sabato 11 maggio 2013

I primi santi di Papa Francesco





Il cardinale Amato parla delle canonizzazioni di domenica 12 maggio. 

(Nicola Gori) I numeri della prima canonizzazione di Papa Francesco sono già un piccolo record. Domenica 12 maggio, in piazza San Pietro, in un’unica celebrazione il Pontefice eleva agli onori degli altari ben 802 santi. Di questi, 800 sono martiri, caduti a Otranto durante l’assedio dei turchi nel 1480. Le altre due sono suore fondatrici di congregazioni religiose: Laura Montoya y Upegui — la prima santa della Colombia che viene canonizzata dal primo Papa latinoamericano della storia — e la messicana María Guadalupe García Zabala. Ne abbiamo parlato in questa intervista al nostro giornale con il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
Cominciamo dai martiri idruntini, la cui vicenda presenta aspetti esemplari sia dal punto di vista storico sia dal punto di vista religioso.
In effetti si tratta di una vicenda per molti aspetti singolare. Dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, l’impero ottomano mirava all’espansione nell’Italia meridionale. Per questo, il 28 luglio 1480, una flotta di circa 140 navi con 15.000 uomini apparve al largo della città di Otranto, che allora contava non più di 6.000 abitanti. Il disegno era quello di cominciare dall’estrema punta della penisola salentina per conquistare l’Italia meridionale. In quel momento la difesa della città era sguarnita, perché il presidio aragonese era impegnato militarmente in Toscana. Alla richiesta di resa, gli idruntini rifiutarono decisamente. La città fu bombardata fino al 12 agosto, quando fu conquistata dagli ottomani, che la saccheggiarono e profanarono la cattedrale, uccidendo l’arcivescovo Stefano, i canonici e tutti i sacerdoti e i fedeli che si erano rifugiati in essa.
Che cosa avvenne agli altri abitanti della città scampati all’eccidio?
Il giorno dopo il comandante della flotta Gedik Achmed Pascià, cristiano di origini albanesi convertitosi all’islam, ordinò che tutti gli uomini superstiti — circa ottocento dai quindici anni in su — fossero condotti presso l’accampamento turco e costretti a rinnegare la loro fede. Di fronte a questa ingiunzione, la loro riposta fu immediata e decisa. La espresse, a nome di tutti, il laico Antonio Primaldo, un umile artigiano, che disse: «Noi crediamo in Gesù Cristo Figlio di Dio, nel quale siamo salvati. Preferiamo mille volte morire che rinnegarlo e farci musulmani». Fu lui a incoraggiare ognuno a perseverare nella fede. Davanti a questo rifiuto, Gedik Achmed Pascià ordinò l’immediata esecuzione capitale di tutti gli ottocento idruntini. Furono decapitati e il loro corpo successivamente straziato. Per circa un anno i cadaveri giacquero insepolti sul luogo del supplizio, il colle chiamato poi dei martiri, fino a quando non vennero ritrovati nel maggio del 1481 dalle truppe aragonesi tornate per liberare Otranto dagli ottomani. Immediatamente il popolo li considerò martiri della fede e cominciò a venerarli e a invocarli. I resti mortali furono collocati nella vicina chiesa al fonte della Minerva e poi trasferiti in cattedrale. Alcuni di questi corpi furono, per volere di Alfonso d’Aragona, trasportati a Napoli.
È significativo il fatto che sia stato proprio un laico a guidarli e a incoraggiarli.
Quel laico, con la fede dei semplici, senza arzigogoli e senza discettazioni teologiche, arriva dritto al centro della questione, perché la sua affermazione è di una chiarezza e di una semplicità disarmanti: noi crediamo in Gesù Cristo nel quale siamo salvati. Preferiamo mille volte morire che rinnegarlo. Viene in mente la nota espressione del piccolo Domenico Savio: «La morte ma non peccati». Sono le cose semplici che fondano la fede dei cristiani. Diceva il cardinale Joseph Ratzinger, quando lavoravo alla Congregazione per la Dottrina della Fede: «Noi siamo qui non tanto per discutere con i teologi, quanto per difendere la fede dei fedeli, la fede semplice dei fedeli, che è anche la nostra». Ecco perché a volte abbiamo delle riserve sul lavoro di alcuni teologi, proprio perché invece di difendere la fede contribuiscono a demolirla.
