lunedì 26 novembre 2012

Cristianesimo: bellezza sì, lusso e vanagloria no


Traggo da Avvenire di ieri,  25 Novembre 2012
a firma di ENZO BIANCHI
 Conosciamo bene l’episodio evangelico in cui una donna rompe un vasetto di alabastro contenente del profumo preziosissimo e lo versa sul capo di Gesù. Giuda e altri discepoli contestano questo gesto, accusando la donna di sprecare il profumo: sarebbe stato meglio venderlo - dicono - e con il ricavato aiutare poveri! Ma Gesù vede in quell’atto gratuito l’amore profetico per lui, avviato verso la morte, e non solo lo giustifica ma lega l’annuncio del Vangelo alla memoria di questa donna (cf. Mc 14,3-9; Mt 26,6-13; Gv 12,1-8).
Nel cristianesimo non c’è posto per il legalismo, ma occorre vivere la gratuità, la libertà e, al limite, l’eccesso di bellezza. Questo però non giustifica né l’accumulo di ricchezza né il lusso di chi vuole imporsi, farsi vedere, ostentare la propria arroganza. D’altronde già i profeti di Israele avevano lanciato invettive contro i re di Gerusalemme che si costruivano case sfarzose (cf. Ger 22,13-17), contro le donne che mettevano in mostra ornamenti e gioielli (cf. Is 3,16-24), contro i potenti che banchettavano lautamente ogni giorno (cf. Am 6,4-7)… E quando apparve Giovanni il Battista per predicare la conversione, «era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi» (Mc 1,6; Mt 3,4), come gli antichi profeti, poveri e quasi nudi; con la sua sola persona egli contestava - secondo le parole di Gesù stesso - «quelli che vestono abiti di lusso e stanno nei palazzi dei re» (Mt 11,8; cf. Lc 7,25).
  
I padri della Chiesa non faranno che continuare questa tradizione, estendendo la loro critica alla vita della Chiesa.
Giovanni Crisostomo ricorda che «il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure» (Omelie su Matteo 50,3). Ambrogio afferma di aver «spezzato e venduto i vasi sacri per riscattare dei prigionieri» (I doveri II,28,136). Anche Bernardo di Clairvaux si fa voce della sobrietà richiesta anche a sacerdoti e vescovi, nella consapevolezza della contro-testimonianza offerta quando si privilegia l’esteriorità e l’apparire rispetto all’intensità della vita spirituale. Ma questa sua correzione fraterna non sempre è ben accolta dai destinatari: lui stesso ricorda di aver denunciato il lusso e le stravaganze anche in uomini di Chiesa, ma confessa che, «quando lo scrive in una lettera, quelli disdegnano di leggerla, o se per caso la leggono, si indignano con chi l’ha scritta» (Sermoni sul Cantico 77,2). Sì, a volte la vanità diventa una tentazione anche nella Chiesa, e per questo il Concilio ha ricordato che «i riti devono risplendere per la nobile semplicità» (Sacrosantum Concilium 34) e «le vesti e gli ornamenti sacri per la nobile bellezza» (cf. ibid. 124). C’è uno stile assolutamente decisivo nella vita della Chiesa, lo stile che deve sempre significare la gloria di Dio nella semplicità e nella bellezza che non abbagliano, che non confondono i poveri e i bisognosi.

Certamente non è facile operare delle scelte: c’è sempre il rischio di una rigidità legalistica che non conosce la gratuità né la gioia; oppure, al contrario, di un lusso incontenibile, che ricorda i palazzi dei re. Recentemente anche papa Benedetto XVI ha ripreso con forza «l’invettiva dell’apostolo Giacomo contro i ricchi disonesti, che ripongono la loro sicurezza nelle ricchezze accumulate a forza di soprusi (cfr Gc 5,1-6)» e che poi la ostentano con vanagloria. In ogni caso, proprio al riguardo del lusso alcune vicende dei nostri giorni ci insegnano che quando c’è arroganza, sfoggio di potere, lusso senza freni da parte dei potenti, la loro fine e la devastazione possono essere molto più vicine di quanto ci si possa immaginare.
Infatti - come canta il salmista - il lusso e la ricchezza sfrenata impediscono di comprendere, e così si finisce per percorrere una via mortifera, come animali condotti al macello (cf. Sal 49,21) che non capiscono cosa accade attorno a loro.