mercoledì 20 febbraio 2013

Pensare, professare, vivere la Fede




Di seguito il testo dell’intervento che l’arcivescovo Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ha pronunciato questa mattina, mercoledì 20 febbraio, in occasione dell’incontro di studio dedicato al libro «Pensare professare vivere la fede». Nel solco dell’esortazione apostolica “Porta Fidei” (Roma, Lateran University Press, 2012, pagine 656, euro 26) che si è svolto presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense.
(Arcivescovo Gerhard Ludwig Muller) Abbiamo bisogno di una ragione che non sia muta di fronte al divino e che non limiti se stessa ai metodi delle scienze naturali. Oggetto della teologia è la fede, testimoniata dalla Chiesa, nell’autorivelazione di Dio nella persona e nella storia di Gesù di Nazaret. Grazie a questa autocomunicazione di Dio «gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura» (Dei Verbum, 2).
La fede è un atto di relazione personale dell’uomo con Dio, che si differenzia nella sua origine e nel suo compimento dalla pura e semplice presa di visione di un determinato stato di cose, quale quello che viene perseguito dalla ragione scientifica, ma al quale però è tuttavia possibile di venir rispecchiato, riflettuto, con l’aiuto di metodi scientifici e che può venir evidenziato nella sua globale relazione con la realtà, e in particolare con la questione della salvezza dell’uomo. Fede e ragione non si escludono reciprocamente. Sono due poli di una medesima realtà che si riferiscono reciprocamente, i quali rendono l’uomo capace di indagare e di conoscere l’ambiente come creazione, l’uomo come creatura, capace di indagare e conoscere se stesso e la sua essenza.
Nella nostra professione di fede c’è già il nucleo per un incontro con Dio orientato secondo la ragione umana. Ragione, ragionevolezza, non sono concetti inconciliabili con la fede, anche se proprio questa è sempre nuovamente l’accusa che tesi pluralistiche o relativistiche della modernità avanzano. La fede non è un’immaginazione soggettiva o addirittura puramente psicologica, ma è invece una concreta, oggettiva componente della realtà vitale umana. In quanto essere intellettuale l’uomo è concepito in modo tale che non nasconde Dio alla ragione. Dio lo ha creato, è il Lògos che tutto abbraccia, che solo ci può finalmente condurre all’esperienza e alla conoscenza. L’uomo pensa se stesso e il mondo e quindi pensa il suo fondamento trascendente che fa scaturire ogni cosa. Usa la sua ragione. Come può la ragione pensarsi in generale senza il suo rapporto con Dio? Proprio perché la fede non comprende se stessa come espressione di un’esperienza irrazionale aldilà della ragione o come spontanea estasi con pretese esoteriche o addirittura come interpretazione speculativa del mondo. Avanza piuttosto la pretesa di mostrare definitivamente l’origine e il fine dell’uomo nell’orizzonte della relazione personale tra Dio e uomo, che con l’ingresso della rivelazione di Dio nell’evento dell’Incarnazione divenne afferrabile in maniera personale e storicamente concreta nella persona di Gesù di Nazaret, la cui opera salvifica di redenzione viene ulteriormente portata avanti nella Chiesa mediante i Sacramenti e la predicazione. La fede proviene dall’ascolto della Parola di Gesù (fides ex auditu) e si compie come assenso personale del singolo alla pretesa di Dio: «Così la fede si fonda sulla predicazione, e la predicazione a sua volta sulla parola di Cristo» (Romani, 10, 17).
Proprio a motivo della pretesa universale dell’affermazione che nel Nome (e cioè nella Persona) di Gesù Dio offre la salvezza per tutti gli uomini (cfr. Atti degli Apostoli, 4, 12; Giovanni, 14, 6; 1 Timoteo, 2, 4) si evidenzia come imprescindibile un’assicurazione circa la “solidità della dottrina” e del fondamento storico dell’Evangelo di Cristo (cfr. Luca, 1, 1-4). Mediante l’incarico universale della Missione (cfr. Matteo, 28, 19) alla Chiesa non è permesso di ritirarsi nel proprio ambito come un gruppo religioso. La Chiesa in quanto Sacramento di salvezza del mondo in Gesù Cristo (cfr. Lumen gentium, 1) è in rapporto dinamico con il mondo, con l’intera umanità e la sua storia. Un discorso di fede conforme alla ragione e una trasmissione dell’Evangelo argomentativa è inseparabile dal carattere dialogico della Parola di Dio: «Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pietro, 3, 15).