Quale messaggio scaturisce per gli uomini del nostro tempo?
Innanzitutto, bisogna dire che questi 800 martiri hanno salvato l’Italia nella sua identità cattolica e cristiana. La vicenda è singolare da un punto di vista storico, perché contribuì ad arrestare l’espansione musulmana in Europa, prima ancora di Lepanto, nel 1571, e prima ancora dell’assedio di Vienna, nel 1683. Da un punto di vista religioso poi, il comportamento di questi 800 uomini è un esempio straordinario di fortezza cristiana, di difesa della propria identità battesimale. Ed è anche un grido di libertà di coscienza, profondamente umiliata dalla negazione dei fondamentali diritti umani. Non si può obbligare a convertirsi. Il cristianesimo ha sempre vissuto in questa libertà.
Questa canonizzazione potrà avere ricadute positive anche sul dialogo tra le religioni?
Io credo di sì, proprio perché riproporrà il valore della libertà di coscienza. Metterà in evidenza che ogni persona umana è libera di professare la propria religione, ma non di imporla.
Sono occorsi più di cinquecento anni per giungere alla loro canonizzazione. Come si spiega?
Questi ottocento uomini furono da subito riconosciuti e venerati come martiri dal popolo, che li riteneva validi intercessori presso Dio. Fin da allora la chiesa di Otranto ha celebrato devotamente la loro memoria annuale, il 14 agosto. Formalmente la prima inchiesta per la loro beatificazione si ebbe nel 1539. Seguirono poi vari processi e decreti, sia per la conferma di culto sia per il riconoscimento del martirio. Dopo la promulgazione del decreto sul miracolo — la guarigione di suor Francesca Levote da un cancro allo stadio terminale — e dopo il concistoro dell’11 febbraio scorso, Benedetto XVI fissò, come uno degli ultimi atti del suo pontificato, la data della canonizzazione al 12 maggio 2013.
Cosa può dirci delle due religiose?
Suor Laura Montoya y Upegui, nata in Colombia nel 1874 e morta a Medellín nel 1949, fondò la congregazione religiosa delle Missionarie di Maria Immacolata e Santa Caterina da Siena, che ebbe subito uno sviluppo prodigioso, con numerose vocazioni e numerose istituzioni e missioni. Anche per la sua canonizzazione il miracolo riconosciuto riguarda la guarigione da un cancro. Suor Laura lavorò molto per l’evangelizzazione e l’emancipazione degli indigeni. Similmente a Laura Troncatti — la religiosa delle Figlie di Maria Ausiliatrice beatificata il 24 novembre dello scorso anno — che in Ecuador ha liberato gli indios shuar dai vincoli di un paternalismo esasperato e di dominio, aprendoli alla libertà di coscienza, alla possibilità di sposarsi per amore e non per imposizione dei genitori, e soprattutto alla dignità della vita.
E riguardo alla suora messicana?
Si tratta di madre María Guadalupe García Zabala, confondatrice della congregazione delle Serve di Santa Margherita Maria e dei Poveri. Nata a Zapopan in Messico nel 1878, da giovane si sentì chiamata alla vita religiosa nel servizio degli infermi e dei poveri. Durante il periodo della feroce persecuzione anticattolica (1926-29) fu coraggiosa, insieme alle sue consorelle, sia nel proteggere sacerdoti e laici dalla furia omicida dei rivoluzionari, sia nel curare e assistere i feriti di ogni genere, inclusi gli stessi rivoluzionari, che per questo proteggevano e difendevano le suore e i loro ospedali. Madre Lupita, come veniva affettuosamente chiamata, si spense a Guadalajara in Messico all’età di 85 anni. Attualmente le suore da lei fondate hanno numerose case in Messico, Perú, Stati Uniti d’America, Islanda, Grecia e Italia. Il miracolo per la sua canonizzazione riguarda una guarigione da emorragia cerebrale. Era caritatevole nei confronti dei malati ed è passata indenne attraverso la persecuzione perché aiutava tutti senza discriminazioni ideologiche. Veniva da alcuni lodata, da altri sopportata. Questa maternità nei confronti di chi soffre rappresenta un tipico carisma femminile. Anche se i feriti erano persecutori, li trattava come figli.
