in questi giorni, per capire come Gesù mi conosce. Mi conosce non come uno che da lontano guarda col binocolo! Mi conosce perché opera in me, mi è vicino, è dentro di me, mi fa, mi plasma, mi costruisce.
Se il salmi sta che non conosceva ancora Gesù poteva già indicare, con tanta ricchezza di esempi, di metafore, di similitudini, che cosa è la conoscenza che Dio ha dell'uomo, che Dio ha di me, quante cose potremmo dire sul modo in cui Gesù mi conosce!
Ora, per concludere, rileggeremo il salmo pregando, cioè parlando con Dio, rivolgendoci a Gesù eucaristico e quindi guardando il tabernacolo. Lo leggeremo in piedi, che è una posizione di preghiera, lasciando che il respiro accompagni il momento della preghiera e, più lentamente, la pausa di silenzio.
Pronunciando il pronome «Tu» pensiamo che è il «tu» di Gesù: è Gesù che mi scruta e mi conosce, e desideriamo che questi giorni si riempiano di stupore e di meraviglia di fronte alla scoperta del come lui ci ama.
È importante sapere che Gesù mi conosce?
Qualcuno potrebbe chiedersi se è davvero importante conoscere il modo in cui Gesù ci conosce. È una cosa che aiuta nella vita, che serve?
Vorrei rispondere a questa possibile domanda con le parole che Gesù, nel vangelo secondo Giovanni, rivolge alla samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva!» (Gv 4, 10).
Se noi conoscessimo il dono di Dio e chi è Gesù che ci parla, la nostra vita sarebbe completamente diversa. Senza questa conoscenza di Gesù la nostra vita è fiacca, si trascina. Quando, ad esempio, ci sentiamo privi di volontà, di entusiasmo, oppure andiamo avanti per alti e bassi, significa che non abbiamo la conoscenza di Gesù o che si è sfocata. Quando in una parrocchia c'è grigiore, stanchezza, mancanza di gioia, i giovani si lamentano e sono scontenti, la gente frequenta poco la chiesa, possiamo dire: «Qui non c'è conoscenza di Gesù». Se poi il grigiore e la fiacchezza dominassero una classe, un seminario, rivelando una poca conoscenza di Gesù, la vita diventerebbe pesante, per non dire impossibile.
Per quanto riguarda voi, credo che ciascuno, se non avesse questa conoscenza di Gesù, potrebbe dire: «Il mio futuro è incerto e buio, vorrei sapere ma non so se Gesù mi chiama davvero, non so come fare a capire se sono chiamato».
Se non ho la conoscenza di Gesù, le domande che mi pongo restano confuse e senza risposta.
Già san Paolo diceva che la conoscenza di Gesù è così importante da far dimenticare tutto il resto: «Quello che poteva essere per me un guadagno, tutto ciò che mi dava successo, l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù mio Signore per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo» (Fil 3,7-8).
Sono parole fortissime, con le quali l'Apostolo dice: «Se ho la conoscenza di Gesù non mi importa più niente del resto, mi sento pieno dentro di me».
È quindi fondamentale per la nostra vita la conoscenza di Gesù di cui parleremo in questi giorni, e dobbiamo insistere nella preghiera: «O Gesù, fa' che io ti conosca, fa' che ti conosca come mi conosci tu, fa' che io conosca come tu mi conosci!».


I. GESÙ CONOSCE TUTTO E TUTTI
Il titolo della prima meditazione è: «Gesù conosce tutto e tutti». Cercheremo di svolgerla secondo i tre momenti del raccogliere i testi, capirli, pregarli.
La raccolta dei testi
Vi segnalo quattro brani del Vangelo dai quali appare che Gesù conosce tutto e tutti. Naturalmente, nel vostro lavoro personale, ciascuno potrà aggiungerne altri.
1. Il primo è un testo molto bello, cui diamo il nome: «Gesù conosce Natanaele», ed è riportato dall'evangelista Giovanni. «Natanaele domandò a Gesù: "Come mi conosci?". Gli rispose Gesù: "Prima che Filippo ti chiamasse io ti ho visto quando eri sotto il fico"»(Gv 1,48).
«Sotto il fico», indica probabilmente che Natanaele stava pregando o leggendo la Scrittura all'ombra di quella pianta. Gesù lo conosceva già e Natanaele si sente conosciuto da Gesù.

2. Il secondo testo, sempre dall'evangelista Giovanni, riporta alcune parole del dialogo tra Gesù e la samaritana. Lo indichiamo così: «La samaritana è conosciuta da Gesù». Cosa le dice, in realtà?
«Le disse: "Va' a chiamare tuo marito e poi ritorna qui". Rispose la donna: "Non ho marito". Le disse Gesù: "Hai detto bene... Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito. In questo hai detto il vero". Gli replicò la donna: "Signore, vedo che sei un profeta"» (Gv 4,16-19).

3. li terzo brano è nel vangelo secondo Matteo: «Gesù conosce i farisei». A Gesù viene portato un indemoniato e lui lo guarisce lasciando sbalordita la folla. I farisei, invece, cominciano a mormorare: «"Costui scaccia i demoni in nome di Beelzebul...". Ma egli, conosciuto il loro pensiero, disse loro: "Ogni regno discorde cade in rovina e nessuna città o famiglia discorde puòreggersi"» (Mt 12,24-25).
Gesù conosce dunque persino i pensieri dei farisei.

4. L'ultimo testo è dal vangelo secondo Luca e possiamo chiamarlo: «Gesù conosce gli apostoli».
«Frattanto sorse una discussione tra loro, chi di essi fosse il più grande. Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un fanciullo, se lo mise vicino e disse: "Chi accoglie questo fanciullo nel mio nome accoglie me"» (Lc 9,46-48).

La comprensione dei testi
Adesso dobbiamo metterci al posto dei personaggi chiedendoci come hanno vissuto la situazione descritta dagli evangelisti. Che cosa avviene in loro quando si sentono conosciuti da Gesù?
Avvengono due cose che ciascuno di noi ha sperimentato o sperimenta.

- La prima è il brivido di sentirsi conosciuto. Ma come mai tu mi conosci? Natanaele, infatti, lo chiede: «Sai davvero chi sono? E come fai a saperlo, come mai mi conosci e conosci ciò che nessuno conosce di me?».
È il brivido di scoprire che c'è qualcuno che mi conosce dentro e dall'alto, che mi conosce davvero, come mai avrei pensato di essere conosciuto. Ogni volta che noi ci accorgiamo di essere conosciuti da una persona che pensavamo ci fosse estranea, ci meravigliamo e restiamo scossi.
È questa la situazione dei personaggi dei testi. La samaritana resta stupita: «Ma come mai sa chi sono?». Gli apostoli non credevano che Gesù potesse vedere nei loro cuori.
Ricordo ancora l'emozione semplicissima che ho vissuto una volta a Parigi - città ancora più grande di Milano -, nella metropolitana. Nelle metropolitane delle città molto grandi ci sono moltissime persone che si affollano, si urtano senza mai salutarsi, senza avere il tempo di guardarsi. Tra l'altro, io non conoscevo nessuno a Parigi. Ad un certo punto, ecco che mi sento chiamare! Mi sembrava impossibile, non riuscivo a crederci. Si trattava di una persona che, quasi per caso, avevo conosciuto tempo prima; non ho dimenticato il senso di stupore provato in quella occasione. Pensavo di essere solo, sperduto in una grande folla, e invece c'era qualcuno che mi conosceva.
È il brivido che ha vissuto Mosè quando, nel deserto, si sentì chiamato per nome. Era solo nel deserto, abbandonato ed era certo che nessuno pensava a lui. Ad un tratto, la voce: «Mosè, Mosè!».
È il brivido di Natanaele, della samaritana, dei farisei e degli apostoli; è il brivido di capire che c'è uno, più alto di me, che sa leggere in me, nel mio cuore.

- La seconda cosa non la provano forse tutti, e vedremo più avanti il perché. L'hanno però sperimentata i personaggi di tre dei testi evangelici, non i farisei di cui ci parla il brano di Matteo. È la gioia di sapere che c'è uno che mi conosce davvero. Se siamo ben disposti ad accogliere il brivido di sentirci conosciuti, se non abbiamo paura di essere giudicati (come l 'hanno avuta i farisei), se siamo pronti come Natanaele o la samaritana, c'è la grande gioia, una gioia immensa.
Perché c'è una gioia immensa nella scoperta di sapere che c'è uno che mi conosce davvero? Perché talora capita - almeno a me, e mi capitava spesso alla vostra età - di avere il timore di non essere conosciuti per ciò che siamo. Mi capiscono gli altri? Mi capiscono veramente? Forse mi sono comportato goffamente, forse ho detto delle cose sbagliate, non quelle che volevo dire, e il risultato è forse che non mi sono fatto conoscere.
I superiori, ad esempio, mi conoscono davvero? E i compagni? Magari pensano di conoscermi, mi hanno addirittura dato un soprannome, ma mi conoscono per per quello che io sono? E i miei genitori mi conoscono, mi capiscono? Se mi capissero non sarebbe nato quel malinteso!
Ecco la gioia di sapere che c'è uno che mi conosce fino in fondo, che conosce i miei momenti cattivi, i miei desideri, che conosce di me anche ciò che non riesco a dire, a spiegare, che non ha bisogno di parole perché mi ha già visto dentro. Quando troviamo una persona che ci conosce in questo modo restiamo sorpresi e comprendiamo che la sua conoscenza viene da Dio, è qualcosa di divino.

