venerdì 10 maggio 2013

Laura Montoya, la prima santa della Colombia




(Esperanza Aboleda) Laura di Santa Caterina da Siena Montoya y Upegui (1874-1949), fondatrice della congregazione delle Suore Missionarie della Beata Vergine Maria Immacolata e di Santa Caterina da Siena, sarà canonizzata da Papa Francesco domenica 12 maggio. Nacque a Jericó, Antioquia, piccolo paese colombiano, da Juan de la Cruz Montoya e Dolores Upegui, una famiglia profondamente cristiana. Suo padre fu assassinato da coloro che non condividevano i suoi stessi valori religiosi e tradizioni cristiane.
Trascorse la maggior parte dell’infanzia e dell’adolescenza a casa di suo nonno materno. Un giorno, passeggiando nei campi, osservava piante e animali e all’improvviso mentre giocava con alcune formiche ricevette la prima reale percezione dell’amore di Dio: «Sono stata ferita come da un raggio; avevo una consapevolezza di Dio e della Sua grandezza, così profonda, così magnifica e amorevole, che oggi, dopo aver studiato tanto, non conosco più cose su Dio, di quante non ne abbia apprese quel giorno». Non si sentì più orfana, la sua anima si riempì di luce, allegria e dolcezza.
Terminati gli studi, divenne una semplice maestra rurale, un’educatrice. Si distinse per la sua pedagogia e per l’affetto riservato alle bambine che le venivano affidate. Le sue lezioni di religione divennero famose per l’emozione e la profondità della dottrina. Laura ha sempre avuto nell’anima il desiderio di essere una religiosa nel monastero del Carmen di Medellín. Quando era direttrice del collegio dell’Immacolata, monsignor Pardo Vergara, arcivescovo di Medellín, le annuncia che la sua vocazione è quella di Anna, la profetessa.
Madre Laura non fu soltanto una santa contemplativa, ma anche una donna di azione; era contro le ingiustizie subite dagli indigeni americani. Decise di addentrarsi nella selva millenaria per annunciare e proclamare il Regno di Dio agli indios, per nobilitare il loro essere, così denigrato dalla società: «Dio, per mostrare la Sua misericordia agli indios, scelse una donna di enorme umanità, incapace di attraversare dirupi e scalare montagne, non molto agile e abituata a una vita sedentaria e contemplativa. Senza ricorrere in nessun modo alla violenza, evangelizzò diverse tribù, solo grazie alla sua pazienza e alla sua debolezza».
Tramite la sua esperienza materna di Dio Padre, scoprì di potersi allontanare dalle norme limitanti dell’epoca e addentrarsi nella selva, per predicare e testimoniare con audacia e semplicità il Vangelo, per portare agli indigeni il messaggio di Redenzione, di un Dio che ci ama con cuore tenero, perché «il fine ultimo della missione altro non è che di rendere partecipi gli uomini della comunione che esiste tra il Padre e il Figlio nel loro Spirito d’amore. Da sempre la Chiesa ha tratto l’obbligo e la forza del suo slancio missionario dall’amore di Dio per tutti gli uomini».
Il 4 maggio 1914 fonda la congregazione, insieme alla sua mamma Dolores Upegui e a quattro compagne. Madre Laura creò nuovi modelli di evangelizzazione, aprendo la strada alle altre donne che avessero voluto intraprendere la stessa missione. Il lavoro di questa donna risultò essere innovativo, rispetto alle precedenti missioni svolte nell’America latina, per il suo metodo, per il suo coraggio nello sfidare i pericoli.
Insegnava e educava instancabilmente le sue compagne, con quella luce straordinaria che possedeva. La sua dottrina era radicale. Bisognava lasciare da parte l’io per dedicarsi a un impegno universale.
Madre Laura Montoya y Upegui è protagonista di una vicenda eccezionale della storia ecclesiastica latinoamericana. Riuscì a superare il concetto di inferiorità e debolezza della donna, dimostrando come sia possibile portare avanti opere di grande valore sociale e religioso. Ha creduto nel valore della donna, del suo lavoro, delle sue capacità di avvicinarsi ai più deboli e oppressi ed elevarli alla dignità di uomini e di figli di Dio. Era convinta che le donne fossero le più indicate per portare l’annuncio del Vangelo agli indigeni. Una donna, grazie alla sua dolcezza, perseveranza, bontà, accoglienza, al suo modo di ascoltare e amare e alle doti relazionali materne può stabilire dei legami efficaci nella sua missione evangelizzatrice.
Era il volto materno e misericordioso di Dio tra gli indigeni, emarginati e poveri del mondo. Ha voluto testimoniare la dottrina che insegnava. Riconosce l’opera che Dio ha realizzato in lei chiamandola all’apostolato missionario, ha nel cuore la certezza che Dio, per mezzo delle sue missionarie, arriverà al cuore degli indigeni e li salverà.
Il profetismo delle fondatrici della congregazione, che per realizzare i loro ideali infransero alcuni schemi ecclesiali e sociali, ha donato alle donne un posto nella Chiesa missionaria; da allora molte sorelle si sono impegnate nell’evangelizzazione e nella promozione dell’essere umano, valorizzando la cultura delle differenti etnie, apprendendo la loro lingua, conoscendo i loro costumi e inserendosi nelle comunità, come il Figlio di Dio che si fece uomo per la nostra salvezza.
L’opera di evangelizzazione ha contribuito alla costruzione di chiese locali e alla formazione di catechisti, ministri della parola, promotori della salute, maestri, laici impegnati e alcuni sacerdoti e religiose native.
Dopo la beatificazione avvenuta il 25 aprile del 2004, per la canonizzazione della beata Laura Montoya y Upegui è stata presentata alla Congregazione delle Cause dei Santi l’asserita inspiegabile guarigione del professor Carlos Eduardo Restrepo da «perforazione esofagea e mediastinite in paziente gravemente immunosoppresso, portatore di sindrome da sovrapposizione: lupus eritematoso sistemico, sindrome nefrosica, polimiosite autoimmune refrattaria alla terapia».
Nella seduta del 14 giugno 2012, la consulta medica della Congregazione delle Cause dei Santi all’unanimità ha riconosciuto l’evento «inspiegabile scientificamente». Il caso è stato esaminato, con esito positivo all’unanimità, dai consultori teologi il 22 settembre del 2012, e dai cardinali e dai vescovi il 10 dicembre 2012. Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto super miraculo.
L'Osservatore Romano

