domenica 16 settembre 2012

Onora il padre e la madre



NAPOLI, domenica, 16 settembre 2012 .- Una Piazza del Plebiscito stracolma ha accolto ieri, sabato 15 settembre, l’iniziativa nazionale10 Piazze per 10 Comandamenti. Arrivata anche a Napoli, la maratona di evangelizzazione ha riscosso un grandissimo successo e una straordinaria partecipazione popolare. Oltre 20.000 persone hanno riempito una delle più belle e delle più grandi piazze italiane.
Serata di spettacolo e creatività dedicata al IV Comandamento “Onora il padre e la madre”. L’evento ha avuto il via alle ore 20.30, in diretta su Tv2000. Lo spettacolo è stato condotto dalla “neo mamma” Caterina Balivo; a Lina Sastri è stata affidata la lettura dei 10 Comandamenti come brano di inizio serata e alcuni testi tratti da autori contemporanei. Sul palco anche il card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, che ha dettato un commento sul comandamento, e il saluto del sindaco Luigi De Magistris. Riflessioni sul comandamento affidate anche a Raffaele Bonanni (segretario della Cisl), a Don Antonio Sciortino (direttore di Famiglia Cristiana) e a Stefano Zamagni (economista). Sul palco i cantautori Eugenio Bennato e Mariella Nava, che si sono esibiti con alcuni brani tratti dal loro repertorio. Durante la serata sono stati trasmessi i video messaggio ad hoc realizzati dal Santo PadreBenedetto XVI e da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione
La dichiarazione finale è stata tratta dagli Scritti dei Santi Alfonso Maria de’ Liguori e Giuseppe Moscati, elaborata dal presidente Martinez e proclamata dopo l’appassionato intervento conclusivo di quest’ultimo. Suggestiva e commovente l’immagine che faceva da sfondo: migliaia di fiaccole accese, che illuminavano Piazza del Plebiscito accompagnando la lettura di questo messaggio dedicato alla città e indirizzato a tutto il Paese.
Prima della serata dedicata alle Dieci Piazze, proprio in Piazza del Plebiscito si è concluso il 5° Pellegrinaggio Nazionale delle Famiglie per la Famiglia, iniziativa storica del Rinnovamento nello Spirito Santo. Il Pellegrinaggio è iniziato alle ore 16.30 in Piazza Dante dove, in precedenza, hanno tenuto il loro intervento Salvatore Martinez, presidente nazionale RnS; mons. Carlo Liberati, arcivescovo – prelato di Pompei; Francesco Belletti, presidente del Forum delle Associazioni Familiari, don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale di Pastorale familiare della CEI. La Celebrazione Eucaristica è stata presieduta dal card. Ennio Antonelli, già presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia: al termine della Messa ha avuto inizio il Pellegrinaggio. Generazioni diverse, unite in un corale gesto di preghiera si sono messe in cammino per testimoniare la bellezza della vita e l’originalità della famiglia cristiana. L’effige della Madonna di Pompei ha accompagnato il percorso durante il quale è stato recitato lo speciale “Rosario della Famiglia”, una selezione di sette misteri in cui è stato contemplato il cammino della famiglia cristiana.
Dieci Piazze per Dieci Comandamenti non si ferma a Napoli: celebrata ieri, 15 settembre, anche a Verona in Piazza dei Signori, dove la riflessione ha riguardato il secondo Comandamento, l’iniziativa nelle piazze italiane continuerà in tutto l’Anno della Fede a Torino, Palermo, Bari, Cagliari, Firenze, Genova, Milano e Bologna.

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NAPOLI, domenica, 16 settembre 2012.- Di seguito il testo dell’omelia tenuta dal cardinale Ennio Antonelli, già presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, nella Messa per il V Pellegrinaggio nazionale delle famiglie per la famiglia, celebrata a Napoli in Piazza del Plebiscito prima della serata dedicata alle Dieci Piazze.
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Grazia e pace e ogni bene a tutti voi e alle vostre famiglie dal Signore nostro Gesù Cristo!
