venerdì 31 maggio 2013

In contemporanea mondiale.


sopra:il cardinale O’Malley

Nella solennità del Corpus Domini, questa domenica, Papa Francesco presiederà dalle 17.00 alle 18.00 una speciale adorazione eucaristica che si estenderà in contemporanea, in tutto il mondo, coinvolgendo cattedrali e parrocchie di ogni diocesi. A Roma la parrocchia di Santa Giovanna Antida Thouret, dove l’adorazione eucaristica perpetua è una realtà da oltre due anni, la giornata sarà scandita dalla preghiera in comunione con il Santo Padre. Amedeo Lomonaco ha intervistato il parroco, don Massimiliano Nazio

R. – La nostra parrocchia è in comunione con questa adorazione. Però, in aggiunta, noi vogliamo imparare un po’ dal Papa e quindi metteremo un maxischermo in una sala attigua alla chiesa, pregheremo con lui dal maxischermo, mentre nella cappella ci sono persone a fare l’adorazione. E poi, celebriamo la Messa e subito dopo un altro momento di adorazione comunitario e poi partirà la processione del Corpus Domini nelle vie del quartiere.

D. – Parliamo proprio dell’adorazione eucaristica perpetua nella parrocchia di Santa Giovanna Antida Thouret, una realtà da oltre due anni …

R. – Sì, dal 27 febbraio 2011. Fu inaugurata da mons. Paolo Schiavon, vescovo del settore sud di Roma, ed è un miracolo perché 24 ore su 24 ci sono volontari fissi – circa 300 – che assicurano la presenza nella cappella del Santissimo Sacramento. Poi, è aperta a tutti.

D. – Tra l’altro, avete anche invitato il Santo Padre, Papa Francesco, a venire ad adorare il Signore nella chiesa …

R. – Eh, sì, tutte le parrocchie di Roma lo vogliono, e allora ho avuto la possibilità di chiedere al cardinale Agostino Vallini di invitare il Papa. Ha detto: “Ma, tutti lo vogliono!”. “Ma noi lo vogliamo di notte!”. E’ rimasto sorpreso … Gli ha fatto questa richiesta, il Papa ha sorriso … Perché di notte, in effetti, ci sono delle grazie speciali: per le persone sole, abbandonate, che vivono questi momenti di solitudine, incontrare il Signore è qualcosa di straordinario! Abbiamo assistito ad un miracolo: la gente risponde. Al di là di ogni aspettativa, persone che magari frequentano in maniera blanda la parrocchia, vengono attratte dall’adorazione.

D. – A proposito di grazie speciali: dove è nato questo desiderio di cominciare questo cammino dell’adorazione nella parrocchia di Santa Giovanna Antida?

R. - Ormai 25 anni fa, ho partecipato ad un’adorazione senza sapere cosa fosse. Nel 1988, ero lontano dalla Chiesa; mi ero avvicinato grazie al Cammino neocatecumenale. C’era questa adorazione, tutti in ginocchio davanti a questa "cosa" bianca … Non sapevo veramente cosa fosse. E lì ho ricevuto una grazia che ancora dura e che non avevo neanche chiesto. Questo per dire che l’adorazione è incontrare Cristo vivente: non è tanto importante cosa dire, ma cosa Lui fa a noi. Come ha detto il Papa alla veglia di Pentecoste: io sono lì, Lui mi guarda; anche se mi addormento, Lui mi guarda. C’è un “Lui”, c’è una persona che ti guarda ed è Gesù Cristo vivo.

D. – E’ proprio per incontrare Gesù Cristo vivo, estendiamo l’invito a venire nella parrocchia di Santa Giovanna Antida ad adorare il Signore. Tra l’altro, ci sono vari strumenti che si possono utilizzare, no?

R. – Certo. Chiaramente, tutti sono invitati: è aperta a tutti, l’adorazione. Per informazioni, per partecipare si può anche consultare un sito: www.adorazioneeucaristica.it, ci sono dei testi sull’adorazione, preghiere dell’adorazione. E’ un sito molto ricco. E’ un bel sito che hanno fatto dei parrocchiani volontari, non certo io. Non sono capace di farlo …

Sono dunque circa 300 le persone che adorano, giorno e notte, Gesù-Eucaristia nella cappella della Chiesa romana Santa Giovanna Antida Thouret. Questa la testimonianza di uno degli adoratori, Alessandro:

R. – Poter adorare il Signore ha arricchito di senso la mia vita. Tra l’altro, qualche mese fa sono stato molto male, quasi in fin di vita, ma ho vissuto quei momenti difficili in grande serenità, perché il Signore mi ha dato la forza e mi sono affidato completamente a Lui. E’ immenso il dono che ricevo ogni settimana, da due anni, e l’ora davanti al Santissimo è diventata l’ora per eccellenza. Io so che Lui è presente in quell’Ostia: anzi, è quell’Ostia. Ringrazio il Signore e colgo l’occasione per invitare tutti ad adorare il Santissimo nella nostra chiesa di Santa Giovanna Antida Thouret.

D. – E’ molto importante che cresca il numero degli adoratori…

R. – Soprattutto è importante essere presenti davanti al Santissimo nelle ore notturne, ore di grande ricchezza spirituale. Gli adoratori della nostra parrocchia, che adorano il Signore di notte, ricevono grandi doni. La stanchezza è superata da un ristoro ineguagliabile per l’anima. Per tanti, nelle lunghe notti insonni non c’è alcuno spazio per fare luce nel proprio cuore. Ci sono molte persone che si sentono chiamate alla preghiera proprio nelle ore della notte, ore ricche di grazia in cui l’incontro con Dio è autentico, senza alcuna distrazione.
 Radio Vaticana 

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Domenica prossima, le cattedrali e le diocesi di tutto il mondo si uniranno simultaneamente al Santo Padre a Roma, per l’Adorazione Eucaristica Mondiale. Le diocesi mondiali si sincronizzeranno con l’adorazione del Santissimo Sacramento, guidata da papa Francesco in piazza San Pietro, alle 17, ora italiana. Si tratta di un evento senza precedenti nella storia della Chiesa Cattolica.

