martedì 14 maggio 2013

Fratelli al di là delle differenze




“Vi accolgo come dono del Signore in questa visita alla Chiesa di Dio che è in Milano. Siate i benvenuti nelle terre di Ambrogio”. Così l’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, ha accolto questa mattina in Curia il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e la delegazione ortodossa da lui guidata, giunti a Milano per le celebrazioni dei 1700 anni dell’Editto di Milano e dell’inizio della libertà religiosa in Occidente. Bartolomeo I è arrivato all’aeroporto di Malpensa, dove è stato accolto da una delegazione della Chiesa ambrosiana e rappresentanti delle autorità civili. Successivamente il patriarca e la delegazione ortodossa sono stati ricevuti in arcivescovado dal cardinale Scola. La visita di Bartolomeo è il momento culminante delle celebrazioni dell’Editto di Milano e l’arcivescovo - nel suo saluto - ha sottolineato la portata storica di quell’avvenimento: “Noi oggi vi leggiamo l’inizio aurorale della più recente presa di coscienza di un principio supremo: la libertà religiosa quale diritto inalienabile della dignità della persona umana. E proprio la necessità di difendere e promuovere la libertà religiosa nelle società plurali del mondo contemporaneo sarà al centro della nostra attenzione in questi giorni della vostra visita”. Il Sir ha chiesto a monsignor Gianfranco Bottoni, responsabile del Servizio dell’ecumenismo e dialogo dell’arcidiocesi di Milano, il significato di questa visita e di questo evento.

Quale significato ha oggi l’Editto di Milano?
“Quello del 313 è un evento importante perché, seppure per pochi decenni, fu riconosciuta una libertà di culto per tutte le espressioni religiose presenti nell’impero di allora e segnò una svolta per i cristiani che passavano da una situazione di clandestinità e di persecuzione alla possibilità di esprimere liberamente il proprio culto. Poi già nel 380 con Teodosio, le cose cambiano nel senso che il cristianesimo diventa religione di Stato e, quindi, la libertà religiosa, intesa nel senso moderno del termine, viene meno con un lungo tempo di latenza. Si tratta di un diritto inalienabile della persona umana che corrisponde all’ispirazione cristiana dell’Evangelo. Oggi siamo in una situazione decisamente nuova: in un contesto, cioè, di società plurale dove la dimensione religiosa e culturale è sempre più frazionata e, comunque sia, in ogni caso espressa in modo pluralista. Pertanto, il discorso della libertà assume un’attualità notevolissima: deve essere ripensato non solo nei termini del diritto e della dignità della persona umana ma anche di uno spazio pubblico nella società in cui le diverse fedi e visioni del mondo possano esprimersi liberamente”.

Quali sono le sfide che più preoccupano la Chiesa?
“Il problema è che ogni religione ha una sua tendenza ad assolutizzare il proprio messaggio e, pertanto, c’è il rischio che questa tendenza - se mal interpretata o se ci si allontana dalle fonti autentiche - scivoli poi nella deriva del fondamentalismo e dell’integralismo. Ogni religione ha al proprio interno questo rischio di deriva. Oggi, in particolare, preoccupa la deriva fondamentalista che nell’Islam è presente e crescente. Questo non significa che tutto l’Islam o la realtà religiosa debba essere considerata fondamentalista. Significa piuttosto che è fondamentale la capacità di aprirsi al dialogo e di sapersi rapportare con identità religiose e culturali diverse dalla propria”.

In questi giorni a Milano è presente anche il patriarca Tawadros II, capo della Chiesa ortodossa copta d’Egitto: porta in Occidente la voce dei cristiani d’Oriente che soffrono la persecuzione a causa della loro fede.
“La venuta del patriarca Tawadros II è legata sostanzialmente all’invito che Papa Francesco gli ha rivolto di un incontro a Roma che è già avvenuto. Il patriarca viene a visitare le comunità presenti in Italia e, quindi, anche a Milano e, poi, a Venezia. È certo che abbiamo a che fare con un testimone molto importante di una Chiesa che sta vivendo anni di prova. Tra l’altro ha avuto anche il coraggio di denunciare con forza che la politica in Egitto non deve limitarsi alle parole e dire che i cristiani sono protetti, ma deve passare ai fatti, visto che non a caso c’è stato un esodo enorme di cristiani copti in tutto il mondo e anche qui, in Italia, e, in particolare, a Milano, proprio perché nella loro patria non si poteva continuare a vivere. Una situazione pesante di cui il patriarca è testimone vivente, come lo è per noi il vescovo della Chiesa ortodossa copta di Milano Anba Kirollos: un uomo di Dio, con una spiritualità fortissima, che porta questa comunità a vivere la violenza e le persecuzioni di cui sono vittime con la grazia del martirio”.

