sabato 27 aprile 2013

Lo Spirito d’Amore del Risorto fa nuove tutte le cose



V Domenica del Tempo di Pasqua (Anno C)





MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 97,1-2
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto prodigi;
a tutti i popoli ha rivelato la salvezza. Alleluia.
 
Colletta

O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l'eredità eterna. Per il nostro Signore...

Oppure:
O Dio, che nel Cristo tuo Figlio rinnovi gli uomini e le cose, f
a' che accogliamo come statuto della nostra vita il comandamento della carità, per amare te e i fratelli come tu ci ami, e così manifestare al mondo la forza rinnovatrice del tuo Spirito. Per il nostro Signore...
  

LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura
  At 14, 21b-27
Riferirono alla comunità tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro. 
 

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Paolo e Bàrnaba ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni».
Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto.
Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede.

 

Salmo Responsoriale
   Dal Salmo 144
Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.

Per far conoscere agli uomini le tue imprese
e la splendida gloria del tuo regno.
Il tuo regno è un regno eterno,
il tuo dominio si estende per tutte le generazioni.


Seconda Lettura
   Ap 21, 1-5
Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi.

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo

Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più.
E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
«Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».


Canto al Vangelo
    Gv 13,34
Alleluia, alleluia.

Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore:
come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

Alleluia.

  
  
Vangelo  Gv 13, 31-33a. 34-35
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni agli altri.