Siamo qui riuniti per partecipare al bellissimo progetto “10 Piazze per 10 Comandamenti”. Sono incontri di festa, ed è giusto che sia così perché per i Comandamenti di Dio, per la legge di Dio, bisogna essere grati, bisogna far festa. È una legge di libertà, una legge di amore, una legge per la vita, per la vita umana autentica, per la vita buona, per la vita personale, per la vita sociale. È giusto far festa: dice la parola di Dio stessa nel Salmo 118 che i precetti del Signore fanno gioire i cuori. Certo, si rattristano anche quando non li osserviamo con piena responsabilità, e allora la coscienza ci rimprovera, ma di per sé sono per la vita, sono per la gioia, sono per la felicità, adesso e nell’eternità.
Oggi siamo qui per celebrare, per festeggiare il quarto Comandamento, “Onora il padre e la madre”, un Comandamento che riguarda la vita familiare. E questo nostro incontro inizia con la liturgia della 24ª domenica del Tempo ordinario. Le Letture come messaggio principale ci presentano la dinamica, la logica, l’orientamento di fondo della vita di Gesù e della vita vera cristiana. È la logica dell’amore inteso come dono di sé, come dedizione a Dio e agli altri. Questa logica dell’amore e della carità conferma, assume i Comandamenti e li porta a perfezione, in un certo senso li trascende. Quindi è molto adatto questo messaggio per questo incontro che stiamo celebrando. Abbiamo ascoltato dal Vangelo l’importante dialogo tra Gesù e i discepoli a Cesarea di Filippi. Questo dialogo si colloca nel momento centrale della vita pubblica di Gesù. Il momento della cosiddetta svolta di Gesù: fino a quell’ora il Signore si era dedicato soprattutto alle folle, alle masse. Da allora in poi si dedica soprattutto ai discepoli, ovviamente senza trascurare le folle.
Ma c’è una svolta piuttosto evidente nei racconti evangelici. Gesù aveva compiuto molte guarigioni, aveva mostrato la potenza di Dio, la misericordia di Dio. La gente lo aveva seguito in massa, con entusiasmo, piena di meraviglia per quello che lui compie, piena di speranza per il futuro e si domandava: «Chi è mai costui? Chi è quest’uomo così potente, così buono?». E dava diverse interpretazioni, risposte. Qualcuno diceva: «È Giovanni Battista che Erode ha fatto decapitare e che è risuscitato dai morti», qualcun altro diceva: «È Elia», il profeta che secondo l’Antico Testamento era stato tratto in Cielo sul carro di fuoco e secondo l’aspettativa della gente doveva ritornare nei tempi del Messia. Comunque dicevano: «È un profeta, è un grande profeta che è sorto tra di noi». Ma Gesù dice ai discepoli: «Ma voi chi dite che io sia?», e Pietro a nome di tutti dice: «tu sei il Cristo, tu sei il Messia». Gesù accetta questa professione di fede di Pietro ma nello stesso tempo ordina severamente di non dirlo in giro alla gente, di non dirlo a nessuno: «Sì, sono il Messia ma non lo dite».
Perché questo? Perché la gente, i discepoli stessi avevano una falsa immagine del Messia, si aspettavano un re trionfatore, un re che guidasse la rivolta del popolo contro i Romani, che liberasse il popolo dall’oppressione dell’Impero romano, che portasse la libertà e il benessere, che inaugurasse un regno potente, facesse di Gerusalemme il centro del mondo. Quelle che la gente nutriva erano speranze terrene di gloria e di grandezza, Gesù invece è il Messia in un senso completamente diverso. Si rivolge ai discepoli e dice che il Figlio dell’Uomo deve essere rifiutato, respinto dalle autorità della nazione, deve essere perseguitato, oltraggiato, umiliato, suppliziato, ucciso, e poi risusciterà. I discepoli rimangono profondamente disorientati, sbalorditi: «ma che sta dicendo?», e Pietro a nome di tutti lo tira in disparte e dice: «Ma che dici? Non ti deve assolutamente succedere quello che stai dicendo». Pietro rimprovera Gesù, ma Gesù a sua volta rimprovera Pietro, come avete sentito: «Va’ dietro di me, satana, non pretendere di andarmi davanti e di dirmi tu quello che bisogna fare. Vieni dietro a me, a te spetta seguirmi, va’ dietro di me o tentatore, perché tu non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini, secondo gli interessi, la mentalità terrena degli uomini».
