venerdì 28 settembre 2012

Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele

Qui, oggi, nella nostra vita, "...vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo". Oggi è un bel giorno. Il Kerygma si nasconde nelle nostre ore, perchè lo sguardo di misericordia del Signore non ci lascia mai. Anche nelle storie di angoscia e paura che hanno tanta parte della nostra esistenza, quella che scivola sotto un cielo plumbeo e chiuso a quattro mandate. E la speranza sembra tante volte svanire. Poi, all'improvviso, una notizia: "LIBERI !". Qualcuno ha trattato e interceduto per noi, qualcuno ha pagato per noi.... Molto di più. Qualcuno ha offerto la Sua vita per noi. Qui ed ora. Sulla Croce di Cristo il Cielo è aperto e gli Angeli si rincorrono ad annunciarci la Notizia che le porte del carcere, quell'angoscia che ti lacera il cuore, le ha splancate il Signore. Oggi, laddove sei crocifisso, ora sei Libero!


Oggi 29 SETTEMBRE celebriamo la Festa dei

SANTI ARCANGELI
MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE


Michele, nome ebraico che vuol dire « Chi è come Dio? » viene ricordato nel libro di Daniele del popolo eletto (Dan 10,13 e 12,1). La lettera di san Giuda (v. 9) lo presenta in lotta contro Satana per il corpo di Mosè. Anche l’Apocalisse (12,7) ricorda il combattimento di Michele e dei suoi angeli contro il drago. La liturgia dei defunti lo vuole accompagnatore delle anime. Molto venerato dagli Ebrei divenne presto assai popolare nel culto cristiano. Il 29-IX cade l’anniversario della dedicazione di una chiesa in suo onore sulla via Salaria (sec. V). 
Gabriele
 «forza di Dio», si presentò a Zaccaria come «colui che sta al cospetto di Dio» (Lc 1,19). Portare l’annuncio di Dio è il compito che gli riconosce Daniele (8,16; 9,21): annunziò infatti la nascita del Battista e di Gesù Cristo (Lc 1,5-22.26-38).
Raffaele, 
«Dio ha curato», compare nel libro di Tobia come accompagnatore nel viaggio del giovane Tobia e come portatore di salvezza al vecchio padre cieco.
San Luca mostra sovente l’intervento degli angeli nelle origini della Chiesa perché con la venuta di Cristo l’umanità è entrata nell’èra definitiva in cui Dio è vicino all’uomo e il cielo è unito alla terra. Essi vengono da Dio «inviati in servizio, a vantaggio di coloro che devono essere salvati» (Ebr1,14). La nostra «azione di grazie», l’ Eucaristia, è una «concelebrazione» (cf LG 50) in cui ci uniamo agli Angeli nel triplice canto: «Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo».

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Oggi la Chiesa celebra la festa dei Santi arcangeli Michele, Raffaele e Gabriele. Gli arcangeli, figure presenti sia nell’ebraismo che nella religione islamica, sono una sorta di angeli “superiori”, non a caso collocati nelle sfere più alte delle gerarchie angeliche, attraverso i quali opera lo spirito Santo. Questi “angeli”, spesso nell’iconografia rappresentati con grandi ali e molti occhi, hanno il compito di “gestire, coordinare e distribuire” la luce divina, che loro stessi riflettono essendo in continua contemplazione del volto di Dio, e dunque, rendere percepibile l’azione salvifica del creatore sulla terra. Gli arcangeli, in sostanza, come indica lo stesso termine (composto dalle parole greche "archein", comandare, e "anghelos", angelo), servendosi degli angeli delle schiere inferiori, dei quali sono messi a capo, si preoccupano e dispongono che il “disegno divino” prenda concretamente forma.
L’angelologo Haziel, dopo un approfondito studio sui testi della cabala e della dottrina ebraica, riporta i nomi di 9 arcangeli (Metatron, Raziel, Binael, Hesediel, Camael, Raffaele, Haniel, Michele e Gabriele), che presidierebbero l’attività dei 9 cori celesti, più un decimo, Sandalphon, che, secondo la cabala, sarebbe preposto alla “sfera energetica” della Terra. Nonostante la Chiesa riconosca l’esistenza di migliaia di angeli, autorizza solamente il culto di Michele, Raffaele e Gabriele, in quanto sono gli unici ad essere citati esplicitamente nella Bibbia.
San Michele, infatti, è presente con molteplici nomi, “Angelo del Signore”, “Angelo dell’Eterno”, “Angelo della sua presenza”, “Angelo dell'alleanza”, solamente nella lettera di Giuda però viene definito “Arcangelo”. Tradizionalmente è considerato il capo supremo degli angeli, principe e comandante delle milizie celesti (nel libro di Giosuè si presenta come “il capo dell’esercito dell’Eterno” e nel libro di Daniele viene chiamato “il gran principe”), colui che ha sconfitto Satana e le sue schiere, precipitandole sulla terra. Il suo nome, che in ebraico significa “chi è come Dio?”, è la frase pronunciata contro gli angeli ribelli di Lucifero. Nell’Apocalisse è sempre l’arcangelo Michele a guidare gli angeli in battaglia contro il “dragone”, che simboleggia Satana; per questi fatti è considerato il sommo guerriero, protettore dei cristiani e della Chiesa, simbolo della lotta del bene contro il male, portatore della luce della conoscenza ed emblema di giustizia (nell’iconografia orientale è spesso raffigurato con in mano una bilancia, piuttosto che la spada).
Gabriele, invece, che significa “Dio è la mia Forza”, è colui che rivela a Daniele i segreti del piano di Dio (Dn 8,16), annunzia a Zaccaria la nascita del Battista (Lc 1,11) e alla vergine Maria quella di Gesù (Lc 1, 26). Inoltre, secondo la tradizione, fu lui ad apparire ai pastori, annunciando la nascita del “salvatore”, e a confortare Gesù nel Getsemani. Nell’apocalisse ebraica, invece, appare come l’angelo del castigo, o della morte (definito “principe del fuoco”), mentre la tradizione islamica lo colloca a capo di tutti gli angeli (si dice abbia dettato il Corano a Maometto).
Raffaele, dall’ebraico “Dio guarisce”, accompagna e custodisce Tobia nel suo lungo viaggio, caccia i demoni dalla futura moglie Sara e guarisce il padre cieco (appare anche con gli altri 2 arcangeli per guarire Abramo); in virtù di questi fatti è considerato l’angelo guaritore e invocato contro le malattie dell’anima e del corpo, protettore dei pellegrini, dei farmacisti e dei fidanzati.
E’ interessante notare che in origine il 29 settembre veniva celebrato unicamente San Michele arcangelo, il cui culto gode di una tradizione secolare senza pari. Don Marcello Stanzione, in un suo articolo, ci fa notare come il culto di san Michele sia legato sopratutto alla grotta (spesso i santuari a lui dedicati sono stati edificati in luoghi sotterranei o in prossimità di grotte; lo stesso imperatore Costantino fece erigere in suo onore una chiesa sulla grotta della natività, mentre sua madre, sant’Elena, ne costruì una sulla grotta del Santo sepolcro), in quanto, nella teologia cristiana la grotta è da sempre messa in relazione al mistero della presenza divina (essendo il luogo natale, la tomba e dove si manifestò Cristo) e, non a caso, l’arcangelo viene considerato come l’angelo esorcista che scaccia i demoni dalle grotte dove, precedentemente, c’era il culto dei falsi dei pagani (vedi Mitra). Il martirologio romano, non a caso, in questo giorno ricorda la dedicazione della basilica di san Michele sul monte Monte sant’Angelo, considerato uno dei luoghi di culto più antichi della cristianità, la cui montagna è considerata sacra in virtù delle molte miracolose apparizioni dell’arcangelo avvenute nella grotta del Gargano. (P. Barbini)
Fonte: Zenit
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Di seguito i testi della Liturgia con qualche commento.

