martedì 14 maggio 2013

La Monade e la Triade




Il Dio della ragione e il Dio della fede
La ragione dimostra l’esistenza del Dio Uno, dell’unità dell’essenza o natura divina; dimostra il monoteismo, la divina Monade. La fede invece ci dà una conoscenza di Dio immensamente più alta, corrispondente a come Dio conosce Se stesso, e ci insegna che in Dio vi sono tre Persone: è la fede nella SS.Trinità, la divina Triade: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Dio è uno ed unico perché è l’Assoluto e l’Assoluto non può che essere uno solo. Se infatti si dovesse ammettere un altro Assoluto, per distinguerli, bisognerebbe ammettere che uno non ha quello che ha l’altro. Ma allora nessuno dei due sarebbe l’Assoluto, dato che Questi per essere tale deve possedere la totalità delle perfezioni.
Dio inoltre è unico perché è la causa universale di tutte le cose in quanto sono, ossia hanno l’atto d’essere. Ancora in questo senso Egli è l’Assoluto, che vuol dire “sciolto”, “libero da”, ab-solutus. E difatti tutto dipende da Lui e Lui non dipende da nessuno.
Essendo Egli la causa dell’essere di tutto, non c’è bisogno di un’altra causa o di un altro Dio. Certo, ad ogni valore corrisponde la sua causa propria, ma non occorre divinizzarla o assolutizzarla, perchè anche tutti i grandi valori, i grandi generi e gli stessi trascendentali non sono che creature dell’unico Dio, in quanto tutti appartenenti all’orizzonte dell’essere creato e finito. Quindi anche i valori più universali non privi di una certa assolutezza, sono in fin dei conti tutti relativi all’unico Assoluto che è Dio.
Inoltre la causa è superiore all’effetto. Ora Dio, come causa di tutto, è al vertice di tutto, come il vertice di una piramide: ora è chiaro che il vertice non potrà essere che uno solo, perché tutto converge su questo unico punto così come tutte le creature convergono verso Dio come a loro fine ultimo e sommo bene.
Dio come Ipsum Esse e Dio come Persona
Tuttavia nel cristianesimo il vertice supremo del pensiero e dell’essere, in forza di una divina rivelazione che eleva il pensiero ad una partecipazione della stessa scienza divina, non è l’Uno, l’unico Assoluto, ma il Tre; non è l’essere unico o un’unica natura divina, ma la Persona Trina, ovvero la Trinità di Tre Persone.
Tutte le teologie, teosofie e metafisiche gnostiche, che pretendono di possedere un sapere divino non per fede ma per autocoscienza, respingono la Trinità e considerano l’Unità il sommo dell’essere e del sapere. Invece nel cristianesimo il vertice del Dio della ragione è superato dal vertice del Dio della fede. Il fine ultimo naturale non è intrascendibile ma è superato dal fine ultimo soprannaturale: la SS.Trinità. Al di sopra della Monade il cristiano pone la Triade.
Allora l’essere è superato? Esiste qualcosa al di sopra dell’essere? Ma se l’ipsum esse è l’Assoluto, che cosa può esserci al di sopra dell’Assoluto? Se l’essere è tutto, che cosa ci può essere al di sopra dell’essere? Si risponde dicendo che la Triade è la stessa Monade, la Trinità è lo stesso ipsum Esse per se subsistens.Unico è l’essere della Monade e della Triade.
Ci si chiede allora: come si distingue il Dio   uno dal Dio Trino? Il Dio della ragione dal Dio della fede, se l’uno e l’altro è l’ipsum Esse? Dobbiamo distinguere nozionalmente: la nozione dell’essere in Dio dice meno della nozione di persona, non perché il Dio Trino in se stesso sia superiore al Dio Uno, quasi fosse un altro Dio, cosa che non ha senso, ma in quanto la nostra conoscenza di Dio nella fede è superiore alla conoscenza di ragione.
In tal senso la nozione di persona in Dio ci dice di più della semplice nozione dell’essere relativa al Dio Uno. In tal senso il Tre prevale sull’Uno. Tuttavia non tre dèi, tre sostanze, ma tre “persone”, in quanto in Dio la persona non è sostanza, ma relatio subsistens[1]. Il Padre non ha relazione al Figlio, ma è relazione al Figlio. E così per le altre persone. In altre parole il Padre non è, come avviene in noi, un soggetto al quale si aggiunge, in qualità di accidnte, la relazione di paternità, ma l’essere si esaurisce tutto nell’essere Padre.
