giovedì 16 maggio 2013

Insieme, in preghiera per l'unità.




Un momento di alta intensità spirituale, una preghiera comune in un luogo, la Basilica di Sant’Ambrogio, in cui la Parola parla anche attraverso la bellezza e la storia, in cui la venerazione delle reliquie dei santi della Chiesa indivisa diventa il momento più forte del comune sentire le stesse radici. Si è svolta con questo spirito, questa mattina, la celebrazione ecumenica che ha unito cattolici e ortodossi, presieduta da Sua Santità il Patriarca Bartolomeo I e dall’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola.
Prima dell'inizio della liturgia il saluto di monsignor Erminio De Scalzi, abate di Sant'Ambrogio:«Oggi in questa Basilica accade qualcosa di memorabile: il successore di Andrea e il successore di Ambrogio pregano insieme l’unico Signore. Con questo gesto, nel terreno buono delle nostre chiese si mette un seme di riconciliazione e di speranza». «Andrea - ha proseguito monsignor De Scalzi - è il primo dei chiamati, il protocletos, colui che conduce altri a Gesù: suo fratello Pietro, il ragazzo dei 5 pani, quei greci che volevano vedere Gesù. Anche Ambrogio ci conduce a Gesù: ci sembra di sentire ancora la sua voce che in questo luogo diceva: “Cristo è tutto per noi”. Questa è la missione che accomuna le nostre Chiese: l'annuncio del Vangelo per portare i fratelli, soprattutto le nuove generazioni, all’incontro con Gesù».
Poi, i due canti,  eseguiti dal Coro bizantino del Conservatorio di Acharnes e dalla Cappella musicale del Duomo di Milano: il Salmo e il Canone pasquale ortodosso si sono intrecciati in un’unica preghiera, a cui è seguita la lettura degli Atti degli Apostoli e la proclamazione della Parola, con un brano del Vangelo di Giovanni, commentati dal Patriarca e dall’Arcivescovo.


L'esempio di Ambrogio e Costantino

Le parole di Bartolomeo hanno voluto sottolineare la sfida che chiama in tutte le epoche della storia coloro che non hanno paura della verità: «Costantino il Grande - ha detto - si è umiliato e, negata l’irragionevole uguaglianza a Dio che gli imperatori romani si attribuivano, ha preferito più di tutto la croce del Signore, il cui segno aveva visto nel cielo a mezzogiorno, prima della battaglia. Così ora riscuote la gioia piena e la gloria nello stesso luogo in cui si trova il Corpo risorto, incorruttibile e glorificato del Dio-Uomo, il Signore Gesù. Non nella Costantinopoli corruttibile e terrena, ma nella città celeste dei primogeniti, insieme a coloro che hanno vissuto la verità evangelica col martirio, sia secondo il sangue, sia secondo lo spirito. Proviamo oggi - ha proseguito il Patriarca - tutti una grande gioia incontrandoci in questa Basilica dove sono custodite le venerate reliquie di Sant’Ambrogio, davanti alle quali avremo la benedizione di pregare».
L’esempio di Ambrogio, pastore «amante dell'opera di Cristo», dunque, ha portato Bartolomeo a gettare uno sguardo sull’oggi in cui, «nonostante gli apparenti progressi circa il rispetto dei diritti umani, le persecuzioni contro i cristiani non sono cessate. Con grande afflizione vediamo anche oggi cristiani di tutte le confessioni perseguitati in molti luoghi, ritenuti nemici della società e dello stato, non tollerati da un gran numero di Paesi e legislazioni, costretti a bere il calice dell’amarezza e spesso del martirio: tutto per il solo fatto di essere cristiani». Poi una apertura di speranza: «Gli eventi dell'umanità e il corso del mondo, le guerre e i disordini, l’ingiustizia e la mancanza di sicurezza personale non ci fanno paura».
«Non cessiamo di pregare, di augurarci e di chiedere che tutti comprendano che la rappacificazione, la riconciliazione, la tolleranza, la mitezza, la clemenza - virtù che onoravano Sant’Ambrogio - possano avere riscontro positivo nella società, con le parole e con i fatti - ha esortato il Patriarca -. Fino a quando questo non accadrà, la Chiesa di Cristo non cesserà di generare martiri, essendo Chiesa di eroi e atleti nella fede del Signore. E non cesserà di generare martiri nello spirito».
Un desiderio che diventa «richiesta di tutti gli uomini» e che trova «il suo significato reale nella fede rivelata in Cristo. E nella Chiesa: divisa, ma in cammino verso l’unità, secondo il comando del Signore». E la conclusione: «Non abbiamo paura di resistere alla corrente della globalizzazione distruttiva e agli attuali stili di vita materialistici: viviamo secondo i comandamenti del Santo Vangelo comportandoci con saggezza e in santificazione continua».


