giovedì 13 dicembre 2012

Non importa chi dei due...


Il Patriarca ecumenico Bartolomeo alla delegazione della Santa Sede per la Festa del Trono. Non importa chi dei due ha guidato l’altro verso Gesù.

 Di seguito il testo del discorso che il Patriarca ecumenico Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli, ha rivolto il 30 novembre alla delegazione della Santa Sede in occasione della Festa del Trono, al Fanar di Istanbul.
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Eminenza, amato fratello in Cristo, cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, onorevoli membri della delegazione che rappresenta il nostro amato fratello, Sua Santità, Papa di Roma, Benedetto XVI. Ringraziamo di tutto cuore voi, e anche Sua Santità il Papa di Roma, che vi ha inviati, per l’amore che la Chiesa dell’Antica Roma ha mostrato alla santissima Chiesa della Nuova Roma attraverso la vostra partecipazione alla nostra gioia, in occasione della Festa del Trono del Patriarcato ecumenico, che noi ricambiamo in occasione della Festa della Cattedra della Chiesa di Roma.
Serbiamo ancora, fratelli, il ricordo del recente incontro con il nostro fratello il Papa di Roma nella sua Sede per le celebrazioni in occasione del cinquantesimo anniversario del concilio Vaticano II, che ha davvero aperto un nuovo cammino verso l’unità delle Chiese. Vivendo anche oggi in comunione noetica con il nostro santo fratello, lo ringraziamo ancora una volta per l’onore che ci ha tributato, e soprattutto per lo scambio di opinioni e riflessioni fraterne sul nostro cammino comune verso l’unità. L’unicità dei fondatori delle nostre Chiese, quella dell’Antica Roma e quella della Nuova Roma, i santi apostoli Pietro e Andrea, fratelli secondo la carne, costituisce per entrambe le nostre Chiese una motivazione per tendere verso l’esperienza autentica di fratellanza spirituale e il ripristino della comunione in questo stesso spirito, nella verità e nell’amore.
Purtroppo, nel corso dei secoli questa fratellanza ha subito profonde ferite e, di conseguenza, l’unità spirituale delle nostre Chiese è stata interrotta. Per secoli, teologi e personaggi ecclesiastici di entrambe le Chiese hanno dedicato le proprie energie non nel contesto del dialogo, ma piuttosto per promuovere e sostenere le proprie posizioni, senza tenere in considerazione quella di san Giovanni Crisostomo: «Hai forse parlato una volta, e lui non ti ha udito. Pertanto, parla due volte, e tre volte, e tante volte quanto sarà necessario, fino a quando lo avrai persuaso. Ogni giorno Dio ci parla e noi non sentiamo; e tuttavia Egli non smette di parlare. Quindi, tu imita questa tenera attenzione verso il tuo prossimo» (Stat., 16.6; pg 49.171-172; npnf 1-9; 451-452).
In pratica è già evidente che nei cuori di entrambe le parti è maturata la convinzione che, a partire da adesso, la direzione dei nostri sforzi deve essere invertita. Vale a dire che dobbiamo dedicare la nostra energia spirituale non allo sforzo di trovare giustificazioni per rafforzare posizioni che abbiamo fin troppo difeso nel passato per giustificare lo scisma, ma a cercare sinceramente di trovare argomenti che appurino l’errore di tendenze divisorie e, ancor più, a cercare modi per avvicinarsi al pieno ripristino dell’unità delle Chiese. Il metodo migliore per approfondire la questione è continuare e coltivare il dialogo e le relazioni inter-ecclesiastiche, e in modo speciale gli esiti del dialogo d’amore, per farlo diventare un dialogo concreto e teologico tra le nostre due Chiese, quella ortodossa e quella cattolica romana. La conoscenza personale dei membri, e in particolare dei rappresentanti delle Chiese, spesso porta alla scoperta che si tratta di persone di buona volontà e che una comprensione più profonda degli eventi che hanno causato lo scisma, basata sull’oggettività, sarà sufficiente a dissipare timori, sospetti, sfiducia e conflitti del passato.
