lunedì 27 maggio 2013

Amori lesbo, Chiese del silenzio e Radio "vaticane" (?)

La gioia del regista Abdellatif Kechiche e delle attrici Adele Exarchopoulos e Lea Seydoux

sopra: La gioia del regista Abdellatif Kechiche e delle attrici Adele Exarchopoulos e Lea Seydoux


FRANCESCO RINNOVA LA CHIESA (e pure la Segreteria di Stato): ECCO I VOLTI CHE INDICA (e lasciamo ai media gli idoli dei salotti anticattolici: un Requiem e poi che i morti seppelliscano i morti)


Quando sento dire “il prete degli ultimi” io penso al grande e umile fratel Ettore Boschini che, lontano da tutti i salotti e i riflettori, per anni, portando in giro la statua della Madonna di Fatima e col crocifisso rosso dei camilliani sulla veste, ogni notte nei gironi infernali di Milano raccoglieva, lavava amorevolmente, nutriva e curava barboni, clochard, sbandati, tossici e disperati, in un “rifugio” ricavato nel tunnel sotto la stazione centrale di Milano.
Non aveva tempo né per dormire, né per mangiare, tanto ardeva di compassione per Gesù crocifisso che vedeva nei suoi fratelli sofferenti, nelle loro piaghe coperte di sporcizia maleodorante.
E’ morto in fama di santità nel 2004. Sconosciuto ai salotti tv, ma conosciutissimo dai più poveri e dagli angeli di Dio (inizia ora a Milano il processo di beatificazione).
Mi è tornato in mente molte volte in queste settimane, sentendo ripetere a papa Francesco l’esortazione ai cristiani ad uscire dalle sacrestie e andare per le strade a portare la carezza del Nazareno a tutte le creature ferite dalla vita.

I VOLTI DA GUARDARE

Fratel Ettore era davvero “il prete degli ultimi”, come don Oreste Benzi, don Puglisi, padre Aldo Trento. E’ a figure come queste che occorre pensare quando si ascolta l’invito di papa Francesco a far risplendere la misericordia di Cristo nelle periferie esistenziali del mondo.
E non sono solo preti, ma anche religiosi come le suore di Madre Teresa, come suor Elvira della comunità Cenacolo, o come padre Cantalamessa che predica a migliaia di persone nei raduni carismatici, laici come Chiara Amirante, Andrea Aziani, Kiko Arguello, Paola Bonzi (quella del centro di aiuto alla vita della Mangiagalli), opere come Radio Maria (che il papa ha recentemente elogiato per la sua splendida opera) o Cometa di Como o i tanti sacerdoti che passano le ore nel confessionale (dove vorrebbe stare anche papa Bergoglio).
E poi i meravigliosi missionari sparsi ai quattro angoli del pianeta o i preti e religiosi, ancora meno conosciuti, che in tanti oratori, parrocchie, santuari accompagnano migliaia di giovani nel cammino della vita, alla ricerca del senso dell’esistenza, dell’amare, del lavorare, del soffrire.
Certo, nelle mani di fratel Ettore si trovava il rosario, non la sciarpa rossa, il sigaro e il pugno chiuso esibiti invece da don Gallo, il personaggio che i media di questi giorni osannano come “prete degli ultimi”, ovvero degli ultimi salotti conformisti.
Fu un frequentatore acclamato dei potenti salotti del pensiero dominante, che tracimano di arroganza ideologica e di bile anticattolica. Pace all’anima sua. Un prece.
Ma i funerali di don Gallo segnano la fine simbolica di un mondo, quello del cattoprogressismo degli anni Settanta.