Dalla Trinità una comunione d’amore

Secondo l’Arcivescovo, le parole che Gesù rivolge a Dio dopo l’Ultima Cena («Padre, è venuta l’ora») «racchiudono in estrema sintesi le verità essenziali della nostra fede: la Trinità e la Pasqua». «La Santa Trinità ha voluto, in modo del tutto libero e gratuito, rendere partecipi gli uomini della propria comunione di amore - ha sottolineato il Cardinale -, amandoli nel Figlio prima della creazione del mondo». E noi, grazie al «dono inestimabile» del Battesimo, «siamo resi partecipi della Vita divina in forza dell’obbedienza umana del Figlio e della benevolenza divina della Trinità».
La preghiera di Gesù è allora riferita a una unità - «come Tu Padre sei in me e io in Te» - che è «il dono a cui partecipiamo in forza della nostra incorporazione sacramentale a Cristo. Un’unità a cui siamo quotidianamente conformati attraverso la partecipazione alla Santa Eucaristia. Da qui scaturisce quell’amore ai fratelli uomini così ben descritto dal quinto inno bizantino preceduto dal Gloria: “Diciamo fratelli anche a quelli che ci odiano, perdoniamo tutto a causa della risurrezione”». Scola ha manifestato la vicinanza di tutta la Chiesa ambrosiana a Bartolomeo, che nei giorni immediatamente precedenti la visita a Milano è scampato a un attentato mortale.
Il Cardinale ha poi concluso affermando che «ogni giorno siamo più consapevoli della ferita che implica la mancata unità tra i cristiani. Essa dice la nostra fragile accoglienza del dono della Trinità che ci precede. La nostra preghiera, pertanto, non può che essere supplica ardente perché lo Spirito porti a pienezza il disegno del Padre compiutosi in Cristo», ricordando al proposito un passaggio della Lumen Gentium.
Al termine della celebrazione il Patriarca e il Cardinale sono scesi nella cripta per la venerazione delle spoglie di Sant’Ambrogio e dei Santi Gervaso e Protaso. Una capsella, contenente reliquie di Ambrogio, Gervaso e Protaso, è stata donata dall’Arcivescovo al Patriarca, come segno forte di questo momento di incontro nel nome dei santi della Chiesa indivisa.
Nel pomeriggio, accompagnato dal cardinale Scola, Bartolomeo I lascerà Milano per ripartire dall’aeroporto di Malpensa.




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Tawadros II sulla visita a Papa Francesco. 

«L’incontro con Sua Santità il Papa di Roma è stato singolare e magnifico; è stato un incontro con la verità, ricolmo di benedizione. Il Papa di Roma è una delle rare persone al mondo che, quando le incontri, ti senti raggiunto dalla benedizione, attingi da lui gioia, attingi da lui forza. Ogni sua parola è una comunicazione spirituale, anche i bambini sono attratti da queste persone»: sono le parole del Papa di Alessandria e Patriarca della Sede di San Marco, Tawadros II rilasciate nel corso di un’intervista pubblicata dal sito in rete coptcatholic.net. Il capo dei copto ortodossi ha raccontato lo storico incontro avuto in Vaticano, nella mattinata di venerdì 10 maggio, con Papa Francesco. Tawadros ricorda con altre parole suggestive la visita: «quando l’automobile è arrivata in Vaticano ho trovato di fronte a me il Papa che mi ha accolto. È stato un impatto di grande umiltà e di grande amore».
Per il Patriarca «il primo obiettivo della visita era quello di congratularmi con il Papa Francesco per la sua elezione alla sede di Pietro, così come risposta alle congratulazioni che mi ha mandato il precedente Papa di Roma in occasione della mia intronizzazione alla Sede di San Marco Evangelista». Il secondo, aggiunge, «era quello di raggiungere una maggiore apertura tra le due Chiese. Io dico sempre che l’unità dei cristiani è come il segno della croce: alla base c’è l’amore, poi si sale con il dialogo e lo studio, per arrivare alla pienezza nella preghiera. Questa è la Croce che ci accomuna: l’amore, il dialogo, lo studio e la preghiera». Tawadros, tracciando i risultati della visita, ha espresso profondo apprezzamento per «l’amore grande verso la Chiesa copta ortodossa che ho incontrato qui a Roma». A tal proposito ha anche osservato: «Io so che i punti di accordo sono veramente tantissimi e, personalmente, nel prossimo periodo cercherò di approfondire la reciproca conoscenza per comprenderci sempre di più. Lo Spirito Santo ci doni “cuori aperti” e “menti aperte”, perché le menti e i cuori chiusi “fermano le barche naviganti”, come dice da noi un detto assai diffuso».
Il Patriarca si è inoltre soffermato sulla proposta di fare del 10 maggio una festa di comunione tra le due Chiese, spiegando: «tra la prima visita di Papa Shenouda III e la seconda visita di Papa Giovanni Paolo II, sono trascorsi 27 anni, e tra la seconda visita di Papa Giovanni Paolo II e Papa Shenouda III sono trascorsi 13 anni e questo conferma che le distanze si sono sempre ravvicinate». D’altra parte, conclude, «quando il tempo si allunga ci fa dimenticare e per questo ho suggerito di fissare questa festa, il 10 maggio, quale giornata di amore fraterno da celebrarsi nelle nostre chiese, condividendo i messaggi tra il Papa di Roma e il Papa di Alessandria, per confermare questo amore, questa comunicazione, questa vicinanza e questa apertura all’altro; per poter condividere il nostro amore». L'Osservatore Romano


