mercoledì 31 ottobre 2012

Erdo e Carron: il dovere di annunciare Cristo.

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Testimoniare il Vangelo è un dovere per tutti i battezzati. Così il cardinale Péter Erdö, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali dell'Europa, commenta i lavori del Sinodo sulla nuova evangelizzazione conclusi domenica scorsa in Vaticano. Ascoltiamolo tracciare un bilancio dell’assise al microfono di Paolo Ondarza:

R. - Penso che questo sia stato un Sinodo molto ricco di contenuto. L’evangelizzazione non è soltanto la trasmissione di un contenuto intellettuale - questo sarebbe un’informazione - ma noi dobbiamo essere testimoni. Tutti i fedeli, tutti i singoli battezzati hanno questo dovere. Quindi, evangelizzare non è una cosa facoltativa, compito di una categoria di cristiani, ma è un dovere strettamente connesso con il battesimo stesso.

D. - Quali le frontiere della Chiesa in Europa, per fare nuova evangelizzazione?

R. - Prima di tutto, la nuova evangelizzazione non si riferisce soltanto a questi continenti di antica tradizione cristiana, però ha un significato speciale nel nostro mondo, dove la cultura cristiana, una volta, era quella dominante; oggi in seguito alla secolarizzazione, non è più così. All’interno dell’Europa ci sono delle differenze molto grandi, per esempio tra Paesi come l’Olanda e la Turchia, l’Italia e la Russia e così via. Tuttavia nelle diverse situazioni, troviamo elementi comuni ed uno di questi elementi è sicuramente la grande secolarizzazione. 

D. - Il messaggio del Vangelo, lei ha detto, è scritto, inciso nelle pietre delle città del Vecchio Continente, disegnato e dipinto nelle opere d’arte che le rendono belle e attraenti per i tanti turisti che visitano i Paesi europei…

R. - L’eredità artistica, presente negli edifici che vediamo nelle nostre città, porta ancora il messaggio del Vangelo. Quindi, se noi non annunciamo il Vangelo, cominciano a “gridare le pietre”. Noi siamo chiamati a spiegare “la voce delle pietre”. Dobbiamo conoscere questa nostra eredità e apprezzarla: tante persone lontane dalla Chiesa sanno apprezzare la cultura cristiana pur non avendo una vita di fede. Siamo chiamati ad evangelizzare anche attraverso questi mezzi.

D. - L’evangelizzazione in Europa esce rinnovata da questo Sinodo?

R. - Ne sono convinto, sì. È per questo che preghiamo.

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Portare la gioia di essere cristiani in tutti gli ambienti della vita quotidiana. E’ ciò che da sempre anima la Fraternità di Comunione e Liberazione e che ancora oggi è la strada indicata dai suoi appartenenti per la nuova evangelizzazione. Tra i padri partecipanti al Sinodo sulla nuova evangelizzazione c’era don Julián Carrón, presidente di Cl. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

R. - Mi ha colpito, rileggendo il documento Porta Fidei, il fatto che il Papa comincia dicendo che oggi non si può dare per scontata la fede: non è un presupposto ovvio. Con questa impressione, e rileggendo poi l'Instrumentum laboris per la preparazione del Sinodo, mi ha colpito molto un passaggio in cui si metteva in evidenza la preoccupazione per il fatto che il cristianesimo non viene comunicato nei luoghi in cui si svolge la vita degli uomini: il posto di lavoro, il quartiere... Questa è veramente una sfida che dobbiamo affrontare, perché attualmente non richiamiamo alcun interesse. Questo ci dice della sfida che il cristianesimo diventi una realtà presente in noi, nel modo di affrontare le cose di tutti i giorni, perché altrimenti sarà difficile che gli uomini si possano interessare a quello che facciamo quando la domenica ci incontriamo per la Messa. 

D. - Quindi, essere nei luoghi in cui si trova la gente, intercettare la gente e anche la richiesta di assoluto che ha l’uomo. Nella vostra esperienza concreta, questo come si traduce?

