MILANO, domenica, 18 novembre 2012.- In Diocesi di Milano, secondo il Rito Ambrosiano, oggi 18 novembre, è stata la prima Domenica di Avvento. Per tutte le sei domeniche che precedono il Natale, alle ore 17,30 l’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, presiederàla Messa in Duomo proponendo una particolare predicazione.
Perché le celebrazioni in Duomo in Avvento con l’Arcivescovo
La predicazione dell’Arcivescovo in Duomo, che ha per titolo “Dio che viene”, è rivolta a tutti: a quanti da tempo non frequentano più l’Eucaristia domenicale; a chi ha smarrito la fede ed è in ricerca, affinché riscopra la vicinanza del Mistero alla propria vita; a chi, ritenendosi non credente, vuole conoscere cosa la Chiesa dice di Gesù; ai battezzati che vivono quotidianamente la fede nelle loro parrocchie e aggregazioni, come un opportuno complemento al loro percorso personale e comunitario. Ogni Santa Messa sarà animata a turno da associazioni e movimenti ecclesiali, nel segno dell’unità della Chiesa che si raduna con il proprio Vescovo.
Volantinaggio in centro per inviare alla Messa
Per coinvolgere anche coloro che non partecipano più alla Messa ilvenerdì precedente ogni domenica d’Avvento, è prevista la distribuzione di una cartolina invito. Il volantinaggio avviene nel centro di Milano: fuori dalle Università, nelle stazioni Centrale, Cadorna e Garibaldi; all’ingresso della metropolitana di Piazza Duomo e San Babila.
Perché a Milano l’Avvento inizia prima che nel resto del mondo
L’Avvento, come periodo di preparazione alla festa di Natale, è testimoniato in Gallia e in Spagna già verso la fine del secolo IV. Nel secolo VI la durata di questo periodo tende a stabilizzarsi sulla durata della Quaresima, cioè sei settimane: è indicativo infatti che esso, nella tradizione ambrosiana, venga definito “Quaresima di San Martino”, proprio perché iniziava la domenica successiva all’11 novembre.
La cosa è spiegabile se si tiene presente l’importanza e la rilevanza crescente che tende ad assumerela festa di Natale: il 25 dicembre, infatti, soprattutto nella tradizione popolare, viene sempre più percepito come un giorno talmente solenne da essere equiparato alla festa più importante dell’anno liturgico cristiano, cioè la Pasqua.
E come la Pasqua è introdotta da un periodo di preparazione (la Quaresima) scandito su sei settimane, analogamente anche per il Natale si pensò a un periodo di preparazione (l’Avvento) di simile durata.
Un Avvento di tale durata è testimoniato anche a Roma verso la metà del secolo VI, finché con la riforma liturgica promossa da Papa Gregorio Magno, a cavallo fra i secoli VI e VII, esso fu accorciato a quattro settimane: è l’Avvento di “rito romano”, che si diffonderà poi in tutta la Chiesa latina occidentale.
La liturgia ambrosiana ha invece sempre conservato l’uso primitivo delle sei settimane d’Avvento: comincia dalla domenica immediatamente successiva all’11 novembre (festa di San Martino) e termina con la vigilia di Natale.
I concerti d’Organo prima della Messa
Ogni domenicala messa sarà preceduta, alle ore 17.00, da un concerto dei grandi Organi del Duomo, con l’esecuzione di alcuni brani legati ai temi delle diverse domeniche dell’Avvento ambrosiano, con un repertorio che spazia dall’epoca barocca fino ai nostri giorni.
Date delle Messe e titoli delle Omelie
- I Domenica di Avvento - 18 novembre: «La venuta del Signore»
- II Domenica di Avvento - 25 novembre: «I figli del Regno»
- III Domenica di Avvento - 2 dicembre: «Le profezie adempiute»
- IV Domenica di Avvento - 9 dicembre: «L’ingresso del Messia.»
- V Domenica di Avvento - 16 dicembre - «Il Precursore»
- VI Domenica di Avvento - 23 dicembre: « Divina Maternità di Maria».