UN PASSATO DA SEPPELLIRE

Ci sono ancora vecchi conati di cattoprogressismo, come quelli messi in pagina ieri da “Avvenire”, dove un certo De Giorgi faceva suo lo strale anticattolico per cui la Chiesa sarebbe “indietro di duecento anni”.
Ma nulla è più antiquato e ammuffito di queste ideologie clericali, relitti del secolo scorso. Dominano ancora nei giornali dove si continuano a dividere i cattolici fra intransigenti e conciliatori, fra progressisti e conservatori, fra conciliari e anticonciliari.
Tuttavia la realtà è altrove.
Perché nel frattempo la fantasia dello Spirito Santo ha portato la Chiesa nel terzo millennio e le ha donato un papa, Francesco, che non rientra in nessuno degli schemi mondani e che parla al cuore della gente.
I salotti sono sbalorditi e non capiscono. Mentre il semplice popolo di Dio e le persone comuni, affaticate dalla vita, lo capiscono benissimo. E si commuovono quando lui ripete accoratamente “Dio perdona sempre, perdona tutto, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”.
Non a caso i confessionali, che già negli ultimi anni stavano tornando a riempirsi (e ci sono statistiche sorprendenti), hanno ripreso ad accogliere più che mai cuori e anime, lacrime e gemiti.

STUPORE PER FRANCESCO

Alcuni polemisti ideologizzati hanno fatto qualche tentativo di contrapporre Francesco a Benedetto XVI, ma si sono dovuti arrendere perché Bergoglio non fa che mostrare, da pastore, da parroco del mondo, da padre quello che papa Ratzinger – col suo limpido insegnamento teologico – aveva raccomandato alla Chiesa (basta con l’autoreferenzialità, il carrierismo, la burocrazia, la mondanità, il clericalismo).
Non solo. Fa tesoro di ciò che il predecessore ha scritto per l’enciclica sulla fede e addirittura mette continuamente in guardia dal diavolo, secondo la più autentica via della tradizione cristiana. Arriva perfino a consacrare il pontificato alla Madonna di Fatima (inorridiscono i progressisti).
D’altra parte papa Francesco sconcerta pure tradizionalisti e reazionari, quelli che si fissano nelle forme, i velluti e le formule. E – secondo la  dottrina sociale cristiana – spiazza i potenti della finanza e della politica tuonando contro le ingiustizie del sistema economico planetario, in difesa delle sue vittime.

FERRARA E DINTORNI

Allegramente sorpreso e sconcertato si è detto anche Giuliano Ferrara che – da una prospettiva “ateodevota” – pensava di aver trovato, in Ratzinger, il condottiero di una Chiesa in armi contro il nichilismo e il multiculturalismo e poi se n’è detto deluso. Giuliano non ha capito che il discorso di Ratisbona non fu un manifesto teocon, ma – al contrario – una formidabile e incompresa demolizione della “teologia politica”. Ogni teologia politica.
Forse per comprendere questo pontificato bisogna leggere proprio un libro, appena uscito, che porta questo titolo, “Critica della teologia politica” e che ha la firma del maggior intellettuale cattolico italiano di oggi, quel Massimo Borghesi, allievo e collaboratore di Augusto Del Noce, figlio spirituale di don Giussani, che ha incontrato l’allora cardinale Bergoglio attorno all’affasciante personalità di don Giacomo Tantardini, alla rivista “30 Giorni”.
Un libro, quello di Borghesi, con cui significativamente converge oggi anche la riflessione del cardinale Angelo Scola nel suo – appena uscito – “Non dimentichiamoci di Dio”.
Sono certo che il pontificato di papa Francesco saprà trarre profitto dalla ricchezza di pensiero che fiorisce in queste pagine e anche in altre parti del mondo cattolico. Che – non tema Ferrara – non si arrende al nichilismo. Solo che lo combatte con armi diverse e stavolta davvero vincenti.