R. - Si traduce nel tentativo costante di essere presenti, adesso come prima, nell’ambiente, nella scuola, nell’università e nei luoghi di lavoro, dove - con il nostro tentativo sempre “ironico” - cerchiamo di rendere presente il cristianesimo come proposta e testimonianza. Noi questo ce l’abbiamo a cuore, perché è la possibilità per noi stessi di poter verificare - nella vita concreta, nel lavoro, nella famiglia, nei rapporti - la verità di quello in cui crediamo. E in primo luogo, lo vogliamo per noi stessi, perché se questo sarà vero per noi, noi stessi potremo dimostrare agli altri come la fede sia in grado di rinnovare la vita quotidiana. 

D. - Deve partire da un’esperienza di conversione personale?

R. - Certo, è l’inizio di qualsiasi comunicazione della fede. E’ il primo passo. Convertendoci a Cristo, potremo poi toccare con mano che questa conversione è utile per la vita, per la nostra vita, per la vita degli uomini nostri fratelli e per la vita del mondo.

D. - Oggi, tutto questo ha una motivazione in più, se pensiamo anche alla crisi valoriale – anche a livello politico – che la nostra società sta attraversando. Come può tradursi questo impegno, quindi?

R. – Già nel modo in cui, per esempio, ciascuno vive la propria professionalità sul posto di lavoro, nel modo in cui è presente nel quartiere o nel piccolo paese dove abita. Se quello che prevale è il nuovo stile di vita, insieme con il desiderio di comunicarlo all’altro affinché diventi un bene per gli altri – sottolineando quindi anche l’aspetto del bene comune che può ritornare a tutti – ciò significa che esso potrà poi raggiungere anche le persone che si impegnano direttamente nel campo politico. 


D. - In apertura dell’Anno della Fede, qual è il suo auspicio?

R. - Il mio augurio, e il mio desiderio, per me e per tutti gli amici, per tutti i cristiani, è quello che ci dice il Papa: di sapere riscoprire il valore della fede, affinché possiamo uscire da questo Anno della Fede più convinti, più persuasi che mai del fatto che la fede è il dono più prezioso che ci è capitato nella vita.


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L'uomo d'oggi tormentato dalla paura dell'avvenire, ha bisogno della Buona Novella"


