martedì 26 febbraio 2013

La nostra vita è risposta a Dio


  1. crucis2

    Ieri, martedì 26 febbraio, in Duomo, seconda Via Crucis guidata dal cardinale Angelo Scola nell’ambito del cammino catechetico quaresimale dal titolo “Stabat Mater dolorosa”. Questo secondo appuntamento ha avuto per tema “Il Figlio che sostiene la Madre” e ha riguardato le Stazioni dalla IV all’VIII.

    Arcidiocesi di Milano


Via Crucis con l’Arcivescovo
Stabat Mater dolorosa

«Il Figlio che sostiene la madre!» (Stazioni IV-VIII)

Lam 1,11b-12.13c; Lc 23,26; Sal(27[26],7-9; Sal 69, 2-4; Lu 23,27-29
Testi di Paul Claudel, papa Paolo VI, Charles Péguy, don Primo Mazzolari, san Bonaventura
    1. Duomo di Milano, 26 febbraio 2013

Martedì della seconda Settimana di Quaresima


Catechesi di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano




«è il Cristo che sostiene la Madre. Ella gli grava sulle spalle ed Egli se la carica tendendo le braccia, appena abbozzate, all’indietro come per avvolgerla tutta e portarla con sé» (Dalla presentazione artistica iniziale). La Vergine Maria Lo aveva portato nei nove mesi della gravidanza e poi sostenuto nei primi passi, Lo aveva pazientemente accompagnato, presenza discreta, autorevole e nello stesso tempo obbediente, lungo gli anni della sua giovinezza fino questa Sua ora.
Anche noi – magari costretti come il Cireneo, o invece protesi nello slancio dell’amore, come la Veronica; o scossi da un pianto straziato come le donne di Gerusalemme – cerchiamo di sostenerLo nella Sua passione. Ma in realtà è Lui che sostiene e porta noi, in questa immensa gravidanza dell’uomo nuovo «perché si riveli in noi la potenza della sua resurrezione» (Orazione iniziale).
Immedesimiamoci quindi, ora, con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutto noi stessi nell’amata figura di Gesù lungo la via dolorosa.

IV Stazione - Gesù incontra la Madre

«Voi tutte che passate per la via, considerate e osservate se c’è un dolore simile al mio dolore» (Lam 1,12). La tradizione della Chiesa mette in bocca alla Vergine queste parole con cui Gerusalemme manifesta il proprio strazio: «Osserva, Signore, e considera come sono disprezzata!» (Lam 1, 11b). Altro che benedetta tra le donne come l’aveva salutata Elisabetta, assecondando quel misterioso esultare del bimbo nel suo seno..!
Quel Figlio a cui le folle, affamate di pane e di verità, accorrevano piene di speranza, quel Figlio fino a pochi giorni prima osannato e acclamato come re, avanza verso il Calvario come agnello immolato, sfigurato sotto i colpi della violenza brutale, quasi irriconoscibile, eppure non c’è fibra del Suo essere che non voglia andare fino in fondo in quel dono totale di Sé. E questo Suo deciso, incrollabile sostiene il della Madre. Il fiat di trentatre anni prima avanza verso il suo compimento finale. «Non c’è nulla nel suo cuore che si rifiuti o s’arrenda. Neppure una fibra nel suo cuore trafitto che non accetti o consenta» (Claudel).
Che ne è del nostro sì? Non dimentichiamo che la nostra vita è risposta a Dio!