IL PADRE

Papa Francesco si sottrae ad ogni schema pure nelle controversie curiali. Basti vedere il candore e la leggerezza evangelica con cui, nei giorni scorsi, ha messo fine a un’annosa diatriba fra Cei e Segreteria di Stato vaticana su chi dovesse tenere i rapporti con la politica e le istituzioni (ovviamente i vescovi, ha spiegato il papa).
Con la stessa ponderata serenità si appresta – a giugno, secondo le voci – all’avvicendamento del Segretario di Stato, che ha ormai raggiunto la scadenza del suo mandato e delle proroghe.
Si tratta certamente di un evento di grande importanza, che chiude con un passato controverso e segnerà il futuro.
Eppure tutto sta avvenendo in una luce nuova, profondamente cristiana, anche grazie alla pastorale delle omelie quotidiane in Santa Marta, dove il Papa, come parroco del mondo, ogni giorno guida il suo popolo nel cammino, alla scoperta dei tesori di Gesù. Parole semplici che arrivano al cuore sia di chi – lavorando in Curia – è lì presente e magari riscopre la sua vocazione, sia di tutti i cristiani che vi si abbeverano ogni giorno.
Anni fa Thomas Wolfe ha scritto: “Ciò che più profondamente si cerca nella vita, la cosa che in un modo o nell’altra è stata al centro di ogni esistenza, è la ricerca dell’uomo per trovare un padre. Non soltanto il padre della propria carne, non soltanto il padre perduto della propria gioventù, ma l’immagine di una forza e di una sapienza alle quali la fede e la forza della propria esistenza possano essere unite”.
Questo è Francesco per il nostro tempo. Un padre. Che poi significa “papa”.

Antonio Socci

Da “Libero”, 26 maggio 2013

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La Chiesa del silenzio
di Riccardo Cascioli
Negli ultimi giorni sono accaduti diversi avvenimenti che per un cattolico non possono non suscitare alcune domande.

Partiamo dal primo e più recente: la morte di don Andrea Gallo.Personaggio che non ha bisogno di presentazioni, tutti sanno che la sua opera di accoglienza di poveri ed emarginati a Genova si accompagnava a continue provocazioni contro la Chiesa: dalla confessione di aver accompagnato delle prostitute ad abortire, al “Bella Ciao” cantata alla messa nel giorno dell’Immacolata, fino all’auspicio di vedere presto un Papa gay. Ha anche avuto per anni la possibilità di esternare la sua “visione” di Chiesa nei salotti televisivi, che frequentava con una certa assiduità e che lo hanno reso un personaggio famoso, senza peraltro che nessuno degli arcivescovi suoi superiori avesse mai da obiettare alcunché. Tralascio quanto avvenuto al funerale, che è perfettamente in linea con il personaggio e non meriterebbe neanche un commento, perché in fondo non credo che in tutta questa vicenda il problema più grosso sia quello che don Gallo era e faceva.

Personalmente ho apprezzato molto il venire a sapere che il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, andava a visitare di tanto in tanto don Gallo mantenendo con lui un rapporto umano e spirituale, tenendo sempre aperta la porta al dialogo, pur in un serrato confronto, come pare di capire dalle parole dello stesso Bagnasco. E’ una bella immagine, che mostra come la Chiesa non abbia nulla a che vedere con le ideologie e sia davvero maestra di umanità nella pratica, non nella teoria.

Però, e qui sta il punto, una tale premura pastorale sarebbe dovuta anche al resto del popolo di Dio, verso cui il primo compito sarebbe quello di indicare con chiarezza la Verità, la strada giusta. Perché la misericordia senza verità si chiama complicità. E invece alla morte di don Gallo abbiamo letto comunicati – e ascoltato l’omelia al funerale – in cui si celebra il prete “di strada” come un esempio più che positivo di sacerdozio vissuto, come se aprire la casa a poveri, trans e prostitute bastasse in sé per essere santi. In altre parole, a sentire il cardinale Bagnasco e il cardinale Tarcisio Bertone, predecessore di Bagnasco a Genova e attuale segretario di Stato vaticano, si fa fatica a cogliere una differenza tra Madre Teresa di Calcutta e don Gallo, o anche tra quest’ultimo e don Oreste Benzi. Eppure una differenza c’è: anche don Benzi accoglieva le prostitute e apriva la casa agli ultimi, anche madre Teresa raccoglieva per strada gli scarti della società (e non c’è neanche paragone tra Calcutta e Genova), ma il desiderio, la missione era quella di elevare tutti a Dio, non di abbassare Dio alla misura dell’uomo. Per questo madre Teresa e don Benzi, tanto per fare un esempio, non avrebbero mai accompagnato una povera ragazza ad abortire: erano convinti che l’aborto fosse il peggior crimine che si potesse commettere.