L'appellativo «angelo» designa l'ufficio, non la natura
Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa
(Om. 34, 8-9; PL 76, 1250-1251)

E' da sapere che il termine «angelo» denota l'ufficio, non la natura. Infatti quei santi spiriti della patria celeste sono sempre spiriti, ma non si possono chiamare sempre angeli, poiché solo allora sono angeli, quando per mezzo loro viene dato un annunzio. Quelli che recano annunzi ordinari sono detti angeli, quelli invece che annunziano i più grandi eventi son chiamati arcangeli.
Per questo alla Vergine Maria non viene inviato un angelo qualsiasi, ma l'arcangelo Gabriele. Era ben giusto, infatti, che per questa missione fosse inviato un angelo tra i maggiori, per recare il più grande degli annunzi.
A essi vengono attribuiti nomi particolari, perché anche dal modo di chiamarli appaia quale tipo di ministero è loro affidato. Nella santa città del cielo, resa perfetta dalla piena conoscenza che scaturisce dalla visione di Dio onnipotente, gli angeli non hanno nomi particolari, che contraddistinguano le loro persone. Ma quando vengono a noi per qualche missione, prendono anche il nome dall'ufficio che esercitano.
Così Michele significa: Chi è come Dio?, Gabriele: Fortezza di Dio, e Raffaele: Medicina di Dio.
Quando deve compiersi qualcosa che richiede grande coraggio e forza, si dice che è mandato Michele, perché si possa comprendere, dall'azione e dal nome, che nessuno può agire come Dio. L'antico avversario che bramò, nella sua superbia, di essere simile a Dio, dicendo: Salirò in cielo (cfr. Is 14, 13-14), sulle stelle di Dio innalzerò il trono, mi farò uguale all'Altissimo, alla fine del mondo sarà abbandonato a se stesso e condannato all'estremo supplizio. Orbene egli viene presentato in atto di combattere con l'arcangelo Michele, come è detto da Giovanni: «Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago» (Ap 12, 7).
A Maria è mandato Gabriele, che è chiamato Fortezza di Dio; egli veniva ad annunziare colui che si degnò di apparire nell'umiltà per debellare le potenze maligne dell'aria. Doveva dunque essere annunziato da «Fortezza di Dio» colui che veniva quale Signore degli eserciti e forte guerriero.
Raffaele, come abbiamo detto, significa Medicina di Dio. Egli infatti toccò gli occhi di Tobia, quasi in atto di medicarli, e dissipò le tenebre della sua cecità. Fu giusto dunque che venisse chiamato «Medicina di Dio» colui che venne inviato a operare guarigioni.
MESSALE
Antifona d'Ingresso Sal 102,20
Benedite il Signore, voi tutti suoi Angeli,
potenti esecutori dei suoi comandi,
pronti al suono della sua parola.



Colletta

O Dio, che chiami gli Angeli e gli uomini a cooperare al tuo disegno di salvezza, concedi a noi pellegrini sulla terra la protezione degli spiriti beati, che in cielo stanno davanti a te per servirti e contemplano la gloria del tuo volto. Per il nostro Signore...


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura
 Dn 7,9-10.13-14
Mille miglia lo servivano.

Dal libro del profeta Daniele
Io continuavo a guardare,
quand’ecco furono collocati troni
e un vegliardo si assise.
La sua veste era candida come la neve
e i capelli del suo capo erano candidi come la lana;
il suo trono era come vampe di fuoco
con le ruote come fuoco ardente.
Un fiume di fuoco scorreva
e usciva dinanzi a lui,
mille migliaia lo servivano
e diecimila miriadi lo assistevano.
La corte sedette e i libri furono aperti.
Guardando ancora nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d’uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:
il suo potere è un potere eterno,
che non finirà mai,
e il suo regno non sarà mai distrutto.

oppure: Ap 12, 7-12

Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago.

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo

Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo.
E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana, e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli.
Allora udii una voce potente nel cielo che diceva:
«Ora si è compiuta
la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio
e la potenza del suo Cristo,
perché è stato precipitato
l’accusatore dei nostri fratelli,
colui che li accusava davanti al nostro Dio
giorno e notte.
Ma essi lo hanno vinto
grazie al sangue dell’Agnello
e alla parola della loro testimonianza,
e non hanno amato la loro vita,
fino alla morte.
Esultate, dunque, o cieli
e voi che abitate in essi».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 137
Cantiamo al Signore, grande è la sua gloria.
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.

Ti renderanno grazie, Signore, tutti i re della terra,
quando ascolteranno le parole della tua bocca.
Canteranno le vie del Signore:
grande è la gloria del Signore!
Canto al Vangelo Sal 102,20.21
Alleluia, alleluia.

Benedite il Signore, voi tutte sue schiere,
suoi ministri, che eseguite la sua volontà..
Alleluia.

Vangelo 
Gv 1, 47-51
Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo.

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo». Parola del Signore.

