lunedì 26 novembre 2012

“Dove la religione è parte del problema, deve diventare parte della soluzione”




Intervista al rabbino David Rosen*, a cura di Julia Raabe e Manuel Escher
in “derstandard.at” del 25 novembre 2012 

Il rabbino David Rosen rappresenta l'ebraismo nel Centro Re Abdullah (KAICIID: "King Abdullah
Bin Abdulaziz International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue").
Già prima dell'apertura del Centro ci sono state forti critiche, provenendo l'iniziativa
dell'Arabia Saudita, paese dove la libertà religiosa non viene rispettata. Lei crede all'interesse
dei sauditi per il dialogo interreligioso o ritiene che sia solo un fatto di Pubbliche Relazioni?
PR non sono necessariamente una cosa negativa. Però possono essere solo un ornamento per
nascondere qualcosa di negativo senza voler cambiare niente. Alcune reazioni in Austria sono state
non solo esagerate, ma anche assolutamente controproducenti. Essere scettici è cosa sana – ma se lo
scetticismo impedisce di vedere delle possibilità diventa un handicap.
Cosa vuole dunque l'Arabia Saudita con questo Centro?
Il re Abdullah ci ha detto: la nostra società è molto conservatrice e tradizionale, le cose non possono
essere cambiate in una notte. Ma se la gente vede che collaboriamo, l'atteggiamento può cambiare.
Penso che il re e i ministri attorno a lui abbiano intenzioni serie, che vogliano introdurre
cambiamenti nell'Arabia Saudita. Il Centro deve contribuirvi. Bisogna anche far notare che è stato
attivato da tre governi indipendenti. L'Austria ha qui autorità quanto a Spagna e l'Arabia Saudita.
L'Arabia Saudita è il primo Stato a finanziare il Centro.
Lo statuto pone la responsabilità della direzione nelle mani del direttorio. Il denaro viene dato
dall'Arabia Saudita senza alcuna condizione. Sono certo che i miei colleghi altrimenti non
avrebbero accettato di partecipare. Inoltre né il re né nessun altro rappresentante saudita ha chiesto
di nominare il Centro a re Abdullah. Siamo stati noi.
Mi spieghi questo, per favore.
C'è una specie di paradosso, nel senso che vogliamo che il Centro sia indipendente. Ma vogliamo
che la sua importanza si fondi sul fatto che l'iniziativa viene dall'Arabia Saudita, dal cuore del
mondo islamico. La più grande sfida del XXI secolo è davvero il rapporto tra l'islam e la modernità.
Gli effetti negativi li vediamo sotto molti punti di vista: come il terrorismo in nome dell'islam, tutto
questo. Se l'islam non è in grado di trovare il suo spazio nel mondo moderno, il terrorismo andrà
avanti e diventerà ancora peggio. Sarebbe una catastrofe per le future generazioni.
È effettivamente un problema religioso, o si tratta di altri squilibri?
In ultima analisi, non si può separare la religione dalla cultura, dalla storia, dalla psicologia. Il punto
critico qui è la dignità. Il problema maggiore nel mondo musulmano è la sensazione di non essere
davvero rispettato, per non parlare del sentirsi accettato nel mondo occidentale. Tutto ciò porta ad
una cultura del conflitto. Per questo motivo il dialogo religioso è così importante.
Concretamente che cosa volete attuare nel Centro?
Il Centro deve innanzitutto combattere bigotteria e pregiudizi. E annunceremo una prima iniziativa
che veda impegnate le diverse comunità religiose – soprattutto chiese e moschee – a combattere la
mortalità infantile, e a favorire una basilare educazione alla salute. Altri punti sono ad esempio
l'assistenza agli orfani per l'Aids, l'istruzione, i problemi legati all'ambiente. Dobbiamo anche
riconoscere che avvengono cose terribili in nome della religione. E, specialmente nei luoghi dove la
religione è una parte del problema, dobbiamo far sì che diventi una parte della soluzione. Ci sono
molti conflitti che sono conflitti territoriali, per i quali viene sfruttata la religione. Io conosco molto
bene l'Irlanda, ma questo vale anche per lo Sri Lanka, il Kashmir, la Nigeria. E in particolare per il
mio paese in Medio Oriente.
Volete quindi agire come una sorta di voce multireligiosa?
Sì, e forse anche più di questo. A sostegno di iniziative di pace e di riconciliazione. Per portare una
voce costruttiva della religione in regioni dove la religione viene sfruttata per i conflitti. A mioavviso, uno dei principali motivi per cui gli accordi di Oslo sono falliti in concreto è stato il rifiuto
da parte dei politici di comprendere la dimensione religiose del conflitto. Ogni progetto tecnico che
ignori i livelli psicologici più profondi delle comunità interessate, non può che fallire. Perché non
ha il sostegno psicologico e spirituale necessario.
Ufficialmente gli ebrei non possono andare in Arabia Saudita. Lei lo farà?
Penso che ci siano buone probabilità per noi di essere invitati a Riad. Ma per me la cosa non è così
importante.
Inizialmente lei non era veramente un po' scettico?
Continuo ad essere un po' scettico. Dobbiamo provarlo, che l'iniziativa  sia qualcosa di autentico.
Sono fiducioso. Ma se si dovesse provare il contrario, ne trarrò le necessarie conclusioni.
Cioè si ritirerebbe?
Assolutamente. Certo non solo io. È un problema di sostanza. Se il Centro, riguardo alle iniziative e
ai programmi, non si sviluppa in una direzione soddisfacente, se ci sono influssi esterni, se i paesi
fondatori hanno sviluppo in direzioni contrarie agli scopi del Centro, allora sorgerebbe un
problema. Nell'Arabia Saudita sono già stati ottenuti dei progressi, come nella possibilità di studio
per le donne, nel pluralismo, nel dialogo istituzionale. Se invece di progressi durevoli, ci fossero
passi indietro, ad esempio interventi violenti contro le minoranze, allora sarebbe molto difficile per i
membri del direttorio continuare la collaborazione.