Un peccatore, consapevole di esserlo, ha bisogno di un Dio misericordioso non di un Dio complice: abbiamo bisogno di un Dio che è più grande di ogni peccato possiamo commettere, e ci dice “Và, sei perdonato, non peccare più, un’altra vita è possibile”. A cosa ci può servire un Dio che ci dice “Ma sì, non fa niente, continua così che ti voglio bene lo stesso”?

Ecco, da un vescovo mi aspetterei che ricordasse questa differenza, che aiutasse a discernere, pur nel rispetto dovuto ad ogni persona e perciò anche a don Gallo. Il silenzio, addirittura la benedizione di un certo cammino, portano solo confusione e altre persone che si metteranno sulla strada sbagliata.

Ma veniamo a un secondo fatto, di natura completamente diversa: Festival di Cannes, vince il film “La vie d’Adelie”, che nei giorni della proiezione ha fatto parlare di sé soprattutto per la lunga e dettagliata scena lesbo delle due protagoniste. Non ho visto il film ma non ho dubbi sul fatto che sia fatto bene e bene interpretato - a volte anche i film porno si dice che lo siano - però ascoltare Radio Vaticana esaltare anche il contenuto del film lascia di stucco. Ecco cosa ha detto il corrispondente da Cannes: “Adèle legge Marivaux e s’interroga sull’amore. Sente il bisogno di un sentimento forte che abiti il suo corpo, ma non ancora l’attrazione fatale, l’affinità che la leghi a un altro essere umano. Nel frattempo prova - prova gli altri e si mette alla prova - forse capisce che può trovare nella sessualità femminile ciò che cerca. Poi l’amore arriva attraverso uno sguardo, un piacere condiviso, un vago desiderio di vivere l’altra persona in profondità”. 

Insomma, per Radio Vaticana – che si autodefinisce “la voce del Papa e della Chiesa” – non c’è assolutamente alcun problema, nulla di strano nel fatto che una ragazza si apra all’amore con un’altra ragazza: eterosessuale o omosessuale non fa alcuna differenza, l’importante è l’amore, l’importante è provare. Sicuramente un bel messaggio per gli adolescenti: se anche la radio del Papa si piega all’ideologia omosessualista, cos’altro dobbiamo aspettarci?

Prosegue Radio Vaticana, affermando che il film è “interpretato da due attrici formidabili (Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos), messo in scena con una fluidità che non fa avvertire lo scorrere del tempo, ricco di scene indimenticabili di esplosione dei sentimenti”. 
Esplosione di sentimenti? Ecco come la spiega il quotidiano Repubblica: «Lunghissime scene esplicite tra le attrici Lea Seydoux e Adele Excharchopoulous che si amano con estrema varietà, voracità, fantasia di posizioni, quantità di orgasmi. Momenti che "sono necessari a raccontare l'incantamento del loro rapporto", dice il regista».

Non è un problema di moralismo, ma di giudizio: un frutto avvelenato può essere presentato benissimo, nel modo più accattivante possibile, ma resta sempre un frutto avvelenato. E questo va detto con chiarezza, ma ormai il giudizio sembra essere merce rara, anche lì dove ci si aspetterebbe di trovare l’ultimo appiglio, l’ultima resistenza alla mentalità mondana.