Intervista al presidente Juan Manuel Santos. 
Speranze e impegno di pace per la Colombia

(Pierluigi Natalia) Madre Laura di Santa Caterina da Siena, al secolo María Laura de Jesús Montoya y Upegui (*), che sarà canonizzata domenica 12 maggio da Papa Francesco, può costituire un esempio in alcune delle principali questioni anche del nostro tempo, in Colombia e non solo. Lo sostiene il presidente colombiano Juan Miguel Santos, a Roma per la canonizzazione, in un’intervista al nostro giornale. La figura di questa santa è infatti legata soprattutto al servizio e all’evangelizzazione delle popolazioni indigene della selva colombiana, alla lotta contro la discriminazione razziale e a un rispetto speciale per la natura. Tra gli altri temi trattati nell’intervista ci sono le prospettive di successo del negoziato in atto tra il Governo di Bogotá e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc); la lotta al narcotraffico; gli specifici modelli di sviluppo economico e sociale dell’America latina.

Presidente, lei è a Roma per la canonizzazione di madre María Laura de Jesús, la prima santa colombiana.
Sono felice di assistere alla canonizzazione della prima santa nata nel nostro Paese. I santi sono intercessori presso Dio e modelli di vita che ci indicano il cammino da seguire. Madre Laura mostrò una particolare dedizione verso i popoli indigeni e anche questo è un esempio per noi colombiani, che abbiamo tanto da valorizzare e da imparare dalle culture ancestrali.
Questa canonizzazione è anche un’occasione per riflettere sulle aspirazioni del popolo del suo Paese e sui valori che, nonostante le difficoltà, tengono insieme la società. In particolare, qual è oggi l’influenza della Chiesa in Colombia?
I 47 milioni di colombiani sono in prevalenza cattolici e gli insegnamenti e i modelli della Chiesa cattolica hanno una grande influenza. Il clero e i religiosi svolgono un ruolo fondamentale praticamente in tutti i campi della società: educazione, salute, lavoro sociale, ambito accademico. Il nostro Governo ascolta e valuta sempre con attenzione i loro consigli.
Passando ai temi politici e sociali , il suo Paese è impegnato a porre fine a una guerra civile che si protrae da decenni. Che speranze di successo nutre rispetto ai negoziati di pace con la Farc che si stanno svolgendo a Cuba?
La Colombia ha vissuto per circa mezzo secolo un conflitto armato interno e ormai è ora di porre fine a questo spargimento di sangue che ha causato tanto dolore e tanta povertà. In passato sono stati tentati altri approcci e metodi per ottenere la pace, ma non hanno avuto un esito positivo, soprattutto per la mancanza di una volontà reale da parte della guerriglia. In questa occasione ci siamo presi un lasso di tempo più lungo, di quasi due anni, per sondare la serietà delle sue intenzioni. Credo che siamo di fronte a una possibilità senza precedenti. Indubbiamente anche l’indebolimento della guerriglia per l’azione costante delle nostre forze ha contribuito a questa possibilità. Né io né i colombiani siamo totalmente ottimisti e manteniamo un sano livello di realismo perché già in altre occasioni siamo rimasti delusi. Ma un moderato ottimismo c’è: credo sinceramente che possiamo riuscire e stiamo facendo tutto il possibile, imparando dagli errori del passato.
Il narcotraffico continua a essere uno dei fenomeni criminali più gravi nel mondo. Quale è la situazione attuale in Colombia e quali le iniziative nel suo programma di governo?
La Colombia è stata forse il Paese che più ha subito le conseguenze del narcotraffico. Lo abbiamo combattuto per decenni e con decisione, abbiamo sacrificato in questo sforzo i nostri uomini e le nostre donne migliori. Oggi possiamo dire che gli ettari coltivati a coca sono diminuiti in modo sostanziale e i grandi cartelli di narcotrafficanti colombiani sono stati smantellati, anche se sono stati in parte sostituiti da bande con un raggio d’azione più locale. Per noi la lotta al narcotraffico è anche una questione di sicurezza nazionale, perché il commercio della droga è diventato il principale mezzo per finanziare il terrorismo e come tale lo