Durante la conferenza stampa di martedì scorso, per illustrare i dettagli dell’iniziativa, monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, si è compiaciuto per la risposta generale della Chiesa Cattolica in tutto il mondo. “Abbiamo avuto un’adesione massiccia a questa iniziativa che si è estesa oltre le cattedrali e ha coinvolto intere conferenze episcopali, le parrocchie, le congregazioni religiose, specialmente i monasteri di clausura, e le associazioni”, aveva detto Fisichella in quell’occasione.
L’arcidiocesi di Boston, sotto la leadership del cardinale Sean O’Malley, si è preparata per questo storico evento, mobilitando le parrocchie di Boston affinché si uniscano al Santo Padre nell’adorazione del Santissimo Sacramento. ZENIT ha avuto l’opportunità di conversare con il cardinale O’Malley sull’importanza di questo imminente avvenimento dell’Anno della Fede.
In che modo l’Arcidiocesi di Boston sta preparando i suoi fedeli all’evento di domenica prossima?
Cardinale O’Malley: L’Arcidiocesi di Boston parteciperà all’Adorazione Eucaristica Mondiale in vari modi. Dalla Cattedrale della Santa Croce, ho invitato le famiglie di tutta l’Arcidiocesi ad unirsi a me per la messa delle 11.30 del mattino, in occasione della Solennità del Corpus Domini. In modo particolare, saranno presenti alla Messa, le coppie sposate che celebrano i loro 25° o 50° anniversari di matrimonio e che rinnoveranno i loro voti reciproci durante la Messa. A conclusione della celebrazione e della comunione, pregheremo tutti insieme davanti a Cristo Eucaristia sull’altare e uniremo le nostre preghiere a quelle di papa Francesco e dei cattolici di tutto il mondo, rendendo grazie per il dono del Santissimo Sacramento.
Oltre alla celebrazione dell’Eucaristia nella Cattedrale, la mattina della solennità, abbiamo anche invitato i fedeli a partecipare alle Ore Sante che si terranno in tutta l’Arcidiocesi, in particolare al Santuario dell’Eucaristia nel centro della città, il Santuario di San Clemente. Lì, monsignor Arthur Kennedy, vescovo ausiliario di Boston e vicario episcopale per la Nuova Evangelizzazione, guiderà i fedeli in un’Ora Santa in unione con il Santo Padre e per le sue intenzioni.
È la prima volta nella storia della Chiesa che le cattedrali e le diocesi di tutto il mondo saranno unite a Roma durante un’adorazione eucaristica. Perché questo evento è così importante per i cattolici d’oggi?
Cardinale O’Malley: Per i Cattolici d’oggi è importante sapere che essi appartengono alla Chiesa universale, che la Chiesa esiste in tutti i continenti della terra. Siamo di tutte le forme e dimensioni, parliamo lingue diverse e sperimentiamo le differenze culturali, tuttavia, nonostante tutte le nostre diversità, siamo una cosa sola nella nostra fede e nella nostra speranza in Gesù Cristo, l’Agnello di Dio, che rimane tra noi per nutrirci e rinforzarci nella nostra fede. Inoltre, in un’epoca in cui siamo così connessi gli uni gli altri attraverso la tecnologia e i social media, è importante ricordare che la preghiera, ed in particolare l’Eucaristia, è il vero anello di congiunzione non solo con il Signore, ma anche tra gli uomini. Ci aiuta a guardarci l’un l’altro come fratelli e sorelle.
Ci sono molti cattolici che sono andati fuori strada ed anche molti che mettono in dubbio la reale presenza di Gesù nell’Eucaristia. Crede che questo evento dell’Anno della Fede possa aiutare a riportarli sui loro passi e a riscoprire la loro fede?
Cardinale O’Malley: Gli eventi organizzati nell’ambito dell’Anno della Fede devono essere orientati verso la nostra personale riscoperta della persona di Cristo nelle nostre vite, e ad un invito ad una più profonda conversione e fede in Lui. Per coloro la cui fede è debole e tiepida, la pratica dell’Adorazione Eucaristica può aiutare a riaccendere uno stupore eucaristico ed un più profondo apprezzamento per il dono del Signore nel Santissimo Sacramento. Egli è sempre qui per noi, ci attende per darci coraggio e rafforzare la nostra fede.
Eminenza, in che modo l’Adorazione Eucaristica l’ha aiutata nella sua vita?
Cardinale O’Malley: Ho trovato una forza impressionante e un grande aiuto attraverso l’Ora Eucaristica quotidiana. Alla fine della giornata, quando il lavoro è finito, io vado alla cappella della mia residenza e trascorro il mio tempo in adorazione del Signore. Ci sono momenti in cui sono preoccupato delle questioni di governo di una grande Arcidiocesi e talora non è facile tenere gli occhi aperti a causa di una lunga giornata di lavoro! Ma alla fine, so che il Signore è lì con me, Lui non mi abbandona. Vuole aiutarmi a prendere le mie decisioni e darmi forza di proseguire ed essere fedele a Lui e alle necessità della Chiesa. Alla fine, direi che la cosa più importante riguardo al mio tempo dedicato all’Adorazione Eucaristica è che io trascorro del tempo con il Signore e Lui con me. Come ogni buona amicizia o relazione, hai bisogno di trascorrere del tempo con l’altro, di conoscervi a vicenda. Questo è lo scopo dell’Adorazione Eucaristica: trascorrere del tempo con Dio e conoscerLo come un vero amico.
Abbiamo molti lettori in tutto il mondo che seguiranno questo importante evento. Che parola di incoraggiamento vuole dare loro affinché partecipino a questa Adorazione Eucaristica Mondiale e, a loro volta, invitino altri fedeli?
Cardinale O’Malley: Direi solo questo: non abbiate paura di invitare altri ad unirsi a voi. Nella peggiore delle ipotesi, cosa potranno dire? No? Se seguiamo l’esempio del Santo Padre, papa Francesco, e facciamo quello che ci chiede di fare, non avremo paura di “andare alle periferie” ed accogliere la gente alle porte aperte della Chiesa, dove il cuore di Dio ci sta aspettando nel Tabernacolo e sugli Altari dell’Eucaristia.

Junno De Jesús Arocho Esteves

U ime obitelji




Domenica 26 maggio in Croazia si è conclusa la raccolta di firme per chiedere al Parlamento di indire un referendum affinché nella Costituzione sia inserita la definizione di matrimonio come unione di vita tra un uomo e una donna. Preoccupati per gli avvenimenti in Francia dove una minoranza al potere ha ignorato la volontà del popolo sui valori fondamentali della società, e volendo evitare una situazione simile in Croazia, già annunciata con diversi segni e pressioni, l’iniziativa “U ime obitelji” (“Nel nome della famiglia”), che riunisce varie realtà civili, individui, gruppi e associazioni, ha avviato la raccolta firme affinché sia indetto un referendum proponendo la seguente domanda: Volete che nella Costituzione della Repubblica di Croazia venga introdotta la norma che il matrimonio è un’unione di vita tra un uomo e una donna?.
La legge sul referendum stabilisce che, perché la richiesta sia valida, in due settimane siano raccolte 375.000 firme, pari cioè al 10% del numero dei cittadini croati con il diritto di voto. La raccolta di firme si è svolta quindi dal 12 al 26 maggio in più di 2000 punti di raccolta in tutto il Paese, grazie all’opera di più di 6000 volontari. Oltre che dinanzi alle chiese parrocchiali, a cappelle e a conventi, i cittadini hanno potuto firmare in diverse facoltà e molti luoghi pubblici, quali per esempio piazze, mercati, fermate di tram eccetera.
Nel primo giorno di raccolta delle firme hanno aderito 130.000 persone, e solo in una settimana si è già raggiunto il numero richiesto dalla legge di 380.000 firme. Secondo quanto reso noto durante la conferenza stampa di oggi, 29 maggio 2013 degli organizzatori, il numero delle firme raggiunto in 15 giorni di raccolta è più di 710.000 firme, sebbene si sia in attesa dei dati degli ultimi quattro giorni di sette tra le ventuno contee croate.
L’iniziativa è stata sostenuta sin dal primo momento dalla Conferenza episcopale croata, dai rappresentanti della Chiesa Ortodossa, dalla Comunità ebraica e musulmana, nonchè dalle altre denominazioni cristiane in Croazia. Tra i partiti rappresentati in Parlamento tutti i partiti di opposizione hanno sostenuto gli obiettivi del referendum invitando i propri simpatizzanti a firmare.
Mentre da una parte gli organizzatori dell’iniziativa chiedevano solamente in modo democratico che si organizzasse il referendum su una questione – la definizione del matrimonio quale unione di vita tra un uomo e una donna – che tocca tutti i cittadini croati, questa raccolta di firme ha subito un forte attacco da parte di diverse associazioni omosessuali, aiutate dalla maggior parte dei media e dai politici dei partiti al potere. Tutto è iniziato con il silenzio assoluto dei media prima dell’avvio della raccolta di firme e nei primi giorni dell’Iniziativa, per poi continuare con lo strappare i manifesti e volantini informativi dell’Iniziativa nonché attacchi virtuali (siti Internet e account Facebook sottoposti ad attacchi di hacker), fino agli insulti verbali (soprattutto come ‘omofobi’ e ‘clerofascisti’, bestemmie, sputi) e anche violenze fisiche contro i volontari, bruciando i banchetti per la raccolta firme e strappando i libretti che contenevano le firme. Tutta l’operazione è stata coordinata tramite Facebook, pieno di messaggi offensivi e di odio contro i volontari e tutti i cittadini che osavano firmare per chiedere il referendum. Tutto questo senza che il governo e i partiti politici della maggioranza abbiano condannato con una parola sola questi fatti.
Dopo che è apparso chiaro che l’iniziativa stava avendo successo, il governo ha cambiato tattica, passando dal silenzio più assoluto al tentativo di ostacolare l’iniziativa, cambiando improvvisamente il numero delle firme necessarie – da 380.000 a 450.000 includendo i croati residenti all’estero che tra l’altro non avevano diritto a firmare. All’annuncio da parte degli organizzatori che erano state raccolte mezzo milione di firme, il governo ha cercato altre vie di uscita affermando, contro il parere perfino della Presidente della Corte costituzionale, che il referendum non era sufficiente per modificare la Costituzione e che ci voleva anche un passaggio parlamentare – in Parlamento la maggioranza di sinistra ha i due terzi dei voti e quindi l’iniziativa non ha nessuna possibilità di passare. In ogni caso, come annunciato dai rappresentanti dell’Iniziativa, entro due settimane tutte le firme saranno consegnate al presidente del Parlamento con la richiesta di indire il referendum. E non c’è dubbio che il referendum dovrà essere organizzato e sarà il primo referendum nella storia croata iniziato direttamente dal popolo.
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Lo scopo dell’iniziativa “In nome della famiglia” è stata spiegata in questi giorni dalla coordinatrice Željka Markić: “L’iniziativa è stata avviata allo scopo di promuovere il matrimonio tra un uomo e una donna quale un valore fondamentale della società, nonché quale garanzia di permanente protezione legale dei bambini, del matrimonio e della famiglia. In Croazia vi è una grande consenso tra le comunità religiose e tra i cittadini (secondo alcuni sondaggi il 90% dei cittadini appoggia l’Iniziativa) sul fatto che il matrimonio rappresenti la comunione tra un uomo e una donna e che esso sia l’ambiente migliore per far nascere ed educare i figli.
Nella Legge sulla famiglia attualmente in vigore vi è la definizione del matrimonio quale unione di vita tra un uomo e una donna e ora desideriamo che essa sia inserita nella Costituzione. In questo modo potremo essere sicuri che un fattore così fondamentale per una società qual è il matrimonio, nonché la famiglia e tutti i diritti che derivano dal matrimonio, ivi inclusa adozione dei figli – non possono essere cambiati solamente attraverso una modifica della legge sulla famiglia o di qualche altra legge. Vi è un gran numero degli Stati nelle cui Costituzioni il matrimonio è espressamente definito quale comunione tra un uomo e una donna e un numero ancora più grande di Stati nei quali questa cosa è implicita, poiché queste Costituzioni erano state redatte quando non vi era alcuna necessità di sottolineare qualcosa che è evidente e comprensibile. Esistono dei pericoli – purtroppo, gli avvenimenti degli anni scorsi fanno comprendere come esistano lobby molto aggressive le quali, non rispettando il volere del popolo, e con aiuto dei governi i quali non servono, bensì sfruttano i cittadini dai quali hanno ricevuto il potere, impongono cambiamenti che non sono nell’interesse di nessuno. Non so che cosa è peggiore – vedere come il governo di Hollande in Francia ignora la voce del popolo francese, mente sul numero dei manifestanti che si oppongono alla parificazione delle unioni omosessuali con il matrimonio – e quando ci sono 1.400.000 dimostranti afferma che c’erano 500.000 – e li attacca con gas lacrimogeni, oppure quando leggi completamente opposte alla loro cultura e valori vengono imposte con il ricatto ai paesi poveri. Noi desideriamo che la Croazia non si trovi in una situazione del genere. A ognuno di noi spetta decidere se vuole mandare un messaggio chiaro al governo attuale e a ogni altro governo che verrà dopo: ‘Matrimonio = uomo + donna. Il posto migliore per far nascere ed educare i figli è il matrimonio. Non voglio che i bambini in Croazia saranno adottati dalle coppie omosessuali. Questo non corrisponde ai miei valori, alla mia cultura, alla mia identità’. Quanto a noi, associazione ‘Nel nome della famiglia’ con aiuto dei cittadini che aderiscono, faremo in modo che la Costituzione e le leggi croate definiscano il matrimonio come unione di vita tra un uomo e una donna, preveniremo l’equalizzazione delle convivenze omosessuali con il matrimonio, proteggeremo i bambini dalla possibilità di essere adottati da coppie omosessuali e mostreremo che i cittadini della Croazia, quando si uniscono attorno a ciò che è per loro importante, possono cambiare la società croata in meglio. L’abbiamo già fatto una volta nel nostro passato recente – quando abbiamo detto di volere vivere in uno stato indipendente e quando lo abbiamo difeso e liberato in guerra. Ora tocca a noi e questo nella pace, usando gli strumenti offerti dalla democrazia, di dire come deve essere questo Stato e quali valori esso deve proteggere.“
Libertà e Persona

