mercoledì 21 novembre 2012

Gesù Bambino secondo Benedetto XVI




Arriva in libreria "L’infanzia di Gesù", l'ultimo capitolo della vita di Cristo scritta da Joseph Ratzinger. Un saggio voluto e scritto nonostante il peso di governare la Chiesa. È stato tradotto in venti lingue. Di seguito qualche commento dalla stampa di oggi.

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"L'infanzia di Gesù": breve sintesi

di Gabriella Ceraso (Radio Vaticana) 
 Interpretare, in dialogo con esegeti del passato e del presente, ciò che Matteo e Luca raccontano all’inizio dei loro Vangeli sull’infanzia di Gesù, alla luce di due interrogativi: “Che cosa intendevano dire?”. E poi: “E’ vero? E in che modo mi riguarda?”. Sono le domande che Benedetto XVI premette al suo nuovo libro intitolato "L’infanzia di Gesù", spiegando le linee-guida con la speranza che, scrive, molte persone ne traggano aiuto nel loro cammino verso Gesù. Ieri la presentazione del volume in vaticano, e al termine, l'udienza di Benedetto XVI concessa agli editori del volume, la Rizzoli e la Libreria Editrice Vaticana.

E’ la sala d’ingresso all’intera trilogia su Gesù, il libro sulla sua infanzia, secondo l’autore, che inizia con una riflessione sull’origine del Salvatore dalla domanda inaspettata che Pilato fa a Gesù: ”Di dove sei tu?”- domanda circa l’essere e la missione, scrive il Papa. Messe in luce le differenza tra le genealogie nelle versioni di Matteo e di Luca, Benedetto XVI ne rivela il medesimo senso teologico-simbolico: “Il suo essere intrecciato nelle vie storiche della promessa, e il nuovo inizio che, paradossalmente, insieme con la continuità dell’agire storico di Dio, caratterizza l’origine di Gesù”. Gesù dunque è creazione dello Spirito Santo, anche se la genealogia rimane importante. Così scrive il Papa:

“Giuseppe è giuridicamente il padre di Gesù. Mediante lui egli appartiene, secondo la legge, legalmente alla tribù di Davide. E tuttavia, viene da altrove, ‘dall’alto’, da Dio stesso. Il mistero del ‘di dove’, della duplice origine ci viene incontro in modo molto concreto: la sua origine è determinabile e tuttavia è un mistero. Solo Dio è nel senso proprio il padre suo. La genealogia degli uomini ha la sua importanza riguardo alla storia del mondo, e ciò nonostante, alla fine, è Maria – l’umile Vergine di Nazareth – colei in cui avviene un nuovo inizio, ricomincia in modo nuovo l’essere persona umana”.
Tema del secondo e più ampio capitolo è l’annuncio a Zaccaria della nascita di Giovanni Battista e l’Annunciazione a Maria, messe a confronto dal Papa e presentate come adempimento di antiche profezie, fino a quel momento storico in attesa del loro vero protagonista. Joseph Ratzinger si sofferma sui vari aspetti delle reazioni di Giuseppe e soprattutto di Maria al messaggio inaspettato: turbamento, pensosità, coraggio, grande interiorità tratteggiano la figura delle Vergine nella parole del Papa. Rileggendo il dialogo tra Maria e l’Angelo, secondo il Vangelo di Luca, Benedetto XVI spiega che attraverso una donna “Dio cerca un nuovo ingresso nel mondo”, dopo il fallimento dei progenitori. “Bussa alla porta di Maria. Ha bisogno della libertà umana” scrive il Papa, citando Bernardo di Chiaravalle:

“Non può redimere l’uomo, creato libero, senza un libero ‘sì’ alla sua volontà. Creando la libertà Dio, in un certo modo, si è reso dipendente dall’uomo: il suo potere è legato al ‘sì’ non forzato di una persona umana”.
Maria diventa Madre attraverso il suo “sì”. E’ questo il momento decisivo: “Attraverso la sua obbedienza – prosegue – la Parola è entrata in lei e in lei è diventata feconda”.