Gesù è quindi Dio che mi conosce così.
Un'ultima riflessione è sui farisei. Hanno rabbia di sapere che un altro li conosce, hanno timore di essere smascherati, di essere colti nella loro ipocrisia. È una situazione difficile e pericolosa, perché se ci si incaponisce nella rabbia, si rifiuta la conoscenza di Gesù, non si ammette il proprio peccato.
La preghiera sui testi
Per pregare sui brani evangelici occorre semplicemente mettersi al posto di Natanaele o della samaritana o dei farisei o degli apostoli, non per indagare sulle loro reazioni bensì per parlare con Gesù. È questo il momento più importante del nostro lavoro. Se dalla lettura del Vangelo non passiamo alla preghiera, non ricaviamo grande frutto per la nostra vita.
- Cominciamo da Natanaele. Che cosa direi io, al posto di Natanaele?
Natanaele probabilmente non era molto stimato, non era un personaggio importante. lo, allora, direi: «Grazie, Gesù, perché mi conosci davvero, perché mi hai capito e hai capito che valgo qualche cosa. Grazie perché ti preoccupi di me, pensi a me, mi stimi. Grazie, Gesù, perché vedi anche il poco bene che faccio e sai valorizzare quello che forse né i miei compagni e nemmeno i miei superiori capiscono di me. Grazie perché mi conosci più a fondo di tutti e vedi il bene che tu hai messo dentro di me».
- Cosa direi al posto della samaritana?
«Grazie, Signore, perché conosci quanto poco valgo, perché conosci le mie sconfitte e le conosci con amore. Grazie perché conosci tutte le mie negligenze, le mie vigliaccherie che quasi nessuno conosce. Grazie perché conosci i miei peccati, le mie pigrizie, la mia sonnolenza, le mie chiacchiere, le mie arrabbiature, i miei litigi: tu però li conosci con amore, non te ne spaventi e mi resti vicino egualmente, li conosci e mi vuoi migliorare. Gesù, tu vedi in che situazione sono! Certe volte non so proprio da che parte voltarmi; sono come la samaritana, una povera donna senza cultura e senza istruzione; sono incapace di uscire dalla situazione in cui mi sono venuto a trovare. Tu mi conosci, Gesù, e questo mi basta».
La conoscenza di Gesù ci dà una grande calma, ci mette la pace nel cuore. Quando siamo arrabbiati perché siamo stati capiti male, quando ci sentiamo trattati ingiustamente, un po' calunniati, forse derisi, oppure ci sentiamo incapaci a fare qualcosa e ne proviamo vergogna, è il momento di appellarci alla conoscenza che Gesù ha di noi.
«Gesù, tu mi conosci e questo mi basta; sai che sono così e mi vuoi bene così, mi aiuti a camminare così, anche quando zoppico, anche se non sono il più bravo della classe. Tu mi aiuti sempre, anche se non sono il primo davanti agli altri, mi vuoi bene lo stesso. Sono contento di sapere che mi conosci così».
Come dicevo, questa conoscenza di Gesù è fonte di grande pace e non solo per voi. È fonte di pace per gli adulti, per i preti, per il Vescovo, per il Papa. Ci sono le critiche, ci sono tante cose da fare e non si riesce, e tuttavia c'è Gesù che ci conosce, che conosce la nostra povertà, che perdona i nostri peccati.

- Cosa direi al posto degli apostoli?
Qui la preghiera si fa più difficile perché bisogna accettare che Gesù conosce e capisce anche quello che io non capisco di me. Gli apostoli, quando discutevano chi fosse tra loro il più grande, non si comprendevano e non riuscivano a capire tutti i movimenti di superbia che avevano nel cuore. Gesù li conosce più di quanto loro non si capiscono e la loro preghiera, una volta che si sono un po' calmati, potrebbe essere: «Grazie, Signore, perché sai anche quello che io non so di me».
È importante sapere che Gesù conosce ciò che io non capisco di me stesso.
A me capitava, quando avevo la vostra età e anche dopo, di non capire, ad esempio, perché in certi momenti ero tanto entusiasta e poi, improvvisamente, diventavo triste, mi irritavo, provavo sentimenti che non avrei voluto avere. È difficile capire se stessi, e occorrono molti anni per giungere a conoscersi abbastanza bene: dico abbastanza perché, in realtà, ci sono sempre delle sorprese amare e là dove credevamo di essere forti ci siamo comportati da deboli, là dove pensavamo di essere coraggiosi siamo stati vigliacchi, là dove ci sentivamo tenaci e perseveranti ci siamo scoperti fiacchi!
«Tu però, Gesù, mi conosci e mi capisci! Stando con te, adagio adagio capirò meglio anche me. il mio modo di discutere era sbagliato, come era sbagliato il modo di discutere degli apostoli, e sono lieto di sapere che tu mi conosci meglio di me, che conosci ciò che faccio fatica a chiarire a me stesso. Signore, io mi affido a te!».

- Ancor più difficile è mettersi al posto dei farisei perché sono chiusi, non accettano di essere conosciuti da Gesù, anzi ritengono che Gesù non li conosca affatto. Non c'è quindi preghiera ma rifiuto. Non ci interessa questa conoscenza di Gesù, sappiamo bene ciò che noi siamo e ciò che vogliamo.
Molte vie sbagliate della nostra vita sono dovute al rifiuto della conoscenza di Gesù ed è necessario riflettere sull'atteggiamento dei farisei.
Prima di lasciarvi al lavoro personale, all'esercizio di raccolta dei testi, di comprensione e di preghiera, concludo con una breve invocazione: «Ti chiedo, Signore, come san Paolo, di saper apprezzare talmente la conoscenza di te da desiderarla sopra tutte le cose. Donami, Padre, la conoscenza di Gesù! Te lo chiedo per Gesù Cristo nostro Signore. Amen».

Vivere per Gesù e con Gesù
(omelia nella S. Messa del 4 marzo)
Ascoltando il brano del vangelo secondo Matteo (6,7-18) avrete già notato che parla della conoscenza che il Padre ha di noi, quella conoscenza che comunica a Gesù, perché Gesù è una sola cosa con il Padre.
Possiamo partire dalla parola finale del brano: «Il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà» (6;18). Il Padre vede là dove nessuno vede, nel segreto del mio cuore. Anzi, il Padre non soltanto vede nel segreto ma è nel segreto (6,18). Quando sono in camera, da solo, o in qualunque luogo io mi trovi solo, e nessuno può vedermi, lui è là. Il Padre è. Pensiamo all'esperienza di chi, trovandosi nella solitudine di un deserto, può dire: Dio, il Padre è qui, è con me. Il Padre è nel momento più nascosto della mia vita, nel bene e nel male.
Sono due affermazioni: «vede nel segreto», «è nel segreto», che corrispondono alla tesi svolta nella meditazione: Gesù conosce tutto e tutti.
Ci domandiamo: chi sono coloro che non credono che Dio vede nel segreto ed è nel segreto? Chi sono coloro che magari lo credono a parole e però non a fatti? Come si chiamano queste persone?
Gesù dà loro il nome di «ipocriti». Ipocrita è chi non crede che Dio vede nel segreto e quindi ha sempre bisogno di farsi vedere dagli altri, credendo che sia questa la cosa importante. Ipocrita è chi recita, chi si mette la maschera, chi vive recitando una parte per farsi applaudire, approvare, lodare dai superiori, dai compagni, dagli amici.
L'ipocrisia significa essere contenti che gli altri ci stimino ed essere tristi quando gli altri ci trascurano o pensano male di noi.
La vera vita, ci insegna Gesù, consiste invece nel vivere davanti al Padre, per il Padre e con il Padre, per Gesù e con Gesù.
È una sorte terribile quella di chi si lascia prendere dalla mania dell'ipocrisia, del fare cioè ogni cosa pensando a quello che gli altri potranno dire. È una vera e propria schiavitù che ci toglie la libertà, che ci impedisce il coraggio nelle convinzioni. È una mancanza di libertà anche nel bene. Infatti Gesù prende in giro coloro che assumono l'aria malinconica, che si sfigurano il volto per mostrare agli uomini di aver digiunato!
È veramente libero chi si preoccupa del Padre che vede nel segreto, chi vive, come Abramo, davanti a Dio e cammina davanti a lui.
«Gesù, fa' che noi camminiamo sempre solo davanti a te! Tu lo sai che abbiamo paura del giudizio degli altri, che quando gli altri ci deridono ci rattristiamo e ci arrabbiamo. Però, quando pensiamo a te, ci accorgiamo che la sola cosa importante è il giudizio che tu hai di noi, è ciò che tu ci dici.
Aiutami, Signore, a vivere questi giorni di Esercizi nel segreto, facendo quindi silenzio, pregando, non per farmi notare dai compagni, non per farmi lodare, bensì perché so che tu mi conosci. Fa' che io conosca il modo meraviglioso con il quale tu mi conosci, perché allora non sarò mai un ipocrita, non sarò triste; sarò una persona libera e piena di gioia».


II. GESÙ CONOSCE ILLUMINANDO
«Vieni, Spirito Santo, e riempi i nostri cuori della conoscenza di Gesù, allarga il nostro cuore perché possiamo conoscere l'ampiezza della sua conoscenza! Maria, madre di Gesù, aiutaci a comprendere che Gesù ci conosce illuminando; tu che sei la fonte della nostra gioia, prega per noi!».
Dopo aver detto che Gesù conosce tutto e tutti incominciamo a vedere come, in quale modo Gesù ci conosce. li titolo di questa seconda meditazione è: «Gesù conosce illuminando» e, applicandolo a ciascuno di noi: «Gesù mi conosce illuminandomi».
Prima di raccogliere i testi del Vangelo su questo tema della luce, vorrei spiegare il significato stesso del titolo. Se, per esempio, entra qui una persona, si siede al mio posto e getta un'occhiata su di voi, ecco che vi conosce. E se voi la guardate, la conoscete. Si tratta tuttavia di una conoscenza molto superficiale, che non ci tocca dentro; è come quando si va in autobus o in treno e vedendo tanta gente la si conosce. Però ciascuno rimane com'è. La conoscenza di Gesù è di una qualità diversa perché lui è luce, luce vera che illumina ogni uomo e ogni cosa, esattamente come la luce del sole illumina tutto ciò su cui si posa, avvolgendolo. Ricordate il salmo 138 là dove dice: «Nemmeno le tenebre per te sono oscure»?
Gesù quindi ci conosce non da lontano, non superficialmente, ma venendo vicino a noi come luce e operando in noi il duplice effetto della luce. Qual è il duplice effetto della luce?
La luce penetra nei corpi trasparenti, creando invece un'ombra quando trova un corpo opaco. Gesù ci conosce come una luce che, arrivando in noi, distingue quello che è luce da tutto quello che è tenebra. Potremmo anche dire che Gesù mi conosce illuminando e separando nella mia coscienza la luce dalle tenebre.
Può sembrare un po' difficile il concetto, ma i testi che raccoglieremo ci aiuteranno a capirlo.

La raccolta dei testi
Cerchiamo allora quei brani del Vangelo dove si vede che Gesù conosce come luce, con il duplice effetto di rendere luminosi coloro che lo accolgono e mettendo in rilievo l'ombra di coloro che sono opachi e non lo accolgono.
Ve ne suggerisco due molto belli, lasciando a voi di trovarne altri.
1. Il primo brano racconta la scena di Gesù in casa di Simone, di fronte alla donna peccatrice: Lc 7,36-50. La luce, che è Gesù, colpisce due persone, Simone e la peccatrice, e però con un effetto diverso. Simone è opaco e la luce di Gesù fa emergere la sua oscurità; la donna è trasparente, aperta e la luce di Gesù la conosce trasformandola.
2. Il secondo brano è un racconto della passione di Gesù: Lc 23,39-43. Crocifissi con Gesù ci sono due ladri e Gesù li illumina entrambi: uno si lascia illuminare e lo accoglie; l'altro respinge la luce e resta nella tenebra.
Ci sono tanti altri episodi evangelici che ci parlano di persone trasparenti nelle quali penetra la luce di Gesù, e di persone opache che la respingono. Sono certo che voi saprete trovarli.

