venerdì 21 dicembre 2012

La gioia conta più delle ideologie



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Il messaggio di Ratzinger su Gesù
di Bruno Forte
Riporto dal “Corriere della Sera” del 21 dicembre 2012

* * *
Il successo editoriale dei libri di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, dedicati a Gesù di Nazaret,
compreso l'ultimo su L'infanzia di Gesù (pubblicato quest'anno da Rizzoli-Lev), può apparire
singolare in un'epoca che molti già dicono «post-cristiana».
Quali ne sono le ragioni? La risposta mi sembra possa trovarsi nella capacità di questo Papa di
parlare allo «spirito del tempo» in maniera tutt'altro che accomodante e tuttavia coinvolgente.
Benedetto XVI non ignora le grandi trasformazioni culturali degli ultimi decenni: da una fiducia
diffusa, persino ingenua, nella capacità dei «grandi racconti» ideologici di interpretare e trasformare
il mondo, si è passati con sorprendente rapidità a una altrettanto diffusa sfiducia nei confronti di
ogni orizzonte totalizzante di senso, compreso quello religioso. L'uomo ridotto a «massa» dalle
ideologie si è trovato improvvisamente solo, senza l'abbraccio di un'appartenenza forte, in una
«folla di solitudini», dove spesso l'altro è ridotto a «straniero morale». In questo scenario,
l'autonomia rivendicata dalla modernità per il soggetto storico diventa assoluta e lo spazio per
l'altro, a cominciare da quello per il prossimo immediato fino a quello per Dio, si riduce
paurosamente.
Oggi, osserva il Papa, «sempre di nuovo, Dio stesso viene visto come il limite della nostra libertà,
un limite da eliminare affinché l'uomo possa essere totalmente se stesso» (L'infanzia di Gesù,
pagina 101). Proprio per questo, però, risulta affascinante la proposta di un Dio diverso da quello
che l'ideologia combatteva e che la post-modernità delle solitudini rifiuta: «Dio è amore… L'amore
non è un romantico senso di benessere. Redenzione non è wellness, un bagno
nell'autocompiacimento, bensì una liberazione dall'essere compressi nel proprio io. Questa
liberazione ha come costo la sofferenza della Croce. La profezia sulla luce e la parola della Croce
vanno insieme» (ibidem). È così che la proposta del Papa teologo attrae le donne e gli uomini di
questa età post-cristiana, post-secolare e post-moderna: nella sua semplicità espositiva, nei
contenuti forti che narrano di un Dio vicino, umano fino in fondo e non per questo meno divino, la
trilogia su Gesù di Joseph Ratzinger si offre come buona novella per il nostro tempo e il suo spirito
insicuro, naufrago dai grandi sogni delle ideologie e orfano di patrie attendibili e gratificanti.
Anche nel metodo l'opera cristologica di Benedetto XVI presenta un marcato carattere postmoderno: si tratta di un approccio alla figura di Gesù di Nazaret ispirato a una sorta di «innocenza
narrativa post-critica». L'Autore suppone l'affidabilità storica dei racconti evangelici, ma non lo fa
in maniera acritica, bensì vagliando le testimonianze e applicando i criteri elaborati dal raffinato
dibattito degli ultimi due secoli intorno alla storicità dei Vangeli. In questa lettura ci sono accenti
diversi, che vanno da un minimalismo a un massimalismo: la trilogia del Papa si colloca su una
linea precisa, motivata da un'opzione di fondo, secondo cui l'accostamento alla figura del Gesù
storico non è mai irrilevante per la mente e il cuore di chi lo opera.
Come notava il maestro dell'ermeneutica contemporanea, Hans Georg Gadamer, quest'approccio è
valido per ogni figura o opera del passato, e comprende sempre tre elementi: l'estraneità, la
coappartenenza e la fusione di orizzonti.
Se l'estraneità rimanda al rigore critico, garanzia di oggettività, la coappartenenza motiva la ricerca,
perché investe il passato delle domande che toccano la nostra vita oggi. Quando si arriva
all'incontro fra questi due poli si ha la «fusione di orizzonti», in cui il passato parla al presente e lo
feconda trasformandolo. La comprensione così ottenuta è — nella convinzione di Benedetto XVI —
la meta di ogni accostamento credente ai Vangeli, che non può essere mosso da semplice curiosità
intellettuale, ma suppone sempre il desiderio di comprendere meglio se stessi alla luce di quanto la
storia del Figlio di Dio ci dice.
«Un'interpretazione giusta — scrive Ratzinger — richiede due passi. Da una parte, bisogna
domandarsi che cosa intendevano dire con il loro testo i rispettivi autori, nel loro momento