attacchiamo. Siamo però consapevoli che il fenomeno è mondiale e che è necessario rivedere i modi, finora non abbastanza efficaci, con i quali la comunità internazionale lo fronteggia. Quando il problema si ridimensiona in un Paese, si trasferisce e ne coinvolge un altro. Nel vertice delle Americhe tenuto in Colombia nell’aprile 2012 abbiamo dato mandato all’Organizzazione degli Stati americani (Osa) di fare una valutazione obiettiva e scientifica delle alternative nella lotta alle droghe. Venerdì prossimo, il segretario generale dell’Osa, José Miguel Insulza, mi consegnerà a Bogotá il rapporto con l’analisi dei diversi scenari. Ritengo che questo sarà un importante contributo al dibattito, non solo in America ma anche nel mondo intero.
Rispetto alle questioni economiche in America latina, negli ultimi dieci anni ci sono state diverse risposte alla crisi globale. Il suo Paese ha puntato molto sulle grandi opere. I risultati sono stati soddisfacenti?
Certamente. Io sono sempre stato un fautore della cosiddetta terza via, quella che in Europa promosse il primo ministro britannico Tony Blair e che si riassume in una frase: «Il mercato fin dove è possibile, lo Stato fin dove è necessario». Il nostro Governo mette in pratica questo principio. Mentre promuoviamo l’attività privata, gli investimenti stranieri, gli accordi di libero commercio, interveniamo anche per modernizzare i settori dell’economia che generano più impiego. Nei due primi anni di governo sono stati creati due milioni di posti di lavoro e la povertà è diminuita grazie a politiche sociali effettive. Un milione e settecentomila colombiani sono usciti dalla povertà, settecentomila dalla povertà estrema. Ritengo un risultato ancora più importante che sia diminuito l’indice di disuguaglianza. Questo dimostra che gli effetti della crescita economica ricadono più sulla popolazione meno abbiente che sui settori più ricchi. E così deve essere.
Qual è lo stato attuale dei processi d’integrazione politica ed economica in America latina?
Degno di nota è il consolidamento di due processi importanti di concertazione internazionale come la Comunità economica dell’America latina e dei Caraibi, che riunisce tutti i Paesi dell’area, e l’Unione sudamericana che ha dimostrato la sua efficacia come spazio di dialogo e di confronto sulle crisi regionali. Particolarmente importante è anche l’Alleanza del Pacifico, un processo d’integrazione profonda che Colombia, Messico, Perú e Cile hanno messo in atto, al quale sono in attesa di aderire anche Panamá e Costa Rica e che ha come osservatori Australia, Canada, Spagna, Nuova Zelanda e Uruguay. L’obiettivo di questa non è solo potenziare commercio, investimenti e libera circolazione interni, ma anche creare uno spazio economico competitivo e allettante per i mercati mondiali, in particolare dell’Asia-Pacifico.
Tenendo conto dell’esperienza di sviluppo dell’America latina negli ultimi anni, quale sarebbe, a suo parere, la proposta economica per l’immediato futuro?
L’America latina ha dimostrato di aver imparato la lezione dalle crisi economiche passate. Sono state attuate, in alcuni Paesi più che in altri, politiche preventive per garantire la solidità del sistema finanziario e delle finanze pubbliche e per far fronte alle turbolenze dell’economia globale. La nostra regione ha attuato e continua ad attuare le riforme macroeconomiche necessarie per assicurare la sostenibilità della crescita e stabilità. Grazie a ciò, sono stati i nostri Paesi a uscire meglio dalla crisi esplosa nel 2008 e che si protrae nel periodo d’incertezza attuale. Soprattutto, il contributo dell’America latina è dare priorità alle persone. Nell’ultimo decennio sono usciti dalla povertà più di quaranta milioni di latinoamericani. Non è un fatto fortuito. Stiamo mettendo in atto — ogni Paese con proprie accentazioni e variazioni — programmi d’impatto sociale per garantire il nutrimento e l’educazione dei bambini, assicurare la fornitura dei servizi di base alla popolazione con minori risorse, fornire, come in Colombia, un’abitazione propria a quanti non ottengono un credito.
L'Osservatore Romano