Dal vangelo secondo Giovanni

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
  

COMMENTI

Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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LECTIO DIVINA
“Amate”: un comando donato nel Cenacolo e sulla Croce
V Domenica di Pasqua – Anno C – 28 aprile 2013
Rito romano
At 14-21b-27; Sal 144 (145); Ap 21,1-5a; Gv 13,31-33a.34-35.
Rito ambrosiano
At 4,32-37; Sal 132; 1Cor 12,31-13,8a; Gv 13,31b-35
1) Il dono di un comando nuovo: la legge della carità.
“Amate”: questo comando, che Cristo ci ha dato, è la “Magna Carta” del Popolo che, nato dalSuo costato trafitto. È trasformato santamente per mezzo dell'Amore. La carità di Cristo spinge non solo a gesti d’amore ma anche ad una vita di carità in Lui.
Purtroppo, nel parlare o scrivere ordinario il significato della parola “amore”, che dà la vita, ha ridotto a sentimento di bontà dolce oppure a passione spesso sensuale. Nel Vangelo la parola “amore” è sempre contrassegnata dalla croce, che indica una bontà appassionata, il cui fine non è il “possesso” dell’altro ma il dono di sé all’altro. Quando Cristo dice: “Vi amo”, la croce è inclusa, egli intende la croce, cioè l’appassionato dono di sé. E in questo modo ci mostra che l’amore puro, sincero è l’amore che si dona liberamente.
Cristo rivela il suo amore in modo appassionato: con la sua Passione e Morte in Croce. L'amore, che Cristo rivela e propone con un “comando”, è detto con parole delicate e con il gesto dell’andare in Croce, dopo avercene dato prova con la lavanda dei piedi, con l’istituzione dell’Eucaristia, che fortifica e rende stabili l’amore, e con molti fraterni insegnamenti.
Molte volte abbiamo letto o ascoltato la frase di Gesù che il Vangelo romano di oggi ci propone: “Vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv13, 33). Per aiutare la nostra meditazione propongo –come premessa- la spiegazione sintetica di termini:
Prima di tutto bisogna ricordare che per l’Evangelista e Apostolo Giovanni il termine “comandamento” significa la parola che rivela l'amore di Dio Padre. In effetti, nel testo greco egli usa il termine “entolè”, che ha il significato di precetto, consiglio, istruzione, prescrizione. E' un po’ come la ricetta di un dottore che prescrive una determinata cura per il nostro bene. Sta poi al paziente seguire o no ciò che è stato prescritto. Comandamento in questo caso quindi non è un ordine perentorio, qualcosa di obbligatorio così come lo intendiamo noi nel significato corrente. La controprova che questo è il significato che Giovanni voleva dare al termine comandamento lo ritroviamo nel suo Vangelo dove il medesimo Apostolo per definire il comandamento di Mosè non usa più entolè ma “nomos”.
Nel servire e seguire Cristo dunque, non abbiamo bisogno tanto di nomos. Il nostro rapporto con Dio è molto più che un seguire delle regole per eccellenti che siano. Dio ci dà dei comandi (entolè) che ci guidano, ci formano, ci conducono sul Suo sentiero: in breve indicazioni che ci manifestano la sua volontà di salvezza.
In effetti, il termine greco usato da Giovanni è in relazione non solo all’ambito della legalità ma anche a quello della responsabilità. Gesù quindi non comunica tanto una regola, ma rivela una missione di salvezza e chiama ad una responsabilità. La traduzione latina è corretta e mette “mandatum novum” che viene da mittere=inviare. Quindi Gesù invita i suoi discepoli di allora e di oggi a mettere in essere questo mandato, a “creare” questa carità reciproca ed Egli aggiunge: «Il mondo vedrà che siete miei discepoli». Il mondo capirà che il Vangelo è vivo e in “vigore” (si dice anche della legge che è in vigore), se noi saremo amici, fratelli e sorelle tra noi. Si rinnoverà così il miracolo dei primi secoli dell’era cristiana, come lo attesta Tertulliano (n.155 – m. 230) che parla di come la gente pagana fosse stupita e dicesse: “Ma guarda, come si vogliono bene; ma guarda come c'è amore tra di loro” (Apol. 19).
Questo amore “comandato” da Cristo ha poi due caratteristiche indicate da “nuovo” e “come”.
Il comando dell'amore reciproco, fraterno è da Gesù definito «nuovo». Non si tratta di una novità puramente cronologica, ma di una novità qualitativa. Il comando dell'amore è nuovo come è nuovo Gesù, il nuovo Mosè che scrive la legge dell’amore non su tavole di pietra ma sul nostro cuore. L'amore reciproco, fraterno e gratuito è la novità della vita di Dio che irrompe nel nostro vecchio mondo, rigenerandolo. Ed è l'anticipo della vita eterna, definitiva e stabile cui aspiriamo.
2) Il dono di un comando che invita ad amare senza misura.
L'avverbio greco cathos usato nel vangelo romano odierno viene tradotto con il termine come: "Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri". Come intendere questo “come”? Forse i discepoli dovranno imitare il comportamento del proprio Maestro? Questo risulta riduttivo, si finirebbe per fare di Gesù un personaggio del passato, dal quale si ereditano delle consegne da applicare, di modo che l'azione dei discepoli perpetui nel tempo quella di Gesù. 
Al contrario è possibile un'interpretazione più profonda. Kathos qui, come in altri testi, non ha il senso di una similitudine, ma quello di un'origine. Si può tradurre: Con l'amore con cui vi ho amato, amatevi gli uni gli altri, versione più vicina al significato del testo. L'amore del Figlio per i suoi discepoli genera il loro movimento di carità: è il suo amore, l'amore di Gesù, che passa in loro quando amano i fratelli e ne sono riamati.
E' l'amore con il quale Gesù ama ogni uomo che rende possibile la fraternità e impegna in questo senso ogni comunità cristiana. Un amore sempre nuovo, sempre gratuito e profondo, come l'alleanza che Dio rivela amando l'umanità e il mondo (cfr. Gv 3,6; Ez 34-37; Ger 31,31).
Amarci gli uni gli altri con il cuore di Cristo ecco il comando nuovo. Ma se la misura della carità del nostro Redentore è “amare senza misura” (cfr. S. Bernardo di Chiaravalle (De diligendo Deo, 16), come possiamo essere all’altezza dell’amore di Cristo. E’ un compito impari. Gesù ha amato perdutamente, fino a perdere la sua stessa vita. Come possiamo fare altrettanto? Lui ha dato la propria vita per il suo prossimo, tutti noi, ed ha avuto come primo compagno in paradiso un condannato a morte: il buon ladrone. L’amore di Cristo è un amore dove prima dell’io c’è l’altro.
Come è possibile avere e vivere questo amore? Arrendendosi a questo amore. Se accetteremo di essere sua proprietà, come già aveva intuito il profeta Geremia: “Signore tu mi ha sedotto ed io mi sono lasciato sedurre”, saremo suoi figli per sempre. L’Amore che ci ha scelto fin dal momento in cui le sue mani plasmarono il nostro corpo, ci chiama ad essere come tralci che aderiscono alla vite e che producono frutti di vita vera per gli altri.
In questo ci sono di esempio le Vergini consacrate che, con la loro piena risposta all’offerta di se stesse a Dio nella castità, mostrano che la legge del cielo è scesa sulla terra, perché l’amore di Dio rende possibile il santo amore per il prossimo, nella condivisione della fede e della reciproca e servizievole carità.
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 Congregazione per il Clero