V Stazione - Gesù è aiutato da Simone di Cirene

«Fermarono un certo Simone… che tornava dai campi e gli misero addosso la croce» (Lc 23,26).
Anche a noi spesso la croce arriva addosso così, inaspettata. Ci coglie di sorpresa, mentre torniamo dai campi dell’ “umana avventura”. Piomba come un rapace sul nostro quieto quotidiano, fatto di affetti e di lavoro, e lo sconvolge. Pensiamo alla malattia, alla morte, alla perdita del lavoro, alle ferite dell’amore… All’improvviso ci cambia la vita. Niente è più come prima.
Anche noi ci troviamo di fronte all’aut-aut drammatico del Cireneo: o rimanere «ignari e ribelli» (Paolo VI), puntando i piedi nel disperato tentativo di opporci, o abbandonarci a questo misterioso modo con cui il Signore ci si avvicina per amarci: «Tu l’hai amato certamente, o Signore, cedendogli il peso della tua croce» (Paolo VI), e balbettare le parole dell’apostolo Paolo: «do compimento a ciò, che dei patimenti del Cristo, manca nella mia carne» (Col 1,24).
Così, misteriosamente ma realmente, Simone di Cirene divenne testimone, aprendo la strada a tutti coloro che, dall’inizio della Chiesa fino a noi, accettano di portare la croce di Cristo.
«Cominciò in quel momento la diffusione della tua passione. Tu allargasti il nostro cuore a soffrire e ad amare negli altri che con Te e per Te sarebbero stati crocifissi» (Paolo VI). Ecco la sorgente inesauribile della carità della Chiesa manifestata capillarmente in migliaia di opere presenti nel nostro territorio.

VI Stazione - Gesù incontra Veronica

«Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto!” Il tuo volto; Signore, io cerco» (Sal 27).
Questo invito è scolpito nel cuore di ogni uomo. Fin dalla nascita l’io cerca il volto del tu. Il bimbo, anche piccolissimo, cerca il volto della madre per imparare quanto è bene che egli sia. L’amato, tra le centinaia di volti anonimi delle nostre metropoli, cerca il volto dell’amata, lo sposo della sposa, il figlio della madre… Fino all’ultimo respiro, ogni io si riconosce e ritrova nella relazione con il tu. Perché è così nell’inesauribile mistero d’amore della Trinità, e noi siamo fatti a Sua immagine.
Per questo ogni volto ed ogni relazione – secondo il posto che il Padre, nel suo Disegno imperscrutabile ma buono, gli ha assegnato – diventa segno del Suo volto e via a Lui. Con tutta la fisicità, ma anche la fragilità e la piccolezza del segno. «Un fazzoletto per soffiarsi il naso», dice con familiarità dissacratoria Péguy, «un vero fazzoletto», che però diventa preziosissimo, «un fazzoletto imperituro”» segnato dal per sempre, perché «asciugò la sua vera faccia».
«Cercate il mio volto». «Nel volto di Gesù splende l’amore del Padre», abbiamo pregato nelle Invocazioni. L’infinito – in cui solo si quieta il nostro cuore inquieto – si è fatto finito per farsi incontrare e amare da noi.
Ma, per poterLo vedere, occorre un cuore limpido, senza schermature, come quello dei bambini: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5,8).
Come la Veronica, ciascuno di noi, asciugando «la polvere di tutti, la polvere sulla sua faccia; incollata dal sudore» (Péguy), partecipa alla Sua passione per tutti i fratelli uomini. Pensiamo alla cura amorevole con cui Madre Teresa asciugava il volto dei moribondi… O a quella, per me indimenticabile, dei padri e delle madri che ho visto accudire i loro figli, ammalati terminali o in stato vegetativo.