Da lunedì la Benedizione delle case
Gesto tipico di Avvento in Rito Ambrosiano è la benedizione delle case. Da lunedì preti, suore e anche molti laici passeranno nelle proprie parrocchie per la visita natalizia delle case, portando la benedizione del Signore e lasciando come dono la lettera preparata appositamente dal card. Angelo Scola dal titolo “Tenere accesa la speranza” (Centro Ambrosiano, pag 4, 0,30 euro), già diffusa in 800mila copie.
Di seguito il testo della Omelia del Cardinal Scola.
Arcidiocesi di Milano
I domenica d’Avvento
La
venuta del Signore
Is 13,4-11; Sal 67 (68); Ef 5,1-11; Lc 21,5-28
Duomo di Milano, 18 novembre 2012
Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
«Dio
che viene»
Sorgi, o
Dio, e vieni a salvare il tuo popolo
1.
Il dono del Salvatore
«Innalzate
nei cieli lo sguardo:/ la salvezza di Dio è vicina./ Risvegliate nel
cuore l’attesa/ per accogliere il Re della gloria./ Vieni Gesù,
Vieni Gesù…».
In queste parole del canto iniziale il nostro cuore e la nostra mente
trovano il giusto atteggiamento per prendere parte alla presente
azione eucaristica, sorretti dalla convinzione che quella eucaristica
è la più nobile ed elevata azione cui l’uomo possa prendere
parte.
Convenuti
dalle nostre case qui nella Chiesa cattedrale, o collegati attraverso
i mezzi di comunicazione, siamo consapevoli che il tempo prezioso
dell’Avvento,
cui la liturgia ambrosiana oggi dà inizio, è tempo propizio per la
verità della nostra persona. In che senso?
«(Di)sposando
l’umana natura nell’inviolato grembo di una vergine sei venuto a
salvarci»
(Conditor
alme siderum,
Inno dei Vespri di Avvento). Il cambiamento, necessario alla verità,
bontà e bellezza della nostra esistenza, scaturisce dal dono della
tenerezza infinita del Padre, il dono del Salvatore. Se il “Dio
che viene”
è la grande notizia, allora non si può non alzare lo sguardo verso
di Lui. “Qualcuno”, non qualcosa, anzi Uno
è il cuore dell’attesa, carica di indomita ma pacata tensione
verso il compimento.
Vogliamo
vivere insieme queste sei domeniche di Avvento, vigilando ogni
istante immersi nel sacrificio redentore che celebreremo in tutte le
nostre chiese e in questa chiesa cattedrale. Il Vescovo ed il popolo,
riuniti, supplicano con fervore: «Vieni
Gesù».
2.
Dove andremo a finire?
Il
Vangelo che abbiamo ascoltato annuncia la glorificazione del Figlio
dell’uomo: «Allora
vedranno il Figlio dell’uomo venire… con grande
potenza
e gloria»
(Lc
21,27). Il Vangelo propone così immagini che si collegano ad un tema
dalle antichissime radici bibliche. Il tema del giorno
del Signore.
Inizia dalla considerazione della distruzione del Tempio (cf.
Vangelo,
Lc
21,6), per allargarsi a quella della città di Gerusalemme e alle
popolazioni della terra (cf. Vangelo,
Lc
21,20-24), finendo per coinvolgere il cosmo intero (cf. Vangelo,
Lc
21, 25-28) «Si
solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno
in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze»
(Vangelo,
Lc
21,10-11).
Il
quadro del discorso sulla fine dei tempi (escatologia) propostoci
oggi dal Santo Vangelo, in un brano assai difficile, è rovinoso,
apocalittico. Sul suo sfondo sta la visione di Isaia che annuncia la
fine di Babilonia. Dal profeta «il
giorno del Signore»
è descritto come «una
devastazione»
(Lettura,
Is
13,6), a cui partecipa la stessa creazione: «Le
stelle del cielo e le loro costellazioni non daranno più la loro
luce; il sole si oscurerà al suo sorgere e la luna non diffonderà
la sua luce»
(Lettura, Is
13,10).