La comprensione dei testi
Passiamo al momento della riflessione nel desiderio di capire i testi evangelici che abbiamo trovato.
- Lc 7,36-50. Gesù è invitato da un fariseo, di nome Simone, entra in casa sua, si mette a tavola. Ad un tratto giunge una donna, con un vasetto di olio profumato e si mette ai suoi piedi: piange, bacia i piedi di Gesù, li cosparge di olio. Simone, che l'aveva invitato, pensa dentro di sé: «Se costui fosse un profeta saprebbe che specie di donna è costei che lo tocca: è una peccatrice!». È interessante quello che il fariseo pensa. Egli sa che Gesù conosce i cuori degli uomini e tuttavia non si immagina che li conosce illuminandoli, cioè entrando nella loro coscienza.
Che cosa avviene? Essendo luce per tutti e due, Gesù conosce con amore sia Simone che la donna, è disposto e pronto a volere il loro bene. Sono queste due persone che si comportano in maniera diversa.

Simone è pieno di sé, della propria dignità, è convinto di aver fatto un piacere a Gesù invitandolo a mangiare e si aspetta che Gesù lo ringrazi, che apprezzi il coraggio da lui avuto facendolo entrare in casa sua! La luce di Gesù non può penetrare in Simone, perché trova materia opaca ed emergono le ombre della superbia e della vanità, della presunzione e del disprezzo che Simone ha degli altri. Pur essendo luce, Gesù incontra la resistenza e la chiusura del cuore.
La donna, invece, piange ai piedi di Gesù pensando di non valere niente, di non meritare niente perché ha sbagliato. La gente mormora di lei ed ecco che lei si affida a Gesù. La luce la penetra perdonandola e rifacendola nella sua vita.
Simone si erge a giudice, giudica Gesù e la donna; la donna si lascia giudicare da Gesù e si lascia trasformare dalla sua luce.
Gesù, conoscendoci come luce, può rivelare la nostra superbia e la nostra bontà. Per questo dice a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei, da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai cosparso il mio capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati poiché ha molto amato. Quello invece a cui si perdona poco, ama poco» (Lc 7,44-47).
Gesù dunque capovolge la situazione: Simone, che presumeva di avere grandi meriti, è smascherato come uomo meschino, gretto, freddo, arido, incapace di accogliere bene un ospite; la donna, che era disprezzata, rivela di avere il cuore più grande di tutti.
Questo è il modo in cui siamo conosciuti da Gesù, e fino a quando non ci lasciamo conoscere così non abbiamo ancora capito come ci conosce, non abbiamo veramente compreso come Gesù, con la sua conoscenza, entra dentro di noi.
- Lc 23,39-43. L'episodio ci è noto: Gesù è appeso alla croce e vicino a lui sono crocifissi due ladri. Uno lo insulta dicendo: «"Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!". Ma l'altro lo rimproverava: "Neanche tu hai timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male". E aggiunse: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!". Gli rispose: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso"».
La scena è simile a quella di Simone e della peccatrice.
C'è Gesù che sta morendo, e con la sua morte e con il suo amore illumina i due uomini crocifissi. Uno però è chiuso, pieno di rabbia e di amarezza e non vuole accettare di avere sbagliato, getta la colpa sugli altri, grida contro la società, non riconosce di aver fatto del male, di essere stato ingiusto.
L'altro, invece, ammette i suoi errori, sa di ricevere un castigo corrispondente alle azioni malvagie che ha compiuto e riconosce che Gesù non ha fatto nulla di male.
È lo stesso Gesù che ha messo in luce le tenebre del primo e che rischiara il cuore del secondo: lo rischiara al punto che il buon ladrone afferma la grandezza di Gesù e il suo potere nel regno di Dio.
Ci sarebbero tante altre riflessioni da fare e affido a voi questo lavoro: se troverete altre pagine evangeliche che parlano della conoscenza di Gesù che illumina i cuori trasparenti e mette in evidenza le ombre dei cuori chiusi e presuntuosi, potrete paragonarle l'un l'altra, approfondendo sempre più il tema della meditazione.
La preghiera sui testi
Proviamo a metterci ora nella situazione di preghiera dei personaggi che abbiamo cercato di capire.
- La preghiera della peccatrice ai piedi di Gesù può diventare la nostra preghiera: «Gesù, sono anch'io ai tuoi piedi, ho la fortuna di essere davanti a te che sei nel tabernacolo come Eucaristia. Mi verrebbe voglia di cantarti tutti i miei meriti, come Simone, e invece preferisco riconoscere che ho degli sbagli e dei peccati. Signore, non sono sempre come vorrei ,essere, non sempre prego volentieri, spesso mi lascio vincere dalle distrazioni. Signore, talora ce l'ho con i miei compagni, sono invidioso, ho dei risentimenti, mi irrito ed esprimo la mia ira con parole e con gesti. Signore, tante volte non lascio il primo posto agli altri, me lo prendo io il primo posto, convinto che mi spetti». In questo momento Gesù mi illumina perché sono sincero davanti a lui.
- Se, al contrario, mi metto nella situazione di Simone, prego così: «Signore, gli altri hanno sbagliato, ce l'hanno con me, mi trattano male e ingiustamente, non mi capiscono, mi mettono da parte, credono di valere più di me».
- Sono due modi di pregare che ci fanno venire alla mente un altro brano del vangelo di Luca, là dove si parla del fariseo e del pubblicano: due personaggi che reagiscono diversamente alla luce di Gesù (Le 18,9-14). E poi c'è pure il racconto parabolico del buon samaritano, del levita e del sacerdote (Lc 10,30-37). Un uomo ferito è sulla strada, e Gesù illumina tutti coloro che gli passano accanto: la sua luce è accolta dal samaritano ed è respinta dal sacerdote e dal levita.
La preghiera di fiducia in Gesù e di riconoscimento del nostro peccato è una preghiera di preparazione al sacramento della Confessione.
Confessarsi significa mettersi, come la peccatrice, ai piedi di Gesù, significa porsi vicino al ladro sulla croce, vicino al pubblicano che prega nel tempio e al buon samaritano che si ferma accanto al ferito, e dire: «Signore, illumina la mia vita, fammi capire chi sono io veramente, entra in me come luce che illumina, purifica, riscalda, fa' che io mi lasci conoscere da te fino in fondo... Signore, come vorrei poterti gridare, come il ladro, di ricordarti di me nell'ora della mia morte! Ho sbagliato, è vero, ma io confido in te».
Gesù allora entra nel nostro cuore, nella nostra vita e resta con noi.

Applicazioni pratiche
- Come prima applicazione pratica della nostra riflessione, chiediamo la grazia di prepararci al sacramento della Confessione avvicinandoci a Gesù come luce che entra in noi, che ci chiarisce e dona serenità al nostro cuore mettendo a posto le cose che sono sbagliate. Do. mandiamoci: Come vivo il sacramento della Confessione? È per me un avvicinarmi a Gesù come luce?
- Una seconda applicazione pratica, sulla quale vi invito a riflettere, riguarda la direzione spirituale che è la continuazione della parola di Gesù che ci illumina.
Chi è aperto nella direzione spirituale, chi si manifesta facilmente, chi si esprime con tranquillità, certamente si lascia illuminare da Gesù.
Chi invece cerca di nascondersi, di mostrarsi diverso da quello che è, magari per vergogna, mette in risalto la sua oscurità e non permette a Gesù di essere luce.
La direzione spirituale, che voi avete, è un dono immenso e vorrei che ve ne rendeste conto. Girando le parrocchie per la visita pastorale, incontro tanti ragazzi, pieni di buoni propositi, desiderosi di impegnarsi, e io mi dico che la maggior parte di loro non potrà fare un grande cammino perché non hanno un po' di direzione spirituale: i loro buoni propositi si scioglieranno e non riusciranno ad accettare fino in fondo Gesù come luce.
Credo infatti che sia molto difficile che un ragazzo, a partire dai 12-13 anni [mo ai 18 anni, viva una vita cristiana seria senza l'aiuto della direzione spirituale. Voi avete quindi una grande fortuna e forse alcuni vostri compagni di parrocchia vi invidiano perché il loro sacerdote ha poco tempo e fanno fatica a trovare chi li guidi con la direzione spirituale.
«O Maria, madre di Gesù, aiutami ad accogliere Gesù come luce nella mia vita. Tu vedi che ci sono in me le tenebre che io stesso non conosco. Fa' che esse non resistano alla luce di Gesù, ma che si aprano a lui nell'esame di coscienza, nella Confessione, nella direzione spirituale, nella meditazione e nell'ascolto della parola di Gesù. O Maria, tu che hai permesso a Gesù di illuminare la tua vita, aiutami affinché in ogni momento della mia vita io lasci che Gesù illumini la mia coscienza. Fa' che io possa conoscerlo come mio amico, mio Salvatore e Redentore!
Donami, o Maria, questa grazia e donala a tutti noi, a tutti i seminaristi, a tutti i ragazzi della nostra parrocchia che talora hanno più buona volontà di me ma non hanno i mezzi che a me sono offerti. Fa' che io mi lasci illuminare da Gesù anche per loro. A volte invidio i miei compagni che non sono in seminario perché hanno una vita più libera della mia; ti prego, Madre, fammi conoscere i doni grandi che mi sono stati dati rispetto a loro. Di questi doni io sono responsabile per tutti, sono responsabile perché quei miei compagni possano crescere nella verità e nell'amore, perché anch'essi possano conoscere Gesù come lo conosco io!».


III. GESÙ CONOSCE SOPPORTANDO
«Ti ringraziamo, Signore Gesù, perché ci chiami davanti a te. Tua è la parola che ascoltiamo e non parola di uomini; tu parli al nostro cuore. Sei tu che ci parli con amicizia, è a te che diciamo grazie perché ci hai dato tante cose. E noi, Gesù, che cosa daremo a te?
Fa' che oggi sappiamo darti qualcosa di importante, fa' che ti conosciamo come tu ci conosci perché possiamo essere veramente tuoi amici, così come tu sei amico nostro.
Maria, madre di Gesù, sede della sapienza e aiuto dei cristiani, prega per noi. Amen».

