martedì 22 gennaio 2013

Per dare all'Europa un orizzonte più grande



«Missione in Europa: le linee guida della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece)» è il tema della relazione tenuta dal vice presidente della Comece, il vescovo di Piacenza-Bobbio, alla conferenza dei visitatori d’Europa e del Medio Oriente della Congregazione della missione. Ne pubblico ampi stralci.

(Gianni Ambrosio) Il beato Giovanni Paolo II, facendo tesoro delle proposizioni dei padri sinodali, pubblicò nel 2003 l’esortazione apostolica Ecclesia in Europa, un testo che ritengo fondamentale per la missione della Chiesa in Europa. La Comece ha in programma alcune iniziative per ripresentarlo a dieci anni dalla sua pubblicazione, sottolineando in questo modo il nesso tra l’esortazione apostolica e il lavoro dei vescovi che operano in questo organismo. Sono personalmente convinto che le considerazioni di Giovanni Paolo II mantengano tutta la loro attualità. Semmai possono essere ulteriormente precisate e approfondite in riferimento a ciò che è avvenuto in questi dieci anni. «È compito urgente della Chiesa offrire nuovamente agli uomini e alle donne dell’Europa il messaggio liberante del Vangelo», scrive Giovanni Paolo II. Messaggio liberante, messaggio di speranza, quella speranza che, afferma il Papa, l’Europa pare aver smarrito. Sono «numerosi i segnali preoccupanti che all’inizio del terzo millennio agitano l’orizzonte del continente europeo». Innanzitutto, «lo smarrimento della memoria e dell’eredità cristiane», accompagnato «da una sorta di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso, per cui molti europei danno l’impressione di vivere senza retroterra spirituale, come degli eredi che hanno dilapidato il patrimonio loro consegnato dalla storia». Il Papa non si meraviglia più di tanto «per i tentativi di dare un volto all’Europa escludendone l’eredità religiosa e, in particolare, la profonda anima cristiana, fondando i diritti dei popoli che la compongono senza innestarli nel tronco irrorato dalla linfa vitale del cristianesimo». Non è stata una battaglia per un’eventuale egemonia culturale quella che ha visto l’impegno del Papa stesso nel chiedere che nel testo della cosiddetta Costituzione europea ci fosse un riferimento alle comuni radici cristiane, ma è stata una proposta per aiutare l’Europa a non smarrirsi: «il tempo che stiamo vivendo è una stagione di smarrimento», dovuto fondamentalmente al «tentativo di far prevalere un’antropologia senza Dio e senza Cristo».
Uno smarrimento che non riguarda solo le istituzioni europee o alcuni Paesi europei ma coinvolge tutti e non risparmia neppure i cristiani: «Tanti uomini e donne sembrano disorientati, incerti, senza speranza. E non pochi cristiani condividono questi stati d’animo». Così si genera «una sorta di paura nell’affrontare il futuro», che si manifesta «nella paura di fare figli e nel rifiuto di impegni definitivi, nel sacerdozio come nel matrimonio». Così si diffonde «il vuoto interiore che attanaglia molte persone, e la perdita del significato della vita». In questo contesto si diffonde l’individualismo: si assiste a «un crescente affievolirsi della solidarietà inter-personale e molte persone si sentono più sole, lasciate in balia di se stesse, senza reti di sostegno affettivo».
Concludo questi rapidi cenni sulla situazione religiosa e culturale con un’ultima affermazione: «La cultura europea dà l’impressione di un’apostasia silenziosa da parte dell’uomo sazio che vive come se Dio non esistesse». A questa affermazione di Giovanni Paolo II aggiungo una citazione tratta dal discorso di Benedetto XVI tenuto il 24 marzo 2007 in occasione del convegno organizzato dalla Comece e dedicato a «Valori e prospettive per l’Europa di domani, a cinquant’anni dalla firma dei Trattati di Roma». Anche Benedetto XVI ha fatto ricorso al termine “apostasia”, ma con una formulazione diversa che tocca ancora di più la questione antropologica. L’Europa sta attuando un’apostasia «da se stessa prima ancora che da Dio», e questo porta l’Europa a «dubitare della sua stessa identità».
Alla luce di questa situazione, vediamo alcune linee di intervento per la missione della Chiesa in Europa. Ne sottolineo tre, sempre desunte da Ecclesia in Europa, a cui aggiungo un’indicazione più ampia e in qualche modo riassuntiva di Benedetto XVI. Innanzitutto, Giovanni Paolo II richiama il bene più prezioso che la Chiesa può offrire e che nessun altro può donare: «la fede in Gesù Cristo, dono che sta all’origine dell’unità spirituale e culturale dei popoli europei, e che ancora oggi e per il futuro può costituire un contributo essenziale del loro sviluppo e della loro integrazione». La seconda indicazione riguarda lo stile della missione. Il Papa afferma che «nella logica della sana collaborazione tra comunità ecclesiale e società politica, la Chiesa cattolica è convinta di poter dare un singolare contributo alla prospettiva dell’unificazione». Si tratta di collaborare e di sostenere il processo di unificazione europea, sapendo che è “singolare” ed “essenziale” il contributo della Chiesa. La terza indicazione concerne l’impegno fattivo e competenze, attuato a ogni livello, personale e istituzionale, per favorire il bene comune nel rispetto dei corretti dinamismi democratici: «è necessaria una presenza di cristiani, adeguatamente formati e competenti, nelle varie istanze e istituzioni europee, per concorrere, nel rispetto dei corretti dinamismi democratici e attraverso il confronto delle proposte, a delineare una convivenza europea sempre più rispettosa di ogni uomo e di ogni donna e, perciò, conforme al bene comune».