Quell'abbraccio di Michelle

Francesco

Incontro del Santo Padre Francesco con un gruppo di bambini del Reparto di Oncologia Pediatrica del Policlinico “Agostino Gemelli” di Roma  (Domus Santa Marta, Venerdì 31.5.2013)

Nota informativa del P. Lombardi. Questa sera, alle ore 18, nella Cappella della Casa di Santa Marta, dove abita, il Papa ha incontrato un gruppo di bambini ospiti del reparto di Oncologia Pediatrica del Policlinico “Agostino Gemelli” di Roma. I bambini, gravemente ammalati, erano 22, accompagnati dai loro genitori e da rappresentanti del personale del Gemelli e da volontari dell’Unitalsi, dalle religiose e dai sacerdoti che li seguono e li accompagnano in pellegrinaggi a Lourdes o a Loreto. In tutto circa 70 persone.
Tra i presenti anche tre sorelline, tutte e tre ammalate, con i loro genitori. In occasione di un pellegrinaggio a Lourdes i bambini del gruppo avevano inviato al Papa i loro disegni della Grotta di Lourdes (il disegno giudicato più bello era stato fatto in Braille da un bimbo cieco), accompagnandoli con una lettera in cui avevano offerto al Papa di venire a pregare con lui.
L’incontro si è svolto in un clima di preghiera e di grande commozione, ma anche di gioia, come ogni volta che i bimbi sono protagonisti. Dopo il segno della croce e il saluto di pace del Papa e la recita del Padre Nostro, una bimba ha rivolto al Papa alcune parole di saluto chiedendogli di pregare per tutti i bambini malati del mondo e di benedire i loro genitori. E’ stata cantata da tutti insieme la “Ave Maria di Lourdes”.
Il Papa ha rivolto ai bambini e ai presenti alcune parole in forma di dialogo con i piccoli, ascoltando le loro domande e ricevendo piccoli doni, e invitandoli a sentire sempre la presenza di Gesù vicino a loro, “perché Gesù vuole loro tanto bene”. Dopo un’Ave Maria recitata insieme, il Papa impartito la benedizione, che è “come un abbraccio di Dio”. Infine – come suo solito – ha salutato con grande affetto singolarmente tutti i presenti, ogni bambino con i suoi genitori.
L’incontro è durato circa mezz’ora.
IL SALUTO DELLA BIMBA NUGNES MICHELLE
Caro Papa Francesco,
sono proprio contenta di essere qui a casa tua con gli amici del Gemelli, i medici, i volontari, e con i sacerdoti che ci accompagnano a Lourdes con l'Unitalsi.
E' bello poterti vedere davvero e non come alla televisione!
A Lourdes abbiamo pregato per te, ti abbiamo disegnato la grotta della Madonna, come nostro dono.
Ti promettiamo che pregheremo ancora e ti chiediamo di pregare per tutti i bambini malati del Gemelli e del Mondo.
Benedici tutte le mamme e i papà, perché possano avere sempre un sorriso bello come il tuo.

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«È bello poterti vedere davvero e non come alla televisione!... Benedici tutte le mamme e i papà, perché possano avere sempre un sorriso bello come il tuo». Michelle Nugnes è una bambina gravemente ammalata, ricoverata nel reparto di oncologia pedriatica del Policlinico Gemelli. Insieme ad altri 21 bambini curati nello stesso reparto, accompagnati dai loro genitori, è stata ricevuta questa sera alle 18 nella cappella della Casa Santa Marta da Papa Francesco, che si è trattenuto con loro per mezz'ora.


«I bambini, gravemente ammalati - informa un comunicato della Sala Stampa Vaticana - erano 22, accompagnati dai loro genitori e da rappresentanti del personale del Gemelli e da volontari dell’Unitalsi, dalle religiose e dai sacerdoti che li seguono e li accompagnano in pellegrinaggi a Lourdes o a Loreto. In tutto circa 70 persone. Tra i presenti anche tre sorelline, tutte e tre ammalate, con i loro genitori».


In occasione di un pellegrinaggio a Lourdes i bambini del gruppo avevano inviato al Papa i loro disegni della Grotta di Lourdes (il disegno giudicato più bello era stato fatto in Braille da un bimbo cieco), accompagnandoli con una lettera in cui avevano offerto al Papa di venire «a pregare con lui».


L’incontro si è svolto in un clima di preghiera e di grande commozione, «ma anche di gioia - sottolinea la nota vaticana - come ogni volta che i bimbi sono protagonisti. Dopo il segno della croce e il saluto di pace del Papa e la recita del Padre Nostro, una bimba ha rivolto al Papa alcune parole di saluto chiedendogli di pregare per tutti i bambini malati del mondo e di benedire i loro genitori».


«Caro Papa Francesco - ha detto Michelle - sono proprio contenta di essere qui a casa tua con gli amici del Gemelli, i medici, i volontari, e con i sacerdoti che ci accompagnano a Lourdes con l'Unitalsi. È bello poterti vedere davvero e non come alla televisione! A Lourdes abbiamo pregato per te, ti abbiamo disegnato la grotta della Madonna, come nostro dono».


«Ti promettiamo - ha aggiunto la bambina - che pregheremo ancora e ti chiediamo di pregare per tutti i bambini malati del Gemelli e del mondo. Benedici tutte le mamme e i papà, perché possano avere sempre un sorriso bello come il tuo».


È stata cantata da tutti insieme l'«Ave Maria di Lourdes». Francesco ha rivolto ai bambini e ai presenti alcune parole in forma di dialogo con i piccoli, ascoltando le loro domande e ricevendo piccoli doni, e invitandoli a sentire sempre la presenza di Gesù vicino a loro, «perché Gesù vuole loro tanto bene». Dopo un'Ave Maria recitata insieme, il Papa dato la benedizione, che è, ha spiegato, «come un abbraccio di Dio». Infine, com'è abituato a fare, ha salutato con grande affetto e singolarmente tutti i presenti, ogni bambino con i suoi genitori.
Tornielli

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“Corriere della Sera”- Rassegna "Fine settimana"
(Mauro Magatti) Negli ultimi giorni, papa Francesco ha più volte espresso valutazioni severe sullo stato dell'economia globale, sottolineando in particolare la diffusa sofferenza umana che mette a repentaglio la vita di tanti. Gli interventi hanno avuto accenti forti, arrivando (...)