Al riguardo si può spendere una parola  a proposito del dialogo interreligioso tra cristiani, ebrei e mussulmani. Alcuni cattolici si rifiutano di parlare di “tre religioni monoteistiche”, asserendo che il Dio trinitario dei cristiani è “diverso” da quello degli altri.
Ora qui c’è un equivoco. Si confonde Dio in se stesso con la conoscenza di Dio. Non c’è dubbio che la conoscenza che il cristiano ha di Dio, in quanto trinitario, è superiore a quella che hanno l’ebreo e il musulmano. Ma Dio in Se stesso resta il Dio di tutti, creatore di tutti, conoscibile e conosciuto da tutti in forza della ragione naturale, e nulla impedisce quindi ai fedeli delle tre religioni di convenire o accordarsi sugli attributi del Dio della ragione, atteso il fatto che tutti, in quanto esseri razionali, possono conoscere e conoscono il vero Dio Uno in questa luce.
Quanto invece al Dio trinitario, questo certo non può essere materia di dialogo interreligioso, in quanto il dialogo suppone punti comunemente condivisi, cosa che in questo caso non si dà. Ma ciò non toglie che il non-cristiano possa e debba essere oggetto di evangelizzazione, giacchè tutti i popoli, a cominciare da Israele, sono chiamati a credere nel Dio trinitario, né si può tirar fuori la scusa del dialogo per rinunciare all’evangelizzazione ed all’opera della conversione dei non cristiani.
Il caso di Giordano Bruno
A proposito di questa questione del rapporto tra la Monade e la Triade, è interessante ricordare l’esperienza di Giordano Bruno, non priva di agganci col monismo-panteismo moderno. Si sa come Giordano Bruno sin da giovane frate, mente fervidissima e ricca di interessi teoretici, ma anche magici, rifiutava la fede nella Trinità in nome dell’unità, che egli viceversa considerava come l’istanza suprema del pensiero, trascurando le esigenze della fede e ponendosi al seguito del neoplatonismo, dell’ermetismo, della kabbala e dei presocratici, come Pitagora, Anassagora, Eraclito e Parmenide, una prospettiva che poi riemergerà più tardi nel Dialogo Della causa, del principio e dell’uno, dove questa istanza viene estremizzata in una visone monistica di tipo materialista, atteso che per Bruno la composizione di potenza ed atto, materia e forma riguarda tutta la realtà, compreso Dio stesso.
Per Bruno tutto è vivo, tutto è materia, tutto è infinito e tutto è Dio (l’“Universo” o “Natura”) ed in questo senso tutto è umano in base ad una concezione magica dell’uomo operatore di prodigi come facente unità con l’anima del mondo, con gli dèi, con gli angeli, con i demoni e con Dio.
Bruno confonde la potenza passiva con la possibilità, concepisce Dio come atto infinito di un’infinita potenza passiva, dimenticando la limitatezza della potenzialità, mentre nulla si oppone, come già pensò Leibniz, a concepire Dio come attuazione di un’infinita possibilità: Dio è infinitamente possibile e per questo Egli esiste[2]. Dio per Bruno produce un mondo infinito, perché il mondo stesso è l’apparire o la molteplice determinazione di Dio.
Bruno, ingannato da un concetto di persona legato soltanto al finito e all’umano, non fu capace di formarsi il concetto di persona divina, se non nel senso delle divinità pagane e quindi nell’orizzonte del politeismo. Viceversa la divinità in Bruno è sì l’Assoluto al vertice del mondo, ma senza trascenderlo, giacchè egli vede il mondo stesso come unica assoluta sostanza, i cui accidenti e manifestazioni rappresentano i gradi dell’essere, le forme del divenire e la molteplicità delle cose.
Bruno non ha difficoltà a definire con esattezza gli attributi divini, segno questo della formazione tomista ricevuta, salvo poi a vedere il mondo e l’uomo come “ombra”, materia o corpo o manifestazione della forma divina. Attesa l’esistenza di un’unica sostanza assoluta, Dio stesso, Bruno non ammette una molteplicità di sostanze spirituali, benchè riconosca l’esistenza delle anime e degli angeli. Ma anche queste entità non sono che modi finiti dell’unica sostanza, la quale peraltro resta atto della potenza e forma della materia.