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SAN GALLO, sabato, 29 settembre 2012 – Riporto di seguito l’omelia tenuta oggi da mons.Jozef Michalik , arcivescovo di Przemyśl (Polonia) e vicepresidente del CCEE, in occasione dell’annuale assemblea plenaria dei Presidenti delle Conferenze episcopali in Europa, in corso a San Gallo (Sankt Gallen), in Svizzera.
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Il culto degli Angeli era conosciuto già nell’Antico Testamento e godeva di così grande popolarità, provveniente in parte dagli apocrifi, che si è deciso di trattare tale questione durante i tre Sinodi: di Laodicea (361) e di Roma (492 e 745). In seguito alle serie discussioni è stato concesso il culto liturgico solamente dei tre Arcangeli: San Michele, San Gabriele e San Rafaele, perchè solo di questi tre si trovano esplicite testimonianze nella Sacra Scrittura.
San Giovanni nell’Apocalisse (12, 7 ss) parla della vittoria di Michele e dei suoi angeli sul Drago, che si chiama Diavolo e Satana, che si è messo contro Dio. E’ proprio grazie all’Arcangelo Michele sono venuti: la salvezza, la potenza e il Regno del nostro Dio.
E, siccome, la storia della salvezza si distingue per la continuità ed insegna la fede ricordando gli avvenimenti salvifici, allora fino al giorno d’oggi recitiamo la preghiera a San Michele, chiedendo il suo aiuto e la sua protezione nei momenti particolarmente difficili della storia. Il Papa Leone XIII ha composto una preghiera speciale che, fino al Concilio Vaticano II, i sacerdoti erano obbligati a recitare ogni giorno dopo la Santa Messa.
L’Arcangelo Gabriele conosciamo grazie al Vangelo di Luca, il quale descrive la sua missione particolare e il suo bellissimo dialogo con Maria che rivela il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Ma San Gabriele è venerato anche dai Maomettani, i quali credono che il loro fondatore ha ricevuto da Dio, tramite San Gabriele, la missione di fondare una nuova religione.
L’efficacia d’aiuto dell’Arcangelo Rafaele nei momenti di malatia e nel viaggio conosciamo grazie alla figura biblica di Tobia. E anche per noi, instancabili pellegrini, egli può dimostrarsi come un patrono speciale.
Nel passo del Vangelo secondo Giovanni appena proclamato (1, 47-51) il Signore Gesu’ a Natanaele, chiamato “un vero israelita in cui non c’è inganno” rivela il vero incarico degli Angeli di Dio che annunciano e confermano la missione salvifica del Figlio dell’Uomo.
E’ interessante la storia di Natanaele. Gesu’ evidentemente ha posato il suo sguardo su di lui, ha allaciato con lui il dialogo, assai interessante ed importante, che si è concluso con la professione di fede nel Figlio di Dio, ma il nome di Natanaele non si trova nell’elenco dei dodici Apostoli. Forse lui ha ricevuto un’altro incarico oppure aveva bisogno di piu’ tempo per comprendere ed assimilare ciò che è successo durante l’incontro sotto l’albero di fico. Sicuramente, questo incontro doveva essere importante anche per gli altri perché San Giovanni l’ha raccontato in modo così dettagliato.
Nella nostra vita ci sono anche degli incontri con Dio e con le persone, ci sono dei contatti con gli avvenimenti e con le espressioni dette, lette oppure ascoltate che hanno bisogno del tempo per maturare in noi ed acquistare quella forza che ci permette di essere uomini pienamente convinti.
L’antico saggio ebraico diceva che l’uomo sente solamente ciò che vuol sentire e che vede solo ciò che vuole vedere. Quante volte guardiamo la realtà che ci circonda in maniera selettiva? Com’é difficile, a volte, notare ed accattare le cose vere, ma non sempre piacevoli? Come, talvolta, ci nascondiamo o fuggiamo, addirittura, di fronte alla verità che non corrisponde alla nostra visione di vita e ai nostri programmi. Perciò sono così importanti ed utili tutti i nostri incontri, tutti i confronti con le nostre preoccupazioni e con le nostre speranze di avere successo. Sono necessari i colloqui silenziosi con Dio e con gli altri per poter sentire anche ciò che ci dice il Signore e ogni uomo che ci sta vicino, ma anche ciò che ci vogliono trasmettere i segni tei tempi.
Robert Schuman nel “Recherches et Débats” ha scritto: “E’necessario ricordare che l’Europa non può limitarsi solo alle strutture, puramente economiche. Bisogna che essa diventi garante di tutto ciò che rende grande la nostra civiltà cristiana... L’Europa deve riprendere di nuovo il suo ruolo di essere educatore disinteressato per le nazioni che hanno appena conquistato la libertà... Se ci limitiamo a offrirli solamente un aiuto economico e militare, senza dare a loro un esempio di vita, fondato sui principi morali, allora abbiamo fatto una cosa non solo inutile, ma addirittura pericolosa... Se l’Europa non ritroverà la propria coscienza e la consapevolezza della propria responsabilità, se non ritornerà ai principi cristiani di solidarietà e di fraternità, essa non sopravivrà e non si salverà” (30 Giorni, n. 5(2003).
Noi serviamo l’Europa con la nostra riflessione e la nostra cura per le sue sorti, ma bisogna che la serviamo anche con la nostra preghiera, perché il vuoto esistenziale e spirituale che osserviamo sul nostro continente può portare lentamente alla sua scomparsa, a motivo della mancanza delle grandi idee e dei solidi fondamenti morali. 

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Commento (Congregazione per il Clero I)