L’arcivescovo di Canterbury Justin Welby alla Htb Leadership Conference. Bisogna assumersi il rischio del dialogo

Un invito al dialogo e all’unità dei cristiani è stato rivolto lunedì scorso dall’arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, Justin Welby, in occasione della prima giornata della Htb [Holy Trinity Brompton] Leadership Conference che si è svolta presso la Royal Albert Hall di Londra. All’evento hanno preso parte più di cinquemila persone di fede cristiana.Il primate anglicano ha pregato per l’unità dei cristiani e ha sottolineato quanto sia importante per i leader religiosi assumersi le proprie responsabilità. «Dobbiamo essere una Chiesa — ha detto Welby — che sia disposta a correre qualche rischio», e ha ricordato che Cristo non è solo una certezza, ma è una sicurezza assoluta.
In merito ai problemi e alle molteplici sfide della Chiesa, l’arcivescovo si è detto «più ottimista adesso di quanto non lo sia mai stato prima nella mia vita». Ma ha messo in guardia il pubblico, composto da rappresentanti di diverse fedi, anglicana, cattolica, ortodossa, metodista, battista, presbiteriana e pentecostale, contro i pericoli della lotta e dei contrasti tra le varie confessioni cristiane. «Non possiamo vivere — ha spiegato il primate anglicano — per far vincere la nostra causa, ma dobbiamo vivere perché vinca la Sua causa. Invece molto spesso le ferite più grandi ci vengono inflitte proprio da altri cristiani». In numerose occasioni, l’arcivescovo di Canterbury ha ribadito di «essere contrario al linguaggio dell’esclusione perché dobbiamo ricordarci di Gesù e del suo amore per noi».
Durante la sessione dei lavori, soffermandosi sulle fratture all’interno della comunità, l’arcivescovo ha spiegato che se «è naturale per le Chiese crescere», bisogna ricordare che si tratta di «un impegno difficile» e ha esortato i numerosi presenti a «trovare all’interno delle loro comunità nuove strategie e ad assumersi qualche rischio al servizio di Cristo».
Welby ha anche ricordato il successo dell’iniziativa “Viaggio in preghiera” svoltasi nel marzo scorso, poco prima della sua intronizzazione nella cattedrale di Canterbury, in cinque città inglesi, e alla quale hanno partecipato più di dodicimila persone. Nell’occasione Welby ha raccontato un aneddoto. «Durante quel pellegrinaggio mi si è avvicinato un uomo nella cattedrale di Chichester, che non mi aveva riconosciuto. Questa persona è venuta da me e mi ha detto: “Ho sentito dire che l’arcivescovo di Canterbury è qui oggi’. C’è qualche possibilità che lei me lo possa fare incontrare”?». Un aneddoto che testimonia la necessità di un dialogo stretto fra leader religiosi e semplici fedeli.
L’arcivescovo ha sottolineato i punti focali del suo prossimo impegno: rinnovamento della vita religiosa, riconciliazione all’interno della Comunione ed evangelizzazione in tutta la nazione.
Guidando la preghiera nella Royal Albert Hall, il primate anglicano ha esortato i numerosi presenti ad accantonare tutto ciò che tiene lontani da Dio. «Perdona la Tua Chiesa lacerata — ha detto l’arcivescovo di Canterbury nella sua preghiera — rinnova la nostra unità, guida le nostre vite e fai in modo che noi possiamo assistere a una rivoluzione nel nostro tempo».
L'Osservatore Romano

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 Ecumenismo e papato
“Riforma” - Rassegna "Fine settimana"
(Fulvio Ferrario) In questi ultimi mesi, molti si sono chiesti se i mutamenti intervenuti al vertice della chiesa cattolica (un papa dimissionario, la figura nuova e accattivante di Francesco) possano favorire lo sblocco di un dialogo ecumenico tra Roma e il (...)