Gli attuali membri, e specialmente quelli di rango più elevato delle nostre Chiese, per la maggior parte sono spinti dalla buona volontà a rimuovere gli ostacoli ereditati e a conseguire l’unità nella fede tanto auspicata, che porterà anche la nostra comunione eucaristica, che tutti ammettono di desiderare. Purtroppo, i tempi dei progressi e del cambiamento dei cuori umani verso questa direzione sono lenti, a causa della nostra debolezza umana nell’obbedire alla volontà di Dio, trascendendo posizioni, status e “teologie” che sono stati mantenuti fino a tempi recenti e che vengono ancora oggi promossi da molti, in seno alle nostre due Chiese, come dimostra il progresso stesso dei trentadue anni di dialogo teologico.
Dobbiamo quindi accelerare questi sviluppi, consolidandoli con la stessa forza che abbiamo dedicato a questo dialogo di verità, affinché, attraverso dibattiti frequenti e ampi, possiamo far crescere il livello di conoscenza e agevolare la comprensione reciproca, orientandoci verso «la verità tutta intera» (cfr. Giovanni, 16, 13), che sempre e sopra ogni cosa conquista. Come ha detto il luminare di Cappadocia, san Basilio Magno, «ho messo la verità e la mia salvezza prima di ogni altra cosa» (A Teofilo vescovo, Lettera 245, pg 32.925b-c; npnf 2-8:794). Il frutto maturo di questa conoscenza è la progressiva intesa su punti particolari, un’intesa che, nel calcolo dei disaccordi e degli accordi, continuerà a fare aumentare la somma degli accordi fino a quando tutti i disaccordi saranno eclissati. Quel giorno, tutti noi, uniti nella fede e nell’amore, glorificheremo insieme il nostro Salvatore Cristo, che ci avrà guidato attraverso l’acqua e il fuoco verso il ristoro.
La vostra visita qui, oggi, cari fratelli nel Signore, per partecipare alla nostra gioia nella festa della Santissima Chiesa di Costantinopoli in memoria del santo apostolo Andrea, discepolo di san Giovanni Precursore e Battista, e poi di nostro Signore Gesù Cristo, contribuisce in modo notevole a ravvivare l’interesse per la promozione del dialogo tra le nostre Chiese. Anche quando i rappresentanti che partecipano al dialogo non sono capaci di ottenere l’accettazione comune di alcune conclusioni in un dato momento, l’importanza del dialogo, in apparenza fallito, continua a essere grande, poiché anche la scoperta della discordia spinge verso la ricerca dell’accordo. Ma la ricerca stessa del successo di un determinato obiettivo è il fondamento del suo conseguimento. La mancanza di accordo su una certa questione o su un dato punto porta a far sì che il dibattito venga accolto con la speranza comune che non fallisca più, e se vi è la buona volontà, la Grazia di Dio, che si prende cura di ogni cosa, concederà dall’alto agli interlocutori di buona volontà l’ispirazione dello Spirito Santo per l’accettazione comune della giusta conclusione, secondo il nostro predecessore san Gregorio il Teologo: «Non è una cattiva cosa essere sconfitti nel dialogo, poiché il dialogo non è privilegio di tutti» (A Erone il filosofo, pg 35, 1224b).
Secondo la verità narrata nel santo Vangelo di Giovanni, per cui il Logos di Dio è verità (cfr. 17, 17), l’apostolo Andrea ha annunciato esultante a suo fratello, il santo apostolo Pietro, che «abbiamo trovato il Messia» e lo ha condotto da Gesù. Dunque, un fratello guida il proprio fratello verso il Signore. In questo caso, per il nostro contesto attuale non è importante quale dei due fratelli abbia guidato l’altro verso Gesù. Noi due successori dell’apostolo Pietro e dell’apostolo Andrea dovremmo dare testimonianza, l’uno all’altro, del fatto che «abbiamo trovato il Messia» e dirigere i nostri passi verso di lui. Poiché è la via, la verità e la vita. Egli, che, invisibile, cammina sempre con noi verso Emmaus, o verso la “Galilea” di ciascuno di noi, è la Risurrezione e la Salvezza del mondo. È anche la Speranza dell’umanità per uscire da ogni crisi, sia etica sia economica, che affligge il nostro tempo. Pertanto, entrambi, il nostro fratello Papa di Roma e la nostra umile persona, insieme alle nostre Chiese e a tutte le guide spirituali, dovremmo mostrare con l’esempio a quanti governano le risorse del mondo che devono ricordare la compassione e l’amore verso i bisognosi, perché altrimenti a essere in pericolo è la coesione sociale che, se ostacolata, porterà grande distruzione sia per i giusti sia per gli iniqui.