Nella prima lettura, tratta dal libro degli Atti degli Apostoli, viene riportato l’ultimo tratto del primo viaggio missionario di Paolo. La missione apostolica richiede un animo saldo, capace di affrontare le difficoltà. Le tribolazioni sono un aspetto della vita cristiana che non vogliamo accettare, ma che ne fanno parte in modo indissolubile. Dirsi discepolo vuol dire accettare di essere tribolati: non esiste sequela senza tribolazione. Senza le prove, senza le tribolazioni riusciremmo a comprendere la logica del Regno di Dio? Senza le prove, senza tribolazioni, riusciremmo ad imitare per davvero Cristo? Gesù affronta ogni prova, ogni tribolazione in comunione con il Padre; chi siamo noi per desiderare una sequela “tranquilla”, senza salite, senza spine? Gesù è colui che vogliamo seguire e imitare anche nelle tribolazioni.
Nella seconda lettura ci viene presentata la nuova Gerusalemme che scende dal cielo come una sposa. Dio fa nuove tutte le cose, Dio crea la città degli uomini segno di convivialità, di crescita culturale e relazionale. È sempre Dio che crea le condizioni, la possibilità di vita e di condivisione. Dio pone la sua tenda al centro della città, di conseguenza tutto dovrebbe dipendere dalla presenza di Dio in mezzo agli uomini e in mezzo alle loro relazioni. Tutto ciò che nel mondo degli uomini portava sofferenza, tristezza, angoscia, sarà cancellato nel momento in cui Dio riprenderà il primo posto nell’esistenza umana. 
Nel Vangelo ci troviamo nel cenacolo, Gesù e i suoi discepoli vivono momenti intensi, uno dei Dodici sta per tradirlo. L’evangelista, per rendere l’idea di ciò che stava accadendo, si esprime con queste parole: “era notte”; con esse non intende riferirsi solo al tempo, ma anche alla condizione del cuore di chi tradisce ed è consapevole di tradire. Nonostante tutto, Gesù parla di glorificazione, parla di un processo inarrestabile che trova nella passione e nella croce il suo culmine. L’essere tradito, la passione e la croce glorificano il Figlio di Dio, che mostra attraverso la sua spoliazione la sua onnipotenza, il suo regno di misericordia e di amore. La glorificazione nel tradimento, nella passione e nella croce ci rendono percepibile la presenza operante di Dio. Anche noi possiamo vivere, sentire questo processo di glorificazione se impariamo a spogliarci di noi stessi in modo da rendere visibile solo Dio nella sua presenza amorevole e benigna.
Spogliarsi di se stessi è impossibile se non riusciamo ad amare il prossimo. Gesù non propone un amore qualsiasi, ma dà delle coordinate ben precise: “come io ho amato voi”. Come ci ha amato Gesù? Dando se stesso, accettando qualsiasi tribolazione, elevando ed edificando il prossimo, guarendolo non solo dalla malattia esteriore ma da qualsiasi male. Come possiamo rendere la nostra testimonianza vera ed efficace? Solo amando per davvero. “Solo l’amore è credibile”: solo se siamo inseriti nella relazione d’amore con Cristo, solo se siamo inseriti nella relazione d’amore con il prossimo, possiamo dirci veri discepoli.
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Cantalamessa
C'è una parola che ricorre più volte nelle letture di questa Domenica. Si parla di "un nuovo cielo e una nuova terra", della "nuova Gerusalemme", di Dio che fa "nuove tutte le cose" e infine, nel Vangelo, del "comandamento nuovo": "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi"

"Nuovo", "novità" appartengono a quel ristretto numero di parole "magiche", che evocano sempre e solo sensi positivi. Nuovo di zecca, nuovo fiammante, vestito nuovo, vita nuova, giorno nuovo, anno nuovo. Il nuovo fa notizia. Sono sinonimi. "Nuova" e "novella", come aggettivi, significano una cosa nuova e, come sostantivi, una notizia. Il Vangelo si chiama "buona novella" proprio perché contiene la novità per eccellenza.

