Alle ore 9.30 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre
Francesco ha ricevuto in Udienza le partecipanti all’Assemblea plenaria
dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (U.I.S.G.) ed ha
loro rivolto il discorso. Testo completo.
Signor Cardinale, venerato e caro Fratello nell’Episcopato, care
sorelle! Sono contento di incontrarvi oggi e desidero salutare ciascuna
di voi, ringraziandovi per quanto fate affinché la vita consacrata sia
sempre una luce nel cammino della Chiesa. Care sorelle, prima di tutto
ringrazio il caro Fratello Cardinale João Braz de Aviz, per le parole
che mi ha rivolto, anche mi piace la presenza del Segretario della
Congregazione. Il tema del vostro Convegno mi pare particolarmente
importante per il compito che vi è stato affidato: “Il servizio
dell’autorità secondo il Vangelo”. Alla luce di questa espressione
vorrei proporvi tre semplici pensieri, che lascio al vostro
approfondimento personale e comunitario.
1. Gesù, nell’Ultima Cena, si rivolge agli Apostoli con queste parole:
«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16), che ricordano
a tutti, non solo a noi sacerdoti, che la vocazione è sempre una
iniziativa di Dio. È Cristo che vi ha chiamate a seguirlo nella vita
consacrata e questo significa compiere continuamente un “esodo” da voi
stesse per centrare la vostra esistenza su Cristo e sul suo Vangelo,
sulla volontà di Dio, spogliandovi dei vostri progetti, per poter dire
con san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal
2,20). Questo “esodo” da se stessi è mettersi in un cammino di
adorazione e di servizio. Un esodo che ci porta a un cammino di
adorazione del Signore e di servizio a Lui nei fratelli e nelle sorelle.
Adorare e servire: due atteggiamenti che non si possono separare, ma
che devono andare sempre insieme. Adorare il Signore e servire gli
altri, non tenendo nulla per sé: questo è lo “spogliamento” di chi
esercita l’autorità. Vivete e richiamate sempre la centralità di Cristo,
l’identità evangelica della vita consacrata. Aiutate le vostre comunità
a vivere l’ “esodo” da sé in un cammino di adorazione e di servizio,
anzitutto attraverso i tre cardini della vostra esistenza. L’obbedienza
come ascolto della volontà di Dio, nella mozione interiore dello Spirito
Santo autenticata dalla Chiesa, accettando che l’obbedienza passi anche
attraverso le mediazioni umane. Ricordate che il rapporto
autorità-obbedienza si colloca nel contesto più ampio del mistero della
Chiesa e ne costituisce una particolare attuazione della sua funzione
mediatrice (cfr CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE
SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, Il servizio dell’autorità e l’obbedienza,
12).
La povertà come superamento di ogni egoismo nella logica del Vangelo che
insegna a confidare nella Provvidenza di Dio. Povertà come indicazione a
tutta la Chiesa che non siamo noi a costruire il Regno di Dio, non sono
i mezzi umani che lo fanno crescere, ma è primariamente la potenza, la
grazia del Signore, che opera attraverso la nostra debolezza. «Ti basta
la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella
debolezza», afferma l’Apostolo delle genti (2Cor12,9). Povertà che
insegna la solidarietà, la condivisione e la carità, e che si esprime
anche in una sobrietà e gioia dell’essenziale, per mettere in guardia
dagli idoli materiali che offuscano il senso autentico della vita.
Povertà che si impara con gli umili, i poveri, gli ammalati e tutti
quelli che sono nelle periferie esistenziali della vita. La povertà
teorica non ci serve. La povertà si impara toccando la carne di Cristo
povero, negli umili, nei poveri, negli ammalati, nei bambini.
E poi la castità come carisma prezioso, che allarga la libertà del dono a
Dio e agli altri, con la tenerezza, la misericordia, la vicinanza di
Cristo. La castità per il Regno dei Cieli mostra come l’affettività ha
il suo posto nella libertà matura e diventa un segno del mondo futuro,
per far risplendere sempre il primato di Dio. Ma, per favore, una
castità “feconda”, una castità che genera figli spirituali nella Chiesa.