Perché oggi, nel terzo millennio, mentre tutta la realtà sembra essere ridotta soltanto a ciò che l’uomo pensa, vuole e produce, la Chiesa ci invita a celebrare la Festa dei Santi Arcangeli? Quale interesse potrebbe suscitare mai, in noi, la memoria di creature delle quali sembra di non poter fare alcuna esperienza, ridotte oggi al genere bibliografico e cinematografico del fantasy, apparentemente così lontane dalla quotidiana natura umana?
La Chiesa ci invita a celebrare la Festa odierna, anzitutto, perché essa è, oggi più che mai, insuperabile custode di quello sguardo sulla realtà, tendenzialmente comprensivo di tutti i suoi fattori, cioè di Colui che ha creato la realtà, di coloro che la abitano, della direzione e del significato che le sono strutturalmente impressi. E i santi Arcangeli, insieme a tutte le schiere celesti, sono parte integrale della realtà, puri spiriti, voluti e creati da Dio, misteriosamente affiancati al cammino dell’umanità.
In secondo luogo, siamo invitati a celebrare la Festa odierna, perché i santi Arcangeli, con la loro esistenza ed opera, ci permettono di fare memoria di tre verità fondamentali.
La prima: è in corso, nella storia, una lotta continua tra il bene e il male, una lotta che giunge fino agli avvenimenti più periferici, ma che nasce dall’intimità della coscienza dell’uomo, dove ciascuno è chiamato a riconoscere, scegliere e perseguire il vero bene. E gli Arcangeli testimoniano che solo chi appartiene a Dio può debellare il male che minaccia l’uomo, solo chi afferma Dio, afferma anche l’uomo. Proprio il nome dell’Arcangelo Michele, che significa «Chi è come Dio?», mentre smaschera il peccato di satana, indica l’assoluta e amorevole sovranità di Dio su tutta la creazione quale autentica garanzia della dignità dell’uomo. Da qui derivano i due compiti che la Tradizione della Chiesa gli riconoscere: essere campione dell’unicità di Dio e difensore del Popolo cristiano.
La seconda verità è testimoniata dall’Arcangelo Raffaele, il cui nome significa «Dio guarisce». Si narra, nel Libro di Tobia, che questo Arcangelo fu inviato da Dio a Tobia, operando due miracolose guarigioni: scaccia dalla promessa sposa di Tobia, Sara, uno spirito maligno, a causa del quale erano morti, uno dopo l’altro, sette mariti, e sana la cecità del padre di Tobia. È Dio, infatti, che guarisce il cuore dell’uomo dai suoi mali e, in particolare, dai mali che ostacolano l’amore fraterno e quella forma “originaria” di amore umano, che sembra oggi la più ferita e misconosciuta: l’amore sponsale; ed è Dio che guarisce dalla cecità dell’uomo, il quale, mentre cerca di indagare la superficie del reale, per diventarne il padrone indiscusso, si dimentica di Dio, si chiude alla luce della Verità e, in definitiva, perde se stesso. È Dio che non si arrende al male degli uomini e che continuamente tende loro la mano per risollevarli e guarirli.
E, infine, la terza verità è contenuta nelle parole, con le quali l’Arcangelo Gabriele reca a Maria Santissima l’Annuncio della Maternità divina: «Ecco concepirai un Figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo» (Lc 1,31-32). In quanto servitori di Dio, gli Arcangeli e tutte le schiere angeliche sono a servizio dell’Incarnazione del Verbo e, quindi, della Salvezza del genere umano. Proprio nel Mistero dell’Incarnazione, infatti, trova piena realizzazione ogni loro compito, come trova vero compimento ogni anelito autenticamente umano.
È in Gesù di Nazareth, Amore Crocifisso, Centro del cosmo e della storia, che trionfano l’unicità e la sovranità di Dio. Proprio guardando a Lui, l’uomo scopre le sorgenti della propria irriducibile dignità, che domanda di essere riconosciuta, affermata e custodita, dal primo concepimento alla morte naturale. È da Cristo Gesù, Presente ed Operante, che il cuore dell’uomo viene sanato da ogni male ed immerso nella Verità di Dio, per trionfare, «grazie al sangue dell’Agnello» (Ap 12,11), nella vittoria finale.
Stringiamoci, perciò, a questi Amici spirituali nell’adorazione e nel servizio a Cristo e, insieme, domandiamo la protezione della loro celeste Regina, ripetendo con l’Arcangelo Gabriele le parole con le quali Dio è entrato nella storia: «Ave o Maria, piena di grazia, il Signore è con Te». Amen!

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Commento  (Congregazione per il Clero II)

La Sacra Scrittura e l’ininterrotta Tradizione della Chiesa lasciano scorgere due significativi aspetti dell’identità dell’Angelo. Egli è innanzitutto una creatura che “sta davanti a Dio”, orientata con l’intero suo essere verso Dio. Sintomaticamente, i nomi dei tre Arcangeli finiscono con la parola 'El',: Dio è iscritto nei loro nomi, nella loro stessa identità. La loro natura è l’esistenza in vista di Lui e per Lui.
Questo introduce all’altra dimensione: essi sono messaggeri di Dio, portano Dio agli uomini, dischiudono il Cielo e, così, aprono la terra alla Verità, come testimonia il Vangelo odierno. Proprio perché sono presso Dio, possono essere anche molto vicini agli uomini. Gli Angeli ci invitano a riscoprire che noi, come loro, riceviamo continuamente il nostro essere da Dio e siamo chiamati a stare dinnanzi a Lui: questa è la nostra comune identità e verità. Dio è iscritto nel loro e nel nostro nome! Guardando da vicino i tre Arcangeli diviene ancora più luminosa la loro fisionomia e preziosa la loro missione.
Dell’Arcangelo Michele la Scrittura presenta due mandati. Egli difende la causa dell’unicità di Dio contro la presunzione del drago; è il diabolico tentativo, in ogni epoca della storia, di far credere agli uomini che Dio debba scomparire, affinché essi possano diventare grandi. Il drago, tuttavia, non accusa solo Dio; egli accusa anche l’uomo: satana è «l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusa davanti a Dio giorno e notte» (Ap 12,10). Chi allontana Dio, non rende grande l’uomo, ma, al contrario lo priva della sua dignità e lo rende insignificante. La fede in Dio invece difende l’uomo e lo rende libero, svelandogli, in Dio, la sua grandezza.
L’altro grande compito di Michele è quello di essere protettore del Popolo di Dio (cfr Dn 10,13.21;12,1); laddove risplende la gloria di Dio nella santa Chiesa, là si scatena forte l’invidia del demonio. La cristianità medievale ben comprese questo specifico compito di protezione ed elevò all’Arcangelo Michele splendide e ardimentose chiese: basti pensare al trittico di Abbazie: S. Michele sul Gargano, la Sacra di San Michele di Torino e Mont Saint Michel in Francia; luoghi sacri che, persino attraverso la loro collocazione geografica (equidistanti di 1000 km e collocati su un unico asse orientato esattamente verso Gerusalemme), testimoniano la fiducia ecclesiale nella sua celeste protezione sull’Europa tutta. Oggi, più che mai, ci è necessaria la sua potente difesa!
San Gabriele è il messaggero dell’Incarnazione di Dio (Lc 1,26-38). Egli bussa alla porta di Maria e, per suo tramite, Dio stesso chiede alla Vergine il suo «sì» per divenire la Madre del Redentore. Il Signore sta instancabilmente alla porta, alla porta del mondo e alla porta di ogni cuore e continua a bussare: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20). Egli bussa per domandare alla libertà di aprire. Egli, entrando in noi e abitando tra noi, desidera che la nostra vita abbia il respiro di Dio e l’ampiezza del Cielo. Nella comunione con Cristo, siamo associati anche noi alla missione di Gabriele: portare la chiamata di Cristo agli uomini e dare il lieto annuncio della sua presenza.
San Raffaele, infine, viene presentato nel Libro di Tobia come l’Angelo a cui è affidata la mansione di guarire. Quando Gesù invia i discepoli in missione, al compito dell’annuncio del Vangelo associa anche quello di guarire. Annunciare il Vangelo, significa già di per sé guarire, perché l’uomo necessita soprattutto della verità e dell’amore di Dio. L’Arcangelo Raffaele guarisce la comunione tra uomo e donna. Guarisce il loro amore e dona loro la capacità di accogliersi a vicenda e per sempre. In secondo luogo, il Libro di Tobia parla della guarigione degli occhi ciechi. Tocchiamo con mano quanto oggi siamo minacciati dalla cecità per Dio. Quanto grande sia il pericolo che, di fronte a tutto ciò che sulle cose materiali sappiamo e con esse siamo in grado di fare, diventiamo ciechi per la luce di Dio. Non percepiamo più il Cielo spalancato su di noi: questo rende povera la terra e triste la nostra vita. Guarire questa cecità dei cuori, con l’annuncio di Cristo, è il compito sublime che a noi, insieme a Raffaele, è affidato. Solo l’esperienza della presenza rigenerante di Cristo può far brillare di luce nuova il nostro sguardo e dischiudere i Cieli aperti, nei quali gli Angeli “salgono e scendono” a servizio e a lode della Comunione tra Cielo e terra.
Oggi, nei Santi Arcangeli il Cielo di Dio brilla luminoso e si dischiude nuovamente per noi: come difesa e protezione, come lieto annuncio della sua presenza e come luce risanatrice per i nostri occhi. Ringraziamo il Signore per il dono di questi potenti Amici e invochiamoli quali celesti protettori, congiuntamente a Colei che è Regina degli Angeli, per il bene nostro e della Chiesa tutta!
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Giacobbe, quando il Signore risplendeva su di lui in alto ed egli in basso unse la pietra,
vide angeli che salivano e scendevano:
a significare, cioè, che i veri predicatori
non solo anelano verso l’alto con la contemplazione,
al Capo santo della Chiesa, cioè al Signore,
ma nella loro misericordia scendono pure in basso, alle sue membra.