Al centro del terzo capitolo l’evento di Betlemme: la nascita di Gesù in un preciso contesto storico-universale, che Benedetto XVI mette in luce sottolineando il clima dell’età di Augusto Imperatore romano:

“Solo in questo momento, in cui esiste una comunione di diritti e di beni su larga scala, ed una lingua universale permette ad una comunità culturale l’intesa nel pensiero e nell’agire, un messaggio universale di salvezza, un universale portatore di salvezza può entrare nel mondo: è, di fatti, la pienezza dei tempi”.
Gesù – precisa il Papa – non è nato nell’imprecisato “una volta” del mito:

“Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda. In lui, il logos, la ragione creatrice di tutte le cose, è entrato nel mondo, il logos eterno si è fatto uomo. E di questo fa parte il contesto di luogo e tempo”.
Nella prospettiva di una lettura del Vangelo, secondo l’esegesi canonica, Benedetto XVI spiega poi, il significato di tanti particolari della narrazione della nascita, che da semplici fatti esteriori diventano parte della grande realtà in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini. In particolare, nel passo dedicato alla presentazione di Gesù al Tempio, si sottolinea come questa redenzione “non sia bagno di autocompiacimento ma una liberazione dall’essere compressi nel proprio io", che ha come costo la sofferenza della Croce. “Alla teologia della Gloria”, scrive il Papa “è inscindibilmente legata la teologia della Croce”.

Ai magi sapienti e alla fuga in Egitto, infine, è dedicato il quarto capitolo, dove con una ricca gamma di informazioni storico-linguistiche scientifiche, il Papa delinea i Magi e conclude che essi rappresentano non solo le persone che hanno trovato la via fino a Cristo, ma “l’attesa interiore dello Spirito umano, il movimento delle religioni e della ragione umana incontro a Cristo”. Una processione che, scrive Benedetto XVI, percorre l’intera storia. E anche nelle riflessioni su altri spunti del racconto – la natura della stella, la sosta dei magi a Gerusalemme fino alla fuga in Egitto e alla strage degli innocenti – Benedetto XVI oltre i semplici fatti, allarga l’orizzonte del lettore al grande progetto d’amore di Dio: la salvezza eterna offerta alla libertà dell’uomo. Scrive infatti il Papa:

“Con la fuga in Egitto e con il suo ritorno nella terra promessa, Gesù dona l’esodo definitivo: egli è veramente il Figlio; egli non se ne andrà via per allontanarsi dal Padre: egli ritorna a casa e conduce verso casa. Sempre egli è in cammino verso Dio e con ciò conduce dall’alienazione alla Patria, a ciò che è essenziale e proprio”.
In questo senso il breve epilogo con il racconto – secondo il Vangelo di Luca – di Gesù dodicenne che discute con i dottori al Tempio e poi si confronta con i genitori, in cui si manifesta il mistero della sua natura di vero Dio e insieme vero Uomo, è in certo modo il coronamento dell’opera e “apre la porta verso il tutto della sua figura, che poi”, scrive il Papa, “ci viene raccontato dai Vangeli”.


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La Parola che resta, di Marina Corradi (Avvenire)
Se un libro è anche ciò che te ne resta quando, dopo averlo chiuso, al mattino ti svegli e ne hai, più forte delle altre, in mente una parola, allora del libro di Benedetto XVI ciò che te ne resta, quella parola, è: «Di dove sei tu?». Che è l’esordio del primo capitolo, e un verso del Vangelo di Giovanni. Quello in cui Pilato, interrogando lo sconosciuto prigioniero, d’improvviso come preso da una inquietudine gli lancia questa domanda: di dove sei, da dove vieni, tu che ti dici un re, e però «non di quaggiù». Cose assurde queste, certo, per un assennato giudice romano; che però di fronte a quell’uomo non riesce a sottrarsi a un turbamento.

«Di dove sei tu?», incipit dell’ultimo volume della trilogia su Gesù di Benedetto XVI, è la domanda che tacitamente percorre queste pagine. A 85 anni Joseph Ratzinger continua a inseguire Cristo nei passi della sua storia terrena, da esegeta attento a ogni sfumatura della lingua e delle Scritture - e come ostinatamente sulle tracce di qualcuno di molto amato. Di un uomo però che, pure nato e passato dentro la storia, non è riducibile nemmeno solo a testimonianze, luoghi, parole, ma ha sempre ancora qualcosa di misterioso, di oltre; per cui occorre continuarlo a cercare.

Perché nemmeno la lunga genealogia della stirpe di Davide che apre il Vangelo di Matteo basta a rispondere davvero a quel «di dove», se poi, scrive il Papa, Maria è un inizio totalmente nuovo, e il suo concepimento un evento che supera ogni umana eredità. Di dove sei tu? La domanda qui si arresta nell’istante sospeso al "sì" di una giovane ebrea, l’attimo di cui  San Bernardo scrisse: «L’angelo aspetta la risposta; deve fare ritorno a Dio che l’ha inviato» - come immaginando terra e cieli immobili, in ascolto.