La consacrata è madre, deve essere madre e non “zitella”! Scusatemi se
parlo così, ma è importante questa maternità della vita consacrata,
questa fecondità! Questa gioia della fecondità spirituale animi la
vostra esistenza; siate madri, come figura di Maria Madre e della Chiesa
Madre. Non si può capire Maria senza la sua maternità, non si può
capire la Chiesa senza la sua maternità e voi siete icona di Maria e
della Chiesa. 2. Un secondo elemento che vorrei sottolineare
nell’esercizio dell’autorità è il servizio: non dobbiamo mai dimenticare
che il vero potere, a qualunque livello, è il servizio, che ha il suo
vertice luminoso sulla Croce. Benedetto XVI, con grande sapienza, ha
richiamato più volte alla Chiesa che se per l’uomo spesso autorità è
sinonimo di possesso, di dominio, di successo, per Dio autorità è sempre
sinonimo di servizio, di umiltà, di amore; vuol dire entrare nella
logica di Gesù che si china a lavare i piedi agli Apostoli (cfr Angelus,
29 gennaio 2012), e che dice ai suoi discepoli: «Voi sapete che i
governanti delle nazioni dominano su di esse… Tra voi non sarà così; -
proprio il motto della vostra assemblea, no? ‘tra voi non sarà così’ -
ma chi vuole essere grande tra voi, sarà il vostro servitore e chi vuole
essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20,25-27). Pensiamo
al danno che arrecano al Popolo di Dio gli uomini e le donne di Chiesa
che sono carrieristi, arrampicatori, che “usano” il popolo, la Chiesa, i
fratelli e le sorelle – quelli che dovrebbero servire -, come
trampolino per i propri interessi e le ambizioni personali. Ma questi
fanno un danno grande alla Chiesa.
Sappiate sempre esercitare l’autorità accompagnando, comprendendo,
aiutando, amando; abbracciando tutti e tutte, specialmente le persone
che si sentono sole, escluse, aride, le periferie esistenziali del cuore
umano. Teniamo lo sguardo rivolto alla Croce: lì si colloca qualunque
autorità nella Chiesa, dove Colui che è il Signore si fa servo fino al
dono totale di sé. 3. Infine l’ecclesialità come una delle dimensioni
costitutive della vita consacrata, dimensione che deve essere
costantemente ripresa e approfondita nella vita. La vostra vocazione è
un carisma fondamentale per il cammino della Chiesa, e non è possibile
che una consacrata e un consacrato non “sentano” con la Chiesa. Un
“sentire” con la Chiesa, che ci ha generato nel Battesimo; un “sentire”
con la Chiesa che trova una sua espressione filiale nella fedeltà al
Magistero, nella comunione con i Pastori e il Successore di Pietro,
Vescovo di Roma, segno visibile dell’unità. L’annuncio e la
testimonianza del Vangelo, per ogni cristiano, non sono mai un atto
isolato. Questo è importante, l'annuncio e la testimonianza del Vangelo
per ogni cristiano non sono mai un atto isolato o di gruppo, e qualunque
evangelizzatore non agisce, come ricordava molto bene Paolo VI, «in
forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della
Chiesa e in nome di essa» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80). E
proseguiva Paolo VI: E' una dicotomia assurda pensare di vivere con Gesù
senza la Chiesa, di seguire Gesù al di fuori della Chiesa, di amare
Gesù senza amare la Chiesa (cfr ibid., 16). Sentite la responsabilità
che avete di curare la formazione dei vostri Istituti nella sana
dottrina della Chiesa, nell’amore alla Chiesa e nello spirito
ecclesiale.
Insomma, centralità di Cristo e del suo Vangelo, autorità come servizio
di amore, “sentire” in e con la Madre Chiesa: tre indicazioni che
desidero lasciarvi, a cui unisco ancora una volta la mia gratitudine per
la vostra opera non sempre facile. Che cosa sarebbe la Chiesa senza di
voi? Le mancherebbe maternità, affetto, tenerezza! Intuizione di Madre.