In effetti, anni di persecuzioni violente non hanno spento il fervore dei cristiani messicani.
La persecuzione appartiene alle beatitudini evangeliche. È la norma. Dove c’è persecuzione la Chiesa vive; dove non c’è persecuzione la Chiesa rischia di adagiarsi sugli allori o peggio di corrompersi. Molte volte dimentichiamo le beatitudini evangeliche. Ecco perché quando sento troppi battimani all’indirizzo dei cristiani resto un attimo perplesso.
C’è un filo comune che unisce queste canonizzazioni?
Va sottolineato che le due suore sono latinoamericane. Per una manifestazione della divina Provvidenza, saranno canonizzate da Papa Francesco, primo Pontefice latinoamericano. È un ulteriore segno di incoraggiamento alla Chiesa di quel continente, chiamata a eccellere nella testimonianza cristiana e nell’espansione del regno di Dio su tutta la terra. Sono inoltre due donne che hanno avuto nella Chiesa grande libertà di azione apostolica, fondando in varie parti del mondo istituzioni che sono ancora di grande beneficio per tutti, soprattutto per i poveri, gli ammalati, gli emarginati. Ancora una volta i santi si rivelano grandi benefattori dell’umanità. Infine, si tratta di due congregazioni impegnate nella missione non solo della catechesi ma anche dell’evangelizzazione di tutti, cristiani e non cristiani. Dopo il sinodo sull’evangelizzazione e nel pieno svolgimento dell’Anno della fede è importante sottolineare questo aspetto. La santità non è un dono che si tiene per sé; va condiviso con generosa carità. Il bene, infatti, è di per sé diffusivo. Più lo si dona, più si espande e cresce. Ancora una volta i santi si rivelano il vero tesoro della Chiesa.
L'Osservatore Romano

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Gli ottocento martiri di Otranto. Vita da uomini con grandi sogni

(Quintino Gianfreda - Vicario generale dell’arcidiocesi) Fin dall’antichità la Chiesa idruntina celebra il 14 agosto di ogni anno la memoria di Antonio Primaldo e dei suoi compagni martiri. Il culto tributato a questi testimoni della fede ha raggiunto il suo culmine nel 1980, in occasione del quinto centenario dell’evento. In quella circostanza le celebrazioni furono concluse solennemente con la messa celebrata da Giovanni Paolo II il 5 ottobre 1980 a Otranto. Dal 1988 è stato seguito l’iter per il decreto sul martirio, conclusosi il 6 luglio 2007 con la autorizzazione di Benedetto XVI alla pubblicazione del decreto. Dopo l’istruzione dell’inchiesta diocesana e la rispettiva fase romana su un presunto miracolo attribuito all’intercessione dei martiri di Otranto, il 20 dicembre 2012 Benedetto XVI ha autorizzato la pubblicazione del decreto sul miracolo, riguardante la guarigione «rapida, completa e duratura» di suor Francesca Levote, delle monache dell’ordine delle clarisse nel monastero di Soleto, cittadina presso Otranto. La religiosa, affetta da una grave forma di carcinoma, è guarita nel 1980 grazie all’intercessione dei martiri. Ciò conferma e sancisce la certezza che la Chiesa idruntina da sempre ha avuto, riconoscendo e venerando come martiri della fede i caduti sul colle della Minerva.