Ma oltre al «di dove» un’ altra tensione percorre le pagine del Papa, e riguarda ciò che accade, e ciò che era annunciato. Giacché, spiega Benedetto, quel che avviene tra l’annuncio a Maria e l’incontro con Elisabetta, e il parto, e l’adorazione dei Magi, è tutto in un inseguirsi di profezie pronunciate anche centinaia di anni prima, come in Isaia: «Ecco la vergine che concepisce e darà alla luce un figlio, e gli porrà nome Emmanuele...».

E Sofonia, e Michea, e poi ancora, nell’ora di Erode, Geremia, col pianto di Rachele per i figli perduti. Profezie antiche che, dice il Papa, erano come «parole senza padrone», come rimaste dormienti nei secoli: aspettando il kairos, l’attimo per inverarsi, in un momento preciso del tempo e della storia, in un istante eternamente atteso. 

E dunque il Papa scrive come da dentro un tempo più grande e profondo; e che pure genera un assolutamente concreto giorno a Betlemme - una donna, il buio, il freddo, un vagito. L’avvento di Cristo da un parto verginale, annota però Benedetto, è altrettanto di scandalo al mondo che la pretesa della Resurrezione. Sono i due scogli alla razionalità davanti ai quali gli uomini si fermano, esitano, spesso sorridono - come di storie da bambini. Ma: Dio ha potere dunque anche sulla materia, si chiede Benedetto, può sconvolgerne le leggi in un sepolcro, o farvi irruzione, come nell’annuncio a Maria? Se Dio non potesse far questo, risponde, non sarebbe Dio. E però la  questione è lanciata a chi legge, in attesa di un no o di un sì di ognuno. Perché, se anche una cappa di smemoratezza o sentimentalismo ci confondono l’immagine di quella notte, e se il presepe lo facciamo per far contenti i bambini, la ingombrante domanda resta. Non è meno scandalosa della Resurrezione, l’idea di un Dio che generi un figlio da una donna; come appeso anch’egli per un interminabile istante al suo "sì". Il Papa col suo terzo libro su Gesù ci porta a quel momento e poi a una notte in Palestina, a un bivacco di poveri, davanti a un bambino all’apparenza uguale ai nostri. «Di dove sei tu?». Che questa domanda ci insegua nel Natale che viene; che non ci lasci indifferenti o tranquilli.

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La ricerca del Volto, di Salvatore Mazza (Avvenire)

Nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto essere l’opera a cui dedicarsi da "pensionato". Il progetto accarezzato per tanti anni, e sempre rinviato, e finalmente preso in mano nel 2003, a 76 anni, quando il tempo del (meritato) riposo sembrava essere prossimo. Poi Papa Wojtyla gli chiese: "Aspetti un altro po’...". E poi, arrivò il 2005, e le cose sono andate come sono andate, e come tutti sanno.

Una premessa breve, questa, ma indispensabile, per dirci - anzi ri-dirci, una volta di più - qualcosa di importante di e suJoseph Ratzinger-Benedetto XVI, così come egli stesso si firma ancora una volta, nel terzo e ultimo libro su Gesù, pubblicato ieri. Ci dice, in primo luogo della tenacia con cui, dedicando a questa impresa letteralmente ogni ritaglio di tempo all’interno di un’agenda senza pause, abbia voluto e saputo perseguire un’idea che, scriveva nella prefazione al primo dei tre volumi, vedeva come esito e culmine di quel "lungo cammino interiore" iniziato fin dal "tempo della sua giovinezza", per ricucire "lo strappo tra il Gesù storico e il Cristo della fede", iniziato a partire dagli anni Cinquanta. E, dunque, non tanto come momento di sintesi della sua già sterminata produzione accademica - cosa che, in sé, sarebbe stata comunque più che comprensibile - quanto piuttosto come parte imprenscindibile della sua missione di sacerdote e di teologo. Una tenacia, insomma, che è perfetta rappresentazione, testimonianza, di quella dedizione senza riserve che, come Benedetto XVI ha ripetuto in tanti discorsi, specie ai seminaristi, deve essere alla fine il tratto distintivo dell’essere prete.