San Gregorio Magno, Regola Pastorale, II 5













COMMENTO II


Vedere il cielo aperto, il desiderio più intimo di ogni uomo. Vederlo ora, in questa storia concreta che stiamo vivendo. Il sogno di Giacobbe, cui fanno riferimento le parole di Gesù, è un'immagine della fede: vedere in ogni evento una scala ben piantata sulla terra ma che sale sino al Cielo. E, nel Cielo aperto, contemplare il Figlio dell'Uomo, il Signore Gesù Cristo risorto dalla morte. Senza questa scala non possiamo vivere in pienezza, gli eventi, le esperienze, ogni aspetto della nostra vita scorre via senza senso, anche se vissuto intensamente. Senza questa scala la via diviene come quella dei "molti che, credendosi degli dei, pensano di non aver bisogno di radiciné di fondamenti che non siano essi stessi. Desidererebbero decidere solo da sé ciò che è verità o no, ciò che è bene o male, giusto e ingiusto; decidere chi è degno di vivere o può essere sacrificato sull’altare di altre prospettive;fare in ogni istante un passo a caso, senza una rotta prefissata, facendosi guidare dall’impulso del momento. Queste tentazioni sono sempre in agguato. È importante non soccombere ad esse, perché, in realtà,conducono a qualcosa di evanescente, come un’esistenza senza orizzonti, una libertà senza Dio" (Benedetto XVI, Madrid 2011). La scala che ha visto Giacobbe è la garanzia di un fondamento sicuro e di un orizzonte certo; la scala di Giacobbe è la Croce del Signore, piantata nella storia nostra di ogni giorno e la "cui cima tocca il Cielo", come recita un inno della Chiesa primitiva.

La scala di Giacobbe ci svela il mistero racchiuso negli eventi della nostra vita: essi non sono qualcosa di evanescente, ma "guardano" al Cielo. Di più, ogni avvenimento che ci coinvolge è "contemporaneo" del Cielo, mentre lo viviamo qui sulla terra esso è "trascritto" lassù. Ogni istante ha un valore eterno, è parte di una storia che trascende il tempo e lo spazio, è unico, irripetibile e santo in Dio. Per questo Gesù ci dice che vedremo cose più grandi, cose meravigliose: esse sono tutte le cose che ci riguardano e che, in Lui, nella sua vittoria sulla morte, oltrepassano l'attimo fuggente, sconfiggono l'ineluttabile scorrere ed evaporare del tempo. Le cose più grandi sono le nostre vite, le cose nostre di tutti i giorni, quelle della routine e quelle degli eventi che ci sorprendono, le gioie e i dolori. Le vedremo tutte grandi della sua grandezza, tutte belle della sua bellezza, tutte affascinanti del suo fascino. Le vedremo più grandi perchè in tutte vi è inscritto il mistero più grande, la scala che conduce al Cielo, la sua Croce che ci attira a sé, alla sua dimora, alla pace e al compimento del Cielo. Come Giacobbe impaurito, solo, ramingo e in fuga dalla storia, nella notte di un deserto di angoscia, anche a noi, così spesso chiusi nelle alienazioni che ci stordiscano per non pensare e soffrire, appare una scala, la Croce di Cristo, e ci schiude il Cielo, il senso unico ed autentico della nostra esistenza.

Ogni cosa che ci appartiene infatti è un frammento di Cielo, una primizia di quella che sarà la vita beata nella sua intimità. Vedremo in ogni cosa, relazione, attività, l'abbozzo di quel compimento cui aneliamo. Ora, in questo istante, è già tutto compiuto: non manca nulla a nessun secondo della nostra vita. Potremmo morire ora, in questo istante, sazi di giorni e di beni, esattamente come siamo e con quello che abbiamo vissuto. Anche se ci sembra di non aver concluso nulla, di essere ancora dispersi nella precarietà degli affetti, del lavoro, della salute: in Lui ogni lembo di terra che calpestiamo è uno spicchio di Cielo, ogni fallimento diviene un successo, ogni debolezza una forza da trasportare le montagne, ogni morte è trasformata in vita. La fede ci apre gli occhi sulla grandezza della nostra vita, perchè in essa è stata deposta la scala che svela il destino autentico, la comunione e l'intimità con Colui che è disceso dal Cielo per raggiungere il nostro presente e farlo contemporaneo del Cielo, per prenderci, ora e sederci accanto a Lui alla destra del Padre.