Perché ci piace tanto il nuovo? Non solo perché ciò che è nuovo, non usato (per esempio, un'automobile), in genere, funziona meglio. Se fosse solo per questo, perché saluteremmo con tanta gioia l'anno nuovo, il nuovo giorno? Il motivo profondo è che la novità, ciò che non è ancora conosciuto e sperimentato, lascia più spazio all'attesa, alla sorpresa, alla speranza, al sogno. E la felicità è proprio figlia di queste cose. Se fossimo sicuri che l'anno nuovo ci riserverà esattamente le stesse cose del vecchio, né più né meno, già non ci piacerebbe più.

Nuovo non si oppone ad "antico", ma a "vecchio". Anche "antico" e "antichità", "antiquariato" infatti sono parole positive. Qual è la differenza? Vecchio è ciò che con il passare del tempo peggiora e perde valore; antico è ciò che con il passare del tempo migliora e acquista valore. Per questo oggi si cerca di evitare di usare l'espressione "Vecchio Testamento" e si preferisce parlare invece di "Antico Testamento".

Adesso, con queste premesse, accostiamoci alla parola del Vangelo. Si pone subito una domanda: come mai si definisce "nuovo" un comandamento che era noto già fin dall'Antico Testamento (cfr. Lev 19, 18)? Qui ci torna utile la distinzione tra vecchio ed antico. "Nuovo" non si oppone, in questo caso, ad "antico", ma a "vecchio". Lo stesso evangelista Giovanni in un altro passo scrive: "Carissimi, non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento antico...E tuttavia è un comandamento nuovo quello di cui vi scrivo" (1 Gv 2, 7-8). Insomma, un comandamento nuovo, o un comandamento antico? L'una e l'altra cosa. Antico secondo la lettera, perché era stato dato da tempo; nuovo secondo lo Spirito, perché solo con Cristo è data anche la forza di metterlo in pratica. Nuovo non si oppone qui, dicevo, ad antico, ma a vecchio. Quello di amare il prossimo "come se stessi" era diventato un comandamento "vecchio", cioè debole e consunto, a forza di essere trasgredito, perché la Legge imponeva sì l'obbligo di amare, ma non dava la forza per farlo.

Occorreva, per questo, la grazia. E infatti, per sé, non è quando Gesù lo formula durante la vita, che il comandamento dell'amore diventa un comandamento nuovo, ma quando, morendo sulla croce e dandoci lo Spirito Santo, ci rende, di fatto, capaci di amarci gli uni gli altri, infondendo in noi l'amore che egli stesso ha per ognuno.

Il comandamento di Gesù è un comandamento nuovo in senso attivo e dinamico: perché "rinnova", fa nuovi, trasforma tutto. "E questo amore che ci rinnova, rendendoci uomini nuovi, eredi del Testamento nuovo, cantori del cantico nuovo" (S. Agostino). Se l'amore parlasse, potrebbe fare sue le parole che Dio pronuncia nella seconda lettura di oggi: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose".

