giovedì 13 dicembre 2012

Il primato della vita umana sulle istituzioni



Santa Sede e diritto internazionale. È nato un codice di condotta per la famiglia umana con al primo posto il bene comune

(Marco Roncalli) La sovranità degli Stati e il diritto naturale. La composizione degli interessi e l’insufficienza del primato delle regole del momento. La sicurezza generale e l’uso della forza. L’ingerenza umanitaria e la responsabilità di proteggere. Pochi altri temi — in un contesto internazionale che sperimenta quotidianamente conflitti e drammi — sembrano aver bisogno di fondamenti giuridici saldi, come quelli appena ricordati. Li affronta ora una densa ricerca di Ivan Santus — giovane sacerdote addetto alla nunziatura apostolica in Cina, a Taipei — che sintetizza nel suo ultimo libro larga parte dei suoi studi per il dottorato in diritto canonico presso la Pontificia Università Lateranense, evidenziando l’apporto della Santa Sede quanto a protezione della dignità umana. 
Partendo dal quadro offerto dal diritto e dalla prassi internazionale, confrontando normative, istituti giuridici, ma pure opinioni dottrinali differenti, l’autore salda le indicazioni del magistero della Chiesa cattolica alla loro considerazione nei processi decisionali dei soggetti coinvolti, valutando inoltre le motivazioni che sin qui hanno portato la comunità internazionale ad attuare il diritto-dovere di ingerenza in favore della dignità umana e nel rispetto dei diritti dell’uomo. «I casi analizzati hanno messo in evidenza una coscienza comune della dignità umana che nessun dominio riservato può cancellare o evitare di considerare. Questa coscienza non tollera più le violazioni gravi dei diritti fondamentali dell’uomo. La stessa opinione pubblica diviene soggetto attivo, trasmettendo alle modalità di condurre le relazioni tra Stati il fattore umano con la sua dignità e i suoi diritti», scrive Santus consapevole che, uscite dal piano delle buone intenzioni, dichiarazioni, trattati, convenzioni, cominciano a costituire bussole importanti per gli orientamenti della comunità internazionale. 
«Il diritto internazionale mostra così una progressione verso un orizzonte di riferimento che non è più solo popolo, territorio, sovranità, bensì responsabilità dei soggetti internazionali di proteggere la dignità umana e di creare la possibilità di uno sviluppo il più armonico possibile per ciascun essere umano» continua, senza dimenticare che «rimane il problema fondamentale di chi, come e quando può decidere il diritto-dovere di ingerenza, garantendo imparzialità e contemporaneamente legittimità». 
Ed ecco allora il rimando al magistero di Giovanni Paolo II che consegna all’ordinamento internazionale, quale soggetto pienamente partecipe, le linee guida per ritrovare la direzione che porta alla verità dell’uomo; o il richiamo alla Populorum progressio di Paolo VI, e al pieno sviluppo «di tutto l’uomo e di tutti gli uomini» innanzi alla crescente consapevolezza dell’interdipendenza tra gli uomini e le nazioni. Insomma un diritto internazionale che non è prolungamento di una sovranità illimitata, né una salvaguardia di interessi privilegiati, bensì un codice di condotta per la famiglia umana dove al primo posto resta il bene comune. 
Stabilite tali premesse, si delineano qui i tratti del diritto-dovere di ingerenza come espressione concreta della responsabilità di proteggere gli effettivi diritti dell’uomo, mostrando l’importanza del passaggio da una struttura delle relazioni internazionali basata su rapporti interstatuali a una basata su rapporti sovranazionali, prospettandosi così un nuovo quadro. 
«Non è superfluo ricordare — nota a riguardo — che tale prospettiva ha sempre caratterizzato l’azione diplomatica della Santa Sede, non vincolandosi agli interessi di uno Stato, ma portando sempre avanti una visione positiva della dignità umana creata a immagine di Dio. In questo modo non solo gli appartenenti alla Chiesa cattolica hanno goduto dei risultati ottenuti, ma ogni persona». 
Se è vero che la protezione internazionale della dignità umana si realizza, anzitutto, attraverso la promozione dei diritti fondamentali — a livello nazionale, regionale, internazionale — e che la Carta dell’Onu l’ha assegnata come compito statuario all’Assemblea generale, ecco l’evidenza della promozione del diritto in relazione a quella che appare oggi la massima organizzazione planetaria e della necessità di valori comuni sul piano socio-culturale, politico-giuridico. 
Ma è proprio la riflessione sulla dignità della persona umana a far sottolineare all’autore che il diritto naturale non si identifica solo con i suoi diritti fondamentali, ma pure con quell’insieme di leggi e valori che ne guidano l’esistenza e ne assicurano il bene: come afferma il Compendio della dottrina sociale della Chiesa laddove si legge bisogna «considerare il prossimo, nessuno eccettuato, come un altro se stesso, tenendo conto prima di tutto della sua vita e dei mezzi necessari per viverla degnamente». 
Diritti, leggi, valori, ma anche i doveri correlati. Cominciando dal dovere di riconoscere un diritto e di rispettarlo da parte dell’ordinamento statale. Così le relazioni che costituiscono l’ordinamento internazionale esigono processi di governabilità in grado di proteggere la dignità umana andando oltre i singoli interessi. Ed è ancora una volta il magistero a offrire fondamenti e prospettive per raggiungere questo traguardo, pur consapevole che una governance capace di prevedere istituti giuridici per la protezione della dignità umana resta una sfida aperta. 
Non è un caso se la declinazione di diritti fondamentali dell’uomo nella prassi finalizzata a proteggere la dignità umana e la necessità di mantenere la sicurezza, hanno portato la Comunità internazionale a intervenire con l’uso della forza come ultima istanza per non venir meno nella propria responsabilità di proteggere diritti fondamentali dell’uomo, prioritari rispetto a ogni altro diritto. È in questo orizzonte che si comprende il diritto-dovere d’ingerenza quale risposta laddove risulti minacciata la dignità umana. 
Superando la contrapposizione tra principi di diritto internazionale, le tesi del libro indirizzano a una prospettiva dove l’aspetto morale ed etico interagisce con l’aspetto giuridico e ne sta alla base. Mai dimenticando che l’uso della forza è sempre e comunque l’ultima istanza possibile a cui ricorrere: non essendo né cristiano né umano restare spettatori di fronte a gravi crimini contro l’umanità e che un’antropologia rispettosa della piena verità dell’uomo non consente che i diritti abbiano la loro fonte in alcun soggettivismo individualista, ma in una verità oggettiva. Quale? Proprio la trascendente dignità della persona, misura della realtà dell’uomo, prima ancora che delle oggettive esigenze di funzionamento degli Stati. Questo nell’attesa di quella svolta culturale attesa dalla Santa Sede: un cambio di pensiero in grado di creare un’autentica società dell’amore fondata in Dio, perché «l’oblio di Dio rende opaca la creatura stessa» (Gaudium et spes, n. 36), o detto con Benedetto XVI: «L’uomo è veramente creato per ciò che è grande, per l’Infinito» (Messaggio per la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù, 6 agosto 2010). 
È il primato della vita umana su tutte le istituzioni e le strutture sociali e politiche. Affermarlo significa non solo condannare comportamenti criminosi con pronunce di circostanza, ma favorire programmazioni illuminate nelle politiche degli Stati, nella certezza che qualsiasi «teoria della sicurezza» va ancorata alla «teoria della prevenzione».
L'Osservatore Romano, 13 dicembre 2012.