Quest’anno sta ormai per concludersi, con previsioni terrificanti e negative per lo sviluppo degli affari umani a livello globale. Durante quest’anno abbiamo celebrato il cinquantesimo anniversario del concilio Vaticano II, che ha aperto nuovi cammini. Nell’anno del Signore 2013, che sta per iniziare, celebreremo il 1700° anniversario della promulgazione dell’editto di Milano, per mezzo del quale l’imperatore dei romani, san Costantino il Grande, ha proclamato la libertà di fede cristiana e la libertà di religione in generale. Questa libertà, promessa da Cristo e nella quale ci ha redenti (cfr. Gàlati, 5, 1), noi la dovremmo preservare e rafforzare. E questo, noi due Chiese, lo facciamo con le parole e con i fatti, all’unisono. La vostra Chiesa cattolica romana ha celebrato il cinquantesimo anniversario della convocazione del concilio Vaticano II. La nostra santa Chiesa ortodossa si trova nella lieta posizione di poter annunciare che i preparativi per il suo santo e grande sinodo sono stati quasi completati, sono nelle fasi finali e presto verrà convocato. Si pronuncerà, tra le altre cose, sulle questioni del dialogo tra l’ortodossia e le altre Chiese, e prenderà decisioni adeguate nell’unità e nell’autenticità, al fine di poter procedere verso l’“unità di fede” nella comunione dello Spirito Santo, con la certezza che «per quanti amano la verità, nulla può essere posto prima di Dio e della speranza in Lui» (Basilio Magno, A Eustazio medico, Lettera 151, pg 32.608b; npnf 2-8:604).
Con questa convinzione, avendo dimenticato o ignorando ciò che è passato, e protesi verso il futuro (cfr. Filippesi, 3, 13), e con lo sguardo fisso sul Creatore del mondo intero, il Signore, che viene identificato con la verità, le nostre due Chiese camminano verso la fine dei tempi guardando a colui che è capace di rispondere in abbondanza alle nostre richieste o considerazioni, «l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine» (cfr. Apocalisse, 22, 13), credendo che la volontà divina guiderà verso «la verità tutta intera», «affinché siamo una cosa sola», noi, che crediamo in Lui non nelle forme o nelle parole, bensì nell’essenza e nelle azioni.
In questo necessario e storico percorso comune, mentre cerchiamo l’unione tra noi, dovremmo prima mostrare la nostra unione, specialmente oggi, riguardo al modo in cui affrontiamo la sventura dei nostri fratelli poveri, soprattutto dal punto di vista spirituale, ma anche da quello materiale. Certamente ciò è molto più facile e può essere fatto nell’immediato. Noi guide spirituali e chierici siamo quindi chiamati ad avere un approccio da buon samaritano e non “per caso”, ma mentre «fa ancora giorno» siamo chiamati a «fasciare le loro ferite», «versandovi sopra olio e vino» (cfr. Luca, 10, 31-34). In questo modo mostreremo che guardiamo all’“uomo” e che lui, il nostro fratello, «ha un uomo», la Chiesa, nello stesso modo in cui, proprio per quest’uomo e per il mondo, il nostro Salvatore «si è fatto uomo ed è stato rivestito di carne (…)» e che a lui «ogni cosa è possibile, ogni cosa obbedisce, ogni cosa è stata assoggettata» (cfr. Doxastikon tis Lites della Domenica del paralitico, Poema di Koumoulas, Pentecostarion, Apostoliki Diaconia (1959) 71-72), e che, solo, alla fine dei tempi, dirà «prendi il tuo lettuccio e cammina» (cfr. 71-72, Doxastikon dei Vespri). Appariremo uniti “agli estremi”, proclamando la potenza e la grande misericordia di Lui, il Signore della potenza e della gloria.
Con queste riflessioni e sentimenti fraterni, mentre porgiamo il benvenuto a lei eminenza, fratello cardinale, e alla sua venerabile delegazione, ringraziamo nuovamente di cuore il nostro santo fratello, il Vescovo dell’Antica Roma, che vi ha inviati per esprimere la sua partecipazione alla gioia e alla celebrazione della nostra Festa del Trono, mentre invochiamo ogni grazia e benedizione del Buon Dio sulle nostre Chiese e sul suo mondo messo alla prova, per intercessione della nostra Santissima Theotokos, di sant’Andrea, primo chiamato, che viene celebrato oggi, di suo fratello, l’apostolo Pietro, e di tutti i santi. Amen.
L'Osservatore Romano 14 dicembre 2012