venerdì 14 dicembre 2012

"Venerato fratello e caro don Massimo..."



Venerdì 7 dicembre ho avuto la grazia di partecipare all’ordinazione vescovile di mons. Massimo Camisasca in san Giovanni in Laterano, a Roma. Accanto a migliaia di persone e a molti giovani sacerdoti della Fraternità sacerdotale san Carlo (visi puliti, allegri, belli). Tutti composti, attenti, commossi. Attenti, già dall’inizio, per osservare quella
sfilata di cappelli a doppia punta dei vescovi e cardinali che accompagnavano l’ordinando: Caffarra, Negri, Ruini… Sino al loro arrivo, sull’altare, sotto quel bellissimo ciborio che costringe i fedeli a guardare in alto, verso la Croce e il Cielo. Verso la direzione cui tende la vita del credente.
Poi la messa, solenne, cantata, in lingua latina, con molte parti dal rito antico. Così la Chiesa, per secoli, ha educato i credenti alla bellezza: durante la messa domenicale. In mezzo ai canti gregoriani, ai gesti solenni, alle sculture e agli affreschi… In un’atmosfera di solennità, di bellezza,
di raccoglimento, infatti, l’uomo percepisce chiaramente la sua origine divina e la sua immortalità. Sacerdote o artigiano, contadino o mercante, colto o incolto, dimentica per un attimo la sua miseria, i suoi peccati, la sua fragilità… dimentica anche i limiti del suo vicino, del suo compagno di banco, persino quelli del sacerdote o del vescovo che sia, e si riconosce figlio di Dio; e percepisce che, se si piega davanti a Lui, tutto è guarito, tutto è sanato, tutto è raddrizzato; comprende che ciò che ci unisce, a Dio, al prossimo, per qualche ora alle migliaia di fedeli assiepati e mai visti prima, è Cristo stesso, il Dio con noi. E’ veramente grandioso sentirsi figli di Dio, fratelli di Cristo, templi dello Spirito Santo.
Anche nell’epoca in cui l’uomo è solo un agglomerato di atomi; in cui si predica che Dio non esiste o non si cura dell’uomo; nell’epoca in cui anche nelle nostre parrocchie la prospettiva appare spesso solo quella terrena, orizzontale, del fare e dell’agire, del tempo e della terra, una santa messa celebrata bene, curata, bella, resusciterebbe il sentimento religioso più di mille “assemblee”, di mille letture, di mille discorsi, di mille documenti. Per questo, in passato, quando le chiese dovevano essere belle e le cerimonie solenni, si diceva che la liturgia conduceva il fedele ad immaginare il paradiso: bisogna intravederla, la luce, per desiderarla; occorre toccarla, la bellezza, per sentirne nostalgia; bisogna avvicinarsi a Dio, con la mente ed il cuore, per sentirsi veramente uomini.
Cosa salvò la fede del popolo russo, sotto la dittatura del comunismo? Cosa liberò molti dallo spietato materialismo bolscevico che schiacciava gli uomini, ne negava la dignità spirituale, prima di rinchiuderli nei gulag? Lo ricordano tanti testimoni: la liturgia, con i suoi canti, i suoi riti fuori del tempo, la sua capacità di parlare allo spirito.
Ma torniamo a Roma. E’ l’ora della predica. Il cardinal Caffarra, uomo mite e umile, di preghiera e di studio, non nasconde a don Massimo, “vaso di creta” scelto da Dio per una grande missione, la difficoltà del suo compito: “Venerato fratello e caro don Massimo: questo è il contesto in cui da questo momento sei collocato, per sempre. Sei posto dentro al contrasto fra l’incredulità e la fede. E’ da una parte un’incredulità che sta pervadendo ogni vissuto umano, e che vuole distruggere anche la fede della Chiesa, alla cui presenza dentro la vicenda umana viene gradualmente negata ogni legittimazione. E’ dall’altra parte la fede dei martiri, la fede dei semplici, la fede “che sconfigge il mondo”.
Sei posto dentro a questo scontro come testimone del progetto del Padre; come testimone di Cristo che lo attua; come testimone della verità circa l’uomo… Radicato e fondato nella fede di Maria -la Chiesa-, non temere niente e nessuno: gli idoli delle genti sono nulla al confronto della testimonianza profetica dell’apostolo. La parola di Dio che annuncerai li farà cadere, dentro e fuori la Chiesa”.
Dopo la predica il rito dell’ordinazione, anch’esso suggestivo, per le parole ed i gesti: l’ordinando si sdraia per terra, si umilia, si dichiara obbediente, prima di ricevere il mandato. Prima di rialzarsi per essere guida e pastore del suo popolo.  Prima di salutare coloro che sono venuti per accompagnarlo con la preghiera. E’ ora di andare, ho pensato, mentre formulavo nel mio cuore un augurio: sii fedele, mons. Camisasca, alla chiamata di Dio; indica sempre al suo popolo, senza paura, senza compromessi, senza pigrizia, i burroni e le trappole che il Male pone sul cammino di ognuno; ricorda con la parola, l’esempio, la dignità dei sacramenti, che non siamo fatti per le ghiande, ma per i pascoli del Cielo; ama il tuo popolo, i tuoi sacerdoti, i tuoi seminaristi, tutti, con la bontà, la mitezza e la forza del Padre celeste, di cui sei stato chiamato ad essere, pur nella tua umanità, immagine e testimonianza.  (F. Agnoli)
Il Foglio, 13 dicembre