sabato 23 marzo 2013

Chiesa Cattolica: Essenza - Realtà - Missione


L’ecclesiologia del cardinale Walter Kasper è feconda per vari motivi: il primo motivo è legato all’indole personale di Kasper teologo. La sua teologia è dalle larghe vedute, capace di leggere l’evento cristiano nel suo radicamento storico e soprattutto nel non facile rapporto dialettico con la filosofia e la cultura moderna e postmoderna. Una testimonianza empirica della fecondità del suo pensiero sono i suoi libri tradotti in numerose lingue tra cui anche l’arabo.

Un secondo motivo che rende l’ecclesiologia di Kasper particolarmente interessante è il suo cammino personale al servizio della Chiesa, prima come giovane docente di teologia, poi come vescovo e, successivamente, il suo servizio presso la Santa Sede e, in particolare, come presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani dal 2001 al 2010. L’ecclesiologia di Kasper respira con due polmoni e ha una particolare attenzione alla sensibilità e al pensiero delle altre chiese sorelle.
Un terzo dei tanti motivi della fecondità dell’ecclesiologia di Kasper è che l’espressione scritta del suo pensiero sulla Chiesa non è nata di getto, ma ha avuto un lungo periodo di incubazione e di maturazione. Una testimonianza di quest’opera di fermentazione è il volume Chiesa cattolica. Essenza – realtà – missione, della collana Biblioteca di Teologia Contemporanea dell’Editrice Queriniana. Lo stesso Kasper, infatti, confessa che questo libro «ha alle spalle una lunga storia». Lo voleva scrivere verso la fine della sua attività accademica, dopo le due monografie Gesù il Cristo(Cristologia) e Il Dio di Gesù Cristo (Trinitaria), ma gli incarichi e gli impegni pastorali al servizio della Chiesa non hanno permesso una produzione veloce, per cui il libro si è maturato nel tessuto quotidiano e straordinario delle varie esperienze che Kasper ha avuto come vescovo, come membro della Congregazione per la Dottrina della Fede e la Congregazione per le Chiese Orientali, nonché la già menzionata presidenza del Consiglio per l’Unità dei Cristiani.
Uno sguardo sintetico al volume
In questa recensione vogliamo focalizzare l’attenzione sulla riflessione di Kasper sul ministero petrino, ma prima vogliamo dare uno sguardo rapido a tutta l’opera. Il volume si apre con una sezione autobiografica che ha il merito di farci entrare nell’ecclesiologia conciliare e postconciliare attraverso l’esperienza del teologo tedesco. In questa parte vengono presentati i vari movimenti di rinnovamento precedenti al Concilio e i vari influssi teologici che Kasper ha integrato lungo il suo cammino (La scuola di Tubingen, Schelling, Tommaso d’Aquino, Karl Rahner, Henri de Lubac, Hans Küng,…). Il teologo presenta anche l’importanza ecclesiologica permanente del Concilio e analizza la recezione di questi nei decenni successivi.
La seconda parte del volume partendo da un chiarimento della natura (essenza) della Chiesa mostrando il suo radicamento in Cristo. Già nella parola Kirche («Chiesa» in tedesco) vediamo un indizio sull’identità profonda della comunità ecclesiale. La parola, infatti, deriva dal grecokuriakós e indica la comunità appartenente al Signore (Kúrios). La Chiesa, vista alla luce della Trinità si presenta come «mistero della comunione» nel cuore della storia e come tale come sacramento universale della salvezza. In questa linea la Chiesa si presenta come primizia, «realtà intermedia», «segno e strumento del Regno di Dio». Kasper analizza le varie immagini e definizioni che gettano un po’ di luce sul mistero della Chiesa. Tra queste immagini spiccano: popolo di Dio, corpo e sposa di Cristo, tempo dello Spirito Santo.
Lo sguardo si sposta in seguito alla «Realtà» della Chiesa nelle sue varie manifestazioni nel mondo. In questa sezione, Kasper considera la tensione tra l’unica Chiesa voluta da Gesù Cristo e la presenza effettiva di varie Chiese; la compresenza di peccato e santità nella Chiesa; la forma concreta della Chiesa nei suoi vari volti (ministeri ordinati «al servizio della communio», la missione dei laici, il ministero petrino,…). L’ultima parte del libro è dedicata alla «Missione» della Chiesa. In questa parte si focalizza la luce sulla natura missionaria e dialogica della Chiesa e si approfondiscono i volti attraverso cui s’incarna questa missione: martyríaleiturghíadiakonía.
