giovedì 9 maggio 2013

Papa Francesco: chinarsi sul dolore del mondo



Nuovo tweet del Papa:
Dono prezioso che lo Spirito Santo porta nei nostri cuori è la profonda fiducia nell’amore e nella misericordia di Dio.
 (9 maggio 2013)
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"Il vescovo e il suo popolo" ... A proposito degli incontri fra Papa Francesco e i fedeli in Piazza San Pietro tra insegnamenti dottrinali, abbracci, baci, dialoghi a distanza e affetto reciproco immenso. Le feste del mercoledì.
(Luis Badilla) Papa Francesco, ieri mercoledì, giorno dell'Udienza generale, è arrivato nella Piazza San Pietro poco dopo le 9.45, e finita la catechesi, iniziata alle 10.30, è rimasto ancora quasi un'ora. In pratica, ha dedicato più di un 90 minuti a stare fra i fedeli e pellegrini per salutare, abbracciare e scambiare gesti e parole di affetto e vicinanza, in particolare con gli ammalati, gli anziani e i bambini. Con questi ultimi spesso, come sempre, ha scherzato come fa un papà con i figli.
E com'è ben noto, il comportamento del Papa è un modo di fare (e di essere) che conosciamo sin dal primo giorno del suo pontificato. Da quel giorno, la gente, sempre più numerosa ovunque vada, risponde con il medesimo affetto ed entusiasmo. L'enorme numero di fedeli e pellegrini non sembra diminuire, anzi. Ogni sua presenza tra questi fedeli e pellegrini diventa subito una festa e ciò si palesa come ormai una caratteristica intrinseca del suo pontificato e la si può sottolineare con certezza, anche se ancora non supera i primi due mesi di pontificato. D'altra parte si sa che Papa Francesco prepara, nel suo cuore, questi incontri con grande entusiasmo e non poche volte dimostra fretta di arrivare in Piazza.
Francesco è il Papa che la gente voleva e che attendeva con trepidazione i giorni del Conclave: un Papa che dovendo e volendo essere una "guida" autorevole, per primo, cerca di "creare incontro e vicinanza", fiducia reciproca, rispetto vicendevole, ascolto, quindi comunione. Papa Francesco è felice tra la gente, seppure sia faticoso,  perché non solo fa parte del suo modo di essere, ma anche perché è consapevole che così la sua "guida" di pastore avrà radici profonde e solide, capace di reggere l'albero ( la barca) nelle ore difficili. Lo ha detto diverse volte enfatizzando l'espressione, che è anche realtà ecclesiale: "il vescovo e il suo popolo". 
Non siamo dunque di fronte solo ad una personalità straordinaria che crea empatia e aggregazione. Siamo ormai davanti ad una guida della Chiesa che nel suo stile evidenzia una scelta precisa, quella che secondo il cardinale Jorge Mario Bergoglio, dopo la rinuncia di Benedetto XVI, riteneva un requisito del nuovo Papa: essere un buon vescovo, capace di accogliere, tenero con le persone e capace anche di creare comunione. 
L'11 marzo scorso, due giorni prima dell'elezione di Papa Francesco, abbiamo scritto un nota seguendo quanto in quei giorni le Tv facevano sentire: numerose interviste fatte per strada, a persone semplici, spesso umili - giovani, donne, anziani, lavoratori ... - su "quale Papa volevano". Erano opinioni, considerazioni e aneliti che spesso non corrispondeva affatto a quanto invece dicevano gli esperti e osservatori di questioni vaticane.
Allora, due mesi fa, abbiamo scritto: "Vi proponiamo alcune parole o frasi che si sentono nelle interviste che le Tv fanno alle persone incontrate per strada oppure che si leggono in centinaia di siti o blog nati in questi giorni ..." (...) Vogliamo "un Papa luminoso, trasparente, incontrovertibile, profetico, non condizionato dalle logiche della politica e della finanza, che metta al centro l’uomo e le famiglie, le angosce di questi tempi, le speranze e progetti delle persone umili; una guida nella notte, una mano calda nelle ore dello smarrimento, vicino ai giovani senza futuro, un Nazareno capace di chinarsi sul dolore del mondo, un Samaritano che non ha fretta, (...) "Dunque - aggiungevamo - la gente semplice non sente nessuno bisogno di un leader, di uno stratega, di uno statista o di un amministratore delegato ... Sente, e desidera, un pastore, un sacerdote pieno di umanità, dentro le vicissitudini del mondo, ora e qui; un fratello che indica la strada, non ti lascia solo, e cammina con te come i discepoli di Emmaus. Un pastore consapevole che 'da quando Dio si fece uomo, l'uomo è la misura di tutte le cose'.

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Perché papa Francesco non dà la comunione

Perché, dice, tra i fedeli potrebbero infilarsi dei pubblici peccatori non pentiti e lui non vuole assecondare la loro ipocrisia. Il caso dei politici cattolici fautori dell'aborto

di Sandro Magister
 ROMA, 9 maggio 2013 – C'è una particolarità, nelle messe celebrate da papa Francesco, che suscita degli interrogativi rimasti finora senza risposta.

Al momento della comunione, papa Jorge Mario Bergoglio non la amministra di persona ma lascia che siano altri a dare l'ostia consacrata ai fedeli. Si siede e aspetta che la distribuzione del sacramento sia completata.