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LETTURE PATRISTICHE
SANT’AGOSTINO D’IPPONA
DISCORSO 332
Perché i martiri sono amici di Cristo. L'amore reciproco in vista del regno dei cieli.
1. Quando veneriamo i martiri, rendiamo onore ad amici di Dio. Volete sapere che cosa ha fatto di loro degli amici di Dio? Lo indica Cristo stesso; afferma infatti: Questo è il mio comandamento, che vi amiate a vicendaSi amano a vicenda quelli che intervengono insieme agli spettacoli degli istrioni; si amano a vicenda quelli che si trovano insieme a ubriacarsi nelle bettole; si amano a vicenda quelli che accomuna una cattiva coscienza. Cristo dovette fare perciò una distinzione nell'amore quando ebbe a dire: Questo è il mio comandamento, che vi amiate a vicenda. In realtà, la fece; ascoltate. Dopo aver detto:Questo è il mio comandamento, che vi amiate a vicenda, subito aggiunse: come io vi ho amatoAmatevi a vicenda così, per il regno di Dio, per la vita eterna. Siate insieme ad amare, amate me, però. Vi amerete reciprocamente se vi unisce l'amore per un istrione; sarà maggiore il vostro amore reciproco se vi unisce l'amore per colui che non può farvi scontenti, il Salvatore.
Fino a che punto ci dobbiamo amore reciproco.
2. Il Signore proseguì ancora e continuò a istruire, quasi gli avessimo chiesto: E in che modo ci hai amati, per sapere come dobbiamo amarci tra noi? Ascoltate: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amiciAmatevi a vicenda in modo da offrire ciascuno la vita per gli altri. I martiri infatti misero in pratica questo di cui parla anche l'evangelista Giovanni nella sua lettera: Come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelliAccostatevi alla mensa del Potente: voi fedeli ben sapete a quale mensa vi accostate; richiamate alla memoria le parole della Scrittura: Quando siedi davanti alla mensa di un potente, considera che tu devi preparare altrettantoA quale mensa di potente ti accosti? A quella in cui egli ti porge se stesso, non a mensa imbandita dalla perizia di cuochi. Cristo ti porge il suo cibo, vale a dire, se stesso. Accostati a tale mensa e saziati. Sii povero e ti sazierai. I poveri mangeranno e si sazieranno. Considera che tu devi preparare altrettanto. Per capire, segui il commento di Giovanni. Forse infatti ignoravi che significa: Quando siedi alla mensa di un potente, considera che tu devi preparare altrettanto. Ascolta il commento dell'Evangelista: Come Cristo ha dato la vita per noi, così anche noi dobbiamo preparare altrettanto. Che vuol dire 'preparare altrettanto'? Dare la vita per i fratelli.
La carità è dono di Dio.
3. Per saziarti, ti sei accostato povero; come ti procurerai l'altrettanto da preparare? Fanne richiesta proprio a chi ti ha invitato, per avere di che dargli in cibo. Niente avrai se non te l'avrà dato egli stesso. Ma possiedi già un po' di carità? Non attribuirla a te stesso: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? Possiedi già un po' di carità? Chiedi che si accresca, chiedi che giunga a perfezione, fin quando tu non pervenga a quella mensa di cui non si trova una più lauta in questa vita. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Ti sei accostato povero, torni indietro ricco: anzi, tu non ti allontani e, restandovi, sarai ricco. Da lui i martiri ricevettero di che soffrire per lui: siatene certi, lo ebbero da lui. Fu il padre di famiglia a porgere loro di che offrirgli in cibo. Possediamo lui, chiediamo a lui. E, se siamo manchevoli quanto all'esserne degni, presentiamo la nostra domanda per mezzo dei suoi amici, gli amici di lui, i quali gli avevano offerto a mensa quanto egli aveva loro donato. Preghino, quelli, per noi, così che il Padre di famiglia lo accordi anche a noi. E per avere il di più, riceviamo dal cielo. Ascolta Giovanni che egli ebbe precursore: Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cieloNe segue che riceviamo dal cielo anche quanto abbiamo; quindi riceviamo dal cielo di avere il di più.
I fornicatori non entreranno nella Città di Dio.
4. È proprio la città quella che discende dal cielo: vediamo di essere tali da meritare di entrarvi. Avete infatti ascoltato quali vi entrano e quali ne sono esclusi. Non siate di quelli che, come avete ascoltato, sono gli esclusi, specialmente i fornicatori. Alla lettura del passo in cui la Scrittura ha indicato quelli che non entreranno, dove sono citati anche gli omicidi, voi non vi siete sgomentati. Ha citato i fornicatori, e l'effetto è giunto al mio orecchio, perché vi siete battuti il petto. Io l'ho udito, personalmente l'ho udito, l'ho visto io; e di quel che non ho veduto nei vostri letti mi sono accorto al rimbombo, l'ho visto sui vostri petti, mentre siete stati a batterli. Cacciate via di là il peccato: battersi il petto, infatti, e continuare a fare queste medesime cose, nient'altro è che indurire i peccati quasi pavimento. Fratelli miei, figli miei, siate casti, amate la castità, tenetevi stretti alla castità, amate la pudicizia: Dio è l'autore della pudicizia nel suo tempio, che siete voi, la cerca; caccia via dal tempio gli impudichi. Contentatevi delle vostre mogli, dal momento che volete che le vostre mogli si contentino di voi. Come tu non vuoi che tua moglie abbia occasioni in cui vieni soppiantato, non averne da parte tua nei suoi confronti. Tu sei il signore, quella la serva: Dio ha creato entrambi. Sara - dice la Scrittura - aveva rispetto per Abramo, che chiamava signore. È vero; questi contratti sono a firma del vescovo: le vostre mogli sono vostre serve, voi, i padroni delle vostre mogli. Ma in riferimento al rapporto dove i sessi, che sono distinti, si uniscono, la moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito. Ecco, te ne stavi rallegrando, te ne sentivi orgoglioso, ti vantavi: "Ha detto bene l'Apostolo, il Vaso di elezione ha avuto un'affermazione della massima chiarezza: La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito. Dunque, il padrone sono io". L'elogio l'hai fatto: ascolta quel che vien dopo, sta' a sentire quel che non vuoi: io prego perché diventi tuo volere. Di che si tratta? Ascolta: Allo stesso modo anche il marito -quello che è il padrone - allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma la moglie. Ascolta questo con buone disposizioni. Ti si toglie di mezzo il vizio, non l'autorità, ti vengono proibiti gli adulteri, non si riconosce superiorità alla donna. Tu sei uomo, rivelati tale: "virilità", infatti, deriva da "virtù", o invertendo, "virtù" da "virilità". Perciò, possiedi la virtù? Vinci la libidine. Capo della moglie - dice l'Apostolo - è l'uomo. In quanto capo, sii la guida in modo che ti segua: ma fa' attenzione dove tu conduci. Tu sei il capo, conduci dove ti deve seguire: evita, però, di andare dove non vuoi che ti segua. Per non correre il rischio di finire in un precipizio, bada di fare un percorso rettilineo. Disponetevi in tal modo a recarvi dalla sposa novella, la cui bellezza, i cui ornamenti - non di gioielli ma di virtù - sono per suo marito. Se, quindi, lo avrete fatto da uomini casti e morigerati e giusti, anche voi farete parte delle membra di quella novella Sposa, che è la beata e gloriosa celeste Gerusalemme.