Monismo e monoteismo
Dobbiamo ricordare che l’unità divina può essere concepita in due modi: in senso monistico o in sensomonoteistico. Bruno è sulla linea del monismo, che parte dagli antichi Greci, soprattutto Parmenide ed arriva sino a Spinoza, Hegel, Gentile e Severino.
Nel monismo esiste solo l’essere inteso come unico ed assoluto, ed esiste quindi solo Dio. Tutte le cose sono solo in Dio come sue finitizzazioni, particolarizzazioni o manifestazioni. Dio è “tutto” non nel senso della sua infinita perfezione, il che è ovvio, ma nel senso che è tutte le cose, tutto si risolve in lui ed egli si risolve in tutte le cose.
Osserviamo che un “Assoluto” che determini se stesso o appaia come mondo non può essere un vero Assoluto, perché manca della semplicità e perfezione necessarie. Viceversa, nulla impedisce al vero Assoluto di creare un mondo distinto da Lui, anzi ciò ne manifesta la sapienza e l’infinita potenza. Né il mondo si presenta come un altro Assoluto tale da limitare il primo, giacchè solo Dio è Essere per essenza; gli enti del mondo posseggono l’essere solo per partecipazione. Del resto il mondo non sottrae nulla a Dio che resta l’Assoluto.
L’immanentismo bruniano[3] purtroppo non è semplice immanenza, come presenza di Dio in tutto o inabitazione della SS.Trinità nell’anima in grazia[4]; essa sarebbe vera, se si salvasse la distinzione sostanziale, reale ed abissale fra Dio le cose[5]. A questo punto, anche il famoso detto di Virgilio, citato dallo stesso Bruno, spiritus intus alit, andrebbe anche bene, ma l’errore sta nel concepire Dio come causaformale, il che evidentemente non rende l’idea della trascendenza divina, giacchè è chiaro che la causa formale forma con la materia un’unica sostanza. Abbiamo dunque il panteismo.
Osserviamo che per salvare la trascendenza divina occorre il modello della causa efficiente, secondo il suggerimento della stessa Bibbia, che presenta Dio come un artefice[6]. Solo qui si dà distinzione reale fra l’effetto e la causa.
Invece il monoteismo è insegnato da una sana filosofia, è adombrato nell’India, in Platone ed Aristotele ed è chiaramente presente nella Bibbia. Esso comporta l’ammissione di un Dio distinto dal mondo e creatore del mondo. Implica in special modo una distinzione fra sostanza spirituale e sostanza materiale: Dio appartiene all’orizzonte dello spirito, al quale in un grado infinitamente inferiore, appartengono pure le anime umane e gli angeli, mentre ad un grado di essere ancora inferiore ed anzi minimo, vicino al non-essere, prope nihil, come dice Aristotele, si dà il mondo puramente materiale, anch’esso certo appartenente all’orizzonte dell’essere perché creato da Dio, ma dotato di un essere per partecipazione infinitamente inferiore al divino Essere per essenza.
Il monoteismo biblico implica una purissima ed infinita spiritualità: Dio è pura forma immateriale ed infinita: certo la materia ha una sua dignità ontologica in quanto contribuisce a costituire ontologicamente la sostanza materiale creata da Dio, ma la sua potenzialità è relativa alla finitezza. La materia non solo non può entrare nell’orizzonte del divino a causa della sua collocazione nello spazio-tempo, mentre l’Assoluto non può che essere inesteso, eterno ed immutabile, ma non assurge neppure al piano dello spirito, esso pure insufficiente di per sé a caratterizzare il divino, dato che anche qui troviamo ancora composizione, divenire e finitezza, tutte cose che non si addicono alla natura divina.
Il monoteismo concede quindi spazio all’idea di una personalità puramente spirituale, che si realizza nell’angelo, sia esso santo o sia dannato. La ratio analogica di persona è partecipata altresì  nell’uomo, animato da un’anima spirituale, ma qui abbiamo una persona corporea, che presenta il carattere della personalità solo per il fatto che l’anima umana è spirituale.
E’ partendo dall’idea della persona come puro spirito, quindi l’angelo[7] più che l’uomo, che la Bibbia consente di formare l’idea di una persona divina trinitaria, dopo l’intervento di essenziali precisazioni che fanno della persona trinitaria qualcosa di infinitamente diverso dalla persona umana e angelica – la famosa “relazione sussistente”[8] – ossia dalla persona creata, sia essa angelo o uomo. Il che non vuol dire che la Persona divina non possa presentarsi come modello etico per la persona umana, ma salvando le proporzioni!