Le eccezioni sono pochissime. Nelle messe solenni il papa, prima di sedersi, dà la comunione a chi lo assiste all'altare. E nella messa dello scorso Giovedì Santo, nel carcere minorile di Casal del Marmo, ha voluto dare lui la comunione ai giovani detenuti che si sono accostati a riceverla.

Una spiegazione esplicita di questo suo comportamento Bergoglio non l'ha data, da quando è papa.

Ma c'è una pagina di un suo libro del 2010 che fa intuire i motivi all'origine del gesto.

Il libro è quello che raccoglie i suoi colloqui con il rabbino di Buenos Aires Abraham Skorka.

Al termine del capitolo dedicato alla preghiera, Bergoglio dice:

"Davide era stato adultero e mandante di un omicidio, e tuttavia lo veneriamo come un santo perché ebbe il coraggio di dire: 'Ho peccato'. Si umiliò davanti a Dio. Si possono commettere errori enormi, ma si può anche riconoscerlo, cambiare vita e riparare a quello che si è fatto. È vero che tra i parrocchiani ci sono persone che hanno ucciso non solo intellettualmente o fisicamente ma indirettamente, con una cattiva gestione dei capitali, pagando stipendi ingiusti. Sono membri di organizzazioni di beneficenza, ma non pagano ai loro dipendenti quel che gli spetta, o fanno lavorare in nero. […] Di alcuni conosciamo l'intero curriculum, sappiamo che si spacciano per cattolici ma hanno comportamenti indecenti di cui non si pentono. Per questa ragione in alcune occasioni non do la comunione, rimango dietro e lascio che siano gli assistenti a farlo, perché non voglio che queste persone si avvicinino a me per la foto. Si potrebbe anche negare la comunione a un noto peccatore che non si è pentito, ma è molto difficile provare queste cose. Ricevere la comunione significa ricevere il corpo del Signore, con la coscienza di formare una comunità. Ma se un uomo, più che unire il popolo di Dio, ha falciato la vita di moltissime persone, non può fare la comunione, sarebbe una totale contraddizione. Simili casi di ipocrisia spirituale si presentano in molti che trovano riparo nella Chiesa e non vivono secondo la giustizia che predica Dio. E non mostrano pentimento. È ciò che comunemente chiamiamo condurre una doppia vita".

Come si può notare, Bergoglio spiegava nel 2010 il suo astenersi dal dare personalmente la comunione con un ragionamento molto pratico: "Non voglio che queste persone si avvicinino a me per la foto".

Da pastore sperimentato e da buon gesuita, egli sapeva che tra chi si accostava a ricevere la comunione potevano esserci dei pubblici peccatori non pentiti, che peraltro si professavano cattolici. Sapeva che a quel punto sarebbe stato difficile negare loro il sacramento. E sapeva degli effetti pubblici che quella comunione avrebbe potuto avere, se ricevuta dalle mani dell'arcivescovo della capitale argentina.

Si può arguire che Bergoglio avverta lo stesso pericolo anche da papa, anzi ancor più. E per questo adotti lo stesso comportamento prudenziale: "Non do la comunione, rimango dietro e lascio che siano gli assistenti a farlo".

I pubblici peccati che Bergoglio ha portato ad esempio, nel suo colloquio con il rabbino, sono l'oppressione del povero e la negazione del giusto salario all'operaio. Due peccati tradizionalmente elencati tra i quattro che "gridano vendetta al cospetto di Dio".

Ma il ragionamento è lo stesso che in questi ultimi anni è stato applicato da altri vescovi a un altro peccato: il pubblico sostegno alle leggi pro aborto da parte di politici che si professano cattolici.

Quest'ultima controversia ha il suo epicentro negli Stati Uniti.

Nel 2004 l'allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, trasmise alla conferenza episcopale statunitense una nota con i "principi generali" sulla questione.

La conferenza episcopale decise di "applicare" volta per volta i principi richiamati da Ratzinger affidando "a ciascun vescovo di esprimere prudenti giudizi pastorali nelle circostanze a lui proprie".

Da Roma il cardinale Ratzinger accettò questa soluzione e la definì "in armonia" con i principi generali della sua nota.

In realtà i vescovi degli Stati Uniti non sono unanimi. Alcuni, anche tra i conservatori, come i cardinali Francis George e Patrick O'Malley, sono riluttanti a "fare dell'eucaristia un campo di battaglia politica". Altri sono più intransigenti.  Quando il cattolico Joe Biden fu scelto come vicepresidente da Barack Obama, l'allora vescovo di Denver Charles J. Chaput, oggi a Filadelfia, disse che l'appoggio dato da Biden al cosiddetto "diritto" all'aborto è una grave colpa pubblica e "quindi per coerenza egli si dovrebbe astenere dal presentarsi a ricevere la comunione".

Sta di fatto che lo scorso 19 marzo, nella messa d'inaugurazione del pontificato di Francesco, il vicepresidente Biden e la presidente del partito democratico Nancy Pelosi, anch'essa cattolica pro aborto, facevano parte della rappresentanza ufficiale degli Stati Uniti.

E tutti e due hanno ricevuto la comunione. Ma non dalle mani di papa Bergoglio, che se ne stava seduto dietro l'altare.