Celebrazione mariana per la conclusione del mese di maggio in Piazza San Pietro. Meditazione di Papa Francesco




Celebrazione mariana per la conclusione del mese di maggio in Piazza San Pietro. Meditazione di Papa Francesco

"Tre parole sintetizzano l’atteggiamento di Maria: ascolto, decisone, azione; parole che indicano una strada anche per noi di fronte a ciò che ci chiede il Signore nella vita".
Il segno (...) indica frasi aggiunte dal Santo Padre e pronunciate a braccio 
A conclusione del mese mariano, il Cardinale Angelo Comastri, Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano e Arciprete della Basilica di San Pietro presiede questa sera alle ore 20, in Piazza San Pietro, la recita del Santo Rosario. Nel corso della celebrazione la statua della Madonna è portata in processione attraverso i vari reparti della Piazza. Verso le ore 20.30, il Santo Padre Francesco giunge sul Sagrato della Basilica Vaticana e - prima di impartire la Benedizione Apostolica ai fedeli presenti - tiene una meditazione il cui testo riportiamo di seguito:
 Cari fratelli e sorelle, 
questa sera abbiamo pregato insieme con il Santo Rosario; abbiamo ripercorso alcuni eventi del cammino di Gesù, della nostra salvezza e lo abbiamo fatto con Colei che è nostra Madre, Maria, Colei che con mano sicura ci guida al suo Figlio Gesù. (...) 
Oggi celebriamo la festa della Visitazione della Beata Vergine Maria alla parente Elisabetta. Vorrei meditare con voi questo mistero che mostra come Maria affronta il cammino della sua vita, con grande realismo, umanità, concretezza. 
Tre parole sintetizzano l’atteggiamento di Maria: ascolto, decisione, azione; parole che indicano una strada anche per noi di fronte a ciò che ci chiede il Signore nella vita. (...) 
1. Ascolto. Da dove nasce il gesto di Maria di andare dalla parente Elisabetta? Da una parola dell’Angelo di Dio: «Elisabetta tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio…» (Lc 1,36). Maria sa ascoltare Dio. Attenzione: non è un semplice “udire” superficiale, ma è l’“ascolto” fatto di attenzione, di accoglienza, di disponibilità verso Dio. Non è il modo distratto con cui a volte noi ci mettiamo di fronte al Signore o agli altri: udiamo le parole, ma non ascoltiamo veramente. Maria è attenta a Dio, ascolta Dio. 
Ma Maria ascolta anche i fatti, legge cioè gli eventi della sua vita, è attenta alla realtà concreta e non si ferma alla superficie, ma va nel profondo, per coglierne il significato. La parente Elisabetta, che è già anziana, aspetta un figlio: questo è il fatto. Ma Maria è attenta al significato, lo sa cogliere: «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37). 
Questo vale anche nella nostra vita: ascolto di Dio che ci parla, e ascolto anche della realtà quotidiana, attenzione alle persone, ai fatti perché il Signore è alla porta della nostra vita e bussa in molti modi, pone segni nel nostro cammino; a noi la capacità di vederli. Maria è la madre dell’ascolto, ascolto attento di Dio e ascolto altrettanto attento degli avvenimenti della vita. 
2. Decisione. Maria non vive “di fretta”, con affanno, ma, come sottolinea san Luca, «meditava tutte queste cose nel suo cuore» (cfr Lc 2,19.51). E anche nel momento decisivo dell’Annunciazione dell’Angelo, Ella chiede: «Come avverrà questo?» (Lc 1,34). Ma non si ferma neppure al momento della riflessione; fa un passo avanti: decide. Non vive di fretta, ma solo quando è necessario “va in fretta”. Maria non si lascia trascinare dagli eventi, non evita la fatica della decisione. E questo avviene sia nella scelta fondamentale che cambierà la sua vita: «Eccomi sono la serva del Signore…» (cfr Lc 1,38), sia nelle scelte più quotidiane, ma ricche anch’esse di significato. Mi viene in mente l’episodio delle nozze di Cana (cfr Gv 2,1-11): anche qui si vede il realismo, l’umanità, la concretezza di Maria, che è attenta ai fatti, ai problemi; vede e comprende la difficoltà di quei due giovani sposi ai quali viene a mancare il vino della festa, riflette e sa che Gesù può fare qualcosa, e decide di rivolgersi al Figlio perché intervenga: «Non hanno più vino» (cfr v. 3). (...) 
Nella vita è difficile prendere decisioni, spesso tendiamo a rimandarle, a lasciare che altri decidano al nostro posto, spesso preferiamo lasciarci trascinare dagli eventi, seguire la moda del momento; a volte sappiamo quello che dobbiamo fare, ma non ne abbiamo il coraggio o ci pare troppo difficile perché vuol dire andare controcorrente. Maria nell’Annunciazione, nella Visitazione, alle nozze di Cana va controcorrente; si pone in ascolto di Dio, riflette e cerca di comprendere la realtà, e decide di affidarsi totalmente a Dio, decide di visitare, pur essendo incinta, l’anziana parente, decide di affidarsi al Figlio con insistenza per salvare la gioia delle nozze. 
3. Azione. Maria si mise in viaggio e «andò in fretta…» (cfr Lc 1,39). Domenica scorsa sottolineavo questo modo di fare di Maria: nonostante le difficoltà, le critiche che avrà ricevuto per la sua decisione di partire, non si ferma davanti a niente. E qui parte “in fretta”. Nella preghiera, davanti a Dio che parla, nel riflettere e meditare sui fatti della sua vita, Maria non ha fretta, non si lascia prendere dal momento, non si lascia trascinare dagli eventi. Ma quando ha chiaro che cosa Dio le chiede, ciò che deve fare, non indugia, non ritarda, ma va “in fretta”. Sant’Ambrogio commenta: “la grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze” (Expos. Evang.  sec. Lucam, II, 19: PL 15,1560). L’agire di Maria è una conseguenza della sua obbedienza alle parole dell’Angelo, ma unita alla carità: va da Elisabetta per rendersi utile; e in questo uscire dalla sua casa, da se stessa, per amore, porta quanto ha di più prezioso: Gesù; porta il suo Figlio. 
A volte, anche noi ci fermiamo all’ascolto, alla riflessione su ciò che dovremmo fare, forse abbiamo anche chiara la decisione che dobbiamo prendere, ma non facciamo il passaggio all’azione. E soprattutto non mettiamo in gioco noi stessi muovendoci “in fretta” verso gli altri per portare loro il nostro aiuto, la nostra comprensione, la nostra carità; per portare anche noi, come Maria, ciò che abbiamo di più prezioso e che abbiamo ricevuto, Gesù e il suo Vangelo, con la parola e soprattutto con la testimonianza concreta del nostro agire. (...) 
Ascoltodecisoneazione
Maria, donna dell’ascolto, rendi aperti i nostri orecchi; fa’ che sappiamo ascoltare la Parola del tuo Figlio Gesù tra le mille parole di questo mondo; fa’ che sappiamo ascoltare la realtà in cui viviamo, ogni persona che incontriamo, specialmente quella che è povera, bisognosa, in difficoltà. Maria, donna della decisione, illumina la nostra mente e il nostro cuore, perché sappiamo obbedire alla Parola del tuo Figlio Gesù, senza tentennamenti; donaci il coraggio della decisione, di non lasciarci trascinare perché altri orientino la nostra vita. Maria, donna dell’azione, fa’ che le nostre mani e i nostri piedi si muovano “in fretta” verso gli altri, per portare la carità e l’amore del tuo Figlio Gesù, per portare, come te, nel mondo la luce del Vangelo. Amen.

