Domenica di Pasqua, nuovo tweet di Papa Francesco: Accetta Gesù Risorto nella tua vita. Anche se sei stato lontano, fa’ un piccolo passo verso di Lui: ti sta aspettando a braccia aperte (31 marzo 2013)
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Riporto da "Avvenire" di oggi, 31 marzo 2013, Pasqua di Resurrezione.
I gesti, accompagnati dalle parole, con i quali papa Francesco ci ha portati in quest’ultima settimana alla Pasqua di oggi, rimandano alla vivezza della Biblia pauperum, le medioevali raccolte di immagini sulla vita di Gesù destinate a coloro che, non avendo ricevuto un’istruzione e non sapendo leggere, potevano così, solo guardandole, imparare da esse.
Papa Francesco si è chinato ancora una volta, lo abbiamo visto nel carcere minorile di Roma, ha lavato, asciugato i piedi di giovani detenuti incrociando gli sguardi di quei ragazzi. È stata l’immagine di quello che in questi giorni ha ripetuto più spesso: «uscire», «uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dai propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte che è di Dio». Un andare e un chinarsi senza fatica. Giornate senza invecchiamento, per così dire. Contravvenendo alla legge universale dell’invecchiamento, direbbe Charles Péguy, come scrive in Veronique. Dialogue de l’histoire et de l’âme charnelle: «Contravvenendo a questa perpetua abitudine, a questo invecchiamento dominatore, a questo smussamento. Qui appare, qui sboccia, qui sgorga la virtù che abbiamo chiamato la bambina speranza. È essenzialmente l’anti-abitudine e per questo è l’anti-morte. È la sorgente e il germe. È lo sgorgare e la grazia. È il cuore della libertà. E soprattutto è quella che garantisce alla Chiesa di non soccombere sotto il proprio meccanismo. Senza la speranza la fede si abituerebbe a credere al mondo, a Dio, e senza la speranza la carità si abituerebbe all’amore, al povero, a Dio».
Avere «un cuore giovane che in Cristo non invecchia mai» è stato l’augurio che papa Francesco ci aveva rivolto la domenica delle Palme. Una sorta di riinizio della vita temporale non fiaccata nel tempo, dal tempo. Una vita "trapassata" dallo sguardo d’amore di Dio. Come testimonia questa personale confessione di fede di padre Bergoglio, scritta nel 1969, in un momento "di grande intensità spirituale", poco prima di essere ordinato sacerdote; e che, lasciandola in copia autografa a mio marito e me, ha detto di sottoscrivere oggi come allora: «Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo spirito nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così al regno di vita eterna. / Credo nella mia storia, che è stata trapassata dallo sguardo di amore di Dio e, nel giorno di primavera, 21 settembre, mi ha portato all’incontro per invitarmi a seguirlo. / Credo nel mio dolore, infecondo per l’egoismo, nel quale mi rifugio. / Credo nella meschinità della mia anima, che cerca di inghiottire senza dare… senza dare. / Credo che gli altri siano buoni, e che devo amarli senza timore, e senza tradirli mai per cercare una sicurezza per me. / Credo nella vita religiosa. / Credo di voler amare molto. / Credo nella morte quotidiana, bruciante, che fuggo, ma che mi sorride invitandomi ad accettarla. / Credo nella pazienza di Dio, accogliente, buona come una notte d’estate. / Credo che papà sia in cielo insieme al Signore. / Credo che anche padre Duarte (*) stia lì intercedendo per il mio sacerdozio. / Credo in Maria, mia madre, che mi ama e mai mi lascerà solo. E aspetto la sorpresa di ogni giorno nel quale si manifesterà l’amore, la forza, il tradimento e il peccato, che mi accompagneranno fino all’incontro definitivo con quel volto meraviglioso che non so come sia, che fuggo continuamente, ma che voglio conoscere e amare. Amen». (S. Falasca)
(*) il sacerdote che lo confessò il 21 settembre
Papa Francesco si è chinato ancora una volta, lo abbiamo visto nel carcere minorile di Roma, ha lavato, asciugato i piedi di giovani detenuti incrociando gli sguardi di quei ragazzi. È stata l’immagine di quello che in questi giorni ha ripetuto più spesso: «uscire», «uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dai propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte che è di Dio». Un andare e un chinarsi senza fatica. Giornate senza invecchiamento, per così dire. Contravvenendo alla legge universale dell’invecchiamento, direbbe Charles Péguy, come scrive in Veronique. Dialogue de l’histoire et de l’âme charnelle: «Contravvenendo a questa perpetua abitudine, a questo invecchiamento dominatore, a questo smussamento. Qui appare, qui sboccia, qui sgorga la virtù che abbiamo chiamato la bambina speranza. È essenzialmente l’anti-abitudine e per questo è l’anti-morte. È la sorgente e il germe. È lo sgorgare e la grazia. È il cuore della libertà. E soprattutto è quella che garantisce alla Chiesa di non soccombere sotto il proprio meccanismo. Senza la speranza la fede si abituerebbe a credere al mondo, a Dio, e senza la speranza la carità si abituerebbe all’amore, al povero, a Dio».