Il monoteismo biblico non è dunque un monismo panteista, ma si configura, per usare il linguaggio tomista, come dottrina dell’ipsum Esse, “Colui Che E’”, quindi come Atto puro di essere, Essere infinto ed assoluto, Essere sussistente per essenza, uno, necessario ed eterno, evidentemente esente da ogni materia, atteso che la materia serve a spiegare l’estensione e le altre qualità sensibili della sostanza, la trasformazione, la molteplicità e le differenze degli individui sotto una medesima specie, tutte cose per le quali l’essere viene diviso, moltiplicato, particolarizzato, finitizzato.
L’ “ontologia trinitaria”
E’ sorto di recente in campo cattolico il progetto di una cosiddetta “ontologia trinitaria”, soprattutto ad opera di Klaus Hemmerle, Piero Coda e Giovanni Colzani, sulla base della convinzione che il dogma trinitario possa ispirare una nuova metafisica che presenti l’impronta originale del cristianesimo.
Tale metafisica concepirebbe l’essere non come analogicamente uno, ma come trino, sul modello della triade agostiniana di esse, nosse, velle, in particolare, come propone Colzani, l’essere come “amore” o, secondo l’idea di Coda e di Hemmerle, l’essere come persona in relazione, semplificando, l’essere come “relazione”, s’intende relazione d’amore, sicchè alla fine tutti si accordano sull’idea di Colzani.
Bisogna però ricordare che Agostino, con quella triade non intendeva fondare nessuna metafisica, ma semplicemente porre con modestia un debole paragone per far qualche luce su di un Mistero di fede che trascende totalmente la ragione e quindi la metafisica.
Ora, io osserverei che nulla si oppone a parlare di una metafisica cristiana. Tuttavia bisogna ricordare che questo attributo è giustificato dal fatto che storicamente la metafisica ha raggiunto alcune nozioni di sua competenza, come per esempio la nozione di creazione, di persona o di actus essendi o di ispum Esse, dietro suggerimento della Scrittura.
Viceversa qui si tenta un’operazione che finisce per confondere la metafisica, che è opera della ragione, con la divina rivelazione, che è accolta nella fede, giacchè è ben noto che il Mistero trinitario è esclusivamente oggetto della fede.
Per questo non è lecito e non è possibile e quindi è ingannevole rendere tale Mistero oggetto della metafisica mutando e quindi falsificando la stessa nozione dell’essere, la quale invece non va confusa con quella che ha relazione col Mistero. E’ vero infatti, come abbiamo visto, che in fin dei conti il Dio Trino è l’ipsum Esse, ma è altrettanto vero, come pure ho detto, che nozionalmente dobbiamo distinguere l’ipsum Essedalla Persona trinitaria, altrimenti finiamo per secolarizzare la fede con grave danno della stessa fede e falsa esaltazione della ragione.
(Cavalcoli)


[1] Dogma del Concilio di Firenze del 1439: “In Deo omnia sunt unum, ubi non obviat relations oppositio”.
[2] Leibniz però andò troppo in là dicendo che Dio, in quanto infinitamente possibile, esiste necessariamente, dimenticando che affinchè il possibile si realizzi, occorre un ente che lo realizzi. Ora è chiaro che Dio non è realizzato da nessuno, essendo l’ens realissimum. Tuttavia quoad nos Egli esiste perché ne ricaviamo l’esistenza dalla considerazione degli effetti creati, come insegna S.Paolo in Rm 1,20.
[3] Quello che tecnicamente in filosofia e teologia è detto “immanentismo”, condannato da Pio XII nell’Humani Generis non è la semplice presenza intima di Dio nel mondo e nell’uomo, altrimenti dovremmo condannare il “Cristo in noi” del quale parla S.Paolo o la parole di Cristo “io in voi e voi in me”, ma si tratta di un risiedere di Dio nel mondo così come una proprietà essenziale è soggettata nell’essenza di un soggetto (mondo) a formare un unico ente o essere.
[4] Cf le parole di Cristo: “Io in voi e voi in me”.
[5] Non c’è somiglianza tra l’uomo e Dio, dice il Concilio Lateranense IV del 1215, che non vi sia tra loro maggior differenza.
[6] Come dice il Salmo: “Egli ci ha fatti e noi siamo suoi”.
[7] Vedi i tre Angeli che fanno visita ad Abramo.
[8] Definita dal Concilio di Firenze nel 1439.