Il problema di fondo consiste dunque in questo, come possa sorgere un’immediatezza dell’uomo nei confronti di Dio, una fede nella parola di Dio conforme alla ragione, un’immediatezza che però rimane legata alla mediazione umana della Parola di Dio nella parola umana (1 Tessalonicesi, 2, 13), senza che, viceversa, l’uomo nel suo discorso su Dio abbia a che fare solamente con se stesso e con le sue idee circa Dio. Qui si ricollega il sospetto di proiezione, che riteneva di poter smascherare la teologia come l’autoalienante affermazione dell’uomo su se stesso nel fittizio medium di Dio e della sua Rivelazione. 
In modo del tutto fondamentale si pone dunque il problema di come in generale la “ragione” possa venir definita e di quale tipo di ragione (della filosofia o delle singole scienze) storicamente comparso sulla scena possa essere il punto di riferimento nel sistema relazionale fede-ragione.
Per pensare la fede il mondo ha bisogno di una ragione che non sia muta di fronte al divino. E nessuna ragione che si sia votata, asservita, ai dati ufficiali e alle leggi dei puri metodi delle scienze naturali potrà dedicarsi in maniera aperta, illimitata, alla questione di Dio.
Piuttosto è il Lògos divino che in Gesù Cristo ha assunto figura umana, è la fede che la ragione impara a comprendere, e la ragione che sopraggiunge alla fede, e la libertà che agisce coscienziosamente.
Nella prefazione alla nuova edizione del suo classico libro Introduzione al cristianesimo dell’anno 2000 (Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico. Con un nuovo saggio introduttivo, Brescia, Queriniana, 2008) l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Joseph Ratzinger, a distanza di quasi quarant’anni e con uno sguardo nuovo sulla sua propria opera spiega: «Il termine lògos significa ragione, senso, ma anche parola». E affrontando il Prologo del Vangelo di Giovanni identifica il Lògos con Dio al punto tale che emergono chiaramente in primo piano anche le conseguenze per la comprensione del mondo e dell’uomo: «Dio, che è Lògos, assicura all’uomo la sensatezza del mondo, la sensatezza dell’esistere». 
Così l’uomo è tale in quanto creatura di Dio, del Lògos, della Ragione, ma anche in quanto essere che è in ascolto di Dio, che risponde a Dio, che dialoga con Dio, ma appunto anche con gli uomini di tutte le culture che con cuore sincero e ragione pronta a interpellare lottano per arrivare alla conoscenza di Dio.
In questo contesto di riflessioni sul “pensiero della fede” rientra anche la rilettura della famosa lezione di Ratisbona che Benedetto XVI ha tenuto durante il suo viaggio pastorale nel settembre 2006 all’università di Regensburg. «Non agire con il Lògos è contrario alla natura di Dio»: questa frase programmatica descrive la correlazione di fede e ragione. In maniera impressionante questo reciproco imparare di fede e ragione viene spiegato già nel memorabile colloquio che Joseph Ratzinger ha condotto con il filosofo tedesco Jürgen Habermas nel 2004 alla Katholische Akademie di Baviera (Dialektik der Säkularisation. Über Vernunft und Religion, Freiburg 2004). Poiché la razionalità occidentale, a partire dalla sua fondazione teoretica storica e dai processi di pensiero che si nascondono dietro di essa, non è condivisibile da parte di tutta l’umanità e perciò non può operare in maniera illimitata, senza confini, Ratzinger richiede una reciproca prontezza a imparare: la fede dalla ragione e la ragione dalla fede: giacché nella religione ci potrebbero nascere patologie minacciose, che rendono necessario accogliere la luce divina come correttivo. 
Se vige il principio secondo cui «non agire con il Lògos è contrario alla natura di Dio», allora la religione ha bisogno della ragione come principio ordinatore ed eventualmente purificatore. La ragione non è posta a fianco alla religione solamente come additivo, bensì la sua origine sta nel Lògos, il quale è Dio. La teologia come scienza soggiace però a una chiara ermeneutica. Se non vuole essere soltanto scienza della religione, essa presuppone allora la fede in Dio. La teologia è da configurare sempre sotto il segno dell’esistenza di Dio e da compiersi nello spazio della Chiesa. La Chiesa adempie all’incarico di Gesù di annunciare il Vangelo dentro il mondo. In ciò non può mai venir dimenticato che la teologia è una funzione particolare della Chiesa, è parte di essa, e perciò deve sempre essere anche ecclesiale, affidata alla responsabilità della Chiesa, e sempre rinviante a essa nel suo carattere di servizio.