* * *

*David Rosen è nato in Inghilterra, è direttore per gli affari religiosi nel American Jewish
Committee (AJC) e dirige l'Istituto Heilbrunn per il dialogo religioso internazionale.
Precedentemente è stato tra l'altro presidente della comunità ebraica in Sudafrica e rabbino capo in
Irlanda.

Il Centro KAICIID
Con il nuovo Centro re Abudllah per il dialogo religioso (KAICIID) si apre lunedì 26 novembre un
progetto molto controverso. La nuova organizzazione con sede nel Schottenring di Vienna si pone il
compito di promuovere il dialogo tra le religioni. Poiché però l'iniziativa proviene proprio
dall'Arabia Saudita dove non c'è libertà religiosa, sono subito sorte, già alla firma dell'accordo
costitutivo il 13 ottobre 2011, critiche e diffidenza.
La festa di apertura con la partecipazione di eminenti personalità dovrebbe costituire un buon avvio
per il Centro. Tra gli ospiti vi sono non solo i ministri degli esteri degli stati fondatori Spagna,
Arabia Saudita e Austria e molti rappresentanti religiosi, ma anche il segretario generale dell'ONU
Ban Ki-moon.
Nel direttorio del Centro vi sono rappresentanti di tutte le religioni mondiali. I critici temono che
l'Arabia Saudita, dove il wahabismo, estremamente conservatore, è religione di stato, possa
esercitare un'influenza sui contenuti del lavoro del Centro, anche perché Riad finanzierà il KAICIID
per i primi tre anni con un contributo annuale pari a circa 15 milioni di euro. I rappresentanti sauditi
sostengono che il Centro contribuirà a introdurre riforme nel loro paese.