Abbiamo visto come Gesù conosce tutto e tutti, abbiamo compreso che Gesù ci conosce illuminando e separando in noi la luce dalle tenebre. Forse qualcuno di voi avrà anche pensato che la prima grande illuminazione che Gesù ha fatto nella nostra vita - l'illuminazione che resta fondamentale - è il Battesimo. Nel Battesimo ci ha chiamato per nome e ci ha dato il dono della fede, della speranza e dell'amore.
Sarebbero molti i temi sulla conoscenza che Gesù ha di noi, sul come Gesù ci conosce, e tuttavia io mi devo limitare a suggerirvi quattro meditazioni in tutto. Vorrei però çhe voi continuaste, terminati questi giorni di ritiro spirituale in comune, a cercare altri titoli. Ad esempio, sarebbe bello approfondire la tesi: «Gesù ci conosce perdonandoci». Quando Gesù ci perdona nel sacramento della Confessione, ci perdona dal di dentro, come uno che ci conosce e ci ama a fondo.
Il perdono è uno dei modi migliori per diventare amici! Ci sono amicizie che nascono dal trovarsi bene insieme, e ce ne sono altre che nascono da un perdonarsi sincero dopo aver litigato: questo secondo tipo di amicizie è certamente più forte. Non so se ricordate il grande gesto di perdono eroico che il figlio di Vittorio Bachelet ha avuto nei riguardi dei terroristi che avevano ucciso suo padre, o il gesto eroico di perdono di Maria Fida Moro: da questi gesti è nata una profonda amicizia tra il figlio di Bachelet e i terroristi, tra Maria Fida Moro e i terroristi. Il perdonare è segno di amicizia. Confido quindi che voi saprete riflettere su altri modi con cui Gesù ama ciascuno di voi.
In questa terza meditazione vorrei svolgere il titolo: «Gesù mi conosce sopportando». Non vuol dire che Gesù mi conosce sopportando la mia pigrizia, la mia svogliatezza, il mio poco impegno! Si tratta di qualcosa di molto più profondo: Gesù mi conosce vivendo delle prove e delle tentazioni simili a quelle che vivo io, Gesù mi conosce facendosi simile a me nelle prove. Svolgiamo il titolo attraverso i tre momenti che ormai avete certamente imparato.
La raccolta dei testi
Sono tre i testi evangelici che ho pensato di suggerire.
1. Le tentazioni di Gesù: Mt 4,2. Gesù dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ha avuto fame e allora il tentatore gli si avvicina. Mi fermerò soltanto sul significato delle seguenti parole: «Gesù ebbe fame».
È una fame diversa da quella che si può avere dopo aver giocato tutta la mattina, dopo essersi impegnati a fondo in una gara sportiva. La fame che Gesù prova si avvicina alla grande fatica di coloro che fanno, ad esempio, lo sciopero della fame. Per quaranta giorni e quaranta notti aveva vissuto con pochissimo - un po' d' acqua da una pozzanghera, qualche erba -; è stanco, affaticato, con la testa vuota e non ha più voglia di niente. Gesù prova la tentazione di pesantezza che noi sentiamo nella vita quotidiana quando tutto ci è difficile e ci dà disgusto: facciamo fatica a vedere i compagni, facciamo fatica ad alzarci e a rispondere al richiamo della campana.
Gesù ci conosce perché ha provato anche lui queste cose.

2. Il secondo testo è il racconto del Getsemani: Mt 26,38. Gesù prende con sé Pietro e i due figli di Zebedeo (Giacomo e Giovanni) e va con loro nel podere chiamato Getsemani. Poi dice loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Da ragazzo questo brano mi faceva molta impressione e mi chiedevo: «Come è possibile che Gesù provi tristezza e angoscia fino alla morte? Come è possibile che Gesù provi le tristezze che posso sentire io, i momenti di ansietà che talora vivo?». Gesù mi conosce anche in quei momenti di turbamento e di angoscia che nessun altro forse conosce.
3. Il terzo testo è la terribile tentazione di Gesù sulla croce: Mt 27,40. I passanti insultano Gesù crocifisso e gli dicono: «Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se sei il figlio di Dio, scendi dalla croce!».
La comprensione dei testi
Abbiamo già detto sufficientemente della prima tentazione, quella della fame, della stanchezza infinita provata da Gesù.
- Pensando all'angoscia del Getsemani dovremmo approfondire la riflessione leggendo, sempre al c. 26 del vangelo secondo Matteo, là dove si dice che «tutti i discepoli fuggirono» (v. 56). Gesù si sente solo e nessuno dei suoi gli dà più retta, nessuno sta più dalla sua parte. La tristezza giunge fino all'esperienza della solitudine, del sentirsi abbandonato. Talora ci capita di sentirci soli, anche se abbiamo intorno i compagni di scuola, i superiori del seminario, se ci sono con noi i genitori e gli amici. È una sensazione che non riusciamo a spiegare, che ci fa soffrire, che ci toglie ogni gioia. Gesù ha già vissuto tutto questo e l'ha voluto provare per me, per darmi la certezza che lui conosce tutto di me e sempre mi è vicino, mi ama.
- Nel terzo testo, Gesù viene tentato in ciò che gli sta più a cuore: «Se sei il figlio di Dio, scendi dalla croce». Ma Gesù è figlio di Dio e l'insulto vuol costringerlo a scegliere la via del potere, del trionfo, lasciando la via dell'obbedienza e dell'umiltà. È quindi tentato sulla sua strada, sulla sua vocazione. Spesso vi sarà capitato o vi capiterà che altri dicano: Ci sono tante cose da fare per la Chiesa e perché tu scegli la via del seminario, una via di sacrificio, di rinuncia? Perché scegli la via del sacerdozio, una via povera e difficile?
La fame e la fatica, la tristezza fino alla solitudine, la tentazione sulla vocazione, sono tre esempi attraverso i quali vediamo che cosa Gesù sopporta per noi.

- Comprendere i tre testi vuol dire approfondire la domanda: Perché, Signore Gesù, tu che non avevi bisogno di viverle, sei passato per queste prove così dure? E Gesù ci risponderà: Per esserti vicino, per conoscere e sperimentare quello che tu puoi provare e provi.
Sarebbe utile che ciascuno di voi, personalmente, cercasse di leggere un altro brano della Scrittura, che si trova nella lettera agli Ebrei - forse la più difficile di tutto il Nuovo Testamento -: «Gesù doveva rendersi in tutto simile ai fratelli per diventare un sacerdote misericordioso e fedele... Infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eb 2,17-18).
Leggendo e rileggendo questi versetti sono certo che, con la grazia del Signore, potrete capire meglio che cosa significa che Gesù ci conosce sopportando e che non situazione nella quale non possa darci una mano, anche se il demonio tende a suggerirci: «TI Signore ti ha abbandonato, nessuno più pensa a te!».

La preghiera sui testi
Sono cinque le domande che vi aiuteranno a pregare insieme con Gesù.
Prima domanda: Quali sono le mie tentazioni? Ciascuno dovrà naturalmente rispondere personalmente e potrà poi parlarne con il confessore o con il direttore spirituale.
Sarà forse la fatica di pregare, la svogliatezza, oppure la tentazione degli alti e bassi, il cambiamento di umore con passaggi dalla gioia alla malinconia, voglia di piangere, tristezza... Altre tentazioni possono riguardare la nostra vita, la nostra fantasia, il nostro corpo, i nostri progetti, il nostro futuro. Pensare a quelle che mi toccano più da vicino chiedendo al Signore: «Gesù, tu che hai sofferto tante prove per me, fammi capire quali sono adesso le mie prove». Perché ci sono prove che non riusciamo a cogliere e sarà importante forse fare un elenco, per iscritto, delle più decisive.

Seconda domanda: Mi spavento delle prove? Mi fanno paura? Quando, ad esempio, abbiamo l'impressione di vivere una prova che nessuno può capire, sopravviene il timore. Ricordo il grande bene che mi ha fatto il Diario di Giovanni XXIII, là dove parla delle difficoltà e delle prove che ha passato quando era un giovanissimo seminarista, delle prove avute con la famiglia, dei suoi difetti, dei problemi che ha dovuto affrontare da prete, da delegato apostolico in Turchia, in Bulgaria, e poi da Papa. Mi ha fatto bene perché ho capito che prima o poi passiamo tutti per le stesse tentazioni, le stesse difficoltà. Tra l'altro Giovanni XXIII ne parla con tale semplicità da aiutarmi a ridere un po' sulle mie prove.
Il demonio invece cerca di farci paura mettendoci in mente che la nostra è la prova più grande di tutte, che nessuno l'ha mai vissuta, che è meglio non parlarne perché non saremmo capiti, ecc.

Terza domanda: Mi sento solo nelle mie prove? Sentirsi solo è già una prova. Le prove più dure sono quelle che non vogliamo esprimere nemmeno nella preghiera, dicendo a noi stessi che Gesù non può aiutarci, che siamo fatti così e non c'è altro da fare. E, naturalmente, il demonio si accanisce a farci credere che siamo davvero soli.
Quarta domanda: Mi faccio aiutare da Gesù nella preghiera, dalla Madonna, da una visita al SS.mo Sacramento, da una lettura del Vangelo, soprattutto da un colloquio con il direttore spirituale? Oppure penso che posso cavarmela da me? In questo secondo caso cadremmo in una grandissima tentazione.
Quinta domanda: Mi difendo? Bisogna, infatti, imparare a difendersi nelle tentazioni. In questi giorni, trovandomi con voi, mi sono venute in mente abbastanza chiaramente le prove e le tentazioni che ho avuto da ragazzo e per questo vi dico: è estremamente importante non che il Signore ci tolga le prove o tentazioni bensì che ci aiuti a saperci difendere, a saper resistere. Le prove hanno una grande utilità nel nostro cammino: senza di esse non si riesce a crescere, a diventare maturi e io ringrazio il Signore per tutti i momenti difficili attraverso i quali sono passato e ancora passerò. Tuttavia dobbiamo imparare a difenderci. Come ci si difende?
1. Non indugiare nei pensieri che ci vengono, non rimuginare sul perché e sul come. Se indugiamo, ad esempio, nelle prove depressive - scoraggiamento, malinconia - ne rimaniamo avvolti come ci avvolge un serpente quando attacca. Bisogna interrompere con decisione il corso dei pensieri.
2. Fare qualche cosa, qualche attività: cantare, correre, ascoltare una bella musica, leggere un salmo, dedicarci a una cosa che ci interessa. Se non si reagisce fortemente, ci deprimiamo sempre di più.
3. Per difenderci dalle tentazioni che riguardano la fantasia, la curiosità, i sensi, occorre saperci chiaramente disciplinare, cioè rendere ferma la nostra attenzione sui pensieri o sulla curiosità. Se ci lasciamo prendere dalla curiosità, sarà difficile vincere le distrazioni. Un esempio pratico è quello della televisione: la televisione sempre accesa costituisce un grosso danno. Come pure il manovrare la televisione passando continuamente da un canale all'altro, da un'immagine all'altra, perché è fonte di divagazione. Se dunque mi accorgo di essere distratto nella preghiera e non mi decido a dare un taglio netto alla televisione e alla curiosità, non potrò controllare i pensieri inutili durante la preghiera.
Quando ero ragazzo io, la televisione non c'era e però mi piaceva moltissimo il cinematografo: uno dei miei sogni era, una volta diventato grande, di comprarmi la tessera del cinema in modo da poter andare sempre senza fare la coda per il biglietto! Ad un certo punto ho compreso chiaramente che dovevo fare un passo decisivo, che dovevo troncare con l'abitudine del cinema e con i sogni della tessera. Forse il mio fu un taglio un po' duro, un po' rigido, e tuttavia sincero e coraggioso. Da quel momento ho avuto un grande giovamento nella preghiera.
Credo quindi che una decisione possa vincere le tentazioni di distrazioni, di curiosità, di fantasia, di incapacità a pregare assai più che non tanti consigli buoni. Per difendersi è allora necessario conoscere le proprie tentazioni e le proprie prove e applicare per ciascuna i rimedi giusti. Il direttore spirituale è la persona più adatta per aiutare, con la sua esperienza, ad applicare i rimedi giusti.
Poco per volta ci lamenteremo sempre meno delle prove. Le prove ci saranno, ma diventeranno occasione di crescita e potremo ricordarle come i momenti più belli della nostra vita, i momenti della lotta e del coraggio, i momenti in cui abbiamo sentito davvero che Gesù ci conosce e che noi lo conosciamo sopportando le prove e le tentazioni, lo conosciamo come amico che ha condiviso le nostre difficoltà e le nostre sofferenze, come amico vero.
«Signore, fa' che ti conosciamo nelle nostre prove. Fa' che ti ringraziamo per le nostre prove».


