sabato 30 marzo 2013

Abitare il sabato




È ogni giorno più evidente che il mondo po­litico, civile ed economico che avevamo co­struito nel XX secolo è morto, senza che anco­ra si intravveda una resurrezione. Siamo nel sa­bato. Un 'non ancora' senza il 'già'. La storia umana ha conosciuto e conosce molti sabati santi, alcuni dei quali epocali. E anche per que­sto è importante che alla radice dell’evento cri­stiano, e quindi dell’umanesimo europeo, ci sia il sabato santo, un tempo anche storico che va tra la morte e la resurrezione, che è parte an­ch’esso di una storia di salvezza. Il sabato san­to non è solo un vuoto, un’assenza, un interval­lo, un sonno, né soltanto un’attesa.

È anche un inizio di passaggio, un’attività, una veglia, una presenza. Vi troviamo gli apostoli che, delusi e impauriti, si ritraggono scoraggiati e bloccati dalla grande crisi. Ma abbiamo anche alcune presenze, in particolare di donne. E, come ci ri­cordò Carlo Maria Martini in una sua lettera nel 2000, nel sabato c’è la presenza di Maria, la ma­dre di Gesù. Mentre gli uomini fuggono, le don­ne restano, stanno, abitano il sabato, agiscono, attendono operose. La presenza di quelle donne, in quella cultura, ci dice almeno tre cose. Innanzitutto ci ricorda il valore della vita e del corpo, anche dei corpi feriti, senza vita. Vanno al sepolcro per ungere un corpo, e non si fanno bloccare dalla grande pietra posta all’ingresso. Il secondo messaggio riguarda i poveri: le donne in quella cultura non contavano, erano per natura, tra gli ultimi del­la società, erano quindi fragili e vulnerabili. Ma sono loro che non fuggono, che sono resilienti di fronte alla grande prova, e che sperano atti­vamente.

Le donne e Maria – il terzo messaggio – sono anche presenza dei carismi, perché han­no con essi familiarità spirituale e una speciale connaturalità. «Ave Maria piena di charis», di charis-ma e di gratuità. Non a caso il grande teologo Hans Urs Von Balthasar utilizzava qua­si come sinonime le espressioni «principio ca­rismatico » e «principio mariano». E i carismi, lo sappiamo, sono doni che fanno vedere di più, vedere diversamente, vedere cose che al­tri – in questo caso gli apostoli – non vedono. E vedendo diversamente, agiscono e operano diversamente. La nostra società e la nostra economia potran­no vedere un’alba di resurrezione se sapremo vi­vere bene questo tempo del sabato.

Anche og­gi, di fronte alle nostre crisi, molti fuggono, e in vari modi (nei paradisi fiscali, nel web senza cor­pi veri, nel cinismo civilmente disimpegnato). Ma oggi abbiamo anche un grande bisogno de­gli 'abitanti del sabato': delle donne, anche troppo fuori dai luoghi che contano, e abbiamo bisogno soprattutto dei carismi. Nei sabati del­la storia, mentre le istituzioni soffrivano, fuggi­vano, morivano, l’umanità si è salvata perché i carismi, e spesso le donne, sono stati capaci di restare, sotto le croci e presso i sepolcri del loro tempo. Hanno sperato attivamente. Tra la morte dell’impero romano e la rinascita della civiltà cittadina italiana e europea, non c’è stato solo un vuoto o un’assenza: nel guado tra un mondo e un altro c’è stata la presenza di tan­ti carismi monastici, che nell’attesa hanno sal­vato e inventato la nuova Europa, supplendo al­la morte delle vecchie istituzioni, e inventan­done delle nuove.

Tra la fine dell’ancien régime e gli Stati sociali moderni, sono fioriti centinaia, migliaia, di carismi e istituzioni carismatiche che hanno inventato, con la creatività tipica del­la charis/charitas, la cura delle nuove e vecchie forme di miseria e di esclusione, che hanno for­mato e istruito intere generazioni di uomini e di donne. E ancora tra rivoluzione industriale e Stato sociale, tra fascismo e democrazia, e po­tremmo allargare lo sguardo all’India di Gandhi e di Madre Teresa, o alle istituzioni di microfi­nanza di suor Nancy Pereira. I carismi, come Maria alle Nozze di Cana, ve­dono prima degli altri, e dicono, a volte urlano: "Non hanno più vino". Sono i carismi i prota­gonisti dei sabati santi della storia, che fanno da ponte tra i venerdì e le domeniche, e ac­compagnano il cammino. Al nostro sabato man­cano i carismi e i loro occhi, che sono troppo as­senti, o emarginati, dalla sfera pubblica, eco­nomica, politica.

È emblematico che le perso­nalità che dovrebbero essere capaci di portarci fuori dal pantano politico-economico irre­sponsabile in cui siamo immersi, siano cercate tra i tecnici, i professori, gli intellettuali, senza accorgerci che queste categorie non hanno più, e ormai da tempo, le risorse morali per sposta­re il grande masso posto di fronte al sepolcro... Per rimuover quel masso non serve la tecnica, occorrerebbero occhi di resurrezione. C’è bisogno di mistici, di carismi, di profeti, di persone capaci di vedere il 'vino' che manca, e poi fare in modo che arrivi veramente e presto. Ma questi nomi di uomini, ancor meglio di donne, spirituali non vengono fatti, né pensati. Al tempo stesso, il mondo dei carismi, ancora vivo e fecondo, deve fare di più, deve far sentire di più la sua voce, che è sempre voce di poveri e per i poveri, e poi fare proposte anche politiche, perché i carismi sono doni per il bene comune, e quindi faccende laiche, civili e politiche.

Quando manca la voce e la presenza dei carismi, le istituzioni non sanno né vedere né quindi operare per il bene comune, soprattutto nei tempi del sabato. La nostra crisi è anche, e soprattutto, crisi spirituale, perché con la fine delle ideologie si sono spenti i motori simbolici della nostra fabbrica civile ed economica. E quando si spegne il grande Paradiso, arrivano quelli piccolissimi e artificiali, che presto si rivelano grandi inferni. Ridoniamo al nostro sabato gli occhi del carismi. (L. Bruni)
Fonte: Avvenire di oggi, 30 marzo 2013