giovedì 29 novembre 2012

Immigrati: ricchezza per la Nuova Evangelizzazione


L’immigrazione un fenomeno “antico quanto l’uomo”, che interpella positivamente la Chiesa: lo hanno ricordato mons. Rino Fischella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione e mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, nell’ambito dell’Incontro dei direttori nazionali della pastorale dei migranti delle Conferenza episcopali d’Europa, che si concluso oggi a Roma. Il servizio di Roberta Gisotti:

“Da quando esiste”, l’uomo “ha sempre migrato. E i problemi non sono mai mancati”, ha premesso l’arcivescovo Fisichella, indicando tre aspetti di una storia che si ripete. Come nel passato, anche oggi tanti sacerdoti “hanno lasciato le loro case per seguire tanti immigrati in diversi Paesi europei”. Milioni di cristiani dall’Est europeo, dall’America Latina e dalle Filippine, in maggioranza cattolici, sono giunti in questi decenni in Europa, negli Stati Uniti, in Canada e in Australia. “Una ricchezza – ha sottolineato il presule – per la nuova evangelizzazione”, a fronte di una società oggi “spesso impietosa” che “tende ad inghiottire in un vortice di indifferenza i nuovi immigrati, impedendo loro di conservare la fede e le loro tradizioni”. “Non può essere cosi”, ha ammonito mons. Fisichella, invitando le comunità cristiane ad “essere aperte ed accoglienti”, anche verso le masse di immigrati di altre religioni. “Nel rispetto dovuto a tutti e nella prudenza delle situazioni”, - ha indicato - “i nuovi evangelizzatori non possono esimersi dall’incontrare anche quanti non condividono la fede cristiana”. E “se l’annuncio a volte non sarà recepito ciò non significa che non si possano trovare condivisioni di valori per la promozione della vita, della sua dignità e della salvaguardia del Creato”.

“In Europa la nuova evangelizzazione non può prescindere da oltre 35 milioni di persone arrivate da altri Paesi, tra i quali almeno 8 milioni di cattolici”, ha aggiunto mons. Perego, chiedendo particolare attenzione alle “nuove fragilità e povertà” “in tempo di crisi economica”. "Precarietà" e "irregolarità lavorativa" - ha sottolineato - chiedono in Italia di regolamentare i flussi migratori, “una prospettiva nuova, che chiede anche un cambiamento legislativo, ma soprattutto chiede la consapevolezza che non possono esistere situazioni riconosciute di illegalità e di sfruttamento lavorativo, limbi dove non è riconosciuta la cittadinanza e la tutela, dove si alimentano mafie e corruzione, sfruttamento a danno del sistema Paese, oltre che degli stessi immigrati”. Sul piano dei diritti, mons. Perego ha ribadito l’importanza di garantire i ricongiungimenti familiari, di tutelare 8 mila minori che arrivano in Italia ogni anno senza famiglia e di accostare le coppie miste, sempre più numerose, che all’80% non sono unite da alcuna celebrazione religiosa o civile. Tra le problematiche più urgenti, mons. Perego ha indicato: la prostituzione di 50 mila donne di 60 nazionalità; l’aumento di disturbi psichici, specie tra adolescenti e donne; gli aborti tra le immigrate (40 mila su un totale 120 mila); la crescita dell’abbandono scolastico dei bambini; gli stranieri morti tragicamente in Italia, che non vengono rimpatriati per mancanza di risorse, e sono sepolti in fosse comuni nei grandi cimiteri”.

Uno dei temi forti sviluppati nell'incontro è stato quello della "pastorale di comunione per una rinnovata evangelizzazione". Tema su cui è intervenuto anche padre Fabio Baggio, direttore del Simi, Scalabrini International Migration Institute, intervistato da Adriana Masotti:

R. - Pastorale di comunione, innanzitutto, è un termine che ormai è entrato nel nostro linguaggio quotidiano, soprattutto a livello di teologia pastorale: nelle riflessioni di tante persone, in tanti Paesi, in particolare anche nella nostra Europa cattolica, dove molte Chiese locali si interrogano sui fenomeni che riguardano la comunione. Una comunione che è all’interno della Chiesa e che viene, in molte occasioni, anche sfidata da situazioni concrete di divisioni o da situazioni semplicemente di nuovi arrivati che bussano alla porta. Tra questi, ovviamente, ci sono anche i migranti.

