martedì 11 dicembre 2012

Ma davvero il mondo finirà il 21.XII.c.m.?

 Riporto dalla edizione odierna de "L'Osservatore Romano".

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Tra pseudoprofezie, scienza e fede

L’apocalisse che non verrà
(almeno per ora)

Da sempre gli uomini si sono interrogati sull’origine e sul destino della propria esistenza. «Da dove veniamo e dove andiamo?» è la domanda che ha percorso i millenni.
A questo interrogativo possiamo dare spesso delle risposte irrazionali. Nei media e sulla rete si parla in questi giorni della fine del mondo, che i maya avrebbero predetto per il 21 dicembre 2012. Se facciamo una ricerca su Google, a questa voce corrispondono 40 milioni di risultati. Secondo tale “profezia”, si dovrebbero verificare un allineamento dei pianeti e del sole con il centro della Via Lattea e un’inversione dei poli magnetici del campo terrestre. Non vale la pena discutere il fondamento scientifico di queste affermazioni (ovviamente false).
Nel 2003, mentre tenevo all’università di Tegucigalpa, in Honduras, un corso di astronomia extragalattica — non si tratta dello studio dei giocatori del Real Madrid ma delle galassie! — ho avuto l’opportunità di visitare le rovine del centro Maya di Copán e di apprezzare da vicino la grande capacità di osservazione del cielo che quei popoli possedevano. In ogni caso, non si domandavano se la terra o il sole fossero al centro del cosmo. Erano più interessati a trovare un “disegno” ripetitivo di osservazioni passate da riprodurre in futuro. Nella cultura Maya il tempo aveva una dimensione ciclica e ripetitiva. L’astronomia veniva sviluppata in funzione della politica e della religione, con l’ossessione per i cicli temporali.
Pur quanto possa essere affascinante lo studio dell’astronomia Maya, vorrei riflettere qui sul destino del cosmo. Sappiamo che l’universo è iniziato circa 14 miliardi di anni fa. E sappiamo anche che è composto per il 4 per cento di materia “ordinaria”, per il 23 di materia oscura e per il 73 di energia oscura. Secondo i più attendibili dati osservativi, esso si espande continuamente e tale espansione è accelerata dall’energia oscura.
Questa spiegazione scientifica postula un periodo in cui l’universo, nei suoi istanti iniziali, abbia attraversato una fase di espansione esponenziale, cioè estremamente rapida. È la teoria che è stata chiamata «inflazione». Se questo modello è corretto, l’universo in un futuro molto distante — parliamo di miliardi di miliardi di anni — finirà per “strapparsi”.
Fin qui ciò che la cosmologia può dire, con un certo fondamento scientifico, sul futuro dell’universo. È bene ribadire che la nostra comprensione, anche se abbastanza avanzata, non è completa. Fino a oggi non conosciamo la natura fisica della materia oscura né dell’energia oscura. Tuttavia siamo in grado di misurare gli effetti che producono. Secondo le speculazioni di qualche cosmologo, l’universo potrebbe addirittura non avere una conclusione unica ma piuttosto dei multi-ends: alcune sue parti, cioè, finirebbero in tempi diversi.
Nella visione cristiana, l’universo e la storia hanno un senso. Nel profondo dell’essere umano c’è la convinzione fondamentale che la morte non possa avere l’ultima parola. La cosmologia ci mostra che l’universo va verso uno stato finale di freddo e di buio; il messaggio cristiano ci insegna invece che nella risurrezione finale, quella dell’ultimo giorno, Dio ricostituirà ogni uomo, ogni donna e tutto l’universo.
Questa realtà futura è espressa nelle parole dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo: «Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra... Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro» (21,1.3).
L’Apocalisse è un testo profetico, non un’informazione scientifica sul futuro del cosmo e dell’uomo. È una profezia perché ci mostra l’intimo fondamento e l’orientamento della storia. Nel contesto storico in cui è stato scritto, l’autore sacro cerca di incoraggiare la comunità dei cristiani che soffre le persecuzioni.
La storia umana (e cosmica) ha un senso che gli è stato donato dal Dio-con-noi. Anche se non siamo perseguitati, abbiamo sempre bisogno di incoraggiamento. La Parola di Dio ci ricorda che andiamo verso un futuro fondamentalmente buono, malgrado le crisi di ogni genere in cui viviamo immersi. Perché ci assicura che in Cristo c’è un futuro per l’umanità e per l’universo. (J. G. Funes)

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Le improbabili previsioni attribuite ai maya e le ipotesi scientifiche

Dies irae

Spesso citiamo i passi apocalittici della Bibbia ignorando il loro messaggio di speranza