E' questa la notizia che gli angeli, instancabilmente, recano a ciascuno di noi. Gli Arcangeli, che salgono e scendono la scala che unisce la terra al Cielo, che consegnano agli uomini il cuore di Dio, l'intimità con Lui da loro vissutaa. Essi "portano Dio agli uomini, aprono il cielo e così aprono la terra. Proprio perché sono presso Dio, possono essere anche molto vicini all’uomo. Gli Angeli parlano all’uomo di ciò che costituisce il suo vero essere, di ciò che nella sua vita tanto spesso è coperto e sepolto. Essi lo chiamano a rientrare in se stesso, toccandolo da parte di Dio" (Benedetto XVI, Cappella Papale per l'Ordinazione di nuovi vescovi, 2007).


Per questo la missione angeli definisce quella della Chiesa. Non a caso, nella Chiesa primitiva, i vescovi erano chiamati angeli. "In occasione del Giubileo del 2000, il Beato Giovanni Paolo II ha ribadito con forza la necessità di rinnovare l’impegno di portare a tutti l’annuncio del Vangelo «con lo stesso slancio dei cristiani della prima ora». È il servizio più prezioso che la Chiesa può rendere all’umanità e ad ogni singola persona alla ricerca delle ragioni profonde per vivere in pienezza la propria esistenza" (Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Missionaria, 2011). Lo slancio degli angeli, le ali della Chiesa che sospingono gli apostoli sino agli estremi confini della terra: come Michele, per difendere e combattere il drago e distruggere le sue menzogne che accusano Dio e l'uomo; come Gabriele, per annunciare la notizia che Dio si è fatto carne per salvare ogni carne e condurla al Cielo; come Raffaele, per sanare ogni rapporto nella comunione strappata alla concupiscenza, e guarire gli occhi perchè possano contemplare, in tutto, l'amore di Dio. 

Attirati nella visione della fede, accompagnati dai messaggeri che ci conducono a salire e ridiscendere la scala della Croce, siamo chiamati anche noi a divenire angeli per chi ci è affidato: "vicini a ciascuno per la compassione ed elevati al di sopra di tutti nella contemplazione... Per questo Giacobbe, quando il Signore risplendeva su di lui in alto ed egli in basso unse la pietra, vide angeli che salivano e scendevano: a significare, cioè, che i veri predicatori non solo anelano verso l’alto con la contemplazione, al Capo santo della Chiesa, cioè al Signore, ma nella loro misericordia scendono pure in basso, alle sue membra" (S. Gregorio Magno,Regola Pastorale, II 5). Ecco dunque la nostra missione, come una scala offerta al mondo: uno sguardo che contempla il Cielo per scorgervi la vita trasfigurata nel Signore vittorioso; e un amore senza limiti che consegni, ad ogni uomo qui sulla terra, Cristo vivo in noi, perchè vi prenda dimora e lo conduca al Cielo. "Anche oggi Egli ha bisogno di persone che, per così dire, gli mettono a disposizione la propria carne, che gli donano la materia del mondo e della loro vita, servendo così all’unificazione tra Dio e il mondo, alla riconciliazione dell’universo. Cari amici, è vostro compito bussare in nome di Cristo ai cuori degli uomini. Entrando voi stessi in unione con Cristo, potrete portare la chiamata di Cristo agli uomini" (Benedetto XVI,ibid).
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Approfondimenti