Ed eccoci all’ultimo fatto: assemblea generale dei vescovi italiani, aperta lunedì scorso dalla prolusione del presidente della Cei (Conferenza episcopale italiana), cardinale Bagnasco. Come sempre, tanti i temi toccati, ma su tutti fanno notizia due messaggi che partono chiari: guai a chi minaccia il governo di larghe intese (l’Italia ha bisogno di stabilità politica) e preoccupazione per la disoccupazione (il lavoro è la prima emergenza del paese). Per carità, nulla da dire su questi argomenti: del resto, chi prenderebbe la parola per sostenere la necessità di aumentare la disoccupazione? Perciò, plauso generale.

Solo che a noi era sembrato che ultimamente ci fosse qualche altro problemino per cui magari i cattolici dovessero preoccuparsi: ad esempio, su La Nuova BQ abbiamo parlato nei giorni scorsi della Strategia nazionale per la prevenzione dell’omofobia varata dal Dipartimento delle Pari Opportunità, un documento agghiacciante che vedrà presto luoghi di lavoro e, soprattutto, scuole trasformate in “campi di rieducazione”gestiti da gay e trans per convincere che maschio e femmina non esistono, esiste solo quello che in quel momento immaginiamo di essere. E’ l’ideologia di genere, quella che Benedetto XVI aveva pochi mesi fa definito come una delle più gravi sfide che la Chiesa ha davanti, perché è un attacco diretto al piano di Dio, alla Creazione. Cos’altro dovrebbe starci a cuore più di questo? Ma per la Cei non pare un problema, tanto che anche il quotidiano dei vescovi – pur avendo avuto quel documento in mano prima che fosse reso pubblico – ha deliberatamente scelto di non parlarne. Avranno senz’altro delle buone ragioni, ma che almeno ce le spieghino, così ci tranquillizziamo pure noi.

Nel frattempo, l’attacco laicista è partito frontale anche sulla libertà di educazione: a Bologna proprio ieri si è svolto il referendum promosso da chi vorrebbe togliere i fondi comunali alle scuole paritarie. Affluenza bassa, ma i promotori hanno vinto: conseguenze pratiche immediate nessuna, il referendum era consultivo e il sindaco (democratico) non ne vuole sapere, ma dal punto di vista politico e sociale le conseguenze saranno pesantissime. Si può scommettere su un’ondata di iniziative di questo genere in tutta Italia, che metterà in difficoltà sì le scuole cattoliche ma con queste anche la possibilità delle famiglie di scegliere liberamente la scuola per i propri figli.

Eppure anche di questo nessuna traccia nella prolusione: è vero, il cardinale Bagnasco aveva preso chiaramente posizione su questo tema lo scorso 3 maggio parlando a un convegno sulla scuola, ma è curioso che tale questione – vitale anche per l’economia del paese – non abbia trovato spazio tra le preoccupazioni dei vescovi nella loro assemblea. E sì che la libertà di educazione è uno dei princìpi non negoziabili.

Né sembra aver lasciato ferite l’atto sacrilego compiuto il 1° maggio davanti alla cattedrale del Papa, San Giovanni in Laterano, nel corso del Concertone organizzato dai sindacati (anche quello “cattolico”, la Cisl, il cui segretario Raffaele Bonanni ha addirittura accusato di strumentalizzazione chi ha protestato per quella bestemmia pubblica). Nessun cenno dunque, sebbene i gesti vandalici contro i simboli cristiani siano in preoccupante aumento. Ciò che conta, per il futuro dell’Italia, sembra sia il lavoro e il governo stabile (a prescindere da quello che fa).

E’ evidente a questo punto che qualcosa mi sfugge, sicuramente sono io a non capire qualcosa e sarò grato a quanti volessero colmare questa lacuna. Però, lo stesso mi scappa un po’ da ridere a vedere quanto si agitano questi laiconi che ce l’hanno con la Chiesa, si preoccupano di promuovere leggi per tapparle la bocca, evitano che politici cattolici vadano in posti “sensibili”. Che spreco di energie, compagni: non vedete che si sono già silenziati da soli?