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 Il 31 maggio Papa Francesco ha concluso il mese mariano partecipando alla recita del Rosario in Piazza San Pietro e proponendo una meditazione sulla festa della Visitazione. Come fa spesso, il Papa ha diviso la sua meditazione in tre parti, riflettendo su tre parole che descrivono l'esperienza terrena della Vergine Maria: ascolto, decisone, azione.
Queste parole sono anche un modello di vita spirituale e apostolica per noi, e ricordano e aggiornano vecchi motti - come «vedere, giudicare, agire» - che si situano all'origine della storia moderna dell'apostolato dei laici. 
Anzitutto, dunque, ascolto. «Da dove nasce - si è chiesto il Pontefice - il gesto di Maria di andare dalla parente Elisabetta?». Nasce dall'ascolto, dal corretto rapporto con la parola di Dio che le arriva attraverso l'angelo: «Elisabetta tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio…» (Lc 1,36). «Maria sa ascoltare Dio», e la nozione di «ascolto» merita di essere approfondita.
«Attenzione - ci dice il Papa -: non è un semplice “udire” superficiale, ma è l’“ascolto” fatto di attenzione, di accoglienza, di disponibilità verso Dio». Spesso il nostro «udire» non è un vero ascolto. Quello di Maria, invece, «non è il modo distratto con cui a volte noi ci mettiamo di fronte al Signore o agli altri: udiamo le parole, ma non ascoltiamo veramente. Maria è attenta a Dio, ascolta Dio».
Dio parla in diversi modi, anche attraverso gli eventi. Maria «ascolta anche i fatti, legge cioè gli eventi della sua vita, è attenta alla realtà concreta e non si ferma alla superficie, ma va nel profondo, per coglierne il significato». Così, legge correttamente l'annuncio della gravidanza di Elisabetta come un miracolo. Maria così ci indica la strada: «ascolto di Dio che ci parla, e ascolto anche della realtà quotidiana, attenzione alle persone, ai fatti perché il Signore è alla porta della nostra vita e bussa in molti modi, pone segni nel nostro cammino; a noi la capacità di vederli. Maria è la madre dell’ascolto, ascolto attento di Dio e ascolto altrettanto attento degli avvenimenti della vita».
Seconda parola: decisione. Maria «meditava tutte queste cose nel suo cuore» (cfr Lc 2,19.51): non prendeva decisioni affrettate. Tuttavia «non si ferma neppure al momento della riflessione; fa un passo avanti: decide. Non vive di fretta, ma solo quando è necessario “va in fretta”. Maria non si lascia trascinare dagli eventi», ma «non evita la fatica della decisione». Alle nozze di Cana la vediamo decidere rapidamente e salvare la festa degli sposi.
«Nella vita - spiega Papa Francesco - è difficile prendere decisioni, spesso tendiamo a rimandarle, a lasciare che altri decidano al nostro posto, spesso preferiamo lasciarci trascinare dagli eventi, seguire la moda del momento; a volte sappiamo quello che dobbiamo fare, ma non ne abbiamo il coraggio o ci pare troppo difficile perché vuol dire andare controcorrente».
Maria c'insegna qualcosa che è molto rilevante oggi: per «affidarsi totalmente a Dio» occorre essere capaci di resistere alle pressioni e alle mode e andare «controcorrente».
Terza parola: azione. Luca ci dice che Maria si mise in viaggio e «andò in fretta…» (cfr Lc 1,39). Già domenica scorsa il Papa aveva fatto notare questo muoversi «in fretta» di Maria: «nonostante le difficoltà, le critiche che avrà ricevuto per la sua decisione di partire, non si ferma davanti a niente. E qui parte “in fretta”». La fretta non riguarda il secondo momento, la decisione, ma il terzo, l'azione.
«Nella preghiera, davanti a Dio che parla, nel riflettere e meditare sui fatti della sua vita, Maria non ha fretta, non si lascia prendere dal momento, non si lascia trascinare dagli eventi. Ma quando ha chiaro che cosa Dio le chiede, ciò che deve fare, non indugia, non ritarda, ma va “in fretta”».
Il Pontefice cita sant'Ambrogio (340?-397), il quale commenta: «la grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze». Tutti e tre i passaggi sono necessari. Noi qualche volta «ci fermiamo all’ascolto, alla riflessione su ciò che dovremmo fare, forse abbiamo anche chiara la decisione che dobbiamo prendere, ma non facciamo il passaggio all’azione».
Questo avviene perché «non mettiamo in gioco noi stessi muovendoci “in fretta” verso gli altri per portare loro il nostro aiuto, la nostra comprensione, la nostra carità; per portare anche noi, come Maria, ciò che abbiamo di più prezioso e che abbiamo ricevuto, Gesù e il suo Vangelo, con la parola e soprattutto con la testimonianza concreta del nostro agire».
Ascolto, decisone, azione: una sequenza non facile da vivere oggi, ma che possiamo tutti cercare di seguire affidandoci all'aiuto della Madonna.
Introvigne

È possibile sposarsi prima civilmente e poi in chiesa?



Risponde padre Edward McNamara, L.C., professore di Teologia e direttore spirituale


Un lettore statunitense ha posto la seguente domanda a padre Edward McNamara:

La mia fidanzata vuole sposarsi con rito religioso cattolico. Lei è cittadina irlandese ed io statunitense. Per motivi burocratici, stiamo pensando di sposarci prima civilmente negli USA e successivamente con rito cattolico in Irlanda. Temiamo però che la cerimonia civile possa compromettere il matrimonio religioso. Il sacramento del matrimonio è molto importante per noi. Non vogliamo rovinare tutto. Dunque la nostra domanda è se la Chiesa permette di essere sposati civilmente prima di unirsi  in matrimonio con rito religioso?- E.U., Arlington, Massachusetts (USA)
Pubblichiamo di seguito la risposta di padre McNamara:
Un primo principio da tenere presente è che la Chiesa non riconosce la validità del matrimonio civile tra due cattolici. Tutti i cattolici sono tenuti a seguire le procedure descritte nel Diritto canonico, anche se in casi speciali il vescovo ha l’autorità di dispensare da alcuni requisiti.
La questione del rapporto fra matrimonio civile e celebrazione sacramentale dipende dalle leggi di ogni Paese. Generalmente, le possibilità sono due:
La prima situazione è quella in cui il matrimonio religioso, di solito, ha effetti civili. Questo è il caso degli Stati Uniti, Irlanda, Italia e di molti altri Paesi. In ogni Paese c’è un iter particolare da seguire davanti alle autorità civili, ma alla fine c'è una sola cerimonia nuziale.
Ci sono alcuni casi in cui la Chiesa celebra un matrimonio con effetti soltanto sacramentali. Ad esempio, quando una coppia già unita in matrimonio civile successivamente desidera regolarizzare la sua situazione davanti a Dio. In questo modo potranno partecipare pienamente alla vita della Chiesa e, in particolare, saranno nuovamente in grado di ricevere la Comunione.
Nelle situazioni menzionate sopra, in cui la celebrazione religiosa ha effetti civili, il matrimonio civile non è una valida opzione per un cattolico. Allo stesso tempo, una precedente unione civile non è, come tale, un impedimento per una coppia che vuole unirsi in matrimonio sacramentale.
Diversa è la situazione in quei Paesi in cui il rito religioso non è civilmente riconosciuto. In questi casi di solito ci sono due "feste di nozze", una civile e l’altra religiosa. Questo è il caso di molti Paesi europei e latino-americani.
Nella maggior parte dei casi la celebrazione civile precede quella religiosa. L'intervallo tra le due cerimonie può essere di solo alcune ore, alcuni giorni ma anche di più. Dal momento che la Chiesa non riconosce il rito civile, i cattolici non dovrebbero iniziare la vita coniugale se non dopo la celebrazione sacramentale.
Anche se non riconosce il matrimonio civile, in alcuni Paesi le autorità ecclesiastiche non consentono la celebrazione religiosa se non dopo il matrimonio civile. Si tratta soprattutto di una scelta pastorale per garantire la piena protezione legale di entrambi i partner, e il mantenimento di eventuali figli in caso di rottura e separazione.
Se tale precauzione non venisse presa, una persona - uomo o donna - potrebbe ritrovarsi vincolata in coscienza dall'unione matrimoniale ma con limitati mezzi di ricorso legale per quanto riguarda la custodia dei figli, beni o altre responsabilità condivise derivanti dal loro matrimonio.
Per quanto riguarda il caso particolare del nostro lettore, penso che se adempie bene i suoi compiti legali e fornisce tutta la documentazione necessaria, non vi sia alcun motivo per cui un matrimonio religioso civilmente riconosciuto in Irlanda non venga riconosciuto legalmente negli Stati Uniti.
Comunque, se esistono delle difficoltà particolari (per esempio se l’iter burocratico del matrimonio in un altro paese comporta delle difficoltà, dei tempi e dei costi sproporzionati alle possibilità della coppia), allora si può consultare il proprio vescovo locale per poter svolgere la parte civile nel proprio paese.
Zenit

La grande meretrice 2





Nel libro «La grande meretrice» sette donne - tutte storiche ma non tutte cattoliche - indagano su una serie di luoghi comuni. La Chiesa davanti al tribunale della storia

Decalogo. È appena uscito in libreria La grande meretrice. Un decalogo di luoghi comuni sulla storia della Chiesa (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2013, pagine 263, euro 18) un volume introdotto e curato da Lucetta Scaraffia che raccoglie i saggi di sette donne, quasi tutte firme abituali del nostro giornale. L’arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto ne ha scritto una recensione. Nella pagina anticipiamo anche stralci dell’introduzione e di due capitoli.

Per le vittime del politicamente corretto 
(Lucetta Scaraffia) Basta prendere in mano qualcuno dei molti libri polemici che circolano contro “il Vaticano”: al di là dei giudizi e delle valutazioni sull’operato della Chiesa, che qui non intendiamo contestare, si moltiplicano in questi testi errori e riferimenti storici sbagliati, che si rifanno a questi luoghi comuni, ormai diventati verità pietrificate anche se fondati su informazioni errate. 
Tanto diffusi e indiscussi che chi vi attinge non procede neppure a un controllo: tanto chi legge gli darà ragione, perché «sanno tutti che è così». Invece le ricerche storiografiche di questi ultimi decenni — quasi sempre a opera di studiosi non cattolici — hanno contribuito a sfatarli, ma la fortuna dei pregiudizi è più forte del progresso culturale. Così, mentre in ambito scientifico si sa bene che l’Inquisizione non era l’unico tribunale a usare la tortura, o che la Chiesa non vuole che i fedeli si immolino alla sofferenza, o ancora che le antiche comunità cristiane erano rissose e talvolta corrotte come le nostre, tanto per fare qualche esempio, a livello di cultura scolastica si rimane ancora tenacemente fedeli agli stereotipi. Stereotipi che spesso hanno fatto propria l’immagine della Grande meretrice descritta nel diciassettesimo capitolo dell’Apocalisse per designare l’istituzione ecclesiastica.
Abbiamo cercato quindi di scrivere dei saggi informati e scientificamente documentati, ma divulgativi, con una bibliografia minima, proprio per raggiungere i non specialisti, quelli cioè che sono le vittime del politicamente corretto sulla Chiesa. Il nostro lavoro di revisione del luogo comune vuole fare piazza pulita delle opinioni che si fondano su pregiudizi, perché pensiamo che sarebbe meglio per tutti che la discussione sulle valutazioni dell’operato e sulla tradizione teorica della Chiesa cattolica si svolgesse partendo da una conoscenza condivisa della verità storica. Si sgombrerebbe così il campo da polemiche e accuse inconsistenti, e si avrebbe la possibilità di misurare effettivamente idee e valori contrapposti in un clima di dialogo e di reciproca conoscenza.