CITTA‘ DEL VATICANO, mercoledì, 31 ottobre 2012 - Il cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, Ungheria, ha partecipato al Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione, che si è concluso domenica il 28 ottobre. Sul finire dell’assise sinodale il porporato ungherese ha concesso a ZENIT la seguente intervista.
Eminenza, Lei sostiene che la scristianizzazione non è solo un percorso spontaneo ma che è accelerata dai mass media, dalla propagazione dei cosiddetti diritti umani di terza e quarta generazione, dai cambiamenti antropologici. Come si può contrastare questo processo?
Erdő: Se i cambiamenti antropologici la accelerano, questo è ancora un aspetto più o meno spontaneo. Però noi, che proveniamo da paesi ex-communisti, notiamo che la scristianizzazione non è stato uno sviluppo naturale nella società ma veniva imposto dalle autorità che vietavano molte attività delle Chiese, sopprimevano istituzioni, incarceravano un gran numero di vescovi, sacerdoti e religiosi, nazionalizzavano tutte le scuole cattoliche e così via.
Negli ultimi decenni noi siamo diventati più sensibili agli aspetti esterni che impediscono qualche tipo di attività delle comunità religiose nella società. Sicuramente quando una società è già molto secolarizzata, allora scattano diverse reazioni, che possono qualificarsi come naturali, come se uno non avesse nessuna informazione giusta ed oggettiva delle religioni; se poi si ottengono soltanto delle informazioni negative, forse si avrà meno interesse per tutto questo settore. Di fronte a questa realtà dobbiamo annunciare la Buona Novella perché l'uomo di oggi ne ha bisogno anche perché è tormentato dall'angoscia e dalla paura dell'avvenire, dall’incertezza, dal disorientamento. Tutto ciò è diffuso nel nostro mondo, per cui se arriva una risposta, che suona in modo chiaro e che viene anche confermata dalla testimonianza personale di credenti, allora vediamo buone possibilità di arrivare fino ai cuori di molta gente.
Questa testimonianza a volte può essere naturalmente aiutata dai mass media, come ai tempi di Beato Giovanni Paolo II, quando la TV ha presentato in tutto il mondo le grandi celebrazioni liturgiche e le GMG. Questa bella tradizione continua anche oggi con effetti molto preziosi.
Si può paragonare la presente situazione della Chiesa a quella creatasi dopo 1517, la riforma protestante? E questo sinodo si può considerare, in qualche maniera, simile al Concilio di Trento?
Erdő: Queste sommiglianze o analogie storiche non mi convincono troppo perché ogni epoca assomiglia sempre alle epoche precedenti sotto qualche aspetto. In questo senso certamente ci sono alcuni tratti simili e altri no. Allora il cristianesimo era la religione dei forti, delle grandi potenze, che andavano in tutto il mondo a colonizzarlo. Oggi la situazione è ben diversa. Oggi direi che – proprio pensando al Sinodo – il cristianesimo è stato già annunciato quasi in tutto il mondo. La presenza non è ugualmente forte in ogni paese, ma la nostra fede ha un carattere più globale di quanto aveva 500 anni fa.
Penso che simile al Concilio di Trento possa essere stato il Concilio Vaticano II: oggi siamo nella fase in cui si bisogna mettere in pratica i risultati di quel grande Concilio. Perché anche in quell’occasione ci fu un grande dialogo con la cultura rinnovata del mondo. Ci sono state delle grandi sfide e sono nati i documenti fondamentali di un rinnovamento integrale della Chiesa. Penso ai documenti del Concilio stesso ma anche ai documenti della nuova liturgia.
Dico soltanto che quando usiamo la Bibbia, non possiamo farlo efficaciamente, se noi stessi siamo incerti, se, ad esempio, alla luce della critica testuale, il testo ha veramente quel significato, che vediamo noi. Il rinnovamento in base ai risultati scientifici della lettura del testo stesso della Bibbia è anche un passo molto importante.
Poi c’è il Catechismo dell Chiesa Cattolica, di cui celebriamo il 20° anniversario. È molto simile al Catechismo indirizzato ai parroci, pubblicato dopo il Concilio di Trento. È una base dell’insegnamento rinnovato della fede. Sempre libero da un solo sistema filosofico, esso segue l’ordine kerygmatico della trasmissione della fede, cioè il Credo, i Sacramenti, Padre Nostro, la preghiera, i commandamenti di Dio. È una ricchezza, una completezza della fede cattolica. Se vediamo le note in calce alle pagine, troviamo sempre riferimenti alla Sacra Scrittura, alle fonti della tradizione, concili ecumenici, romani pontefici e ad alcuni grandi Padri della Chiesa, ma non alla moltitudine delle opinioni cattoliche o non cattoliche che girano nel mondo. Quindi, è una base solida che poi è stata anche presentata in forma breve nel Compendio e che serve anche come base per la preparazione dei catechismi in diversi paesi del mondo. Abbiamo uno strumentario provvidenziale per il rinnovamento e dobbiamo approfondire proprio quella richezza che abbiamo ricevuto dal Concilio.
Come descriverebbe la situazione del cattolicesimo nei paesi ex-comunisti? C’è differenza tra l'Europa dell'Est e dell'Ovest a tal riguardo?
Erdő: È chiaro che c’è differenza. Il grosso della differenza è nascosto nelle esperienze storiche delle generazioni, che ancora vivono e si ricordano. Quello che, in alcuni paesi nell’Occidente, anche nella vita interna della Chiesa, sembra un problema grande e centrale, guardando con gli occhi dei fedeli dell’Est europeo sembra una cosa piuttosto secondaria perché vivono ancora nell’essere o non essere. E rispetto a quello, le questioni interne alle sagrestie appaiono piuttosto secondarie.
Poi c’è tuttora una differenza radicale anche nella posizione economica e sociale delle Chiese occidentali e orientali. Nell’Europa dell’Est, la Chiesa Cattolica, ma in generale le Chiese, anche se sono state loro restituiti alcuni immobili e anche se, a volte, hanno dovuto persino assumersi la responsabilità della gestione di diverse istituzioni di utilità pubblica come scuole o ospedali, in se stesse sono povere e anche la società attorno a queste Chiese è relativamente povera. Non basta dire: prendiamo le tecniche di fund raising dalle Chiese occidentali, facciamo la stessa cosa da noi e avremo lo stesso risultato. Naturalmente no. Questo vale anche per il campo civile. (V. Somogyi)