Care sorelle, siate certe che vi seguo con affetto. Io prego per voi, ma
anche voi pregate per me. Salutate le vostre comunità da parte mia,
soprattutto le sorelle ammalate e le giovani. A tutte va il mio
incoraggiamento a seguire con parresia e con gioia il Vangelo di Cristo.
Siate gioiose, perché è bello seguire Gesù, è bello diventare icona
vivente della Madonna e della nostra Santa Madre Chiesa gerarchica.
Grazie.
*
Questamattina Papa Francesco ha continuato all'udienza generale il ciclo di catechesi sul «Credo», iniziato da Benedetto XVI e da lui proseguito, soffermandosi sulla figura dello Spirito Santo. Nella stessa giornata, ha avuto un impegnativo incontro con le partecipanti all'assemblea plenaria dell'Unione Internazionale delle Superiori Generali, in un momento storico in cui sulle religiose e sulla loro obbedienza - o disubbidienza - al Magistero ci sono serie controversie.
Nell'udienza generale il Papa ha meditato su queste parole del «Credo»: «Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita». Nel «Credo» proclamiamo dunque anzitutto che lo Spirito Santo è «Kýrios», Signore. Con questa espressione confessiamo «che Egli è veramente Dio come lo sono il Padre e il Figlio, oggetto, da parte nostra, dello stesso atto di adorazione e di glorificazione che rivolgiamo al Padre e al Figlio. Lo Spirito Santo, infatti, è la terza Persona della Santissima Trinità; è il grande dono del Cristo Risorto che apre la nostra mente e il nostro cuore alla fede». Proclamiamo quindi che lo Spirito Santo «dà la vita», cioè è «la sorgente inesauribile della vita di Dio in noi».
La «vita di Dio» non consiste semplicemente nel restare vivi. «L’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi desidera una vita piena e bella, giusta e buona, una vita che non sia minacciata dalla morte, ma che possa maturare e crescere fino alla sua pienezza.
L’uomo è come un viandante che, attraversando i deserti della vita, ha sete di un’acqua viva, zampillante e fresca, capace di dissetare in profondità il suo desiderio profondo di luce, di amore, di bellezza e di pace. Tutti sentiamo questo desiderio!».
L’uomo è come un viandante che, attraversando i deserti della vita, ha sete di un’acqua viva, zampillante e fresca, capace di dissetare in profondità il suo desiderio profondo di luce, di amore, di bellezza e di pace. Tutti sentiamo questo desiderio!».
Inviandoci lo Spirito Santo «Gesù ci dona quest’acqua viva», come aveva promesso alla Samaritana. «Gesù è venuto a donarci quest’"acqua viva" che è lo Spirito Santo, perché la nostra vita sia guidata da Dio, sia animata da Dio, sia nutrita da Dio». Chi accetta l'«acqua viva», lo Spirito Santo, diventa un «uomo spirituale». Per sapere se lo siamo diventati davvero o no, dobbiamo chiederci: «pensiamo secondo Dio? Agiamo secondo Dio? O ci lasciamo guidare da tante altre cose che non sono propriamente Dio? Ciascuno di noi deve rispondere a questo nel profondo del suo cuore». L'uso della metafora dell'acqua non è casuale. Infatti «sappiamo che l’acqua è essenziale per la vita; senz’acqua si muore; essa disseta, lava, rende feconda la terra». E l'«acqua viva» che è lo Spirito Santo «prende dimora in noi, ci purifica, ci illumina, ci rinnova, ci trasforma perché ci rende partecipi della vita stessa di Dio che è Amore».
San Paolo insiste spesso sul fatto che lo Spirito Santo ci rende figli di Dio. Questo è «il dono prezioso che lo Spirito Santo porta nei nostri cuori: la vita stessa di Dio, vita di veri figli, un rapporto di confidenza, di libertà e di fiducia nell’amore e nella misericordia di Dio, che ha come effetto anche uno sguardo nuovo verso gli altri». Così, «l’acqua viva che è lo Spirito Santo disseta la nostra vita, perché ci dice che siamo amati da Dio come figli, che possiamo amare Dio come suoi figli e che con la sua grazia possiamo vivere da figli di Dio, come Gesù».