Avere «un cuore giovane che in Cristo non invecchia mai» è stato l’augurio che papa Francesco ci aveva rivolto la domenica delle Palme. Una sorta di riinizio della vita temporale non fiaccata nel tempo, dal tempo. Una vita "trapassata" dallo sguardo d’amore di Dio. Come testimonia questa personale confessione di fede di padre Bergoglio, scritta nel 1969, in un momento "di grande intensità spirituale", poco prima di essere ordinato sacerdote; e che, lasciandola in copia autografa a mio marito e me, ha detto di sottoscrivere oggi come allora: «Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo spirito nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così al regno di vita eterna. / Credo nella mia storia, che è stata trapassata dallo sguardo di amore di Dio e, nel giorno di primavera, 21 settembre, mi ha portato all’incontro per invitarmi a seguirlo. / Credo nel mio dolore, infecondo per l’egoismo, nel quale mi rifugio. / Credo nella meschinità della mia anima, che cerca di inghiottire senza dare… senza dare. / Credo che gli altri siano buoni, e che devo amarli senza timore, e senza tradirli mai per cercare una sicurezza per me. / Credo nella vita religiosa. / Credo di voler amare molto. / Credo nella morte quotidiana, bruciante, che fuggo, ma che mi sorride invitandomi ad accettarla. / Credo nella pazienza di Dio, accogliente, buona come una notte d’estate. / Credo che papà sia in cielo insieme al Signore. / Credo che anche padre Duarte (*) stia lì intercedendo per il mio sacerdozio. / Credo in Maria, mia madre, che mi ama e mai mi lascerà solo. E aspetto la sorpresa di ogni giorno nel quale si manifesterà l’amore, la forza, il tradimento e il peccato, che mi accompagneranno fino all’incontro definitivo con quel volto meraviglioso che non so come sia, che fuggo continuamente, ma che voglio conoscere e amare. Amen». (S. Falasca)
(*) il sacerdote che lo confessò il 21 settembre
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Texto de la homilía del cardenal Jorge Mario Bergoglio, Papa Francisco, la Vigilia Pascual del 2012
A la madrugada salieron de su casa hacia el sepulcro. Antes habían comprado los perfumes para ungir el cuerpo de Jesús. Preparando todo, prácticamente habían pasado la noche en vela hasta que hubiera luz suficiente para ir apenas salido el sol. Nosotros también esta noche estamos en vela, no preparándonos para ungir el cuerpo del Señor sino recordando las maravillas de Dios en la historia de la humanidad.Principalmente recordamos que Él aquella misma noche de la gran maravilla la pasó en vela: “El Señor veló durante aquella noche para hacerlos salir de Egipto” (Ex. 12:42) Esta vigilia responde a un mandato de gratitud: “por eso todos los israelitas deberán velar esa misma noche en honor del Señor a lo largo de las generaciones” (ibid).Igual que a los Israelitas es posible que nuestros hijos, nuestros conocidos, nos pregunten el porqué de esta vigilia. La respuesta ha de surgir de lo más hondo de nuestra memoria de pueblo elegido del Señor: “con el poder de su mano el Señor nos sacó de Egipto, donde fuimos esclavos” (Ex. 13: 13:14). Así es; “ésta es la noche en que el Señor sacó de Egipto a nuestros Padres, los hijos de Israel, y los hizo pasar a pie por el mar Rojo”; “la noche que disipó las tinieblas de los pecados con el resplandor de una columna de fuego” (cfr. Ex. 13:21); la noche en que nosotros, pecadores, somos restituidos a la gracia; “la noche en que Cristo rompió las ataduras de la muerte y surgió victorioso de los abismos”. Esta es la noche en la que se consolida la libertad. Por eso “esta noche es clara como el día”
Con la luz de lo que celebramos en esta vigilia seguirá adelante nuestra vida y, como les pasó a nuestros Padres en el desierto, nos sucederá también a nosotros. Muchas veces las dificultades, las distracciones del camino, los dolores y penas, obnubilarán el gozo e incluso la certeza de esta libertad regalada, y podremos llegar hasta la añoranza de las “cosas lindas” que tenía la esclavitud, los ajos y la cebollas de Egipto (cfr. Num.11: 4-6); incluso puede dominarnos la impaciencia y llevarnos a optar por la coyuntural inmediatez de los ídolos (cfr. Ex. 32: 1-6). En esos momentos pareciera que el sol se esconde, vuelve la noche y la libertad regalada entra en eclipse. A María Magdalena, a María de Santiago y a Salomé, con el día ya amanecido, se les vino encima otra noche, la noche del miedo, y “salieron corriendo del sepulcro” (Mc. 16: 8).