Milano è capitale dell’ecumenismo nei giorni in cui la città è sotto choc per le follie pluri-omicide dell’immigrato ghanese a Niguarda. Cosa dire?
“Le forme di follia e di violenza sono a prescindere dalla dimensione plurale di una società perché purtroppo fatti gravissimi e sanguinosi sono avvenuti in passato anche avendo protagonisti italiani. Non sono quindi fatti legati né all’etnia né alla cultura né alla religione. È follia. È chiaro che, quando questo avviene con persone che sono immigrate e che per la situazione di precarietà più facilmente possono essere preda di questi raptus, nasce il problema. Però bisogna anche avere l’equilibrio e soprattutto l’onestà di non strumentalizzare questi episodi ad altri fini e obiettivi. Bisogna, quindi, essere vigilanti e attenti ma nei confronti di tutti, dire no alla violenza e sì alla difesa del cittadino. Vanno capite le reazioni che ci possono essere, anche se vanno aiutate a essere razionali e non semplicemente preda di emotività”.

Quale messaggio, allora, proprio in questi giorni può arrivare dalle Chiese alla società italiana rispetto alla convivenza?
“La storia delle Chiese cristiane è emblematica, nel senso che abbiamo alla spalle secoli di divisioni, guerre, incomprensioni, reciproche scomuniche, violenze. Da un secolo abbondante, però, le Chiese hanno messo in atto un cammino, sotto la guida dello Spirito Santo, che è quello del movimento ecumenico dove hanno fatto un’inversione di rotta e, anziché continuare a dividersi, sono andate nella direzione di un progressivo cammino verso la riconciliazione e l’unità. Questa testimonianza può diventare davvero un messaggio significativo per la società dove le diverse culture spesso si contrappongono per motivi economici, culturali, ideologici. Si tratta allora di fare come le Chiese un’inversione di rotta e mettersi in cammino verso la pace, l’unità della famiglia umana perché siamo tutti figli e figlie di Dio e, pertanto, fratelli e sorelle al di là delle differenze”.(M.C.Biagioni)
Sir


*

E’ stata scandita dalla preghiera la visita, nel pomeriggio, del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, alla comunità monastica di Bose. Sui temi al centro di questo incontro Amedeo Lomonaco ha intervistato il priore della comunità monastica, Enzo Bianchi:

R. – La situazione delle nostre Chiese, dei dialoghi bilaterali che avvengono tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse, ma anche l’istituzione della facoltà teologica di Calchi, dove l’attuale Patriarca vorrebbe che ci fosse anche la nostra presenza nell’insegnamento, e il Sinodo panortodosso, che con molta fatica certamente il Patriarca persegue come un evento necessario, innanzitutto per gli ortodossi, in vista dell’unità di tutte le Chiese.

D. – Il significato di questo incontro con il Patriarca ecumenico Bartolomeo I...

R. – Il Patriarca Bartolomeo I giunge in comunità per la quarta volta. C’è un legame profondo tra la nostra Comunità e il Patriarcato di Costantinopoli. La nostra semplice e povera azione per l’ecumenismo ha sempre avuto la possibilità di essere in sintonia con l’azione ecumenica del Patriarcato. Ci sono sempre continui scambi che sono anche scambi, soprattutto, con i monasteri ortodossi di Grecia e delle altre Chiese.

D. – E quali sono i frutti di questi scambi?

R. – Per noi, certamente, la presenza di molti nostri monaci in monasteri ortodossi. I nostri fratelli possono andare sul Monte Athos e loro, dal Monte Athos, vengono da noi, passano nel nostro monastero. C’è quindi uno scambio di doni. Ci aiutiamo reciprocamente a respirare con i grandi polmoni della spiritualità d’Oriente e d’Occidente. Poi, facciamo in modo che Bose sia anche un luogo in cui gli ortodossi, tra loro, possano trovarsi come a casa loro. E questo avviene ogni anno, soprattutto in un Convegno sulla spiritualità ortodossa al quale partecipano tutte le Chiese ortodosse, con delegazioni di teologi, di vescovi e di monaci, per un dialogo fruttuoso, perché davvero si possa intravedere la comunione tra tutti i cristiani.

D. – Bose è un luogo dove far respirare a pieni polmoni il dialogo ecumenico...

R. – Noi cerchiamo. Siamo una semplice comunità, una comunità monastica di una novantina di monaci e monache, che vivono soprattutto pregando e lavorando. Siamo una realtà molto semplice, ma certamente molto convinta che l’ecumenismo non sia un’opzione, ma faccia parte dell’atteggiamento che il cristiano deve vivere, vivendo la sequela del Signore.

Radio Vaticana 

 *

Bartolomeo I a Milano, «un dono del Signore» (Editto di Milano)

*

Ecumenismo: Venezia, incontro tra mons. Moraglia e il Patriarca Tawadros II
SIR
Nel nome di san Marco e del “legame di amore fraterno” che esiste tra le rispettive Chiese, si è svolto oggi nel Palazzo patriarcale di Venezia l’incontro tra il patriarca Francesco Moraglia e Sua Santità Tawadros II (il “Papa” dei Copti), giunto con una delegazione di metropoliti (...)