Insieme a questo, e in collegamento diretto, l’altra cosa che, al di là dei contenuti, il terzo libro su Gesù ci dice, riguarda direttamente il ministero petrino di Benedetto XVI, e il modo straordinariamente moderno in cui lo interpreta. "Non ho di sicuro bisogno di dire espressamente - scriveva nello stesso testo già citato - che questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del volto del Signore.

Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione". Una precisazione non casuale, ribadita in tutti e tre i volumi, dove la cosa forse più straordinaria è l’aperta disponibilità di un Papa - la doppia firma non è casuale, in questo senso - a mettersi e a essere messo in discussione, con il garbato invito a mettere da parte i pregiudizi sulla persona (la sua persona) e a concentrarsi invece sul contenuto della riflessione.

Anche a questo proposito, non si tratta di qualcosa di inedito nella storia di Benedetto XVI. Spesso, dalla sua elezione a vescovo di Roma, e nelle più diverse occasioni - dagli incontri coi sacerdoti a quelli con i rappresentanti di altre religioni - ha voluto sottolineato di parlare "non da Papa", ma da "semplice" uomo di fede. Una distinzione né pedante né retorica, ma il modo concreto di dare veste e forza al suo insistito invito a non rinunciare mai al dialogo ispirato dal desiderio di comprensione reciproca, al suo incessante sforzo di rivolgersi all’intelligenza degli uomini, a prescindere dal credo e dalla cultura. Al suo mettersi costantemente alla pari col proprio interlocutore, mantenendo sempre distinto il livello confessionale da quello secolare. Perché è da questo dialogo, da questo "luogo" in cui fede e ragione possono, alla fine, davvero mettersi in relazione, che si può pensare e sperare di costruire, tutti insieme, il bene dell’uomo.



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Gesù Bambino secondo Benedetto XVI, di Paolo Rodari ("Il Giornale"
Difficile ricordare un Papa scrittore prolifico alla stregua di Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger. Da oggi è in libreria la sua ultima fatica, il terzo volume dei libri dedicati a Gesù di Nazaret: L'infanzia di Gesù (Rizzoli-Libreria Editrice Vaticana, 174 pagine, un milione di copie stampate in 20 lingue per una distribuzione che tocca 50 Paesi) dedicato appunto ai racconti dell'infanzia contenuti nei primi capitoli dei Vangeli di Matteo e di Luca.

Ma le fatiche scrittorie non si esauriscono qui: una nuova lettera enciclica dedicata alla fede è in via di stesura, l'uscita prevista col nuovo anno.