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(Bruno Forte) Dieci questioni, intorno a cui un’opinione diffusa e “politicamente corretta” chiama la Chiesa a giudizio davanti al tribunale della storia: la sua infedeltà rispetto alle origini del movimento cristiano, l’imposizione del celibato ecclesiastico, i tribunali dell’Inquisizione, l’arretratezza cattolica rispetto al progressismo evangelico, l’antisemitismo, la sessuofobia, l’anti-scientismo, la svalutazione della donna, il dolorismo. Sette donne, storiche di professione, di diversa estrazione religiosa, si confrontano con questi stereotipi senza pregiudizi, con un linguaggio ampiamente accessibile, mai rinunciando al rigore storico-critico delle affermazioni. 
Ecco tema e autrici di un volume a dir poco “intrigante”, esposto a toccare sensibilità acute e a suscitare reazioni di segno diverso, e tuttavia utile e illuminante, perché capace di dar a pensare a chiunque lo legga senza preclusioni di sorta: La grande meretrice. Un decalogo di luoghi comuni sulla storia della Chiesa è il titolo del libro in questione, introdotto e curato da Lucetta Scaraffia, autrice ella stessa di due fra i saggi più stimolanti («Sul celibato ecclesiastico» e «I protestanti sono più moderni»). L’intento dichiarato è di servire la verità storica, rettificando quei «luoghi comuni che ormai sembrano avere sostituito la realtà per quanto riguarda la storia della Chiesa, e che quindi hanno anche contribuito a deformarne l’identità pubblica» (p. 3): una rettifica che non ha nulla di meramente apologetico, che anzi non risparmia ammissioni di limiti e di ritardi nella bimillenaria vicenda ecclesiale e, proprio così, risulta convincente e feconda di incontri possibili con chi sia aperto a cercare la verità al di sopra di tutto. 
L’approccio femminile, poi, riesce a spingere lo sguardo a quella ricchezza vitale di emozioni e sentimenti, sottesa ai fatti e decisiva per la vita, che spesso un certo razionalismo interpretativo è incapace di cogliere. La destinazione del testo a un vasto pubblico motiva non solo il suo stile discorsivo, spesso arricchito di narrazioni, ma anche la scelta dei luoghi comuni su cui far riflettere: «i più diffusi, quelli che generano il maggior numero di incomprensioni» e che, proprio per questo, è importante chiarire prima di iniziare un qualunque confronto teorico.
Il titolo del volume rende bene l’intreccio costante di prospettive che lo animano: come mostra efficacemente Sylvie Barnay nel primo dei dieci saggi, il tema della Chiesa santa e meretrice muove già dalla testimonianza biblica, in particolare dell’Apocalisse. Esso ritorna nei Padri della Chiesa come una sorta di canto fermo, non per denigrare la comunità dei fedeli, ma per stimolarla al bene nel continuo confronto fra ideale e reale. 
Ricordo l’attenta riflessione che a esso dedicammo nel gruppo di lavoro della Commissione teologica internazionale, incaricato di approfondire le motivazioni e il senso della richiesta di perdono che il beato Giovanni Paolo II volle pronunciare a nome di tutta la Chiesa durante il Giubileo del 2000. In un memorabile incontro che avemmo con lui, ebbe a dirci una frase che ben rende il senso e l’importanza del tema: «Coraggio! Siate una Commissione coraggiosa! La verità ci farà liberi!».
L’applicazione delle parole di Gesù in Giovanni, 8, 32 alla testimonianza attuale della Chiesa è in realtà la chiave interpretativa fondamentale per comprendere come il riconoscimento sincero dei limiti e delle colpe faccia ancor più risplendere la santità e il bene di cui il popolo di Dio ha riempito l’universo nei tanti secoli del suo cammino. È questa anche la chiave di lettura del documento Memoria e riconciliazione che accompagnò poi il gesto profetico del Papa nell’anno giubilare. «Che l’istituzione, la Chiesa terrena, sia stata protagonista di pagine non edificanti e anche odiose — scrive nel suo bel saggio Sandra Isetta — è un dato inalienabile, fatalmente connesso alla natura umana».
Come questo vada compreso e coniugato all’idea della Ecclesia sancta, lo spiega la grande sintesi di Agostino sulle “due città”, «quella di Dio e quella degli uomini, in qualche modo confuse e mischiate fra loro nello scorrere dei tempi», tali però che «solo formalmente i non meritevoli sono parte integrante della Chiesa» e «che vero corpo di Cristo è quello che vivrà eternamente con lui dopo il giudizio» (p. 56). Il no a ogni puritanesimo che pretenda di comprendere nella vicenda storica del popolo di Dio unicamente chi è senza colpa, si congiunge alla coscienza di una necessaria, costante lotta contro il male e il maligno, che avrà il suo coronamento vittorioso solo nel finale ritorno del Cristo.
Particolarmente interessante è il saggio della storica ebrea Anna Foa, dedicato alla Chiesa, «madre di tutte le inquisizioni». Con singolare capacità narrativa e documentaria, l’autrice giunge a una conclusione tanto singolare, quanto efficace: «Vogliamo confessarlo alla fine? Se proprio dovessi scegliere da quale di questi temibili tribunali umani [quelli dei vari totalitarismi] preferirei essere processata per quello che penso o credo, non sceglierei mai un tribunale sovietico dell’epoca della grandi purghe staliniane. E nemmeno mi piacerebbe farmi processare dai tribunali laici dell’età dell’assolutismo. Sceglierei nonostante tutto l’Inquisizione, quella romana naturalmente. Sempre sperando che Dio me la mandi buona» (p. 111). Peraltro, è la stessa studiosa a notare — nel saggio dedicato all’antisemitismo — che «nell’insieme la protezione che la Chiesa svolge nei confronti della minoranza ebraica presente nel suo seno è una costante, almeno fino a che l’equilibrio tra Chiesa ed ebrei si mantiene intatto» (p. 143). Il rigore della ricerca storica si fonde qui con un non comune coraggio nel sostenere tesi che destabilizzano una certa “vulgata” e mostrano come nelle pieghe della complessità della storia la verità sia molto più ricca e variegata di ogni facile giudizio sommario di colpevolezza o di assoluzione! 
A conclusioni analoghe su questioni diverse pervengono i saggi di Margherita Pelaja sull’«odio per il sesso» attribuito alla dottrina della Chiesa, senza alcuna considerazione del valore sacramentale da essa riconosciuto all’unione sponsale in una vera e propria esaltazione della corporeità, o di Giulia Galeotti sul tema della scienza, che mostra tanto la banalità di giudizi quali quello di Richard Dawkins sulla religione quale «malattia mentale che dovrebbe essere estirpata dai nostri cervelli», quanto la fondatezza di asserti come quello di padre Michael Heller sul fatto che «la scienza ci dà il sapere, la religione il significato».
La conclusione di Cristiana Dobner sul tema della sofferenza è suggello adeguato all’intero percorso del libro: tutt’altro che esaltazione del dolorismo, il cristianesimo è un costante inno alla vita e alla sua bellezza, che è tale anche nel tempo della prova e del dolore, se queste vengono assunte e trasfigurate dal di dentro con la forza dell’amore che ci viene del Figlio di Dio incarnato e con lui tutto offre per tutti. «Chi crede e vive con la Chiesa e nella Chiesa, sa che quello squarcio [della domanda sul dolore] è stato già, in antecedenza, colmato dal Padre che non solo è vicino a noi, ma soffre con noi e per noi» (p. 259). Qui la ricerca storica al servizio della verità si fa più cha mai proposta di vita, stimolo a sperimentare la bellezza di quanto la Chiesa può offrirci, al di là di ogni chiusura pregiudiziale che a essa si voglia opporre.
L'Osservatore Romano

Qui si misura il cammino dell’umanità




Violenza sulle donne e responsabilità di tutta la società. 