E poi Gesù, non contento di questo, raduna la folla e dice: «Non pensate che seguirmi sia una passeggiata, una marcia trionfale. Se qualcuno vuol venire dietro me, vuol essere mio discepolo, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuol salvare la propria vita la perderà ma chi perderà la propria vita a causa mia e del Vangelo la salverà». È un discorso difficile per la gente, difficile per gli stessi discepoli, persino per Pietro.
È questa la “svolta di Galilea”: da allora in poi le folle cominciano ad abbandonarlo, non lo capiscono più, rimangono profondamente deluse. Gesù parla di «chi perderà la propria vita a causa mia e del Vangelo», cioè chi dona la propria vita per amore, facendo della sua vita un dono, un dono al regno di Dio, a Dio e agli altri. E questo naturalmente costa anche sacrificio, bisogna portare la croce per questo. Ma chi imparerà a donare la sua vita, anche col sacrificio, questi la ritroverà, non perde in realtà la vita, la acquista, la rende autentica, piena, trova la felicità già adesso e poi nell’eternità. È questa l’esperienza che fanno tutti i veri cristiani: il centuplo già adesso e poi la vita eterna.
Ma è un discorso difficile, contrario alla mentalità spontanea, all’interesse immediato, al piacere immediato, alla miopia delle nostre vedute umane, dell’opinione pubblica. E quindi bisogna avere il coraggio di credere sul serio a Gesù, di prenderlo sul serio e di andare controcorrente. Gesù ci assicura che non è una speranza solo nel futuro: adesso soffri e solo dopo la morte, troverai... anche subito! C’è un altro detto di Gesù: c’è più gioia a dare che a ricevere. Non c’è gioia solo nel seguire la propria soddisfazione o nella propria gratificazione, interesse, bene immediato; ma c’è gioia anche a donare, provare per credere! Lo sanno le mamme per esempio, in famiglia, quando con amore fanno dei grossi sacrifici ma si sentono anche interiormente contente perché stanno facendo qualcosa di bello per i loro figli, lo stanno facendo per la loro famiglia. C’è più gioia a dare che a ricevere, già adesso: questo vale per tutta la vita cristiana, e in particolare per la vita di famiglia.
Benedetto XVI, nella sua prima Enciclica Deus caritas est, dice che l’amore coniugale vero è sintesi di eros e agape, è sintesi di amore e desiderio, di ricerca della propria soddisfazione – giusto e umano anche questo – ma sintesi con la dedizione e l’impegno per il bene dell’altro coniuge. Quindi l’amore-desiderio deve essere unito con l’amore-dono. E allora l’amore-desiderio non è più egoismo, ma viene nobilitato, diventa pieno, autentico amore. E questo è anzitutto amore reciproco tra i coniugi, l’uno per l’altro, e poi è amore comune dei genitori verso i figli, dedizione ai figli, con la procreazione, con la cura e con l’educazione. Questo comporta sacrificio, la croce: Gesù lo dice chiaramente, non ci inganna.
Comporta tanti sacrifici, piccoli e grandi, nelle varie circostanze della vita, quasi ogni giorno, ma porta anche una gioia autentica nella misura in cui riusciamo a vivere coerentemente questa logica dell’amore che è sintesi di eros e agape. A Milano, nel recente Incontro mondiale delle famiglie, è stata presentata una ricerca sociologica “La famiglia, risorsa della società”. Sono stati confrontati diversi modelli, diverse forme di famiglia o para-famiglia – oggi c’è molta fantasia nella società e nella cultura – ed è risultato che le famiglie “normali”, quelle che poi sarebbero anche nelle aspirazioni della gran parte della gente, compresi i giovani, le famiglie normali cioè uomo e donna uniti in matrimonio, con due o più figli, sono le più felici, le meno lamentose, le più coraggiose nell’affrontare la vita, le più generose. Sono più felici e più stabili, perché tra l’altro i figli sono un rafforzamento del legame dei coniugi stessi; sono più pro-sociali, cioè più aperte, più attente, più disponibili, più impegnate anche verso la società, verso le altre famiglie, verso i problemi dei poveri, verso la società in generale. Sono famiglie anche mediamente più povere, questo è significativo, perché non sono sostenute anzi sono penalizzate sia dallo Stato sia dal mercato, e quindi sono mediamente più povere, ma sono più felici.