IV. GESÙ CONOSCE DONANDO
«Signore Gesù, siamo giunti all 'ultima meditazione e mi accorgo di non essere riuscito a dire tutto quello che avrei voluto. Sii tu, te ne prego, a dire loro le parole che veramente contano! Fa' loro comprendere chi tu sei affinché ciascuno comprenda come tu lo ami.
Maria, madre di Gesù, insegnaci a conoscere Gesù come tu l'hai conosciuto soprattutto quando, sulla croce, ha dato tutto se stesso per noi. Tu, Maria, che sei l'aiuto dei cristiani, prega per noi. Amen».

In questa nostra ultima meditazione vorrei riassumere il segreto di tutte le cose dette precedentemente sotto il titolo: «Gesù conosce donando», ed è per questo che ho voluto affidare alla Madonna la riflessione che cercheremo di fare.
«Gesù conosce donando» significa che noi lo conosciamo quando ci accorgiamo che cosa fa per noi.

Il testo della lavanda dei piedi
Mi fermo alla lettura di un solo brano evangelico, uno dei più belli del vangelo secondo Giovanni, perché è una pagina ricchissima. Mentre io leggo cercate di seguire, come si fa davanti a un testo che vogliamo penetrare, e anzitutto vi consiglio di mettervi in una posizione che favorisca la riflessione. La parola di Dio va ascoltata per quello che è: parola di salvezza, per la nostra salvezza.
Gv 13,1-11: «Prima della festa di Pasqua, Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e che a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita». Vi confesso che leggo queste parole con particolare emozione perché, come sapete, il Vescovo, nel giovedì santo, compie lo stesso gesto in Cattedrale.
«Poi versò dell' acqua e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?". Rispose Gesù: "Quello che io faccio tu ora non lo capisci ma lo capirai dopo". Gli disse Simon Pietro: "Non mi laverai mai i piedi!". Gli rispose Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me". Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i piedi ma anche le mani e il capo". Soggiunse Gesù: "Chi ha fatto il bagno non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo. E voi siete mondi ma non tutti". Sapeva infatti chi lo tradiva e per questo disse: "Non siete tutti mondi"».
La comprensione del testo
1. Qual è lo scenario di questo avvenimento? Gesù si trova verso la fine della sua vita con i discepoli, i quali pensano di conoscerlo a fondo, di conoscerlo già abbastanza. L'hanno infatti sentito parlare per tre anni, hanno visto i suoi miracoli, l'hanno visto pregare e probabilmente pensano: «Ormai sappiamo tutto di lui, sappiamo chi è».
In realtà, non lo conoscono ancora perché non hanno capito che cosa Gesù è capace di fare per loro. Il simbolo della mancanza di comprensione, di conoscenza, è Pietro che si rifiuta di farsi lavare i piedi da Gesù, non lo ammette. Pietro non sa che Gesù è colui che si dona, che serve, che si dà sino in fondo: «Li amò sino alla fine».
Il racconto della lavanda dei piedi è dunque molto importante per conoscere Gesù e vi invito a rileggerlo attentamente.

Da parte mia voglio indicarvi tre punti.
- Primo: Gesù è pronto a servirmi. Sembra incredibile ma è vero. Mi ama fino a servirmi, fino a mettersi a mia disposizione.
- Secondo: Gesù è pronto a servirmi con il dono della sua vita sulla croce. Il racconto della lavanda prelude alla croce. E Pietro, che già in precedenza si era ribellato al pensiero che Gesù potesse andare incontro alla morte di croce, anche qui si ribella ad essere servito da Gesù nel gesto simbolico della lavanda.
- Terzo: Gesù si mette a mia disposizione nell'Eucaristia facendosi cibo. Mi conosce fino in fondo ed entra in me, come cibo eucaristico, come dono del suo corpo.
Noi comprendiamo bene la reazione di Pietro per::ché, pur avendo una grande voglia di essere amati, rion riusciamo a credere che qualcuno ci possa amare fino a dare la sua vita per noi!
Il testo di Giovanni sottolinea, invece, che Gesù ci conosce donandosi, donando tutta la sua vita per noi, per me.

2. Che cosa significa il donarsi di Gesù? Ora è necessario capire che cosa sta dietro alla donazione di Gesù, e mi richiamo a tre brani del Nuovo Testamento: 1 Cor 15,3; Gai 2,20; Ef 5,2. Sono tre parole di san Paolo che ci spiegano cosa vuoI dire che Gesù ci conosce fino in fondo e viene a noi donandosi.
- 1 Cor 15,3: «Vi ho trasmesso, dunque, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture».
Gesù ci ama fino a morire per i nostri peccati. Si mette al nostro posto, entra dentro di noi come se questi peccati li avesse commessi lui, assume su di sé la nostra responsabilità.

- Gal 2 ,20: «Il figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me».
Paolo mette al singolare la stessa affermazione della prima lettera ai Corinzi. Il figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me: potremmo meditare per ore intere su questa parola. Gesù mi vuole essere così vicino da dare se stesso per me! Talora, quando distribuisco l'Eucaristia nella Messa della Visita pastorale, mi capita di pensare: Gesù ha dato la sua vita per questa persona alla quale sto dando l'ostia, perché l'ostia è il suo corpo! Ciascuno di noi quando riceve l'Eucaristia può dire veramente: Ecco il corpo di Gesù per me. Nell'Eucaristia c'è una rivelazione altissima di Dio perchéè la prova, per così dire, fisica che mi sta dando il suo corpo, cioè che mi ama. È un segno irrefutabile dell'a- . more di Dio per ciascuno di noi.

- Ef 5,2: «Camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi».
Dal momento che Gesù ha dato se stesso per noi, noi dobbiamo amarci e camminare nella carità, essere una Chiesa della carità. Il programma pastorale che la nostra diocesi vuole vivere quest'anno è la prossimità, il farsi prossimo, l'essere Chiesa della carità. E il motivo è che Gesù ci ha amato e ha dato se stesso per noi. Questa è la radice di tutto, di tutta la vita della Chiesa. Tutto quello che io faccio come Vescovo, quello che fanno i preti, quello che si fa nelle parrocchie e nei seminari, quello che fa il Papa, ha una unica radice: il figlio di Dio ci ha amato e ha dato se stesso per noi.
Senza questa radice la Chiesa diventa incomprensibile, la vita cristiana perde il suo senso, i sacerdoti non avrebbero ragione di essere.
Non dimenticate dunque mai la fondamentalità del dono che meditiamo guardando Gesù in croce.

La preghiera sul testo
La preghiera che il racconto della lavanda suscita in noi deve essere preceduta da una domanda: Che cosa posso dare a Gesù, che cosa gli darò per ricambiare ciò che lui ha fatto per me?
1. Anzitutto cercherò di fare la visita al SS.mo Sacramento. Nella visita, infatti, posso contemplare Gesù che mi serve e mi ama dando se stesso per me: mi metto in ginocchio o compostamente seduto, e gli metto a disposizione un po' del mio tempo. È un segno di grande riconoscenza la visita, e se ci costa, meglio ancora! «Gesù sono qui con te, sto qui con te perché tu hai fatto tutto per me».
2. In secondo luogo devo vivere la S. Messa come centro della giornata. Nella Messa io dono a Gesù tutto me stesso. È vero che la Messa è il centro della mia giornata? «Gesù, fa' che lo sia, fa' che lo diventi!». Penso durante il giorno alla Messa e mi rioffro al Padre con Gesù? «Gesù, fammi vivere la Messa in unione con te, come offerta al Padre!».
3. Il terzo modo per rispondere alla domanda è di chiedermi se c'è qualcosa, nella mia vita, che Gesù vuole e che mi costa dargli. Forse si tratta di una cosa molto piccola e tuttavia non mi decido a darla. «Gesù, fammi comprendere che cosa vuoi da me e, dopo avermelo fatto comprendere, dammi il coraggio di donartela così come tu hai avuto il coraggio di morire per me sulla croce».
Se, ad esempio, in questi giorni abbiamo capito che Gesù vuole una cosa particolare, questa può costituire il proposito degli Esercizi e sarà allora utile metterla per iscritto: magari un difetto che devo vincere, una ripugnanza da superare, un'antipatia o un malumore da lasciar cadere. Tutto questo può essere un dono a Gesù, un modo per rispondere a quell' amore che il racconto della lavanda dei piedi ci ha fatto comprendere.

Il salmo 138
Possiamo, per concludere, provare a rileggere il salmo 138. L'abbiamo letto all'inizio, però adesso molte parole del salmo ci saranno più chiare avendo capito di più che Gesù ci conosce, che ci conosce illuminandoci, standoci vicino, costruendoci e perdonandoci, che ci conosce sopportando e soffrendo le nostre prove e le nostre tentazioni, che ci conosce donandoci se stesso fino alla morte di amore in croce.
Lo leggiamo lentamente per recitarlo come una preghiera nostra, che ci nasce dal di dentro e che riassume le riflessioni comunitarie e personali che abbiamo fatto.
E prima di leggerlo possiamo invocare il Signore dicendo: «Signore, noi sappiamo pregare così poco! Manda il tuo Spirito perché preghi il salmo per noi, perché ci insegni la vera preghiera. Tu che hai ispirato il salmista, ispira il nostro cuore affinché possiamo leggerlo con quell'amore con cui l'ha pregato Gesù, con cui l'ha pregato Maria. Donaci di leggerlo con quell'amore con cui l'hanno pregato i tuoi Santi: Ambrogio, Carlo, Agostino. Vogliamo pregarlo insieme con tutti i Santi del cielo e della terra, con l'intera Chiesa diocesana di Milano, con i nostri genitori, i nostri fratelli e sorelle, con i superiori del seminario, con le suore, con tutti coloro che in questo momento sono sotto lo sguardo di Dio».
«Signore, tu mi scruti e mi conosci.
Tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri,
mi scruti quando cammino e quando riposo.

Ti sono note tutte le mie vie;
la mia parola non è ancora sulla lingua
e tu, Signore, già la conosci tutta.

Alle spalle e di fronte mi circondi
e poni su di me la tua mano.
Stupenda per me la tua saggezza,
troppo alta, e io non la comprendo.

Dove andare lontano dal tuo spirito,
dove fuggire dalla tua presenza?
Se salgo in cielo, là tu sei,
se scendo agli inferi, eccoti.

Se prendo le ali dell'aurora
per abitare all'estremità del mare,
anche là mi guida la tua mano
e mi afferra la tua destra.