In
questi passaggi dell’odierna Liturgia della Parola non facciamo
fatica a riconoscere alcuni “segni sconvolgenti” presenti anche
nei nostri tempi. Non mancano le guerre, le tragedie cosmiche,
ingiustizia e miseria continuano a segnare pesantemente il cammino
della famiglia umana. Soprattutto ci rendiamo chiaramente conto che
questa situazione di prova persistente incomincia dalla,
o meglio, dentro
la nostra persona. «Ognuno
osserva sgomento il suo vicino»
(Is
13,8) scrive Isaia e sembra che parli di noi, delle nostre paure,
delle nostre inquietudini, delle nostre gravi insicurezze ingigantite
dal travaglio inedito del nuovo millennio.
“Dove
andremo a finire?”
è l’ovvio ritornello che sempre più frequentemente ci ripetiamo.
E non è tanto un lamento, quanto l’espressione dello sconcerto di
fronte alle gravi difficoltà e ai non pochi motivi di sofferenza.
Affiora inoltre, di tanto in tanto, il fatto, troppo spesso rimosso,
che la fine del nostro tempo personale implicherà il giudizio
misericordioso, ma giusto, di Dio su ognuno di noi.
Eppure
il Santo Vangelo oggi conclude con un rincuorante invito alla
speranza: «Risollevatevi
e alzate il capo perché la vostra liberazione è vicina»
(Lc
21,28). Per questo siamo qui, per rivolgerci
al Padre, con le parole del Salmo responsoriale: «Sorgi,
o Dio, e vieni a salvare il tuo popolo»
(Salmo
67).
La
fine dei tempi non si identifica così con la terribile descrizione
del giorno del Signore fatta da Isaia, né con il travaglio doloroso
descritto dalle immagini apocalittiche dal Vangelo. Non è questa
l’attesa compiuta del cristiano. Non sarà questa la fine del
mondo.
3.
La fine del mondo
Il
termine – la fine e il fine – del tempo e della storia è la
manifestazione gloriosa del Figlio dell’uomo, cioè di Gesù
Cristo. Con lo sguardo fisso sul Crocifisso Risorto, il Veniente,
Colui che è il fondamento si possono attraversare tutti i segni dei
tempi, anche i più catastrofici.
Non
aspettiamo terrorizzati la fine del cosmo e della storia. Questa
avverrà secondo tempi e modi su cui i saperi giustamente continuano
ad indagare, ci auguriamo senza ignorare la libertà di Dio, quella
dell’uomo e il gioco perverso del Maligno. Noi aspettiamo
pazientemente la manifestazione gloriosa di Colui che è già venuto:
Cristo, ieri, oggi e sempre.
Così
infatti ci farà pregare il Prefazio: «Con
la sua prima venuta nell’umiltà della carne portò a compimento
l’antica speranza…; quando verrà nello splendore della gloria
potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo
sperare vigilando nell’attesa».
La
fede in Gesù Cristo capo dell’umana famiglia, centro del cosmo e
della storia è il contenuto dell’umanissima attesa cristiana.
4.
Nella storia sperando
contro ogni speranza
La
posizione del cristiano di fronte alla realtà e alla storia, anche a
quella più negativa e contraddittoria, alla sua inevitabile fine, è
quindi diversa rispetto a quella di quanti non sperano nel ritorno
glorioso del Figlio dell’uomo. Se si è senza speranza si subisce
l’inganno dei falsi profeti, chi spera autenticamente non lo
subisce («badate di
non lasciarvi
ingannare»
Lc
21,8); se si è senza speranza ci si spaventa, chi spera nel ritorno
del Figlio dell’uomo è fiducioso («non
vi terrorizzate»
Lc
21,9); se si è senza speranza si può, talora, diventare
persecutori: in quel caso chi spera coglie l’occasione per dare
testimonianza in forza dello Spirito e per rinnovare la sua certezza
nel Signore Gesù («nemmeno
un capello del vostro capo andrà perduto»
Lc
21,18); se si è senza
speranza si è deboli («tutte
le mani sono fiacche, ogni cuore viene meno. Sono costernati»,
Lettura,
Is
13,7-8), chi spera invece sa che «la
liberazione è vicina»
(Lc
21,28). La nostra fede eucaristica, nella passione, morte e
risurrezione di Gesù ne è, fin da ora, la convincente conferma.