VII Stazione - Gesù cade la seconda volta

«Nelle cadute di Gesù», durante il suo doloroso e obbediente procedere verso il Calvario, «ci siamo tutti noi» (Mazzolari) piegati sotto il peso della nostra debolezza fino a venir meno, perché – come scrive genialmente don Mazzolari – «il caduto non è un disertore, ma uno che “viene meno per via”: e Gesù l’attende, chino a sua volta sotto la croce, perché nessuno si senta solo nell’ora più buia».
Al nostro grido ormai sfinito – «Salvami, o Dio: l’acqua mi giunge alla gola. Sono caduto… e la corrente mi travolge» (Sal 69) – Gesù risponde raggiungendoci “per terra” da dove stavamo perdendo la speranza di rialzarci e ci as-sicura: “Non temere, il mio amore non verrà meno e ti salverà”. Quale speranza contro ogni speranza.
Le cadute di Gesù durante la Via Crucis anticipano, in un certo senso, la Sua discesa agli inferi, quando – come vediamo nelle potenti raffigurazioni dell’Anàstasi – dopo aver compiuto fino in fondo il Suo sacrificio, Egli afferrò con la sua mano vigorosa le mani deboli e imploranti di tutti i giusti ‘caduti’ dell’Antico Testamento e della storia umana per trascinarli con Sé nella sua resurrezione.

VIII Stazione - Gesù incontra le donne di Gerusalemme

«Non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli» (Lc 23,28).
Di fronte al dolore, soprattutto al dolore innocente causato dalla malvagità umana, la chiesa nostra Madre ci educa a non fermarci alle pur umanissime lacrime di compassione, ma ci conduce fino alla radice personale di questa responsabilità, che è sempre corresponsabilità col male. Siamo chiamati a confessarlo con cuore contrito: «Tra gli atti del penitente, la contrizione occupa il primo posto. Essa è “il dolore dell’animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire” (Concilio di Trento)» (Catechismo Chiesa Cattolica, 1451).
E la contrizione attraversa tutta la mossa del sentimento («facevano lamenti su di lui» Lc 23,27) per attingere al giudizio e alla decisione della libertà. Lo sguardo di Gesù che corregge le donne di Gerusalemme è lo sguardo di un amore tanto severo quanto misericordioso, lo sguardo che, incrociando quello di Pietro dopo il tradimento lo mosse a «piangere amaramente» (cf Mt 26,75) sopraffatto dal prodigio del suo amore infinito di cui San Bonaventura scrive: «Anima mia ammira, ringrazia, ama, loda e adora!Gesù fu schernito, perché tu sia onorata; fu flagellato perché tu abbia conforto; fu crocifisso per darti la libertà; venne immolato come agnello per nutrirti di grazia; venne ucciso per ridarti la vita». Non sottraiamoci al dono della misericordia dispensato nella confessione sacramentale!

Dal profondo a Te grido, Signore.
Dal profondo della mia debolezza mortale,
del mio peccato ostinato.
Dal profondo e buio gorgo della mia dimenticanza.
Signore, Ti incontriamo ogni giorno
sulla Via Crucis che Tu compi fino alla fine
con noi e per noi.
Aiutaci ad acconsentire al Tuo sacrificio,
imitando l’amore della Tua santissima Madre
e quello della Veronica,
o almeno la forzata accettazione del Cireneo.
Aiutaci e perdonaci. Amen.

* * *

Lo scorso 19 febbraio si era tenuta la prima Via Crucis.
Il rito ha riguardato le prime 3 stazioni ed ha avuto per tema: "Ecco l'uomo!".
Di seguito il testo.

  1. Arcidiocesi di Milano


Via Crucis con l’Arcivescovo
Stabat Mater dolorosa

«Ecco l’uomo!» (Stazioni I - III)

Gv 19,4-6; Is 53,4-6; Ger 20,10-11
Testi di Mario Luzi, Romano Guardini e il Beato Giovanni Paolo II