1. San Gregorio Magno, Regola Pastorale. 

La guida delle anime sia vicino a ciascuno con la compassione e sia più di tutti dedito alla contemplazione, per assumere in sé, con le sue viscere di misericordia, la debolezza degli altri, e insieme, per andare oltre se stesso nell’aspirazione delle realtà invisibili, con l’altezza della contemplazione. E così, se guarda con desiderio verso l’alto non disprezzi le debolezze del prossimo o se viceversa, si accosta ad esse, non trascuri di aspirare all’alto. Perciò infatti Paolo è condotto in Paradiso e vi scruta i segreti del terzo cielo (cf. 2 Cor. 12, 2 ss.), e tuttavia, pur assorto in quella contemplazione delle cose invisibili, richiama l’acutezza della sua mente al letto dell’unione carnale e definisce come questa debba essere vissuta nella sua intimità, dicendo: A causa della fornicazione, ciascun uomo abbia la propria moglie e ciascuna donna abbia il proprio marito. Il marito dia alla moglie quanto le deve; e similmente, la moglie al marito (1 Cor. 7, 2). E poco dopo: Non privatevi l’uno dell’altro se non temporaneamente e d’accordo, per attendere alla preghiera, e di nuovo ritornate insieme perché Satana non vi tenti (1 Cor. 7, 5). Ecco, egli viene già introdotto ai segreti celesti e tuttavia per la sua accondiscendente misericordia investiga il letto dell’unione carnale, e quello sguardo del cuore che egli, già innalzato, rivolge alle cose invisibili lo piega pieno di compassione verso i segreti di creature inferme. Oltrepassa il cielo con la contemplazione e tuttavia non tralascia, nella sua sollecitudine, di occuparsi del giaciglio dell’unione carnale; poiché, congiunto strettamente alle realtà più alte e insieme alle infime dall’intimo abbraccio della carità, egli è rapito potentemente verso l’alto per virtù del suo spirito, ma per la sua misericordia, nella mitezza del suo animo, si fa debole negli altri. Perciò infatti dice: Chi è debole e io non sono debole? Chi patisce scandalo e io non brucio? (2 Cor. 11, 29). E perciò ancora dice: Con i Giudei sono divenuto come Giudeo (1 Cor. 9, 20). Evidentemente mostrava ciò non con la perdita della fede, bensì con l’estendere la sua misericordia, così che trasferendo in sé la persona degli infedeli potesse imparare da se stesso come avrebbe dovuto avere compassione degli altri e fare a loro il bene che — nella medesima condizione — avrebbe rettamente voluto fosse fatto a lui. E di nuovo perciò dice: Se usciamo di mente è per Dio; se siamo sobri è per voi (2 Cor. 5, 13), poiché nella contemplazione egli sapeva salire oltre se stesso, ma sapeva ugualmente moderare se stesso per condiscendenza verso i suoi ascoltatori. Per questo Giacobbe, quando il Signore risplendeva su di lui in alto ed egli in basso unse la pietra, vide angeli che salivano e scendevano (cf. Gen. 28, 12): a significare, cioè, che i veri predicatori non solo anelano verso l’alto con la contemplazione, al Capo santo della Chiesa, cioè al Signore, ma nella loro misericordia scendono pure in basso, alle sue membra. Ugualmente Mosè entra ed esce tanto frequentemente dal Tabernacolo: dentro, è rapito dalla contemplazione; fuori, è pressato dalle necessità di creature inferme. Dentro, medita i misteri di Dio; fuori, porta i pesi delle realtà carnali. Ma pure, quando si tratta di casi dubbi egli ricorre sempre al Tabernacolo e davanti all’arca del testamento consulta il Signore: certo per offrire un esempio alle guide delle anime perché, quando nelle decisioni di carattere esterno si trovano nell’incertezza, ritornino sempre al proprio cuore come . al Tabernacolo; sarà come se fossero davanti all’arca del testamento a consultare il Signore, se riguardo a ciò per cui dentro di sé sono in dubbio, ricercheranno nel loro intimo le pagine della parola sacra. Perciò la Verità stessa che ci si è mostrata nell’assunzione della nostra umanità, sul monte si immerge nella preghiera, ma nelle città opera i miracoli (cf. Lc. 6, 12): evidentemente per appianare la via dell’imitazione alle buone guide delle anime, perché se anche sono già protese alle somme altezze della contemplazione, sappiano tuttavia mescolarsi compatendo alle necessità di creature inferme. Poiché la carità si eleva a meravigliosa altezza quando si trascina con misericordia fino alle bassezze del prossimo; e con quanto maggior benevolenza si piega verso le infermità tanto più potentemente risale verso l’alto. Coloro che presiedono si mostrino tali che quanti sono loro soggetti non arrossiscano di affidar loro i propri segreti, affinché, quando si sentono come bambini nella lotta contro i flutti delle passioni, ricorrano al cuore del Pastore come al seno di una madre; e col sollievo della sua esortazione e le lacrime della sua preghiera lavino le impurità della colpa che preme e minaccia di contaminarli. Per questo davanti alla porta del tempio c’è il mare di bronzo, cioè il bacino per la purificazione delle mani di chi entra, ed è sostenuto da dodici buoi i quali sporgono con la parte anteriore mentre la posteriore resta nascosta (cf. 1 Re 7, 23-25). Che cosa significano i dodici buoi se non tutto l’ordine dei Pastori, dei quali, secondo il commento che ne fa Paolo, la Scrittura dice: Non mettere la museruola al bue che trebbia (1 Cor. 9, 9)? Di essi non vediamo le opere compiute apertamente, ma ignoriamo ciò che li attende nella segreta retribuzione del severo Giudice. Tuttavia quando essi con la loro paziente accondiscendenza dispongono il prossimo alla confessione purificatrice è come se portassero su di sé il bacino davanti alle porte del tempio, affinché chiunque si sforza di entrare per la porta dell’eternità, manifesti al cuore del Pastore le sue tentazioni e — per così dire — lavi il suo pensiero e le sue azioni nel bacino dei buoi. Accade pure spesso che il Pastore nell’ascoltare benevolmente le tentazioni altrui ne diviene vittima egli stesso come senza dubbio resta inquinata quella medesima acqua del bacino, nella quale si purifica la moltitudine del popolo. Infatti mentre riceve l’impurità di coloro che si lavano, l’acqua viene come a perdere la sua limpida purezza, ma non si deve temere che avvenga lo stesso del Pastore, poiché Dio che pensa a tutto con cura minuziosa lo strappa alla sua tentazione tanto più facilmente quanto maggiore è la misericordia con cui egli si carica della tentazione altrui.
Per questo Giacobbe, quando il Signore risplendeva su di lui in alto ed egli in basso unse la pietra, vide angeli che salivano e scendevano: a significare, cioè, che i veri predicatori non solo anelano verso l’alto con la contemplazione, al Capo santo della Chiesa, cioè al Signore, ma nella loro misericordia scendono pure in basso, alle sue membra




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2. CAPPELLA PAPALE PER L’ORDINAZIONE EPISCOPALE DI SEI ECC.MI PRESULI , 29.09.2007

Cari fratelli e sorelle,

Celebriamo questa Ordinazione episcopale nella festa dei tre Arcangeli che nella Scrittura sono menzionati per nome: Michele, Gabriele e Raffaele. Questo ci richiama alla mente che nell’antica Chiesa – già nell’Apocalisse – i Vescovi venivano qualificati "angeli" della loro Chiesa, esprimendo in questo modo un’intima corrispondenza tra il ministero del Vescovo e la missione dell’Angelo. A partire dal compito dell’Angelo si può comprendere il servizio del Vescovo. Ma che cosa è un Angelo? La Sacra Scrittura e la tradizione della Chiesa ci lasciano scorgere due aspetti. Da una parte, l’Angelo è una creatura che sta davanti a Dio, orientata con l’intero suo essere verso Dio. Tutti e tre i nomi degli Arcangeli finiscono con la parola "El", che significa "Dio". Dio è iscritto nei loro nomi, nella loro natura. La loro vera natura è l’esistenza in vista di Lui e per Lui. Proprio così si spiega anche il secondo aspetto che caratterizza gli Angeli: essi sono messaggeri di Dio. Portano Dio agli uomini, aprono il cielo e così aprono la terra. Proprio perché sono presso Dio, possono essere anche molto vicini all’uomo. Dio, infatti, è più intimo a ciascuno di noi di quanto non lo siamo noi stessi. Gli Angeli parlano all’uomo di ciò che costituisce il suo vero essere, di ciò che nella sua vita tanto spesso è coperto e sepolto. Essi lo chiamano a rientrare in se stesso, toccandolo da parte di Dio. In questo senso anche noi esseri umani dovremmo sempre di nuovo diventare angeli gli uni per gli altri – angeli che ci distolgono da vie sbagliate e ci orientano sempre di nuovo verso Dio. Se la Chiesa antica chiama i Vescovi "angeli" della loro Chiesa, intende dire proprio questo: i Vescovi stessi devono essere uomini di Dio, devono vivere orientati verso Dio. "Multum orat pro populo" – "Prega molto per il popolo", dice il Breviario della Chiesa a proposito dei santi Vescovi. Il Vescovo deve essere un orante, uno che intercede per gli uomini presso Dio. Più lo fa, più comprende anche le persone che gli sono affidate e può diventare per loro un angelo – un messaggero di Dio, che le aiuta a trovare la loro vera natura, se stesse, e a vivere l’idea che Dio ha di loro.