5.
Con la vostra
perseveranza salverete la nostra vita
«Con
la vostra perseveranza salverete la vostra vita»
(Vangelo,
Lc
21,19): abbiamo ascoltato nel Vangelo. Salvare la vita non è salvare
la pelle, ma compiere la propria umanità. E a questo nessuno di noi
può rinunciare: tutti lo desideriamo e tutti possiamo imparare ad
invocarlo.
Ecco
perché ho potuto scrivere a tutti i fedeli nella Lettera
Pastorale che «la
fede in Cristo fa storia: il trascorrere del tempo, l’evoluzione
dei rapporti entro la famiglia, entro la comunità di appartenenza,
il mutare delle situazioni, l’assunzione delle diverse
responsabilità, il variare delle condizioni di lavoro, di salute …
tutta la vita pone domande alla fede e tutta la vita riceve risposte,
nuova luce dall’unica rivelazione di Gesù. La perseveranza nella
fede scrive una storia salvata»
(Lettera pastorale Alla
scoperta del Dio vicino,
p.5). La mia, la tua
storia personale, cioè la mia, la tua piena biografia è nello
stesso tempo la storia comunitaria della Chiesa, che contribuisce
alla storia dell’umanità.
6.
Camminate nella carità
«Fratelli,
fatevi imitatori di Dio… e camminate nella carità,
[cioè] nel modo con
cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi»
(Epistola,
Ef
5,1-2). L’amore per Sua grazia ci è reso possibile.
La
parola decisiva nella vita dell’uomo – di ciascuno di noi e
dell’umana famiglia – è la carità, l’amore oggettivo ed
effettivo. Perché? Perché Cristo è venuto e ha dato Se stesso per
noi. Gesù è il nome proprio dell’amore.
Per
questa ragione il Santo Padre ci ricorda nel n. 6 del Motu
proprio Porta
fidei che «l’Anno
della fede,
in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata
conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della
sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che
salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la
remissione dei peccati (…) Grazie alla fede, questa vita nuova
plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della
risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i
pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo
vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai
compiutamente terminato in questa vita. La “fede che si rende
operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo
criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita
dell’uomo».
Si
diventa imitatori del Signore, immedesimandoci con Chi ci ha dato la
vita e ci segna la strada: è una legge fondamentale, imprescindibile
per la maturazione di ogni uomo.
7.
Le virtù dell’Avvento
Fede,
speranza e carità: le virtù teologali del cristiano vengono
esercitate lungo l’Avvento nella forma dell’attesa
e della vigilanza.
Non perdiamo il prezioso richiamo che la Chiesa ci fa in questo tempo
di grazia. Consentitemi tre raccomandazioni in proposito. Anzitutto
invito ad un momento di preghiera breve e semplice in famiglia al
mattino, alla sera, ai pasti. In secondo luogo propongo un regolare
gesto per educarci ad amare. Chissà perché siamo restii a
comprendere che bisogna imparare ad amare. Dedichiamo una piccola
parte del nostro tempo ogni settimana a chi è nel bisogno! Infine
sarebbe bene, in questo tempo in cui l’attesa diventa una
ginnastica del desiderio, partecipare ad una santa Messa feriale
almeno una volta la settimana.
«Con
l’attesa, Dio allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga
l’animo e dilatandolo lo rende più capace»(Agostino,
Commento alla Prima
lettera di Giovanni,
4,6). La Vergine santa, madre dell’attesa, ci renda più capaci di
accorgerci che Dio ci ama. Amen.