Anticipiamo le conclusioni che il già direttore della «Civiltà Cattolica» ha scritto per un articolo dedicato al tema delle violenze sulle donne in tutto il mondo che apparirà sul numero in uscita della rivista.
(Gianpaolo Salvini) Il cosiddetto “femminicidio” è soltanto il drammatico punto culminante di un comportamento perverso che considera la vittima, in questo caso una donna, come una proprietà personale, una bambola con cui si gioca sinché piace e che si può poi buttare via, o rompere, quando non serve più, o quando non corrisponde più nel modo atteso. Ma questo rivela una profonda distorsione dei comportamenti umani e del proprio relazionarsi con gli altri. A parte i casi chiaramente patologici, si tratta di delitti contro la persona che rivelano un mentalità distorta, che considera l’altro come un proprio possesso. Sono delitti che nascono spesso in un contesto affettivo profondo, talmente appassionato da far perdere il senso stesso dell’amore, che non è mai possesso, ma anzitutto desiderio di fare felice l’altra o l’altro.
Non manca tra gli assassini di donne qualcuno che dice: «L’ho uccisa perché l’amavo», frase che esprime una deformazione totale dell’amore autentico, che è anzitutto rispetto dell’altro e della sua libertà. L’amore è tanto più autentico quanto più è libero. La frase citata in realtà sottintende che l’altra è considerata un proprio possesso esclusivo, nel quale non conta ciò che l’altra liberamente sceglie. Il pensiero sottinteso, anche se non espresso, è in realtà: «Se non sei mia, non sarai di nessun altro». Ma l’amore non è mai sinonimo di possesso, né è accettabile che la morte sia la conseguenza di un amore deviato.
Le donne per secoli sono state culturalmente e socialmente considerate un bene dell’intera società, da proteggere e da difendere, cosa forse necessaria in altre civiltà e in altri contesti culturali, ma che spesso si è tradotta in un loro stato di inferiorità e di soggezione (dal punto di vista economico, di possibilità di studio e di lavoro, nelle scelte matrimoniali non libere e via dicendo), totalmente incompatibile con una civiltà come quella attuale, ma anche con una più profonda comprensione del valore della persona umana e della sua libertà. La soluzione non può evidentemente essere a una sola dimensione, tanto meno quella della vendetta o della ritorsione, quasi a voler infliggere agli autori di questi assassini le stesse sofferenze che hanno inflitto alle loro vittime. Un concetto questo ben lontano da quello di un moderno Stato di diritto, che tende a punire i reati, a far sì che vi sia la certezza della pena, ma che essa tenda anche al recupero del criminale.
Ovviamente il cristianesimo, nel suo insegnamento, si ritrova pienamente in questa concezione della pena, che dovrebbe avere un significato punitivo, ma anche redentivo.
La relatrice speciale dell’Onu contro la violenza sulle donne, la sudafricana Rashida Manjoo, ha parlato della necessità di ricorrere a un approccio globale, che cioè tenga presente allo stesso tempo le dimensioni politiche, operative, giudiziarie e amministrative, raccogliendo informazioni e dati, prevedendo mezzi adeguati per la tutela civile e penale, allestendo adeguati servizi sociali e case rifugio, adottando precise linee guida per le autorità giudiziarie, le forze dell’ordine e per i politici, spesso sinora “distratti” circa questo tipo di crimini. Ma riteniamo indispensabile soprattutto l’opera educativa, a ogni livello, che contribuisca a modificare modelli sociali e culturali di comportamento di uomini e donne e a eliminare i pregiudizi e le consuetudini che si fondano su idee di superiorità di un sesso sull’altro e su ruoli prefissati per gli uomini e per le donne, quasi sempre concepiti in modo favorevole ai primi.
Tutte le componenti della società sono evidentemente chiamate a fare la loro parte in questo compito, che non si esaurisce certo in poco tempo: famiglia, scuola, stampa, Chiesa, media e così via. I modelli culturali e gli usi sociali non si cambiano certo in breve tempo.
Dal punto di vista cattolico, a parte la condanna di ogni forma di violenza nei confronti di altre persone, basta menzionare la Lettera di Giovanni Paolo II alle donne (29 luglio 1995), in cui al n. 5 si afferma: «Come non ricordare la lunga e umiliante storia — per quanto spesso “sotterranea” — di soprusi perpetrati nei confronti delle donne nel campo della sessualità? Alle soglie del terzo millennio non possiamo restare impassibili e rassegnati di fronte a questo fenomeno. È ora di condannare con vigore, dando vita ad appropriati strumenti legislativi di difesa, le forme di violenza sessuale che non di rado hanno per oggetto le donne». Crediamo sia uno dei punti sui quali si può misurare il cammino compiuto dall’umanità.
L'Osservatore Romano

... ben venga anche la morte!



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Normalmente non è materiale che pubblico nel mio blog, però Dario Fo è stato davvero bravo questa mattina: denunciava tanto tanto amore. Struggente! Chiedo venia se il testo non è proprio ortodosso. D'altro canto fare l'interpretazione "autentica" del valore dell'amore umano è possibile solo a Chi quell'amore ha creato...

*
"Franca ed io abbiamo scritto quasi sempre i testi del nostro teatro insieme. Io mi prendevo l’onere di mettere giù la trama quindi gliela illustravo e lei proponeva le varianti, spesso li recitavamo a soggetto, all’improvvisa, come si dice... Questo era il metodo preferito ma non sempre funzionava. Si discuteva anche ferocemente, si buttava tutto all’aria e si ricominciava da capo. In verità mi trovavo a dover riscrivere di nuovo il testo da solo. Poi lo si discuteva con più calma e si giungeva ad una versione che funzionasse e che andasse bene a tutt’e due.
Anche Franca è stata l’autrice unica di alcuni testi. Ci sono opere, come per esempio “Parliamo di donne”, che furono stese da lei completamente a mia insaputa. Quando mi ha dato da leggere questa commedia già ultimata sono rimasto un po’ perplesso... e seccato! Ma come ti permetti?!? No, scherzavo...
Io ho proposto qualche variante ma di fatto si trattava di un’opera del tutto personale.
Pochi lo sanno ma la gran parte degli spettacoli che trattavano di questioni prettamente femminili è stata Franca ad averli scritti, elaborati e poi li ha recitati al completo spesso anche da sola. E io mi sono trovato a collaborare solo per la messa in scena.
Vi dirò di più: testi quali Mistero Buffo e Morte Accidentale di un Anarchico - che io avevo realizzato come autore unico - hanno avuto grande successo anche all’estero con centinaia di allestimenti dall’America all’Oriente, per non parlare dell’Europa.
Ma dei nostri lavori quello che ha battuto tutti i record di messa in scena è Coppia Aperta, Quasi Spalancata che è stato replicato con diverse regie per più di 700 edizioni nel mondo. Ebbene l’autrice unica di questo testo è Franca. L’ho sempre tenuto nascosto!
C’è in particolare un lavoro o meglio, un monologo, che Franca ha recitato solo qualche volta quest’anno, e di cui bisogna che io vi parli perché è fortemente pertinente alla situazione a dir poco drammatica che io sto in questi giorni vivendo.
Da tempo Franca aveva scoperto l’esistenza di alcuni testi apocrifi dell’Antico Testamento nei quali la Genesi è raccontata in termini e linguaggio molto diversi da quelli cosiddetti canonici.
Attenti, non sto parlando dei Vangeli apocrifi, ma dell’Antico Testamento... Apocrifo!
Ebbene da uno di questi testi Franca ha tratto un racconto che vi voglio far conoscere, quasi in anteprima. Eccovelo!
Siamo nel Paradiso terrestre. Dio ha creato alberi, fiumi, foreste animali e anche l’uomo. O meglio il primo essere umano ad essere forgiato non è Adamo ma Eva, la femmina! Che viene al mondo non tratta dalla costola d’Adamo ma modellata dal Creatore in un’argilla fine e delicata. Un pezzo unico, poi le dà la vita e la parola. Il tutto “prima” di creare Adamo; tant’è che girando qua e là nel paradiso Eva si lamenta che... della sua razza si ritrovi ad essere l’unica, mentre tutti gli altri animali si trovano già accoppiati e addirittura in branco. Ma poi eccola incontrare finalmente il suo “maschio”, Adamo, che la guarda preoccupato e sospettoso. Eva vuol provocarlo e inizia intorno a lui una strana danza fatta di salti, capriole e grida da selvatica... quasi un gioco che Adamo non apprezza, anzi prova timore per come agisce quella creatura... al punto che fugge nella foresta a nascondersi e sparisce; ma viene il momento in cui il Creatore vuole parlare ad entrambe le sue creature, umane. Manda un Arcangelo a cercarli. Quello li trova e poi li accompagna dinnanzi a Dio in persona.
L’Eterno li osserva e poi si compiace: “Mica male! mi siete riusciti... E dire che non ero neanche in giornata... ! Voi non lo sapete perché ancora non ve l’ho detto ma entrambi siete i proprietari assoluti di questo Eden! E sta a voi decidere cosa farne e come viverci. Ecco la chiave. E gliela getta. Vedete, qui ci sono due alberi magnifici (e li indica), uno – quello di sinistra – dà frutti copiosi e dal sapore cangiante. Questi frutti, se li mangiate, faranno di voi due esseri eterni. Sì, mi rendo conto che ho pronunciato una parola che per voi non ha significato: eternità... Significa che avrete la stessa proprietà che hanno gli angeli e gli arcangeli, vivrete per sempre, appunto in eterno! A differenza degli altri animali non avrete prole, perché, essendo eterni, che interesse avreste di riprodurvi e generare uomini e donne come voi, della vostra razza? L’altro albero invece produce semplici mele, nutrienti e di buon sapore. Ma attenti a voi, non vi consiglio di cibarvene! E sapete perché? Perché non creano l’eternità... ma in compenso, devo essere sincero, grazie a loro scoprirete la conoscenza, la sapienza e anche il dubbio.
Ancora vi indurranno a creare a vostra volta strumenti di lavoro e perfino macchine come la ruota e il mulino a vento e ad acqua. No, non ho tempo di spiegarvi come si faccia, arrangiatevi da voi. ... tutto quello che scoprirete; e ancora queste mele, mangiandole, vi produrranno il desiderio di abbracciarvi l’un l’altro e di amarvi... non solo, ma grazie a quell’amplesso, vi riuscirà di far nascere nuove creature come voi e popolare questo mondo. Però attenti, alla fine ognuno di voi morirà e tornerà ad essere polvere e fango. Gli stessi da cui siete nati.
Pensateci con calma, mi darete la risposta fra qualche giorno. Addio.