Per la ricorrenza della canonizzazione il pastore dell’arcidiocesi idruntina, monsignor Donato Negro, nella solennità di Pasqua ha scritto una lettera ai fedeli intitolata I loro nomi sono scritti nei cieli. In essa ha esortato la comunità diocesana a mettersi «alla scuola dei santi testimoni di Otranto» scorgendo «nella loro storia il riflesso del Vangelo», per comprendere «cosa dicono e insegnano a noi, uomini e donne del XXI secolo». 
I martiri di Otranto rappresentano ancora oggi una luce che brilla. La sua sorgente è la confessione esplicita del Signore Gesù Messia e Salvatore. Essi insegnano che essere cristiani non solo è possibile, persino in contesti di vita difficili e a volte violenti, ma è anche esaltante, perché mostra la pienezza di vita che scaturisce dal seguire Gesù per amore.
A tutti è data, accogliendo il dono della fede, la possibilità di aprirsi alla comprensione dell’insegnamento dei martiri di Otranto e di quanti «battezzati, ancora oggi, in varie parti del mondo vengono uccisi, martirizzati a causa della loro fede in Gesù Crocifisso». Inoltre, «il sangue dei martiri di Otranto è un tesoro prezioso che forma parte di quella nascosta energia che penetra ed alimenta, nella sua più profonda vitalità, la Chiesa a livello universale e locale», come ha sottolineato Giovanni Paolo II il 5 ottobre 1980. Ne deriva l’invito a restare in comunione con i martiri, che «scavano l’alveo più profondo del fiume divino della storia e costituiscono i fondamenti più consistenti di quella città divina che si eleva verso l’eternità». 
Dai martiri si sprigiona una potenzialità di energia spirituale in grado di cambiare e orientare verso Gesù Crocifisso e Risorto il cuore dell’uomo. La canonizzazione è una grande festa spirituale che sollecita i battezzati «a rinnovare le promesse battesimali e a professare la fede», come scrivono i vescovi pugliesi nel loro messaggio alle Chiese della regione, specificando che «la venerazione dei santi martiri di Otranto ci fa meditare sulla verità della nostra scelta di fede e sulle necessarie conseguenze di coerenza nelle scelte della vita, cioè nel quotidiano vissuto esistenziale di ciascuno». 
E i vescovi, come pastori delle Chiese di Puglia, si rivolgono a tutti, in particolare ai giovani, indicando la scelta dei martiri, «uomini autentici, forti, decisi, coerenti, ben radicati nella storia»: uomini che amavano la loro città, fortemente legati alle loro famiglie e, soprattutto quelli più giovani, animati dai grandi sogni della vita. Essi «fecero, con lucidità e con fermezza, la loro scelta per Cristo». 
È questo il terreno fecondo dove affonda la radice della grandezza spirituale di questi martiri. Una grandezza che si percepisce con forza quando si sosta in venerazione nel cappellone dove sono custodite le loro reliquie. E commuove l’atteggiamento raccolto di uomini e donne, in ogni ora del giorno, che lì si interrogano sulla propria vita di cristiani e scoprono o intravedono, pregustandolo in anticipo, un orizzonte più nitido e profondo per la propria esistenza, degna di essere spesa per ideali illuminati dalle beatitudini evangeliche. Sostando in quel luogo si prova come la sensazione che il tempo si sia fermato per confermarci che, solo accogliendo Cristo nella propria vita e facendone quotidiana esperienza, si raggiunge quella pienezza umana e spirituale che rende ricchi di gioia e di speranza e, perciò, capaci di farsi amici di viaggio di ogni uomo. 
La canonizzazione dei martiri di Otranto è anche un’occasione propizia per Papa Francesco, che con la sua profonda spiritualità e la sua francescana semplicità chiama la Chiesa e tutti noi ad avere il coraggio della fede, che vivifica ed eleva l’uomo aprendolo a un reale rinnovamento di vita.
L'Osservatore Romano