    1. Duomo di Milano, 19 febbraio 2013

Martedì della prima settimana di Quaresima


Catechesi di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano




La Madre è lì (Stabat Mater). Come fin dal primo istante dell’annuncio dell’angelo così al culmine della Sua Passione, Maria è lì ad accoglierLo e a portarLo nell’umanissimo gesto della Pietà. «La madre – diceva la Presentazione artistica iniziale – si riappropria del Figlio, lo vorrebbe riporre nel medesimo grembo che lo ha generato, perché caldo e vitale, e non freddo e mortale come la pietra che, irridente, lo aspetta».
Fissiamo ora lo sguardo su questa sconvolgente e attualissima Pietà – pietà è la parola con la quale la Chiesa ci ha insegnato a chiamare questo estremo gesto di Maria –. Michelangelo vi lavorò, in una esasperata tensione – continuando a tornare su parti ormai concluse, per distruggerne alcune e sbozzarne delle nuove – fino a pochi giorni prima di morire, nel 1564. Voleva immedesimarsi con questo gesto sublime d’amore, voleva farsi da esso contagiare.
«Ecco l’uomo!»: dolore e amore sembra dire la Madre in questo abbraccio-offerta di Cristo a noi, resi figli dal sacrificio del Figlio. In una sorta di ultima Presentazione che compie la prima Presentazione al Tempio e ne svela tutto il mistero di amore e di dolore.
«Ecco l’uomo!». In questo corpo che appare senza peso, come svuotato di ogni divino potere cogliamo l’impotenza di tutti gli uomini percossi e umiliati dalla violenza del male, fisico e morale. Un corpo sfinito dalla sofferenza, eppure da essa anche trasfigurato. Già vittorioso.
«Ecce homo». Contemplare quest’Uomo nel nostro cammino quaresimale diventa allora la strada che il Padre offre a ciascuno di noi per re-imparare, di persona e in comunione con i fratelli, chi è l’uomo.
Chi sono io? Chi è il cristiano? Chi è la comunità cristiana? Troppo spesso pensiamo di saperlo già. E così distogliamo lo sguardo distratti dall’Innocente Crocifisso, che ci «ha amato sino alla fine» (Invocazioni, I Stazione), da Colui che si è lasciato trattare da «peccato» per liberarci dal marchio del peccato, la morte, e restituirci allo splendore purissimo della Vita divina.
Lo crediamo veramente? Eppure questa è la nostra fede.
Ma seguiamo il primo tratto della via della Croce, passo dopo passo. Immedesimiamoci, lo ripeto, con essa qui ed ora.

I Stazione - Gesù è condannato a morte

Pilato, colui che doveva decidere non decide. Perché? Perché sull’affermazione della verità fa prevalere il calcolo: un’assoluzione dell’Innocente condannato dal Sinedrio avrebbe potuto scatenare disordini, assolutamente da evitare nei giorni di Pasqua, in cui una gran folla si riversava a Gerusalemme.
Così ad una pace del tutto precaria (ma sarebbe più giusto dire al “quieto vivere”) il procuratore romano sacrifica la giustizia. Ma nessuna pace può essere stabilita contro la verità.
Pilato si chiama fuori e consegna Gesù all’esaltazione rabbiosa della folla: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa» (Gv 19,6). Il Figlio di Dio è abbandonato a una banda di uomini che «si eccitano tra di loro, si ubriacano di vendetta» (Luzi). Quanto Pilato in noi, ahimé! Quanto chiamarci fuori con atteggiamenti pilateschi anche nelle nostre comunità cristiane, nella nostra convivenza civile.
Sempre, fin dalle origini, il peccato innesca un meccanismo perverso che de-responsabilizza e de-solidarizza. La rottura della relazione con Dio trascina quella della relazione con sé stessi (Giuda, dice l’evangelista Matteo – cfr. Mt 27,5ss –, dopo aver cercato di restituire i trenta denari, andò ad impiccarsi) e la relazione con gli altri (i membri del Sinedrio si trincerano dietro la Legge e non vogliono sentire ragioni).
«Ecco l’uomo!» Recuperiamo uno sguardo vero sull’uomo contemplando l’Uomo della croce. Ridiamo spazio alla giustizia nei nostri rapporti personali, familiari e sociali. La dignità dell’altro lo esige irrevocabilmente. La vita buona non si può edificare senza giustizia. Per questo l’alto impegno con la giustizia è esigito dalla carità, e dalla carità riceve luce piena.
Questo è il contributo dei cristiani alla vita buona: praticare la giustizia nella carità. Come ha fatto l’Uomo della croce nutrendo la giustizia con la gratuità e amandoci di persona. Pagando di persona.