Se dico: "Almeno l'oscurità mi copra
e intorno a me sia la notte",
nemmeno le tenebre per te sono oscure
e la notte è chiara come il giorno;
per te le tenebre sono come luce.

Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere.

Tu mi conosci fino in fondo.
Non ti erano nascoste le mie ossa
quando vènivo formato nel segreto,
intessuto nelle profondità della terra.

Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi
e tutto era scritto nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati, quando ancora
non ne esisteva uno.

Quanto profondi per me i tuoi pensieri,
quanto grande il loro numero, o Dio;
se li conto sono più della sabbia,
se li credo finiti, con te sono ancora.

Scrutami, o Dio, e conosci il mio cuore,
provami e conosci i miei pensieri:
vedi se percorro una via di menzogna
e guidami sulla via della vita».



 APPENDICE

Le pagine che seguono sono di Mons. Luigi Serenthà, Rettore Maggiore dei Seminari Milanesi,
che ha concluso gli Esercizi Spirituali. Il testo è stato trascritto da registratore e non rivisto dall'Autore.
Mettere la nostra vita sotto il raggio della parola di Dio
Preparazione alla Confessione comunitaria
L'Arcivescovo non sa più che parole usare per dire quanto siete bravi, quanto l'avete colpito; ha ripetuto più volte: «Si vede che sono attenti; che sono dei ragazzi formati, diligenti, e ciò nonostante non hanno perso la loro freschezza, la loro vivacità; sono ragazzi pieni di vita, pieni di sincerità, di gioia». Con queste parole l'Arcivescovo vi ha già assolti tutti! Potremmo quindi chiudere qui questo rito penitenziale, perché l'Arcivescovo ha dato un giudizio generale di bontà e bravura per tutti voi!
Ma ho letto una volta in una pagina di santa Teresa d'Avila, una grande santa, vissuta nel 1500 in Spagna, questo paragone molto bello: «Provate a prendere un bicchiere pieno d'acqua e mettetelo in una stanza in un angolo un po' buio, in ombra. A voi quel bicchiere d'acqua sembra tutto limpido, tutto pulito; ma se per caso, da una fessura di una finestra, entra in quella stanza un raggio di sole e voi collocate quel bicchiere sotto quel raggio, vi accorgerete che dentro l'acqua c'è del pulviscolo, c'è tanta impurità, qualche scoria». Ecco, io penso che uno può dire che tutti noi siamo bravi, buoni, se guarda le cose un po' da lontano; ma se lasciamo attraversare la nostra vita dalla luce della parola di Dio, ci accorgiamo che la nostra vita, purtroppo, non è limpida, non è bella; porta dentro di sé alcune cose sbagliate, alcuni peccati.
Allora, anche se l'Arcivescovo ha detto che siete bravi, buoni, generosi, simpatici, noi quest'oggi vogliamo mettere la nostra vita sotto il raggio della parola di Dio, per poter scoprire anche le cose meno belle che sono presenti nella nostra esistenza. E io personalmente, senza voler insegnare niente a santa Teresa d'Avila (e sapete che è stata proclamata dal Papa «Dottore della Chiesa», cioè maestra di vita cristiana), vorrei prolungare l'immagine che ha scritto in quella sua pagina, dicendo che la luce del sole, attraversando quel bicchiere, non soltanto fa vedere le cose sporche, il pulviscolo, le scorie, che ci sono, ma con la sua forza, col suo calore riesce a distruggerli, e fa diventare l'acqua ancora limpida e pulita.
Ecco, questo è ciò che vorremmo fare: lasciarci attraversare dalla parola di Dio, per raggiungere due risultati:
1) Vedere le cose sbagliate che sono dentro di noi.
2) Chiedere alla forza e al calore della parola di Dio di distruggere, di bruciare queste cose sbagliate.

Mi sono detto allora: cercherò nella Bibbia qualche parola di Dio da usare come raggio di sole, nel quale collocare la nostra vita; ma poi ho pensato: è da due giorni che l'Arcivescovo dice tante parole di Dio, le ha commentate con la sua parola autorevole di Vescovo, le ha fatte cercare anche a voi... Allora proviamo insieme a ricordare alcune di queste parole forti, luminose, intense, che l'Arcivescovo vi ha suggerito. Intanto anch'io imparo qualcosa...
Faremo due cose: la prima è di raccogliere le parole che vi hanno impressionato; cercherò poi di aiutare me e voi a fare sì che queste parole entrino come un raggio di sole nella nostra vita per farci capire i nostri sbagli, i nostri peccati; ma entrino nella nostra vita anche per darci coraggio, per non avere paura.
Mi pare di capire che le parole che l'Arcivescovo ha commentato con particolare insistenza sono state:
- Gesù conosce tutto e tutti.
- Gesù conosce perdonando e donando.

1. Gesù conosce tutto e tutti, niente e nessuno sfugge alla sua conoscenza piena di amore
Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Ti sono note tutte le mie vie;
la mia parola non è ancora sulla lingua
e tu, Signore, già la conosci tutta.

+ La luce di Gesù penetra tutto. La luce di Gesù non lascia nessuno indifferente.
Se dico: «Almeno l'oscurità mi copra
e intorno a me sia la notte»;
nemmeno le tenebre per te sono oscure,
e la notte è chiara come il giorno;
per te le tenebre sono come luce.

+ Gesù conosce di me anche tutto quello che io non conosco.
Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere,
tu mi conosci fino in fondo.

Il brivido di sentirsi conosciuti. Il brivido di gioia o di rabbia, secondo che noi siamo felici che ci guardi o abbiamo paura che ci scopra!
2. Gesù conosce perdonando e amando
Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore,
provami e conosci i miei pensieri;
vedi se percorro una via di menzogna
e guidami sulla via della vita.

Gesù ci vuole e ci accetta così come siamo; ma incontrandolo, facendoci e lasciandoci conoscere, ci trasforma, perdonandoci e donandoci una vita rinnovata.
Quando incontra la samaritana (e si lascia incontrare), quando incontra la peccatrice (e si lascia amare), quando incontra Zaccheo (lasciandosi vincere dalla sua voglia di vederlo) Gesù li fa diventare diversi; li ha accolti così come erano, ma poi li ha fatti diventare diversi.
(Si può utilmente riprendere il salmo 138 o i diversi episodi del Vangelo sopra ricordati e altri ancora).

* * *
Adesso facciamo due minuti di silenzio, affinché la nostra vita venga attraversata con coraggio da questa sciabola di luce che è la parola di Dio che l' Arcivescovo ci ha detto in questi giorni e che in questo momento abbiamo ricordato.
Cerchiamo di pregare su quelle parole del Signore. E questa preghiera è anche un po' un esame di coscienza, un parlare a Gesù come introduzione alla celebrazione del sacramento della Penitenza.

1. Mancanze contro la gioia di essere cristiano e seminarista
O Gesù, io sono rimasto colpito anzitutto da questo fatto, che la tua conoscenza, il tuo sguardo dovrebbe suscitare in me tanta gioia; ma riconosco che purtroppo non sempre ciò si verifica, non sempre sono felice di esserti amico. Se fossi davvero felice di esserti amico, pregherei molto volentieri quando mi è possibile; penserei a te, verrei con gioia in chiesa per celebrare la tua Eucaristia; non avrei paura di dedicare qualche tempo in più della mia vita a leggere la parola di Dio, non soltanto qui in Seminario ma anche quando vado a casa, quando ci sono le vacanze. Forse io sono contento che tu mi guardi e mi conosci, però non provo la gioia di essere conosciuto e guardato da te! Ecco una prima impurità che scopro dentro di me: non sono un cristiano felice.
A volte sopporto la vita cristiana. Con fatica prego, con fatica ascolto la tua parola; non sono uno che prega con entusiasmo, con gioia; che è felice di essere amico
di Gesù; anzi, qualche volta arrivo a dire: «Magari sono più fortunati quelli che non sono stati conosciuti e guardati da Gesù, perché fanno quello che vogliono!». Quante volte forse ho detto: «Come sono fortunati i ragazzi che Gesù non ha conosciuto e non ha guardato come me!».
O Signore, tu che sei tanto buono, perdona se non sempre mi sono lasciato guardare e conoscere da te con gioia, se ho portato la vita cristiana come un peso e non come un dono prezioso che tu mi hai fatto e che mi deve rendere felice!
2. Incapacità di vedere i propri difetti
E poi una seconda cosa bella, o Gesù, io ho ascoltato in queste parole: tu sei venuto per i peccatori, tu sai capire fino in fondo i nostri peccati, tu sei venuto non per quelli che si ritengono giusti, ma per quelli che sanno di essere peccatori, e che cercano il perdono come la samaritana, come Zaccheo, come il buon ladrone, come la peccatrice che è entrata durante il pranzo in casa di Simone. Ecco, io, o Signore, qualche volta faccio fatica a riconoscere di essere peccatore e continuo a guardare i difetti degli altri, e non ho il coraggio di guardare i miei; non ho il coraggio di riconoscere dove sbaglio; faccio fatica anche a farmi conoscere con i miei difetti ai miei educatori e a quelli che vogliono conoscermi bene, perché possano aiutarmi ad essere un bravo cristiano, un bravo seminarista.
Io apprezzo, ammiro la samaritana, Zaccheo, il buon ladrone, ma non so fare come loro; non ho il coraggio, o Gesù, di riconoscere i miei sbagli, di presentarti le mie povertà, i miei peccati. O Gesù, aiutami a non aver paura di me, aiutami a guardare dentro, per scoprire anche le cose che tu soltanto conosci e che io non so conoscere. Comunicami tu la tua conoscenza; fammi vedere dove sbaglio; fammi essere luminoso, coraggioso con me stesso; fammi essere limpido, trasparente verso di te e verso i miei educatori.
3. Non corrispondenza alla generosità del Signore
Terza cosa che mi è piaciuta molto, o Gesù, delle cose che hai detto in questi giorni a questi ragazzi attraverso l'Arcivescovo è che tu conosci tutto e tutti, e, conoscendo tutto e tutti, ti doni, dai tutto te stesso. È questa parola «tutto» che ho sentito continuamente ritornare: Gesù conosce tutto e tutti, Gesù perdona e sopporta tutto, Gesù dona tutto se stesso a noi... e mi ha colpito.
Ecco, anche su questa totalità mi scopro pieno di difetti, perché io ti voglio bene in certi momenti, ti darei veramente tutta la mia vita... Ma poi comincio a dire: questa cosa la tengo per me, per esempio un po' del tempo della mia preghiera; mi piace pensare ad altre cose mentre prego. Un po' del mio tempo di studio non lo do a te, ma lo tengo per me per far niente, per disturbare i miei compagni, che sono così indotti dal mio cattivo esempio a distrarsi, a non studiare.
O Signore, quante cose trattengo per me stesso; non do a te tutto il mio tempo, non ti do tutto il mio cuore perché voglio coltivare alcune amicizie non buone; non ti do tutto il mio corpo perché accontento la mia golosità, perché non mi alzo presto la mattina, accontento gli istinti che sento nascere in me.
Tu conosci tutto e tutti; tu doni tutto te stesso a me e io invece continuo a fare degli sconti; qualche cosa di me, del mio cuore, del mio corpo, del mio tempo, del mio studio non te lo do, lo tengo per me.
4. Il nostro amore diverso da quello del Signore
E infine, Gesù, la quarta cosa molto bella che ho sentito viene dalla parabola del buon samaritano.
Questo signore, che non aveva speciali vocazioni, che non aveva particolari compiti nel popolo di Dio (era anzi un forestiero, un nemico), ha saputo imitare la carità di Dio; ha visto quel poveretto e si è comportato così come avrebbe fatto Dio, con tenerezza, con amore, con comprensione.