Dobbiamo però chiederci: «noi, ascoltiamo lo Spirito Santo? Cosa ci dice lo Spirito Santo? Dice: Dio ti ama. Ci dice questo. Dio ti ama, Dio ti vuole bene. Noi amiamo veramente Dio e gli altri, come Gesù? Lasciamoci guidare dallo Spirito Santo, lasciamo che Lui ci parli al cuore e ci dica questo: che Dio è amore, che Dio ci aspetta, che Dio è il Padre». E lo Spirito Santo parla nella Chiesa.
Lasciar parlare lo Spirito Santo è quanto ha raccomandato il Papa anche alle superiori religiose, scosse da polemiche soprattutto negli Stati Uniti. Al di là delle singole censure dottrinali e disciplinari, peraltro ribadite da comunicati recenti dei dicasteri vaticani competenti, i quali hanno chiarito che il cammino di correzione delle suore americane avviato da Benedetto XVI prosegue con Papa Francesco, il Pontefice è voluto andare alla radice del problema con tre semplici concetti.
Il primo è quello della vocazione che, anche per le suore, «è sempre una iniziativa di Dio. È Cristo che vi ha chiamate a seguirlo nella vita consacrata e questo significa compiere continuamente un "esodo" da voi stesse per centrare la vostra esistenza su Cristo e sul suo Vangelo, sulla volontà di Dio, spogliandovi dei vostri progetti». Se non si comprende che una vocazione religiosa consiste nel seguire la volontà di Dio e lo Spirito Santo, non seguire un progetto umano, tutti i problemi saranno impostati in modo sbagliato. Se invece si concepisce la vocazione come docile risposta allo Spirito, allora si comprende anche come «adorazione del Signore e servizio a Lui nei fratelli e nelle sorelle», «adorare e servire [siano] due atteggiamenti che non si possono separare, ma che devono andare sempre insieme».
Questo tenere sempre insieme adorazione e servizio aiuta a seguire i voti nei quali la vocazione si è fatta concreta: obbedienza, povertà, castità. L’obbedienza è «ascolto della volontà di Dio, nella mozione interiore dello Spirito Santo autenticata dalla Chiesa, accettando che l’obbedienza passi anche attraverso le mediazioni umane».
Non avrebbe senso parlare di una generica «obbedienza» a Dio e allo Spirito Santo che ignorasse la «funzione mediatrice» del Magistero, del Papa, dei vescovi.
Non avrebbe senso parlare di una generica «obbedienza» a Dio e allo Spirito Santo che ignorasse la «funzione mediatrice» del Magistero, del Papa, dei vescovi.
La povertà - un tema caro a Papa Francesco - non è solo povertà materiale, ma è pure «indicazione a tutta la Chiesa che non siamo noi a costruire il Regno di Dio, non sono i mezzi umani che lo fanno crescere, ma è primariamente la potenza, la grazia del Signore, che opera attraverso la nostra debolezza».
La povertà non deve diventare un'ideologia. «La povertà teorica non ci serve. La povertà si impara toccando la carne di Cristo povero, negli umili, nei poveri, negli ammalati, nei bambini», ma anche in tutti coloro - non sempre poveri in senso materiale - «che sono nelle periferie esistenziali della vita» e che sono vittima degli «idoli materiali che offuscano il senso autentico della vita».
La povertà non deve diventare un'ideologia. «La povertà teorica non ci serve. La povertà si impara toccando la carne di Cristo povero, negli umili, nei poveri, negli ammalati, nei bambini», ma anche in tutti coloro - non sempre poveri in senso materiale - «che sono nelle periferie esistenziali della vita» e che sono vittima degli «idoli materiali che offuscano il senso autentico della vita».