Cosa significa questo? L’uomo non vive di solo benessere, l’uomo non vive di beni materiali soltanto: vive soprattutto di relazioni buone, e quando c’è la ricchezza di relazioni c’è anche la gioia, il gusto di vivere. E allora ecco, le famiglie che hanno due o più figli hanno ricchezza di relazioni, magari minore ricchezza di beni materiali, ma maggior ricchezza di relazioni. E quindi sono anche l’ambiente più adatto per la crescita umana di tutti i membri, dei figli innanzitutto ma anche degli adulti stessi, sono la scuola più vera, più autentica di umanità, e portano anche un maggiore benessere alla società. Viceversa, la povertà di relazioni crea infelicità e danni alle persone e alla società. Nello stesso libro in cui è stata pubblicata questa ricerca c’è anche uno studio dei dati sociologici, disponibili nel mondo già da tempo, una ricerca di sfondo: i figli, i giovani che crescono senza la figura paterna o con la madre soltanto o con nessuno dei due genitori, negli Stati Uniti sono il 90% dei senza casa, gli sbandati; il 72% degli omicidi, l’85% dei carcerati, il 60% degli stupratori.
Notate quanti danni alle persone e alla società vengono fuori quando la famiglia non c’è o non funziona? In Francia, l’80% dei ricoverati in psichiatria sono persone che sono cresciute in una famiglia incompleta o sfasciata, inesistente. In generale, , i giovani che crescono con un solo genitore, hanno doppia probabilità di diventare delinquenti rispetto agli altri che crescono in una famiglia normale. Questo per quanto riguarda i figli. Ma anche per gli anziani non va bene. Gli anziani che non hanno avuto figli, che non li hanno voluti soprattutto – se non sono venuti non è colpa di nessuno – vanno incontro alla solitudine. La mancanza di figli, la scarsità di figli genera solitudine per gli anziani e la solitudine è una grande povertà.
Dice Madre Teresa di Calcutta, che di povertà se ne intendeva, che è più grave, fa soffrire di più la povertà della solitudine che non quella della miseria dei Paesi poveri. E lei diceva spesso che i Paesi del benessere, in realtà, sono più poveri dei Paesi sottosviluppati, più poveri di umanità e anche di gusto di vivere – e questo non ci vuole molto a rendersene conto se si va in un Paese dell’Africa, per esempio si vedono tanti bambini che sono festosi, gioiosi, non hanno niente eppure sembra che abbiano tutto.
E poi la de-natalità, la mancanza di figli, prepara un futuro molto rischioso per gli anziani, mette a rischio l’economia, lo Stato sociale, le pensioni, l’assistenza degli anziani: in un futuro non lontano il trend è questo. È chiaro che la famiglia normale, quella di due o più figli con una coppia stabile di coniugi, la famiglia cosiddetta normale è la famiglia che è un grande bene per tutti, per le persone e per la società. In fondo è quel tipo di famiglia che il Comandamento di Dio vuole sostenere: “Onora il padre e la madre”, e viceversa i genitori sono i primi che devono dedicarsi seriamente ai figli, l’amore deve essere nelle due direzioni e innanzitutto deve partire dai genitori verso i figli.
Mi pare che queste statistiche presentate a Milano confermino la validità dei Comandamenti di Dio, confermino che i Comandamenti di Dio sono per la vita, per la vita buona già adesso: non solo per il futuro, per l’eternità, ma già adesso, per la vita buona delle persone, per la vita buona della società. E quindi mi pare davvero giusto e bello che noi facciamo festa, che festeggiamo, celebriamo i Comandamenti di Dio e in particolare il quarto Comandamento nell’incontro di oggi.

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NAPOLI, domenica, 16 settembre 2012. -  Di seguito l'intervento del cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, tenuto in occasione della serata del ciclo Dieci piazze per Dieci Comandamenti, svoltasi sabato 15 settembre in Piazza del Plebiscito nella città partenopea.
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Carissimi fratelli e sorelle in Cristo,
sono veramente felice di porgere il saluto mio e dell’intera Chiesa napoletana a voi qui riuniti. È una gioia essere qui e devo ringraziare Salvatore Martinez, presidente nazionale RnS, per avere individuato anche Napoli, la diocesi, come piazza, come luogo dove poter meditare su questo Comandamento del Signore “Onora il padre e la madre”. Direi che è una scelta particolarmente felice perché qui a Napoli, con la diocesi e la nostra regione, viviamo questa fede radicata nel sentirsi parte di quel progetto di Dio che ci invita a tenerci strettamente legati ai nostri genitori, ai nostri parenti, ai nostri fratelli e sorelle.