Ho sentito dire tante belle parole; Gesù ci ama senza differenza, e allora anche noi dobbiamo interessarci dei nostri fratelli; Gesù ci ama, ci conosce, sopporta, perdona nei nostri confronti, noi dobbiamo essere come Gesù per i nostri fratelli, dobbiamo donare, perdonare, sopportare, capire; e anche qui, o Gesù, quante cose sbagliate scopro nel bicchiere della mia anima e della mia vita; quante volte io non do tutto ai miei fratelli, non sono capace di sopportare qualche loro difetto, non sono capace di dare qualche cosa di mio, di dire una buona parola, di perdonare un torto che ho ricevuto. ..
O Signore, aiutami ad essere come te; aiutami a conoscere gli altri con lo sguardo pieno di amore, che sa perdonare, che sa capire, che sa sopportare.
PREGHIERA
Grazie, Gesù, perché mi scruti e mi conosci.
Grazie, Gesù, perché mi conosci perdonando.
Grazie, Gesù, perché mi conosci illuminando.
Grazie, Gesù, perché mi conosci separando.
Grazie, Gesù, perché mi conosci sopportando.

Perdona, Gesù, le mie mancanze contro la gioia.
Perdona, Gesù, la mia incapacità di vedere i miei difetti.
Perdona, Gesù, le mie mancanze di trasparenza, di ge
nerosità.
Perdona, Gesù, se ti ho rubato qualcosa che ti dovevo.
Perdona, Gesù, se non ho amato i miei fratelli come te.

Un cammino in tre tappe
Omelia durante la celebrazione eucaristica conclusiva
(Letture: Gn 37,1-7; Prv 3,13-18; Mt 6,19-24)
Dobbiamo rendere grazie al Signore perché la sua parola che questa sera ci è stata annunciata sembra arrivare proprio al momento giusto.
Il rischio che possiamo correre al termine degli Esercizi spirituali è quello di dire: «Ho camminato tanto, ho fatto un lungo percorso di preghiera, di silenzio, di riflessione. Ecco, sono come arrivato in cima ad una montagna. Ho finito di camminare. Adesso mi siedo e riposo un po'».
Mentre il vero significato degli Esercizi non è di invitarci a riposare, ma piuttosto di camminare di più. Gli Esercizi non segnano una mèta raggiunta, ma sono un punto di partenza per una vita cristiana più vera, più seria, più profonda. E mi pare che proprio in questo contesto riusciamo a cogliere la bellezza della parola che il Signore questa sera ci ha rivolto. È una parola che traccia davanti a noi un cammino in tre tappe da percorrere e che potremmo intitolare così:

1) la prima tappa: dall'esterno verso l'interno; 2) la seconda tappa: dall'interno verso l'alto; 3) la terza tappa: dall'alto verso l'altro.
Prima tappa: dall'esterno verso l'interno
Penso soprattutto al Vangelo, che ci ha ricordato come le realtà più importanti da coltivare non siano le cose esterne, ma il nostro cuore, cioè i nostri desideri più profondi, che coltiviamo nella mente e nell'animo.
Il nostro cuore è il nostro intimo, il nostro interno da cui parte ogni decisione di orientare la vita verso i tesori del cielo che sono quelli veri, autentici, che rimangono; oppure verso le cose che passano e vengono distrutte dalla ruggine, dalla tignuola e portate via dai ladri. È importante dare una direzione giusta alla nostra esistenza. Questa direzione giusta dipende dal nostro cuore, dalla capacità che noi abbiamo di penetrare dentro di noi, di meditare, di capire, di riflettere, di non essere tutti dispersi fuori di noi stessi, attratti da tante cose. Questa direzione giusta dipende dalla nostra capacità di fare silenzio per ascoltare parole più grandi e più vere; per riflettere su ciò che accade, così da sapere confrontare un episodio con un altro e distinguere ciò che mi ha fatto bene da ciò che mi fa male, per cercare di coltivare le cose che mi fanno bene ed evitare ciò che fa male a me e agli altri.
Gesù dà importanza al cuore, cioè all'interno della nostra vita. Forse voi in questi giorni, con tanta gioia e anche con un po' di fatica, avete sperimentato come è importante il vostro cuore. Tutti voi mi avete detto che sono stati giorni belli, che avete pregato, avete fatto silenzio; ma mi avete anche detto che avreste voluto pregare di più, tacere ancora di più, perché avete sco
perto che nella preghiera e nel silenzio uno impara tantissimo.
Ecco la prima tappa di viaggio che Gesù ci propone: saper passare dall'esterno di voi verso l'interno, coltivando l'abitudine al silenzio, alla riflessione, alla preghiera.

Quando ero bambino mi è tanto piaciuta una leggenda che ora vi racconto. Parla di un eremita, che viveva solo in cima ad una montagna, e una volta vide arrivare nella sua grotta una signora che gli disse:
- Signor eremita, sono disperata, sono vedova. Mi è morto il marito. Mi ha lasciato una grande fattoria e tutto va a rotoli. Ogni anno quando tiro le somme della mia attività sono sempre sotto zero; sono sempre piena di debiti. Tutto va male nella mia fattoria.
L'eremita, lisciandosi la barba, cominciò a dire: - Senti, figliuola mia, raccontami cosa fai durante la tua giornata.
- Signor eremita, io mi alzo verso le 9,30-10. - Così tardi? - replicò l'eremita.
- Sì! Poi faccio la mia toilette, e arrivano le 11 - continuò la signora -. Faccio un passeggino in città, a vedere i negozi. Arriva l'una e tomo a casa a mangiare. Poi faccio un riposino. Alle 16 prendo il tè da qualche mia amica. Arrivo a casa la sera. Faccio cena e poi guardo la televisione oppure vado a teatro, o a fare una passeggiata...
L'eremita, lisciandosi la barba, disse:
- Ora ti do io un rimedio per questa tua disgrazia. Si ritirò in un angolo nascosto della grotta e dopo un po' comparve con in mano una scatoletta, che consegnò alla signora con queste parole:
- Senti, figliuola mia, in questa scatoletta c'è un rimedio eccezionale per la tua disgrazia. Tu però non puoi guardarlo. Tra un mese tornerai qui, e apriremo insieme la scatoletta. Tu devi fare soltanto questa cosa: ogni ora della tua giornata, iniziando dalle sette del mattino sino alle sette di sera, porterai questa scatoletta dapprima nel frutteto, poi nel vigneto, poi nel campo seminato a grano, poi nel mulino, e vedrai che questa scatoletta farà miracoli; farà fiorire ancora la tua azienda.
Fiduciosa nelle parole dell' eremita, la signora ritornò a casa. Era tentata di aprire la scatoletta, ma pensava: «L'eremita ha detto che se l'apro tutto il rimedio svanisce» .

E così cominciò ad ascoltare l'eremita. Alle sei del mattino si alzava, lei abituata ad alzarsi alle nove! Poveretta, era tutta assonnata, sbadigliava, ma pensava: «L'eremita mi ha detto...», e così si faceva coraggio.
Alle sette era nel mulino, dove stavano macinando il grano, e scoperse che i mugnai spandevano la farina e la buttavano via; ma quando videro arrivare la padrona misero la farina tutta nei sacchi ben pigiata.
Alle otto la signora prendeva la scatoletta preziosa e la portava nel vigneto. I contadini, anziché raccogliere l'uva per fare il vino, la mangiavano oppure la distribuivano ai passanti. Ma visto che arrivava la padrona, dissero:
- Ragazzi, arriva la padrona! Mettiamo tutta l'uva nei tini per poter fare il vino.
E così di ora in ora quella signora portava la scatoletta in tutte le parti della sua fattoria. Così si accorse che anche i mungitori che dovevano mungere le mucche non lo facevano e lasciavano soffrire quelle povere bestie; e altrove gli operai anziché lavorare facevano altre cose.

Per un mese ogni giorno, dalle sette di mattina alle sette di sera, la signora portava la scatoletta preziosa in un posto diverso della sua fattoria, e alla fine del mese cominciò a vedere che i conti tornavano giusti.
Piena di gioia, andò dall'eremita a dire:
- Adesso deve aprirmi questa scatoletta, perché contiene un rimedio veramente formidabile. Ha fatto funzionare alla perfezione tutta la mia azienda.
L'eremita aprì la scatoletta e ne uscì il rimedio misterioso: un piccolo fogliettino su cui c'era scritto: «Alle cose tue pensaci tu!»; e commentò:
- Sappi stare in casa tua. Sappi badare alle cose della tua azienda e vedrai che funzioneranno. Se sei sempre in giro, o a dormire, a chiacchierare, a prendere il tè, invece di pensare a governare la tua casa, sarà impossibile che la casa funzioni.

Ecco, questo saggio eremita ci aiuta a interpretare l'invito del Signore a passare dall'esterno verso l'interno. Impariamo a stare in casa, dentro quella casa interiore che ognuno di noi porta dentro di sé. Tante volte noi pensiamo ad altro, pensiamo a centomila cose. Ma non pensiamo a noi stessi. Non siamo capaci di stare dentro di noi per ascoltare ciò che il Signore ci dice, per capire quello che dobbiamo fare. Ecco la prima tappa che gli Esercizi ci invitano a percorrere: andare dentro di noi.
Imparare a pensare. Imparare a riflettere. Penso che un aiuto importante a percorrere questa tappa ci è dato anche dalla scuola. I vostri educatori e professori vi insegnano a pensare, a ragionare, a riflettere. È un grandissimo aiuto che vi danno. Anche se qualche volta dite che sono troppo esigenti o rigidi - ed è normale che vi lamentiate un po' - tuttavia dovete dire a loro un grazie immenso, perché vi aiutano ad «andare verso l'interno», a diventare gente che sa badare alle sue cose, che non è sempre con la testa fra le nuvole, dispersa fra centomila distrazioni, ma che sa abituarsi a pensare, a riflettere, a guardarsi dentro.
Seconda tappa proposta dalla parola del Signore: dall'interno verso l'alto
Gesù ci dice: «Il tuo cuore, che è dentro di te, va orientato verso i beni del cielo, verso Dio, verso Gesù, non verso le cose che possono essere rubate dai ladri, o distrutte dalla ruggine e dalla tignuola».
Occorre che i nostri desideri interni vengano orientati verso Dio, verso Gesù. È anche il messaggio che l'Arcivescovo vi ha suggerito in questi giorni. Dobbiamo capire sempre più profondamente questo invito di Gesù ad «andare verso l'alto».
Gesù ci dice che non basta pensare a Dio e servirlo con il nostro cuore qualche volta, dedicandoci poi qualche altra volta a Mammona, cioè al dio del denaro, all'egoismo, al possesso. Gesù ci chiede di andare dall'interno verso l'alto non soltanto qualche volta, ma sempre. Il nostro interno deve sempre essere orientato verso Gesù, in uno sforzo continuo di generosità. Penso che tutti i buoni cristiani di questo mondo ogni tanto sanno orientarsi verso l' «alto», perché pregano, vanno a Messa, leggono la Bibbia, dicono di sì a Gesù. Ma il guaio è che poi in tanti altri momenti della loro vita non pensano a Gesù; non pensano ad andare verso l'alto, si separano da Gesù con il loro egoismo e i loro peccati.