Quindi la castità, «carisma prezioso» che non passa di moda e che «mostra come l’affettività ha il suo posto nella libertà matura e diventa un segno del mondo futuro, per far risplendere sempre il primato di Dio. Ma, per favore, una castità "feconda", una castità che genera figli spirituali nella Chiesa. La consacrata è madre, deve essere madre e non "zitella"! Scusatemi se parlo così, ma è importante questa maternità della vita consacrata, questa fecondità!». Una fecondità, ancora, non semplicemente umana ma da vivere pienamente nella Chiesa e con la Chiesa.
Il secondo concetto richiamato da Papa Francesco è l'autorità, intesa come servizio, «che ha il suo vertice luminoso sulla Croce». «Benedetto XVI - ha ricordato Papa Francesco -, con grande sapienza, ha richiamato più volte alla Chiesa che se per l’uomo spesso autorità è sinonimo di possesso, di dominio, di successo, per Dio autorità è sempre sinonimo di servizio, di umiltà, di amore».
Il Pontefice ha denunciato - non è la prima volta - il «danno che arrecano al Popolo di Dio gli uomini e le donne di Chiesa che sono carrieristi, arrampicatori, che "usano" il popolo, la Chiesa, i fratelli e le sorelle – quelli che dovrebbero servire -, come trampolino per i propri interessi e le ambizioni personali. Ma questi fanno un danno grande alla Chiesa».
Il Pontefice ha denunciato - non è la prima volta - il «danno che arrecano al Popolo di Dio gli uomini e le donne di Chiesa che sono carrieristi, arrampicatori, che "usano" il popolo, la Chiesa, i fratelli e le sorelle – quelli che dovrebbero servire -, come trampolino per i propri interessi e le ambizioni personali. Ma questi fanno un danno grande alla Chiesa».
Il terzo concetto illustrato dal Papa alle superiori religiose è «l’ecclesialità come una delle dimensioni costitutive della vita consacrata, dimensione che deve essere costantemente ripresa e approfondita nella vita». Non senza un'evidente allusione alle recenti controversie americane, Papa Francesco ha affermato che «non è possibile che una consacrata e un consacrato non "sentano" con la Chiesa». E questo sentire con la Chiesa non può essere solo proclamato a parole: trova «una sua espressione filiale nella fedeltà al Magistero, nella comunione con i Pastori e il Successore di Pietro, Vescovo di Roma, segno visibile dell’unità».
Ci sono suore che talora argomentano cercando di scusare i loro contrasti con la gerarchia in nome dell'urgenza dell'annuncio e della testimonianza della carità. Risponde Papa Francesco che «l'annuncio e la testimonianza del Vangelo, per ogni cristiano, non sono mai un atto isolato. Questo è importante». Un sacerdote, un religioso, una religiosa, un laico impegnato nel l'evangelizzazione «non agisce, come ricordava molto bene Paolo VI [1897-1978] "in forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa" (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80).
E proseguiva Paolo VI: è una dicotomia assurda pensare di vivere con Gesù senza la Chiesa, di seguire Gesù al di fuori della Chiesa, di amare Gesù senza amare la Chiesa (cfr ibid., 16)». Gli istituti religiosi, ha detto il Papa alle superiore, vanno guidati e formati sempre «nella sana dottrina della Chiesa, nell’amore alla Chiesa e nello spirito ecclesiale». Un ordine di suore dovrebbe «diventare icona vivente della Madonna e della nostra Santa Madre Chiesa gerarchica», ha concluso Papa Francesco. L'aggettivo «gerarchica» non sembra scelto a caso.
Introvigne
Essere consacrati significa essere nella Chiesa, Papa Francesco e le suore americane
Korazym
(Angela Ambrogetti) “Non è possibile che una consacrata e un consacrato non "sentano" con la
Chiesa.” Papa Francesco lo ha detto alle suore di tutto il mondo. Lo ha
ripetuto a pochi giorni di distanza dalla dichiarazione congiunta
della Congregazione per la Dottrina della (...)