D. – Comunione intesa come fraternità, come unità…

R. - Esattamente. Una fraternità che è molto di più di quella che la rivoluzione francese voleva proporci; una fraternità che ci viene come monito e richiamo “Ut Unum Sint” – “affinché siano uno” - direttamente dal nostro fondatore: Cristo che ci richiama, appunto, a vivere come una sola cosa, una sola persona e mette come modello “come Io ed il Padre siamo uno”. In questa unità fondamentale, che rispetta la diversità, ma che vive una profonda comunione - anzi, si riscopre realizzata nella comunione della diversità - troviamo il modello a cui ispirarci come cristiani e vivere anche le nostre relazioni inter ecclesiali. 

D. - In che modo, allora, si declina questa pastorale di comunione nell’ambito del fenomeno migratorio?

R. - Se noi puntiamo ad un discorso di comunione nella diversità, riconoscendo che il nostro modello è un modello trinitario, una comunione nella diversità proprio per definizione - tre persone ed una sola natura, in cui nessuna delle tre persone mai si perde, ma vive riaffermata nell’amore e nella propria diversità – questo ci spinge a vivere l’incontro con l’altro e con il diverso come una realizzazione di questa comunione. Nell’altro, troviamo l’altro con la “A” maiuscola, cioè Dio presente nel fratello e nella sorella diversi, migranti che bussano alla nostra porta. 

D. - Ci sono già alcune linee, alcuni orientamenti concreti con cui, appunto, realizzare questa visione…

R. - In questo momento siamo alla ricerca di una riflessione teologica che ci guidi e ci porti poi a dare dei contenuti a quelle azioni che, da sempre, la Chiesa ha intravisto come azioni di comunione: la ricerca dell’altro, la ricerca del diverso, la ricerca di Dio presente nell’altro, l’accoglienza. Un’accoglienza che va oltre i confini, che si realizza non solamente con quelli che direttamente bussano alla porta, ma con le loro famiglie, con le loro comunità che rimangono in patria. Una fraternità che si trasforma poi in solidarietà, ben conoscendo le ragioni per le quali queste persone si muovono: siano essi rifugiati, profughi, migranti per ragioni economiche. Questa solidarietà che si spinge oltre le frontiere e diventa transnazionale, in questo senso, e che diventa un bellissimo gesto di comunione interecclesiale, oltre le frontiere; alla ricerca proprio di questa collaborazione, per la crescita del Regno di Dio in tutto il mondo.

D. - Nel suo intervento all’incontro, il card. Vegliò ha raccomandato un approccio realistico al fenomeno migratorio…

R. - Sono perfettamente d’accordo con il cardinale. Penso che abbia indovinato una delle piste più importanti per la riflessione: riguarda proprio un’apertura che deve essere sempre conscia di quello che si offre e non deve mai promettere più di quello che può offrire. Un’accoglienza sempre generosa, sempre molto più in là di quelli che possono essere i calcoli economicistici di quello che io posso offrire. Però, anche nella generosità c’è una responsabilità fondamentale, che ci fa vivere in un mondo reale che è ancora marcato - e non lo possiamo trasformare in questo momento - dalle frontiere degli Stati-nazione, ma che al tempo stesso, sulla base del messaggio cristiano, deve essere sempre promotore di un’accoglienza responsabile, che sa quello che può regalare, quello che può donare e offrire agli altri e che ricerca sempre il bene altrui. Ad esempio, a livello di parrocchia e di diocesi, io punterei innanzitutto su un discorso di con-cittadinanza, partendo proprio da un periodo di presenza sul territorio, una cittadinanza che è fatta di diritti e di doveri. Per cui, chiunque passa per questo territorio, chiunque risiede per un tempo in questo territorio, diventa cittadino di diritto di questa parrocchia, cioè la comunità si struttura proprio come una comunità accogliente, nei confronti di chi arriva. A quel punto, ovviamente, non basta rimanere chiusi nelle sagrestie, bisogna andare incontro a chi, molte volte, non parla la lingua e invitare a partecipare, offrire gli spazi adeguati, che possano al tempo stesso salvare e far crescere le diversità, nella costruzione di questa comunione di cui parlavamo.
Fonte: Radio Vaticana