Dobbiamo noi, tutti insieme, fare il proposito di orientare tutta la nostra vita verso Gesù: senza venire a mezze misure, senza dividere la vita Un po' per Gesù e un po' senza Gesù. Tante volte noi dividiamo a metà la nostra vita. Per esempio, con il corpo siamo qui in chiesa, siamo in ginocchio, con le mani giunte, ma la nostra anima è altrove, perché pensiamo ad una cosa e all'altra e così ci distraiamo. In questo caso, metà del nostro essere è con Gesù, ma l'altra metà non è con Gesù. Qualche altra volta facciamo l'inverso: con i nostri pensieri diciamo a Gesù: «Ti voglio bene, voglio pensare a te», ma poi il corpo lo teniamo per accontentare la nostra pigrizia, i nostri comodi, i nostri istinti, i nostri capricci.
Gesù ci chiede di non dividerci a metà, ma di essere tutti intieri per lui.
Ho letto alla porta della cappella una bellissima frase di Madre Teresa di Calcutta: «Essere con Gesù e come Gesù, non qualche ora o per un po' della nostra giornata, ma ventiquattro ore su ventiquattro». Dobbiamo essere generosi con Gesù; dare tutto noi stessi a lui, e proprio questo vi ha richiamato l'Arcivescovo quando insisteva in questi giorni nel dire che Gesù conosce tutto e tutti; che ha dato tutto se stesso a noi e perciò noi dobbiamo dare tutto noi stessi agli altri.
Quando si tratta di entrare in rapporto con Gesù, gli scarti non vanno bene. Quando ad esempio so che devo fare la meditazione di venti minuti, mentre in realtà la riduco a diciotto...; quando so che devo studiare un'ora e tre quarti, mentre in realtà mi impegno solo per un'ora e mezza, e sciupo l'ultimo quarto perdendo tempo e disturbando gli altri; allora gioco a tirare di prezzo... Ma con Gesù non va bene mirare all'economia. Con Gesù bisogna essere generosi al massimo.
Mi viene in mente al riguardo un' altra storiella, breve breve, che mi è stata raccontata quando ero in seconda media e come voi stavo facendo gli Esercizi spirituali. Mi è rimasta impressa, perché è un racconto simpatico. Non è un episodio contenuto nei Vangeli, è una leggenda, che però dice una verità molto importante.
Un giorno Gesù disse agli apostoli Pietro e Giovanni: «Andiamo a fare una bella passeggiata in montagna. Però vi raccomando di portare insieme con voi un sasso». Pietro, che era un tipo realista, ragionò così tra sé: «Andare in montagna costa fatica, ci sono delle salite lunghe. Conviene portare un sasso piccolo piccolo». E così si mise in tasca un leggero sassolino.
Giovanni, invece, che era un generoso, senza fare troppi calcoli, prese una grossa pietra, e messala sulle spalle si incamminò dietro a Gesù, verso la cima della montagna. Dopo un bel po' di strada, Giovanni moriva dalla fatica ed era tutto sudato, mentre Pietro camminava fresco fresco, fischiettando e prendendo in giro Giovanni: «Chi ti ha fatto fare tutta quella fatica lì! Basta un sassolino...».
Arrivarono in cima alla montagna stanchi morti, pieni di fame. Gesù si sedette tra i due apostoli e benedisse quei sassi che, d'incanto, diventarono un pane fragrante. Pietro si trovò tra le mani un minuscolo boccone di pane con cui sfamarsi; Giovanni invece una bella pagnotta, così grande che poté mangiarla insieme con Gesù, e ne avanzò anche per la sera.
Questa leggenda ci insegna ad essere generosi. Con Gesù non si deve giocare a mezze misure o stare sul minimo: a lui occorre dare tutto, e darlo con gioia.

Terza tappa del nostro viaggio, suggerita dalla parola di Dio: dall'alto verso l'altro, cioè verso i fratelli
Quest'ultima tappa non la trovo scritta nel brano del Vangelo proposto, ma la ricavo dall'episodio del libro della Genesi narrato nella prima lettura.
Giacobbe, che ha conosciuto Dio, che ha toccato con mano il suo favore e la sua bontà misericordiosa, sente il bisogno di dire a tutti i suoi familiari: «Buttate via gli idoli. Cercate anche voi di credere in Dio con tutto il vostro cuore!».
È l'esempio di un uomo che ha conosciuto Dio, ha orientato il suo cuore verso l'alto e ora va verso gli altri per dire a ciascuno: «Credete in Dio insieme con me. Sapete come è bello amare Gesù; come è bello conoscerlo; come è bello sapere di essere conosciuti e scrutati dal suo sguardo che illumina e purifica, che separa in noi il bene dal male, che perdona».
E qui capite, cari amici, che voglio alludere alla vostra vocazione. Gesù, chiamandovi a diventare preti, vi invita proprio a spendere la vostra vita per dire agli altri uomini che è bello amare il Signore. Altre persone offrono agli uomini altri doni, come il vestito, il cibo, il vino da bere, la giustizia, ecc.; voi darete agli uomini soprattutto la certezza di essere conosciuti e amati dal Signore.
E qui mi rivolgo in particolare a quelli di terza media che stanno vivendo questi Santi Esercizi quasi come ultima tappa verso una decisione importante che dovranno prendere: se passare in ginnasio, e così continuare il cammino vocazionale, oppure incamminarsi per qualche altra strada.
Può darsi che uno, ragionando con calma col suo Rettore e col suo Direttore Spirituale, capisca che Gesù gli chiede un altro modo di volergli bene e di servirlo nella Chiesa. Quindi niente di male se lascia il Seminario per continuare a seguire la vocazione di Gesù su un' altra strada, diversa dal sacerdozio.
Però penso che tanti di voi sono realmente chiamati a fare il prete. Qualcuno potrebbe dubitare, pensando: «Ma io ho tanti difetti, faccio tanti sbagli. Come posso fare il prete?»; oppure: «Cosa serve fare il prete. La gente ha bisogno di altre cose più importanti che non la preghiera, il Vangelo, i Sacramenti...».
Ecco, io vi dico: se voi scoprite che la vostra strada è un'altra, benissimo, seguite ciò che Gesù vi indica. Ma se Gesù vi chiama a diventare preti, non scoraggiatevi per i vostri difetti. Chiedetegli piuttosto il coraggio di vincerli pian piano. Soprattutto non pensate che il mondo non abbia bisogno di Gesù. lo ho girato un po' il mondo in questi anni e dappertutto ho visto un immenso bisogno di persone che parlino di Dio agli uomini.
Ho in mente una scena straziante: nel luglio scorso sono stato in Africa, nel Sudan, e ho visitato a Quirick vicino a Giuba un grosso lebbrosario. C'è chi dice che lì siano raccolti 5.000 lebbrosi, altri dicono che siano 15.000, altri infine che ve ne siano 25.000; nessuno sa il numero preciso, perché i lebbrosi sono abbandonati a se stessi. C'è solo qualche capanna e una piccola cappella costruita da un prete. Ricordo che quando sono arrivato ho incominciato a distribuire un po' di vestiti e altro... ma quando hanno capito che ero un prete, uno dì loro, che fa un po' da sacrista, è corso subito in cappella a suonare la campana a più non posso per dire alla gente che era arrivato un prete.
In breve tempo si è radunato un bel gruppo di lebbrosi, e io dicevo: «Ma la Messa l'ho già detta, poi non so parlare l'arabo. L'inglese lo so appena appena». Essi mi rispondono: «Non fa niente, non fa niente! Father, bless us: Padre, benediteci!». Ecco, quella gente affranta aveva bisogno di incontrare un prete per essere benedetta. Uno può dire: «Certo in Africa, poveretti, non hanno niente, cercheranno i preti per consolarsi». No, non è così. Anche in altre parti del mondo ho fatto la medesima esperienza.
Ad esempio, nel 1970 sono stato un mese intero in America, ospite di mio fratello. Vicino c'era la casa di un protestante, più precisamente di una famiglia presbiteriana che ho cominciato a conoscere piano piano fino a diventare amici.
In America tanta gente ha tutto: il frigorifero, il condizionatore d'aria, soldi a palate, due o tre macchine... Eppure questa gente ha un immenso bisogno di Dio. Ricordo che quando recitavo il breviario nel giardino, dalla finestra della casa vicina la signora mi vedeva e sempre mi urlava: «Father Louis, pray also for us! (Don Luigi, preghi anche per noi!». Questa gente, che ha tutto, cerca qualcuno che preghi per loro.
E infine l'ultimo episodio che vi racconto si riferisce all'estate scorsa, quando sono stato in Germania con i seminaristi più grandi della Scuola Vocazioni Adulte di Milano.
Eravamo alloggiati in un ostello della gioventù, dove c'erano anche dei soldati impegnati per alcuni giorni in esercitazioni militari. La sera della nostra partenza abbiamo organizzato una festa assieme, bevendo birra, mangiando salsicce e cantando un po' in italiano e un po' in tedesco. Alla fine ci siamo salutati, e un soldato mi è venuto incontro e mi ha detto: «Padre, so che voi siete cattolici e so che questi giovani sono seminaristi. lo sono un protestante evangelico, voglio molto bene al Signore, dica ai suoi seminaristi di pregare tanto per me».
Il mondo ha un immenso bisogno di gente che parli loro di Gesù, che annunci il Vangelo, che trasmetta le cose che l'Arcivescovo vi ha detto in questi giorni.
La gente ha bisogno di uomini che con la loro vita dicano a tutti che Gesù ci conosce, ci ama, ci perdona, sopporta con noi tutte le nostre prove e difficoltà e ci sostiene con la sua grazia.
lo prego tanto in questa Messa soprattutto per voi più grandi di terza media, perché viviate questi ultimi mesi di scuola con coraggio, con gioia, con responsabilità.
Se il Signore vi chiama a diventare preti non siate pigri. Non spaventatevi dei vostri difetti. Non dite che non c'è bisogno di preti in questo mondo, Mentre prego per tutti i seminaristi, prego in modo speciale per voi, perché il vostro cammino sia pieno di speranza e di coraggio.