*
Dai «Discorsi» di san Massimo di Torino, vescovo
(Disc. 53, 1-2. 4; CCL 23, 214-216)
La risurrezione di Cristo apre l'inferno. I neofiti della Chiesa rinnovano la terra. Lo Spirito Santo dischiude i cieli. L'inferno, ormai spalancato, restituisce i morti. La terra rinnovata rifiorisce dei suoi risorti. Il cielo dischiuso accoglie quanti vi salgono.

Anche il ladrone entra in paradiso, mentre i corpi dei santi fanno il loro ingresso nella santa città. I morti ritornano tra i vivi; tutti gli elementi, in virtù della risurrezione di Cristo, si elevano a maggiore dignità.
L'inferno restituisce al paradiso quanti teneva prigionieri. La terra invia al cielo quanti nascondeva nelle sue viscere. Il cielo presenta al Signore tutti quelli che ospita. In virtù dell'unica ed identica passione del Signore l'anima risale dagli abissi, viene liberata dalla terra e collocata nei cieli.
La risurrezione di Cristo infatti è vita per i defunti, perdono per i peccatori, gloria per i santi. Davide invita, perciò, ogni creatura e rallegrarsi per la risurrezione di Cristo, esortando tutti a gioire grandemente nel giorno del Signore.
La luce di Cristo è giorno senza notte, giorno che non conosce tramonto. Che poi questo giorno sai Cristo, lo dice l'Apostolo: «La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13, 12). Dice: «avanzata»; non dice che debba ancora venire, per farti comprendere che quando Cristo ti illumina con la sua luce, devi allontanare da te le tenebre del diavolo, troncare l'oscura catena del peccato, dissipare con questa luce le caligini di un tempo e soffocare in te gli stimoli delittuosi.
Questo giorno è lo stesso Figlio, su cui il Padre, che è giorno senza principio, fa splendere il sole della sua divinità.
Dirò anzi che egli stesso è quel giorno che ha parlato per mezzo di Salomone: «Io ho fatto sì che spuntasse in cielo una luce che non viene meno» (Sir 24, 6 volg.). Come dunque al giorno del cielo non segue la notte, così le tenebre del peccato non possono far seguito alla giustizia di Cristo. Il giorno del cielo infatti risplende in eterno, la sua luce abbagliante non può venire sopraffatta da alcuna oscurità. Altrettanto deve dirsi della luce di Cristo che sempre risplende nel suo radioso fulgore senza poter essere ostacolata da caligine alcuna. Ben a ragione l'evangelista Giovanni dice: La luce brilla nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta (cfr. Gv 1, 5).

Pertanto, fratelli, tutti dobbiamo rallegrarci in questo santo giorno. Nessuno deve sottrarsi alla letizia comune a motivo dei peccati che ancora gravano sulla sua coscienza. Nessuno sia trattenuto dal partecipare alle preghiere comuni a causa dei gravi peccati che ancora lo opprimono. Sebbene peccatore, in questo giorno nessuno deve disperare del perdono. Abbiamo infatti una prova non piccola: se il ladro ha ottenuto il paradiso, perché non dovrebbe ottenere perdono il cristiano?