*


(*): Beata Laura di Santa Caterina da Siena
Suora, fondatrice :
Hermanas Misioneras de María Inmaculada y Santa Catalina de Sena
(“Suore Missionarie di Maria Immacolata e di Santa Caterina da Siena”)

L
aura di Santa Caterina da Siena, al secolo Maria Laura di Gesù, nasce il 26 maggio 1874  da Juan de la Cruz Montoya e Dolores Upeguí. Battezzata in tutta fretta a seguito del rifiuto della madre di vederla prima del battesimo, è il parroco a scegliere per lei il nome di Maria Laura di Gesù e al papà stupito, che obbietta di non sapere se esiste una “santa Laura”, sbrigativamente risponde che, in questo caso, la bambina avrebbe un motivo in più per farsi santa.

Ben presto la piccola Laura viene privata dall’affetto del padre che viene assassinato nella cruenta guerra fratricida per difendere la religione e la patria, in quegli anni particolarmente sanguinosi della storia colombiana, quando lei aveva ancora due anni. La madre la educa secondo i principi cristiani, incoraggiando la figlia a pregare per l’assassino del padre. Laura avverte subito una forte carenza di affetto all’interno della famiglia; i nonni che accolgono lei, la madre e le sorelle nella loro casa, lo fanno più per pietà che per amore; non riceve l’istruzione elementare, in quanto la scuola dista molto dal centro abitato. Sarà la madre, ancora una volta, a darle la prima alfabetizzazione.

A sedici anni, divenuta più grande, inizia a frequentare il collegio “Normale de Institutoras" di Medellín e, per pagarsi gli studi, va ad accudire gli ottanta malati del manicomio e ruba ore al sonno per studiare sui libri, presi in prestito dalla biblioteca magistrale. L’intelligenza prodigiosa di cui è dotata non solo le consente di superare brillantemente l’esame di ammissione, ma le permette anche di vincere una borsa di studio statale, grazie alla quale a 19 anni si diploma maestra. Prende con sé la mamma e per qualche anno va ad insegnare in varie scuole, giovane maestrina che non vuole soltanto insegnare nozioni ma anche trasmettere i valori cristiani.

Laura, che sempre ha sentito l’attrattiva per la vita consacrata, più volte ha pensato di farsi carmelitana. Chiamata che si fa più forte quando viene a conoscenza della situazione di miseria in cui vivono gli indigeni colombiani. Loro diventano la sua missione di vita. Osteggiata dai sui padri spirituali che la trovano troppo irrequieta per una vita di clausura, trova appoggio in monsignor Maximiliano Crespo, vescovo di Santa Fe de Antioquia che, nel 1914, la incoraggia nella fondazione di una famiglia religiosa: “Hermanas Misioneras de María Inmaculada y Santa Catalina de Sena”. Contemporaneamente la sua professione di maestra la porta attraverso varie popolazioni di Antioquia e poi al Collegio dell'immacolata a Medellín.
Accettando anticipatamente i sacrifici, le umiliazioni, le prove e le contraddizioni che sarebbero sopraggiunte, le “Missionarie catechiste degli indioslasciano Medellín per Dabeida, il 5 maggio 1914, e raggiungono nella giungla gli indios catios. Insieme a Laura partono in quella prima spedizione la sua mamma, ormai settantenne, e alcune amiche, che abbinano all’eroismo un pizzico di follia e che dal nome della loro fondatrice, verranno poi conosciute come “Laurite”.

A madre Laura si dà il merito di aver rivoluzionato il modo di fare missione evangelizzatrice. La sua opera missionaria ruppe gli schemi, lanciando le donne come missionarie nell'avanguardia dell'evangelizzazione nell'America Latina. Nonostante la malattia che la costringe sulla sedia a rotelle durante i sui ultimi nove anni di vita, continua ad animare con forza la congregazione da lei fondata.  

Muore a Medellín il 21 ottobre 1949, quando le sue suore sono ormai quasi 500 e le novizie un centinaio, a servizio di 22 popoli indigeni. Negli anni questi numeri sono più che raddoppiati e la loro presenza è segnalata in 19 stati.
Il processo di beatificazione, aperto il 4 luglio 1963 nella cappella della Curia Arcivescovile di Medellín, si è concluso a Roma il 7 luglio 2004.
Laura di Santa Caterina da Siena è stata elevata agli onori dell'altare dal Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005), il 21 ottobre 2004.