No. Non c’è bisogno di attendere, Padre Nostro! – grida subito Eva – Per quanto mi riguarda io ho già deciso, personalmente scelgo il secondo albero, quello delle mele. Se devo essere sincera, Dio non offenderti, a me dell’eternità non interessa più di tanto, invece l’idea di conoscere, sapere, aver dubbi, mi gusta assai! Non parliamo poi del fatto di potermi abbracciare a questo maschio che mi hai regalato. Mi piace!!! Da subito ho sentito il suo richiamo e mi è venuto un gran desiderio di cingermi, oh che bella parola ho scoperto cingermi!, cingermi con lui e farci... come si dice?! Ah, farci l’amore! So già che questo amplesso sarà la fine del mondo! E ti dirò che, appresso, il fatto che mi toccherà morire davanti a tutto quello che ci offri in cambio: la possibilità di scoprire e conoscere vivendo... mi va bene anche quello. Pur di avere conoscenza, coscienza, dubbi e provare amore... ben venga anche la morte!
Il Padreterno è deluso e irato quindi si rivolge ad Adamo e gli chiede con durezza: “E tu? ...che decisione avresti preso? Parlo con te, Adamo sveglia! Preferisci l’eterno o l’amore col principio e la fine?” E Adamo quasi sottovoce risponde: “ Ho qualche dubbio ma sono molto curioso di scoprire questo mistero dell’amore anche se poi c’è la fine"."
 Dario Fo

Papa Francesco contro i corrotti.




Un saggio sul degrado etico contemporaneo per il Pontefice che si fa «curato» di anime

 Si amplia con un testo di papa Francesco la collana di approfondimento in ebook del Corriere* -- Padre Zeus donaci il miracolo di un cambiamento». Nei frammenti lirici dell’antico poeta greco Simonide, morto cinquecento anni prima di Cristo, risuona la «parola temeraria» e «l’urlo», a quel «cambiamento di narrativa» che cinquanta giorni fa si è ripetuto per la Chiesa cattolica e per il mondo, con l’elezione di Papa Francesco. Sì, «cambiamento di narrativa», cambiamento stesso di contenuto delle parole, cambiamento della storia.
Corvi, scandali, accuse e controaccuse, dissolti, allontanati. Non perché non esistano più, ma perché il lavacro che li ripulirà sarà quello della Misericordia, prima ancora di quello della giustizia. «Misereando atque eligendo», come recita il motto di cardinale e di Papa di Francesco. E con corvi, scandali e documenti rubati è volato via anche il clima da «manipulitismo» di ritorno che si è respirato intorno al Vaticano nell’ultimo anno, e che ha trovato il suo climax esattamente nel maggio scorso, per molti aspetti ricalcando, quasi in una scimmiottatura, quello mondano degli anni Novanta. 
«Corruzione», denunciavano i documenti di Vatileaks, «corruzione» e «mancanza di trasparenza ». 
«Guarire dalla corruzione» per Bergoglio non è un programma politico o sociale, e neppure l’adeguamento ad uno standard internazionale. 
Per lui l’orizzonte della corruzione non è quello di mazzette, di appalti, di costi gonfiati. E il problema della corruzione non è quello di fare piazza pulita, ma di guarire da «quelle cose cattive che vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo» (Mc 7,20-23). 
Si tratta, insomma, di guarire il cuore. Di curare. Bergoglio è arrivato per noi, come il «Curato» del mondo e della Chiesa, colui che si prende cura, che pulisce e sana le ferite, alimenta di cibo, accarezza. «Non abbiate paura della tenerezza», ha detto. Curato, molto più che parroco. Perché parrocchia ha purtroppo acquisito un significato di chiusura, di cerchia ristretta, e invece il curato si prendeva cura delle anime dei cristiani di un vasto territorio, quello ancora non costituito in una parrocchia, in istituzione. Il curato si prendeva cura delle anime di quelle che Bergoglio chiamerebbe oggi, ai tempi della globalizzazione, «le periferie del mondo». E come il Curato d’Ars, Bergoglio va verso le periferie. In un abbraccio. 
Non parroco del mondo, meglio, curato del mondo, a cominciare dalla sua Chiesa di Roma. Curato di ognuno di noi, che siamo tutti — ad essere sinceri—delle «periferie del mondo». Ecco allora che si comprendono le brevi omelie della Casa Santa Marta. Casa, sì, casa, non «Palazzo Apostolico», non «Appartamento pontificio». Casa. Eppure, quella finestra spenta dell’Appartamento, la sera, quel buio che sovrasta il colonnato del Bernini, per un romano è un po’ come un occhio accecato, un occhio senza luce. Accettato dai romani, solo come necessaria contrizione, dopo tutto quello che è accaduto lì dentro con il maggiordomo Corvo. 
Francesco continuamente sottolinea che il problema della Chiesa non sono le strutture, l’organizzazione, che la Chiesa non è una Ong. E c’è come un’urgenza in questo ripetersi, come a dire «attenzione»—innanzitutto ai cattolici, ai preti, alla Curia — «attenzione, l’essenziale è questo» dice il curato che vuole confessare in parrocchia, e già lo ha fatto. La corruzione — scrive Bergoglio— «non si identifica affatto con una serie di peccati. Uno può essere un gran peccatore e, tuttavia, non essere caduto nella corruzione». E nel testo pubblicato ne I Corsivi fa esplicito riferimento a Zaccheo e Matteo, due pubblicani, esattori delle tasse romane, due che con i soldi avevano ben a che fare, e alla Samaritana, la donna che aveva avuto cinque mariti. 
«Curato» però è un participio passato, significa anche «colui che è curato ed amato». E forse per questo che il curato Francesco ha aperto il cuore e «piace» a credenti e non credenti. Ed è lui stesso amato, sinceramente, dal popolo, al di là dell’uso ideologico della sua immagine. È amato dal popolo, vox Dei, che segue con semplicità, forse con l’istinto del gregge, la sua voce. 
C’è invece chi (dentro e fuori il Vaticano) è rimasto  fermo all’altra narrativa, quella precedente le dimissioni di Ratzinger (perché bisognerà anche ricordare che la novità di Francesco è potuta arrivare solo grazie al gesto di Benedetto). Magari per negare quella narrativa. Se corvi, veleni, misteri li vogliamo definire «A». Tutti a invocare la negazione di «A», il «non A». 
E così è accaduto che le affermazioni di Bergoglio siano anche state grandemente banalizzate. 
Da attese del tipo: «la Curia sarà rovesciata come un calzino», «ci saranno pensionamenti eccellenti », «vedrete che spoil system» e, «chiuderà lo Ior». Francesco invece non ha scelto «non A». Ha scelto «B», ha imboccato una strada diversa, la sua. Da quasi tre mesi: il tempo del reset del cuore. Anche se dopo le strutture cambieranno, l’organizzazione cambierà. 
Tanto che ha già designato il cosiddetto G8, la Commissione di cardinali da tutto il mondo per la riforma della Curia e l’ha fatta presiedere al presidente della Caritas, Maradiaga. «Una chiesa povera per i poveri». 
«Padre Zeus donaci il miracolo di un cambiamento » scriveva Simonide di Ceo, cinquecento anni prima di Cristo. Il problema umano, ci dice Francesco, è tutto qui. Un miracolo, un fatto inatteso che irrompe nella vita e nella storia. Un caso, un accidente, come dicono gli atei, i materialisti («Democrito che il mondo a caso pone», scriveva Dante, nel canto IV dell’Inferno). 
Il caso, che, a guardar bene, è il nome laico di Dio. Il caso, o meglio, un amore, una grazia.
Maria Antonietta Calabrò, Corriere della Sera 31 maggio 2013

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