storico… Ma non basta lasciare il testo nel passato, archiviandolo tra le cose accadute tempo fa. La

seconda domanda del giusto esegeta deve essere: è vero ciò che è stato detto? Riguarda me? E se mi
riguarda, in che modo?» (pagina 5).
Qual è dunque il messaggio che attraverso quest'approccio Benedetto XVI trae dai Vangeli, in
specie dalle storie dell'infanzia di Gesù? Al disincanto degli orfani delle utopie ideologiche e della
loro violenza, viene offerto il volto di un Dio vicino. L'umanità di Dio emerge dalle narrazioni
evangeliche nella forma dell'umiltà: «Il segno della Nuova Alleanza è l'umiltà, il nascondimento: il
segno del granello di senape» (pagina 30). Alla «indifferenza di fronte alla sofferenza altrui»,
considerata dai Padri della Chiesa come tipica del paganesimo, e presente nelle tante forme
dell'edonismo consumistico del nostro tempo, «la fede cristiana oppone il Dio che soffre con gli
uomini e così ci attrae nella com-passione» (pagina 102).
Il paradosso che pervade tutta la storia biblica è che «ciò che è grande nasce da ciò che, secondo i
criteri del mondo, sembra piccolo e insignificante, mentre ciò che agli occhi del mondo è grande, si
frantuma e scompare» (pagina 121). Tutto questo nulla toglie alla divinità di Dio, fortemente
riproposta dall'opera di Joseph Ratzinger: nel racconto dei Magi, egli nota, «non è la stella a
determinare il destino del Bambino, ma il Bambino a guidare la stella… L'uomo assunto da Dio —
come si mostra nel Figlio unigenito — è più grande di tutte le potenze del mondo materiale e vale
più dell'universo intero» (pagina 119).
Il cuore del messaggio sta però nel fatto che quest'uomo e questo Dio si incontrano pienamente in
Gesù: in Lui «l'universale e il concreto si toccano a vicenda. In Lui, il Logos, la Ragione creatrice di
tutte le cose, è entrato nel mondo» (pagina 77).
Quest'incontro produce una grandissima gioia per chi accetta di viverlo: «È la gioia dell'uomo che è
colpito al cuore dalla luce di Dio e che può vedere che la sua speranza si realizza — la gioia di colui
che ha trovato ed è stato trovato» (pagina 123). Questa gioia motiva il canto degli Angeli, e —
scrive il Papa, grande cultore di musica — aiuta a ben comprendere come «il semplice popolo dei
credenti abbia sentito cantare anche i pastori, e fino ad oggi, nella Notte Santa, si unisca alle loro
melodie, esprimendo col canto la grande gioia che da allora sino alla fine dei tempi a tutti è donata»
(pagina 88).
È la gioia che trasmette la lettura delle pagine di Benedetto XVI. È la gioia che un suo grande
conterraneo, Johann Sebastian Bach, cantava così in questo Oratorio di Natale, singolarmente in
sintonia con quanto il libro del Papa riesce a trasmettere: «Come potrò accoglierTi, in che modo
incontrarTi, o anelito di tutto il mondo, o tesoro dell'anima mia?... Oh mio amato, piccolo Gesù,
preparati una culla pura e tenera per riposare nello scrigno del mio cuore affinché mai io mi
dimentichi di Te!… O Gesù, sii Tu solo il mio desiderio, siimi sempre nel pensiero, non permettere
che io vacilli!»