“Onora il padre e la madre” è Parola di Dio, non è una invenzione dell’uomo. È Dio che ha detto “Onora il padre e la madre”, ce lo ha raccomandato: questo è già nella Bibbia, nell’Esodo, nel Deuteronomio e prima ancora nella Genesi. È ancora nel Vangelo di Marco, di Matteo, nella lettera di San Paolo agli Efesini. È Gesù stesso che è voluto nascere in una famiglia, il Dio che diventa uomo e sceglie la famiglia, un padre e una madre: una madre che gli dà la vita, un padre putativo che lo guida, che lo sostiene, che lo aiuta a crescere. “Cresceva in sapienza, in statura e in grazia” (Lc 2, 52), era la manifestazione di Dio. Perché? Perché Dio è famiglia: il Padre genera il Figlio nell’amore dello Spirito Santo e ha voluto che l’umanità fondasse su questa realtà divina la sua entità, anche di ordine civile e sociale.
Che cos’è l’umanità? Che cosa dovrebbe essere l’umanità se non la famiglia delle famiglie? Che cos’è la Chiesa se non la famiglia delle famiglie? Che cos’è la famiglia se non quella immagine di Dio famiglia che è nella Trinità? Allora noi vogliamo gridare questa fede nelle nostre piazze come ha voluto il Rinnovamento nello Spirito Santo. Io spero che qui a Napoli e in tutte le piazze, in tutto il mondo, si gridi che la famiglia è viva perché Dio è vivo, perché Cristo è vivo e noi non possiamo prescindere da questa Parola di Dio.
Nessuno potrà mai limitarci dal gridare con forza che la famiglia è sacra, che la famiglia è fondamento, che la famiglia è cellula, che la famiglia si sviluppa come segno e manifestazione d’amore. Cos’è la famiglia se non un rapporto di amore tra padre e madre, tra genitori e figli, tra figli e genitori? Perché c’è la crisi della famiglia? Perché c’è crisi di amore. Perché quando una madre e un padre smettono di amarsi, quando i genitori non sanno trasmettere amore ai figli, allora arriva la crisi. Qual è la chiave? Ritrovare l’amore che Dio pone a fondamento della famiglia.
Quanti di voi vivono in famiglie cristiane nelle difficoltà, nelle sofferenze però fedeli a questo amore che avete giurato davanti a Dio e davanti alla Chiesa? Dobbiamo riscoprire l’amore come fondamento della famiglia. Cos’è l’educazione dei genitori verso i figli? È un’arte di amore. I genitori devono insegnare ai figli ad amare, a darsi, a donarsi come loro si sono donati. Il genitore non può dire: “io ti ho generato, ora vai per la tua strada”. È ogni giorno, in ogni momento che il genitore continua a generare un figlio con il suo amore. Quando questa corrente di amore si esaurisce allora i rapporti vengono meno.
Non basta dire: “Voglio bene a mio figlio perché gli dò i soldi per compare la motocicletta, la macchina...”. Non è così. Tu, genitore, vuoi che il figlio ti onori? Non ti deve onorare perché gli dai i soldi ma perché gli comunichi amore, perché ogni giorno gli dai il tuo amore, la tua vita, la tua donazione. È quello che noi vogliamo realizzare. È questa la famiglia di Dio, questa la famiglia della Chiesa. Vorremmo che tutte le famiglie fossero come questa perché la famiglia sana è anche elemento di sviluppo per una società, per una comunità. Una comunità è famiglia delle famiglie quando si vive come fratelli e sorelle, come figli di uno stesso padre. È allora che la società cresce, aumenta.
È questo il mio augurio: Dio benedica le famiglie, l’umanità, la famiglia umana, la famiglia degli uomini e delle donne, la famiglia dei giovani, la famiglia dei figli, la famiglia di cui noi siamo espressione vivente. Il Signore ci assista, aiuti anche coloro che si fanno promotori di questa verità fondamentale per il futuro di tutti noi. Dio benedica e la Madonna che è la madre delle famiglie ci accompagni!