Tutto ciò diventa ancora più chiaro se ora guardiamo le figure dei tre Arcangeli la cui festa la Chiesa celebra oggi. C’è innanzitutto Michele. Lo incontriamo nella Sacra Scrittura soprattutto nel Libro di Daniele, nella Lettera dell’Apostolo san Giuda Taddeo e nell’Apocalisse. Di questo Arcangelo si rendono evidenti in questi testi due funzioni. Egli difende la causa dell’unicità di Dio contro la presunzione del drago, del "serpente antico", come dice Giovanni. È il continuo tentativo del serpente di far credere agli uomini che Dio deve scomparire, affinché essi possano diventare grandi; che Dio ci ostacola nella nostra libertà e che perciò noi dobbiamo sbarazzarci di Lui. Ma il drago non accusa solo Dio. L’Apocalisse lo chiama anche "l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusa davanti a Dio giorno e notte" (12, 10). Chi accantona Dio, non rende grande l’uomo, ma gli toglie la sua dignità. Allora l’uomo diventa un prodotto mal riuscito dell’evoluzione. Chi accusa Dio, accusa anche l’uomo. La fede in Dio difende l’uomo in tutte le sue debolezze ed insufficienze: il fulgore di Dio risplende su ogni singolo. È compito del Vescovo, in quanto uomo di Dio, di far spazio a Dio nel mondo contro le negazioni e di difendere così la grandezza dell’uomo. E che cosa si potrebbe dire e pensare di più grande sull’uomo del fatto che Dio stesso si è fatto uomo? L’altra funzione di Michele, secondo la Scrittura, è quella di protettore del Popolo di Dio (cfr Dn 10, 21; 12, 1). Cari amici, siate veramente "angeli custodi" delle Chiese che vi saranno affidate! Aiutate il Popolo di Dio, che dovete precedere nel suo pellegrinaggio, a trovare la gioia nella fede e ad imparare il discernimento degli spiriti: ad accogliere il bene e rifiutare il male, a rimanere e diventare sempre di più, in virtù della speranza della fede, persone che amano in comunione col Dio-Amore.

Incontriamo l’Arcangelo Gabriele soprattutto nel prezioso racconto dell’annuncio a Maria dell’incarnazione di Dio, come ce lo riferisce san Luca (1, 26 – 38). Gabriele è il messaggero dell’incarnazione di Dio. Egli bussa alla porta di Maria e, per suo tramite, Dio stesso chiede a Maria il suo "sì" alla proposta di diventare la Madre del Redentore: di dare la sua carne umana al Verbo eterno di Dio, al Figlio di Dio. Ripetutamente il Signore bussa alle porte del cuore umano. Nell’Apocalisse dice all’"angelo" della Chiesa di Laodicea e, attraverso di lui, agli uomini di tutti i tempi: "Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (3, 20). Il Signore sta alla porta – alla porta del mondo e alla porta di ogni singolo cuore. Egli bussa per essere fatto entrare: l’incarnazione di Dio, il suo farsi carne deve continuare sino alla fine dei tempi. Tutti devono essere riuniti in Cristo in un solo corpo: questo ci dicono i grandi inni su Cristo nella Lettera agli Efesini e in quella ai Colossesi. Cristo bussa. Anche oggi Egli ha bisogno di persone che, per così dire, gli mettono a disposizione la propria carne, che gli donano la materia del mondo e della loro vita, servendo così all’unificazione tra Dio e il mondo, alla riconciliazione dell’universo. Cari amici, è vostro compito bussare in nome di Cristo ai cuori degli uomini. Entrando voi stessi in unione con Cristo, potrete anche assumere la funzione di Gabriele: portare la chiamata di Cristo agli uomini.

San Raffaele ci viene presentato soprattutto nel Libro di Tobia come l’Angelo a cui è affidata la mansione di guarire. Quando Gesù invia i suoi discepoli in missione, al compito dell’annuncio del Vangelo vien sempre collegato anche quello di guarire. Il buon Samaritano, accogliendo e guarendo la persona ferita giacente al margine della strada, diventa senza parole un testimone dell’amore di Dio. Quest’uomo ferito, bisognoso di essere guarito, siamo tutti noi. Annunciare il Vangelo, significa già di per sé guarire, perché l’uomo necessita soprattutto della verità e dell’amore. Dell’Arcangelo Raffaele si riferiscono nel Libro di Tobia due compiti emblematici di guarigione. Egli guarisce la comunione disturbata tra uomo e donna. Guarisce il loro amore. Scaccia i demoni che, sempre di nuovo, stracciano e distruggono il loro amore. Purifica l’atmosfera tra i due e dona loro la capacità di accogliersi a vicenda per sempre. Nel racconto di Tobia questa guarigione viene riferita con immagini leggendarie. Nel Nuovo Testamento, l’ordine del matrimonio, stabilito nella creazione e minacciato in modo molteplice dal peccato, viene guarito dal fatto che Cristo lo accoglie nel suo amore redentore. Egli fa del matrimonio un sacramento: il suo amore, salito per noi sulla croce, è la forza risanatrice che, in tutte le confusioni, dona la capacità della riconciliazione, purifica l’atmosfera e guarisce le ferite. Al sacerdote è affidato il compito di condurre gli uomini sempre di nuovo incontro alla forza riconciliatrice dell’amore di Cristo. Deve essere "l’angelo" risanatore che li aiuta ad ancorare il loro amore al sacramento e a viverlo con impegno sempre rinnovato a partire da esso. In secondo luogo, il Libro di Tobia parla della guarigione degli occhi ciechi. Sappiamo tutti quanto oggi siamo minacciati dalla cecità per Dio. Quanto grande è il pericolo che, di fronte a tutto ciò che sulle cose materiali sappiamo e con esse siamo in grado di fare, diventiamo ciechi per la luce di Dio. Guarire questa cecità mediante il messaggio della fede e la testimonianza dell’amore, è il servizio di Raffaele affidato giorno per giorno al sacerdote e in modo speciale al Vescovo. Così, spontaneamente siamo portati a pensare anche al sacramento della Riconciliazione, al sacramento della Penitenza che, nel senso più profondo della parola, è un sacramento di guarigione. La vera ferita dell’anima, infatti, il motivo di tutte le altre nostre ferite, è il peccato. E solo se esiste un perdono in virtù della potenza di Dio, in virtù della potenza dell’amore di Cristo, possiamo essere guariti, possiamo essere redenti.

"Rimanete nel mio amore", ci dice oggi il Signore nel Vangelo (Gv 15, 9). Nell’ora dell’Ordinazione episcopale lo dice in modo particolare a voi, cari amici. Rimanete nel suo amore! Rimanete in quell’amicizia con Lui piena di amore che Egli in quest’ora vi dona di nuovo! Allora la vostra vita porterà frutto – un frutto che rimane (Gv 15, 16). Affinché questo vi sia donato, preghiamo tutti in quest’ora per voi, cari fratelli. Amen.