Senza contare, ancora, l'attenzione spasmodica che il Papa dedica ai suoi discorsi e soprattutto alle catechesi del mercoledì, lezioni di teologia scritte di proprio pugno.
Già nel 2002 Ratzinger - tre anni prima dell'inattesa elezione al soglio di Pietro - disse che il suo sogno più grande era quello di scrivere un libro su Gesù. Un sogno realizzato da Pontefice e non, come disse di voler diventare prima dell'elezione, da bibliotecario di Santa Romana Chiesa. «Era l'anno 1997 - spiegò mesi fa il cardinale Raffaele Farina -. Il cardinale Ratzinger aveva compiuto settanta anni il 16 aprile. Il 24 maggio ero stato nominato prefetto della Biblioteca Vaticana e mano a mano che ne prendevo la guida mi rendevo conto delle difficoltà, soprattutto economiche e gestionali, che avrei dovuto affrontare. Il 22 settembre Ratzinger mi ha ricevuto in udienza per circa quaranta minuti. Non ha aspettato che gli esponessi il problema, ma, come se sapesse già il motivo della mia visita, ha cominciato a parlare e andava avanti per quasi mezz'ora parlando un po' del suo lavoro nella Congregazione della Dottrina della Fede; fino a che, a un certo punto, mettendo assieme i pezzi di quanto ascoltavo, ho realizzato che il cardinale dava per scontato una notizia, che poi è circolata pur se in una cerchia ristretta della curia, che egli, avendo compiuto il 16 aprile i 70 anni, aveva chiesto a Giovanni Paolo II di poter concludere i suoi anni in Vaticano, in Biblioteca Vaticana, come cardinale bibliotecario». Un ruolo particolare che permette di studiare, riflettere e soprattutto scrivere.
La passione di Ratzinger per lo studio e la scrittura è stata ben evidenziata ieri, quando in Vaticano L'infanzia di Gesù è stato presentato in anteprima. Alla conferenza stampa, presieduta da padre Federico Lombardi, c'erano il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero vaticano della Cultura e la teologa brasiliana, Maria Clara Bingemer. Con loro anche don Giuseppe Costa, direttore della Libreria editrice vaticana e Paolo Mieli, presidente di Rcs libri. Difficile per tutti comprendere come sia stato possibile che il Papa si sia ritagliato il tempo necessario per questa trilogia. Non è facile governare la Chiesa, gestire ogni affare e risolvere ogni problema. Impossibile per molti anche solo pensare di poter fare altro. E invece Ratzinger ha fatto anche altro, scrivendo di sera, in vacanza soprattutto, nel ritiro estivo di Castel Gandolfo. Un'opera, la trilogia dedicata a Gesù, iniziata 8 anni fa e che il Papa ha portato avanti, «nella consapevolezza che fosse un'urgenza per tutti i fedeli», ha detto Lombardi.
Per Ravasi i Vangeli dell'infanzia di Gesù non sono solo un testo informativo, ma performativo: «È un libro, quello del Papa, che ci coinvolge perché si confronta con una storia sempre attuale: Io penso al grido delle madri nella strage degli innocenti, che è un grido perenne, perpetuo; è un grido universale, che risuona ancora ai nostri giorni. Muoiono i bambini a Gaza e il grido delle madri è il continuo grido... Vedete, il racconto non è finito là, in quel contesto storico». E ancora: «Questo libro non ha quell'autoreferenzialità oracolare esoterica che hanno certe pagine teologiche o filosofiche illeggibili. Benedetto XVI ha messo in pratica quello che un filosofo importante del linguaggio del secolo scorso - Ludwig Wittgenstein, ndr - ha dichiarato, ma non ha mai messo in pratica: tutto quello che si può dire, si può dire chiaramente».
Per il Papa i racconti dell'infanzia di Gesù non sono leggende né ricostruzioni fantasiose. E non sono neanche un «midrash», cioè un'interpretazione della Scrittura mediante narrazioni tipica della letteratura ebraica. Sono piuttosto «storia, storia reale, avvenuta, certamente storia interpretata e compresa in base alla Parola di Dio». (Paolo Rodari - "Il Giornale")

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Pubblichiamo in anteprima in questa pagina, per gentile concessione di Rizzoli e Libreria editrice vaticana, alcuni stralci tratti dal nuovo libro di Joseph Ratzinger L’infanzia di Gesù (pagg. 174, euro 17) Joseph Ratzinger
L'angelo del Signore si presenta ai pastori e la gloria del Signore li avvolge di luce. «Essi furono presi da grande timore» (Lc 2,9). L'angelo, però, dissipa il loro timore e annuncia loro «una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10s). Viene loro detto che, come segno, avrebbero trovato un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. «E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del \ compiacimento”» (Lc 2,12-14). L'evangelista dice che gli angeli «parlano». Ma per i cristiani era chiaro fin dall'inizio che il parlare degli angeli è un cantare, in cui tutto lo splendore della grande gioia da loro annunciata si fa percettibilmente presente. E così, da quell'ora in poi, il canto di lode degli angeli non è mai più cessato.
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Gregorio Nazianzeno dice che nel momento stesso in cui i Magi si prostrarono davanti a Gesù, sarebbe giunta la fine dell'astrologia, perché da quel momento le stelle avrebbero girato nell'orbita stabilita da Cristo (Poem. dogm. V, 55-64: PG 37, 428-429). Nel mondo antico, i corpi celesti erano guardati come potenze divine che decidevano del destino degli uomini. I pianeti portano nomi di divinità. Secondo l'opinione di allora, essi dominavano in qualche modo il mondo, e l'uomo doveva cercare di venire a patti con queste potenze. La fede nell'unico Dio, testimoniata dalla Bibbia, ha qui operato ben presto una demitizzazione, quando il racconto della creazione, con magnifica sobrietà, chiama il sole e la luna – le grandi divinità del mondo pagano – «lampade» che Dio, insieme con tutta la schiera delle stelle, appende alla volta celeste (cfr. Gen 1,16s).
Entrando nel mondo pagano, la fede cristiana doveva nuovamente affrontare la questione delle divinità astrali. Per questo, nelle Lettere dalla prigionia agli Efesini e ai Colossesi, Paolo ha fortemente insistito sul fatto che il Cristo risorto ha vinto ogni Principato e Potenza dell'aria e domina tutto l'universo. In questa linea sta anche il racconto della stella dei Magi: non è la stella a determinare il destino del Bambino, ma il Bambino guida la stella.