Molto opportunamente Benedetto XVI, all’Angelus di domenica 18 novembre, ci ha offerto una profonda interpretazione teologica della pagina evangelica del giorno, una delle più difficili — sono parole sue — del Nuovo Testamento. Troppo spesso infatti ci siamo fermati alla descrizione apocalittica della “fine del mondo” che Marco, unitamente agli altri sinottici, Da film "Armageddon" (1998)riporta al capitolo 13 usando versetti biblici di Isaia ed Ezechiele, come d’altronde avrà fatto Gesù stesso parlando ai suoi. L’angoscia indotta da quel solvet saeclum in favilla ci ha impedito di cogliere il senso globale dell’intero passo, che il Papa ha fatto riemergere: la Terra può sconvolgersi fino alla sua distruzione, il cielo stellato «riavvolgersi come un rotolo di papiro» (Isaia, 34, 4), ma la «mia parola», la Buona Novella, rimarrà salda, insensibile agli insulti del krònos cosmico.
Così il terrore si trasforma in speranza, la conversione alla quale Gesù invitava i primi discepoli ci permette di affrontare con serenità qualsiasi mutamento del mondo in cui viviamo, sia quelli riconducibili a violenze prodotte dall’uomo sia quelli dovuti a cataclismi naturali e imprevedibili.
Il breve, ma denso discorso del Papa ha però un’ulteriore valenza, più laica: ci ricorda che Gesù non è un veggente e le sue affermazioni hanno il solo scopo di annunciare e consolidare la Buona Novella. Non possono quindi essere paragonate ai verdetti di una Sibilla e soprattutto non hanno nulla da spartire con le opinabili previsioni catastrofiche che, regolarmente riesumate da media privi di scrupoli, ci stanno affliggendo in questo volgere del 2012. Senza voler fare concorrenza alle discutibili previsioni catastrofistiche di fine anno, anzi per contrastarle con seri argomenti scientifici, vale la pena di analizzare le cause che potrebbero porre fine alla presenza della vita intelligente sulla Terra. La causa più certa, ma anche la più remota temporalmente, è l’evoluzione del nostro Sole: stella di piccola massa, formatasi circa cinque miliardi di anni fa, continuerà a riscaldare la Terra con energia costante per altri tre  miliardi e mezzo di anni. Poi, quando il combustibile nucleare, l’idrogeno, comincerà a esaurirsi nelle zone centrali, il Sole inizierà una lenta evoluzione verso lo stadio di stella gigante rossa,  caratterizzata da un diametro 250 volte maggiore di quello attuale.  A quel punto, le orbite dei pianeti più interni, Mercurio, Venere e forse la Terra, saranno inghiottite dal Sole. Ben prima di questo evento però, il graduale aumento della temperatura del Sole avrà già trasformato il nostro pianeta in un deserto inabitabile.
L'asteroide che si pensa sia stato il responsabile dell'estinzione dei dinosauri aveva un diametro stimato di dieci chilometri  Una minaccia che potrebbe invece presentarsi in tempi più prossimi è il possibile impatto di un asteroide o di una cometa con la Terra. Nel passato questi eventi erano molto frequenti nel sistema solare, come testimoniano i numerosi crateri visibili sulla superficie di tutti i pianeti rocciosi e dei loro satelliti. Vestigia di antichi impatti, circa 180, sono state identificate sulla Terra, anche se in molti casi l’azione degli agenti atmosferici li ha parzialmente dissimulati. Mentre si perfeziona la rete di sorveglianza, si studiano anche i possibili metodi per deviare l’orbita di un potenziale proiettile cosmico. Non esiste ancora una soluzione ottimale, ma l’esperienza tecnologica che si sta accumulando con le missioni spaziali di esplorazione del sistema solare e con lo studio per la rimozione dei detriti spaziali — pezzi di vecchi satelliti che orbitano intorno la Terra incontrollati — dovrebbe essere presto in grado di evitare un impatto catastrofico, soprattutto se saremo in grado di prevedere l’evento con alcuni decenni di anticipo.
Oggi sappiamo con certezza scientifica che la presenza umana nel cosmo non durerà per sempre: l’ineluttabilità della morte individuale è ora trasferita anche al “fenomeno umano”, che è destinato kronologicamente a concludersi. D’altronde se il cosmo, nella sua evoluzione, per miliardi di anni non ha avuto in sé la coscienza, non dovrebbe sorprenderci che in un lontano e sterminato futuro esso ridiventi cieco e muto, senza più occhi che si stupiscano e bocche che ne cantino le meraviglie.
Risuona allora imperioso un altro passo del Vangelo (Marco, 1, 15) «il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino»: oggi, evento unico e irripetibile, il “tempo opportuno” si è innestato nel “tempo cosmico” e ci è offerta l’opportunità di renderci immuni da ogni sconvolgimento, da ogni asteroide killer o dal Sole fagocitante, afferrandoci alla sola Parola che salva e che non “passa”. Allora, quando l’umanità sarà incamminata verso la sua inesorabile fine materiale, potrà vedere con gli occhi della fede «il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria». (P. Benvenuti)