La speciale relazione della teologia scientifica con la Chiesa non può limitarsi a un’esteriore lealtà. Dell’essenza della teologia fa parte piuttosto il fatto che essa porta nella figura ecclesiale e nella trasmissione della fede l’interrogazione specificamente teologica, ove essa viceversa presuppone sempre già gli articoli di fede testimoniati dalla Chiesa come suoi principii. Questo differenzia la teologia nell’oggetto formale dalla scienza della religione. La libertà della teologia consiste pertanto non in una dispensa dall’oggetto a essa previamente dato e dal metodo a esso adeguato. Questo equivarrebbe a una autodistruzione della teologia. La libertà della teologia consiste in questo, che essa, conformemente alla sua propria natura, comprende se stessa nel contesto della vita ecclesiale come istanza di approfondimento e sempre anche come istanza critica, così come nell’interesse antropologico di tutte le scienze fornisce un contributo essenziale all’umana configurazione della vita. Pensare la fede significa anche raffinarla, riapprontarla per i non-credenti e offrirla come decisione di vita. Questo avviene nello spazio della Chiesa, poiché essa ha ricevuto, messi a sua disposizione da Cristo stesso, gli strumenti della salvezza, i sacramenti. In quanto Corpo di Cristo essa è «il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano». (Lumen gentium, 1). La spiegazione di confessione di fede e di prassi ha bisogno dell’unità di tutte le discipline della teologia. Una sconnessa giustapposizione confusionaria finirebbe da una parte con lo sminuire il profilo specifico delle singole discipline particolari nel loro rapporto con il compito complessivo della teologia, e dall’altra parte nel non essere all’altezza dell’oggetto formale a cui è dedicato il lavoro scientifico e la competenza scientifica. 
Se con “teologia” si intende in linea di principio lo sforzo scientifico per chiarificare la fede in maniera conforme alla ragione, per chiarificare la sua realizzazione storica e la sua pretesa ecclesiale come pure sociale di contribuire a dar forma alla società, c’è bisogno allora di una globale conoscenza dei nessi di teologia fondamentale e di storia dei dogmi e teologia sistematica, sulla base delle materie storico-bibliche come permanente rinvio alle positive affermazioni di fede nella Parola di Dio. Specialmente l’accenno alla Sacra Scrittura si trova nella Costituzione sulla Rivelazione del concilio Vaticano II Dei Verbum: «La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta, inseparabile dalla sacra Tradizione; in essa vigorosamente si consolida e si ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo. Le sacre Scritture contengono la parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente parola di Dio, sia dunque lo studio delle sacre pagine come l’anima della sacra teologia» (n. 24).
Nutriti dallo studio della Scrittura la ricerca storica di sempre maggiori certezze e il lavoro globale contenutistico-sistematico vengono rinviati al presente svolgimento della vita cristiana, a martyria, leiturgìa e diakonìa come essenziali fonti teologiche di conoscenza. Per l’assioma “pensare la fede” l’intreccio delle singole discipline nell’insieme di tutti i trattati è altrettanto imprescindibile quanto il rapporto di reciproca inclusione e collaborazione con la prassi tipico della realtà vitale e della prassi ecclesiale. Nello scambio intimo tra queste dimensioni noi impariamo a pensare “e” a vivere la fede.
Vorrei concludere con una citazione del nostro Santo Padre, il quale, come quasi nessun altro teologo del presente, sin dall’inizio del suo lavoro scientifico, della sua riflessione sulla fede, ha posto al centro il legame tra fede, ragione, verità, confessione di fede e pensiero. 
Una citazione tratta dal non pronunciato discorso all’università di Roma La Sapienza riassume molte delle cose che abbiamo potuto solo accennare, con una autodescrizione del Papa in riferimento alla sua responsabilità per la ragione, la verità e la fede, là dove è detto «al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro».
L'Osservatore Romano, 21 febbraio 2013.