Salieron corriendo sin decir nada a nadie. El miedo les hizo olvidar lo que acababan de escuchar: “Ustedes buscan a Jesús de Nazareth, el Crucificado. Ha resucitado, no está aquí”. El miedo las enmudeció para que no pudieran proclamar la noticia. El miedo les paralizó el corazón y se acaracolaron en la seguridad de un fracaso seguro en vez de dar lugar a la esperanza, ésa que les decía: vayan a Galilea, allí lo verán. Y así también nos sucede a nosotros: como ellas le tenemos miedo a la esperanza y preferimos acovacharnos en nuestros límites, mezquindades y pecados, en las dudas y negaciones que, bien o mal, nos prometemos poder manejar. Ellas venían en son de duelo, venían a ungir un cadáver… y se quedan en eso; así como los discípulos de Emaús se encapsulan en la desilusión (cfr. Lc. 24: 13-24). En el fondo, le tenían miedo a la alegría. (cfr. Lc. 24; 41).
Y la historia se repite. En esas noches nuestras, noches de miedo, noches de tentación y prueba, noches en que quiere reinstalarse la esclavitud vencida, el Señor sigue velando como lo hizo aquella noche en Egipto; y con palabras dulces y paternales nos dice: “¿Por qué están turbados y se les presentan esas dudas? Miren mis manos y mis pies, soy yo mismo. Tóquenme y vean” (Lc. 24: 39) o, a veces con un poco más de energía: “¡Hombres duros de entendimiento, cómo les cuesta creer todo lo que anunciaron los profetas! ¿No era necesario que el Mesías soportara esos sufrimientos para entrar en la gloria?” (Lc. 24: 25-26). El Señor Resucitado siempre está vivo a nuestro lado.
Cada vez que Dios se manifestaba a un israelita procuraba disiparle el miedo: “No temas”, le decía. Lo mismo hace Jesús: “no temas”, “no tengas miedo”. Es lo que el Ángel les dice a estas tres mujeres a las que el miedo las impelía a optar por el velorio. Esta noche de vigilia digámosnoslo unos a otros: no tengas miedo, no temamos; no esquivemos la certeza que se nos impone, no rechacemos la esperanza. No optemos por la seguridad del sepulcro, en este caso no vacío sino lleno de la inmundicia rebelde de nuestros pecados y egoísmo. Abrámosnos al don de la esperanza. No temamos la alegría de la Resurrección de Cristo.
Esa noche también Ella, la Madre, estaba en vela. Sus entrañas le hacían intuir la cercanía de esa vida que concibiera en Nazareth y su fe consolidaba la intuición. A Ella le pedimos que, como primera discípula, nos enseñe a perseverar en la vigilia, nos acompañe en la paciencia, nos fortalezca en la esperanza; le pedimos que nos lleve hacia el encuentro con su Hijo Resucitado; le pedimos que nos libre del miedo, de tal manera que podamos escuchar el anuncio del Ángel y también salir corriendo… pero no de susto sino para anunciarlo a otros en esta Buenos Aires que tanto lo necesita.
Buenos Aires, 7 de abril de 2012
Card. Jorge Mario Bergoglio s.j.