II Stazione - Gesù è caricato della croce

Mentre gli altri attori della scena, autogiustificandosi, si chiamano fuori e abbandonano Gesù all’irresponsabilità della folla «egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; … è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità» (Is 53, 4a e 5a).
Gesù invece, il Servo innocente, che non ha nessuna responsabilità del male, acconsente ad essere «castigato, percosso da Dio e umiliato» (Is 53, 4b). Accetta che ricada «su di lui l’iniquità di noi tutti» (Is 53, 6b). Ma il Figlio di Dio si è fatto uomo proprio in vista di questo farsi carico dei peccati di tutti gli uomini. Egli non è costretto ad addossarsi i peccati degli uomini, ma li prende liberamente su di Sé.
Colui che «va incontro alla croce e l’afferra deciso» (Guardini) è l’Innocente per eccellenza. Un altro non avrebbe potuto portarla con efficacia di sostituzione vicaria. Infatti quale uomo, per quanto si voglia straordinario, potrebbe avere in se stesso spazio sufficiente per far posto alle colpe del mondo intero? Una simile scelta – ha osservato acutamente von Balthasar – può essere compiuta soltanto da Colui che sta di fronte all’eterno Padre in una distanza divina, cioè il Figlio, il quale anche come uomo è Dio.
Sulla via della Croce Gesù si rivela come l’uomo compiuto. Si fa carico di tutti fino al più abietto tra gli uomini. L’uomo dei dolori, esperto nel patire, il Salvatore, si fa responsabile del mondo intero.
Lasciamoci coinvolgere. Prendiamoci cura gli uni degli altri. L’abisso d’amore di Gesù è inarrivabile e noi siamo così piccoli e fragili. Eppure la strada è più semplice di quanto possiamo pensare: educarsi a questa responsabilità nei confronti del mondo intero attraverso gesti concreti e regolari di gratuità (carità) a partire da chi ci è più prossimo.

III Stazione - Gesù cade la prima volta

«Il Signore è totalmente libero, senza alcuna paura. Nella croce vede il compito affidatogli dal Padre, la nostra salvezza. Questo egli vuole con tutta la forza del suo cuore» (Guardini).
Il Crocifisso accetta tutte le sfacciate ed insulse provocazioni: «”Se sei Dio, scendi giù”». Egli «vuole essere oltraggiato. Vuole vacillare. Vuole cadere sotto la Croce. Vuole. È fedele fino alla fine, fino nei minimi particolari a questa affermazione: “Non si faccia quello che io voglio, ma quello che vuoi Tu” (cfr Mc 14, 36)» (Beato Giovanni Paolo II).
Perché Cristo può agire così? Da dove Gli viene questa determinazione che a noi appare assurda, inconcepibile? Dalla potenza della Sua relazione con il Padre. Lo abbiamo sentito dal profeta Geremia: «Il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori vacilleranno e non potranno prevalere» (Ger 20,11). È il potente legame d’amore con il Padre, nello Spirito Santo, che sostiene la volontà del Signore, il Suo fino alla fine.
«Non come voglio io, ma come vuoi tu». Questa – ce lo dice l’esperienza – è la logica dell’amore. Se riconosciamo il nostro legame con il Padre, in Cristo Gesù, anche noi sapremo andare fino alla fine.
«Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede» (1Gv 5,4).

Maria,
pietà elargita al genere umano,
hai accolto Gesù cadavere tra le braccia.
Maria,
abbraccia con la tua pietà anche noi peccatori.
Vergine Santa,
insegnaci l’obbedienza della fede,
infondici la fiducia dell’amore,
donaci speranza indomita. Amen.