Il ministero petrino
Il ministero petrino è senza dubbio «il punto ecumenicamente più delicato e difficile dell’ecclesiologia». Dato dal Signore come ministero d’unità, esso è diventato – purtroppo – «per la maggior parte dei cristiani un motivo di separazione».
Tale ministero affonda le sue radici nel NT. A partire dal cambio del nome di Simone bar Jona inKepha, cioè Pétra, Pétros , da cui deriva il nostro «Pietro». I nomi nell’antichità e soprattutto nella Scrittura non sono flatus vocis, ma esprimono un compito e una posizione. Anche nella cultura latina abbiamo un’identificazione tra nomen-omen. La figura di Pietro ha esperienze privilegiate nei Vangeli e nella vita della prima Chiesa. È Pietro che compie il primo passaggio dal giudeocristianesimo al paganocristianesimo (At 9s.). Paolo riconosce la sua autorità e lo annovera con Giacomo e Paolo tra le colonne (Gal 2,9). Malgrado alcuni conflitti l’apostolo delle genti riconosce l’autorità di Pietro e «vede in lui il portatore decisivo e il garante della tradizione». «Il fatto che tanto Mt 16,18 quanto Gv 21,15-17 siano stati composti nella forma odierna solo dopo la morte di Pietro mostra che nella chiesa postapostolica fu attribuita a Pietro un’importanza prolungantesi al di là della sua morte».
Lo sviluppo storico del ministero petrino solleva varie questioni esegetiche, storiche e culturali. Ma il punto di partenza e il fondamento permanente della tradizione petrina si radica nel suo essere un servizio e un irradiamento spirituale. Clemente Romano esercita una paterna sollecitudine nei confronti della Chiesa di Corinto esortandola a vivere nella pace. Ignazio di Antiochia (citato implicitamente nel primo saluto di Papa Francesco) parla della Chiesa di Roma come Chiesa che «presiede nella carità».
Ireneo di Lione insiste che ogni chiesa deve accordarsi con la Chiesa romana in ragione della sua «autorità superiore». Girolamo scrive a Papa Damaso affermando: «Io non seguo altro primato che quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua Beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa».
Cipriano di Cartagine considera la chiesa di Roma la «matrix et radix ecclesiae catholicae» e la sede di Pietro come la chiesa principale (ecclesia principalis) e come il punto di partenza dell’unità episcopale.
Per Agostino, la pietra su cui è costruita la Chiesa è Cristo: «Non enim a Petrus petra, sed a petra Petrus – pietra non deriva infatti da Pietro, ma viceversa». Pietro secondo Agostino è «figura ecclesiae, sacramentum ecclesiae, typus ecclesiae» e «typus caritatis ecclesiae».
L’importanza dei vescovi di Roma si manifesterà nelle importanti questioni di fede e nelle decisioni conciliari. I papi furono i tutori dell’ortodossia calcedonese.
Il secondo millennio conoscerà il grande scisma del 1054 tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente e si distanzieranno le visuali riguardo al primato petrino. Vari tentativi saranno fatti per riconciliarsi su questo punto, spicca tra i quali il concilio unitario di Firenze (1439-1445) dove i greci erano disposti a riconoscere il papa come primo tra i patriarchi.
È degno di nota che la costituzione dogmatica Pastor aeternus del Concilio Vaticani I, non inizia con il primato del papa, ma in modo cristologico affermando che Cristo è il pastore eterno e il vescovo delle nostre anime (cf. 1Pt 2,25). «Cristo è l’autentico capo invisibile della chiesa, per cui il primato è scientemente detto il “fondamento visibile” della chiesa. Alla fondazione cristologica segue l’inquadramento ecclesiologico del primato come servizio reso all’unità della chiesa mediante i vincoli dell’amore e della fede. Questo servizio dell’unità si svolge concretamente – e in ciò si manifesta la finalità del primato – come servizio dell’unità dell’episcopato».
Il Concilio, inoltre, respinge l’idea che i vescovi siano meri funzionari del papa e cita papa Gregorio Magno che sottolinea come l’onore del vescovo di Roma deriva dall’onore dato ai suoi fratelli.
Kasper sottolinea come il Concilio non parla tanto di infallibilità del Papa ma del «magistero infallibile del papa» che significa che «a Pietro e ai suoi successori è stato concesso un carisma speciale per la salvaguardia e la spiegazione della rivelazione e del deposito della fede tramandati dagli apostoli». (R. Cheaib)