sabato 20 aprile 2013

Il nostro bisogno di Verità


Da "La Repubblica", 20 aprile 2013

Il priore di Bose partecipa questo pomeriggio al teatro Petruzzelli di Bari al confronto con Umberto Galimberti su Il nostro bisogno di verità nell’ambito di La Repubblica delle idee. Di seguito uno stralcio del suo intervento:



“È necessario che chiunque abiti una fede non pensi di possedere la verità, e per giunta assoluta”. Questo scriveva il 24 aprile 2010 Umberto Galimberti nella sempre illuminante rubrica di risposte ai lettori che da ben 17 anni tiene sul settimanale Donna di Repubblica. Concordo con queste parole, nella profonda convinzione che è assolutamente fuori luogo e insensato pensare di possedere la verità. Per l’autentica fede cristiana, infatti, quella consegnataci dalle Scritture e dalla grande Tradizione, la verità è una persona, Gesù Cristo (cf. Gv 14,6), colui che ha narrato Dio (exeghésato: Gv 1,18): è una verità che, come tale, sempre ci precede; una verità che, se mai, ci possiede, ci chiama fuori da noi stessi aprendoci al dialogo con tutti gli uomini e le donne in ricerca. Anche i credenti si avvicinano dunque alla verità in un modo sempre limitato, relativo, provvisorio, in attesa che la verità stessa si manifesti pienamente con la venuta gloriosa del Signore. E nel frattempo, nell’oggi, come cercare insieme la verità, credenti e non credenti?
 
Spesso si parla sbrigativamente di “non credenti”, ma in realtà dovremmo essere più cauti e riflessivi. Ci sono certamente uomini e donne che affermano di non credere in Dio, di non appartenere a nessuna religione, ma non per questo è negata loro la possibilità di cercare la verità e di avere quella fiducia-fede, senza la quale non è possibile alcun cammino di umanizzazione. Potremmo dirli “altrimenti credenti”, ma indubbiamente questa locuzione non si è attestata. Tra queste persone ci sono atei i quali professano che Dio non esiste; ci sono agnostici che confessano di non sapere, di non poter affermare né negare l’esistenza di Dio; ci sono indifferenti che mostrano di non avere alcun interesse nei confronti di Dio e non pensano neppure di dover porsi domande su di lui; ci sono infine i nichilisti per i quali la nientità, il nulla si impone a tal punto che non si vedono elementi in grado di motivare gli uomini. Insomma, la realtà dei cosiddetti “non credenti” è variegata, non sempre chiara, sovente “liquida”.
Spesso la tentazione dei credenti è ancora quella di condannare i non credenti, giudicandoli in modo manicheo: stanno fuori della chiesa e, non avendo Dio come fondamento della loro vita, sono incapaci di etica. “Senza la fede in Dio tutto è permesso”, si ripete citando quella che in Fëdor Dostoevskij in realtà è una domanda senza risposta… In verità la frontiera tra credenti e non credenti in Dio non è una frontiera netta, né sicura. Non c’è la fede da una parte e l’assenza di fede dall’altra, perché il credere è costitutivo dell’esistenza allo stesso titolo della ragione o del linguaggio.
 
Detto questo, chiediamoci: quante volte dobbiamo constatare una maggior vicinanza, un comune sentire con “altrimenti credenti”, piuttosto che con credenti che ci troviamo accanto nell’assemblea cristiana? Le frontiere talora passano non tra chi ha fede in Dio e chi non ce l’ha, ma tra chi ha una fede umile e chi ha una fede arrogante; tra chi crede nell’umanità e chi di essa dispera; tra chi parla di Dio come se l’avesse salutato un minuto prima e chi lo confessa senza troppa sicurezza e senza garanzie; tra chi pensa di possedere la verità e chi si sente sempre pellegrino verso di essa.

Dobbiamo però farci anche un’altra domanda: l’incredulità in Dio che molti dichiarano non è forse presente anche in chi si dice credente? In verità fede e incredulità abitano simultaneamente nel cuore del credente, lo attraversano, sicché una frontiera passa anche dentro di lui: quella stessa frontiera che si vorrebbe come linea di separazione tra gli uomini, in modo da scacciare dal credente il problema di avere in sé l’incredulità come propria inquilina. Fede e ricerca non si escludono a vicenda. L’incertezza, anche il dubbio possono coabitare con la fede: credere contiene in sé il dubbio, perché non appartiene all’ordine del sapere, bensì a quello della convinzione. Fede e incredulità si intersecano nelle nostre profondità, e vengono giorni, soprattutto nell’anzianità, in cui si spera di essere credenti e si prega per non essere privati della fede.

Come dunque un non credente in Dio potrà credere? Dove vuole approdare questo bisogno di credere e di cercare la verità che riposa in ogni uomo? Qui le parole difettano, ad alcuni possono anche sembrare usurate, eppure sono parole che continuano a essere presenti sulla bocca degli uomini con convinzione e necessità: non ne abbiamo altre. E allora possiamo affermare che per tutti occorre credere all’amore, credere che è possibile essere amati e donare amore agli altri. È dunque possibile credere nella vita che viviamo come un mestiere; è possibile credere negli altri per una comune costruzione della polis; è possibile, credendo nell’altro e in se stessi, fare una storia d’amore; è possibile volere e generare figli, credendo che questo mondo possa essere bello, possa essere una dimora anche per loro.(E.Bianchi)