L’ultima linea di intervento, che riassume e precisa quelle precedenti, è indicata da Benedetto XVI nel discorso già citato: «So quanto difficile sia per i cristiani difendere strenuamente questa verità dell’uomo. Non stancatevi però e non scoraggiatevi! Voi sapete di avere il compito di contribuire a edificare con l’aiuto di Dio una nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca d’ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo. Per questo siate presenti in modo attivo nel dibattito pubblico a livello europeo, consapevoli che esso fa ormai parte integrante di quello nazionale, ed affiancate a tale impegno un’efficace azione culturale (…). Il Signore renda fecondo ogni vostro sforzo e vi aiuti a riconoscere e valorizzare gli elementi positivi presenti nell’odierna civiltà, denunciando però con coraggio tutto ciò che è contrario alla dignità dell’uomo». Sottolineo solo i tre ambiti di lavoro: l’azione culturale, il dibattito pubblico, il discernimento, riconoscendo e valorizzando gli elementi positivi della civiltà europea odierna e denunciando ciò che è contrario alla dignità umana.
Queste indicazioni del magistero pontificio e dei vescovi sinodali costituiscono i punti di riferimento dell’attuale impegno della missione della Chiesa in Europa. Questo vale certamente per la Comece, così come vale per il Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa. Senza addentrarmi nel lavoro piuttosto complesso della Comece, mi limito a dire che essa segue con attenzione tutte le normative, attua e realizza confronti su temi con le istituzioni europee, offre pareri e proposte su diverse questioni che riguardano la vita dell’Europa, dal punto di vista culturale e sociale, politico ed economico, non solo per favorire il cammino di pace e di giustizia, ma anche, e soprattutto, per mettere in luce ciò che è in gioco nelle scelte, e cioè la persona umana, la visione dell’uomo. Il nesso tra la fede e la questione antropologica è particolarmente importante nel nostro contesto pluralistico e democratico. Allora la cura della persona umana in tutti i suoi aspetti e risvolti deve essere al centro della comunicazione della fede. Un’esistenza impoverita, incapace di generare, stanca e rassegnata, chiusa nel suo piccolo mondo, non è degna della persona umana. L’antropologia postmoderna genera un profondo disagio delle persone, un senso di vuoto interiore. Ma la denuncia ecclesiale non è sufficiente. La denuncia segnala la difficoltà, anzi l’impossibilità, di vivere bene con un “cielo chiuso”, nella solitudine, nel narcisismo, nella libertà illusoria: la felicità dell’io richiuso in se stesso è una felicità da consumo, inseguita come l’istanza che giustifica ogni cosa. Una simile antropologia narcisista e consumista non ha escluso la fede, ma ha posto le condizioni per non avvertire quasi più la domanda di senso. Insieme alla denuncia, occorre operare per offrire un orizzonte più grande, aiutando a superare la frammentarietà che si accontenta dell’attimo, con una progettualità della persona, con segni di continuità, di fedeltà e di spessore che incidono nella vita e aiutano a guardare in alto al futuro.
La fede cristiana è realtà personale e pubblica. Questo risvolto pubblico della fede è essenziale per la vita, per la vita del credente e per la vita stessa delle nostre società. Questa dimensione pubblica può essere recuperata e affermata entrando nel dibattito pubblico con competenza, con serietà, con rispetto. Le comunità religiose devono essere accolte nello spazio pubblico, come Jürgen Habermas, per esempio, ha più volte affermato. Da parte dei credenti e delle comunità religiose si tratta di “rendere ragione”, di proporre, di dialogare, di testimoniare la disponibilità al servizio e alla solidarietà. Questo servizio che la fede cristiana e le comunità ecclesiali possono rendere alla società è prezioso per consolidare le basi stesse delle società pluraliste e democratiche.
L’ultima linea-guida che evidenzio è la trasparenza della Chiesa per la missione in Europa. Ciò che costituisce la Chiesa nel suo intimo più vero e più profondo non nasce dalla Chiesa e dai suoi progetti, ma dall’azione di amore di Dio nei confronti dell’umanità. Gesù Cristo ha portato a compimento il progetto di amore di Dio e ha reso noi, uniti a Lui, creature nuove. Gesù Cristo è l’insuperabile compimento della speranza dell’uomo. La Chiesa deve lasciar trasparire la bellezza e la grazia di questo amore di Dio e annunciare il legame stretto tra Cristo e l’uomo, legame che, secondo una densa formulazione del cardinale Kasper, porta a riconoscere che la determinazione cristologica dell’esser uomo non è qualcosa d’estraneo all’uomo. La Chiesa, e in essa la Comece, svolge la sua missione in Europa e si pone al servizio della persona e della società europea offrendo il suo contributo cercando di essere sempre di più ciò che è nel disegno di Dio: e cioè di essere, «in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, 1).
L'Osservatore Romano, 22 gennaio 2013.