venerdì 17 maggio 2013

Papa Francesco e il suo primo antenato...



Messa a Santa Marta. La vergogna di Pietro.

L’essere peccatori non è un problema; lo è piuttosto non pentirsi di avere peccato, non provare vergogna per quello che si è fatto.  Papa Francesco — nell’omelia della messa di stamane, venerdì 17 maggio,  a Santa Marta — ha ripercorso la storia degli incontri di Pietro con Gesù, proponendone una lettura particolare. Gesù, ha fatto notare,  «consegna il suo gregge a un peccatore», Pietro.  «Peccatore  ma non corrotto» ha subito precisato, quasi a voler dare maggior forza a quanto stava per dire rivolto ai partecipanti alla celebrazione mattutina: «Peccatori, sì, tutti! ma corrotti, no». Peggio essere corrotti che peccatori.San Pietro‚ (particolare del Reliquiario di san Biagio, Ragusa)Il Pontefice ha maturato questa riflessione commentando le letture del giorno (Atti degli apostoli  25, 13-21 e Giovanni  21, 15-19), mettendo soprattutto in evidenza il dialogo d’amore che si sviluppa tra Pietro e Gesù attraverso i loro frequenti incontri dopo il primo “Seguimi!” «quando suo fratello Andrea — ha ricordato  il Papa — lo ha portato da Gesù», il quale dopo averlo guardato «dice: “Ma tu sei Simone”? “Da adesso ti chiamerai Cefa, Pietra”». Era l’inizio di una missione,  ha spiegato, anche se «Pietro non aveva capito niente, ma la missione c’era».
Poi ha riproposto i tanti altri incontri di cui si parla nel Vangelo come per esempio «quella volta, quando Gesù fa il miracolo della pesca; quando Pietro dice a Gesù: “Io sono peccatore”, in un incontro e gli dice anche  “allontanati da me, Signore, perché io sono un peccatore!”. Poi, un altro incontro con Gesù, quando Gesù parla dell’Eucaristia, no?,  mangiare il pane, il Suo Corpo e alcuni si allontanavano, perché non capivano» ed era un discorso «che non piaceva loro». E a quelli che erano rimasti  «Gesù domanda: “Anche voi, volete allontanarvi?”. E Pietro dice: “Ma… Signore, tu solo hai parole di vita eterna”».
Il Santo Padre ha proseguito poi nella descrizione dei diversi incontri tra il Signore e i discepoli, sino a  quando si incrociano di nuovo gli sguardi di Gesù e di Pietro dopo che quest’ultimo, come previsto dal maestro, lo ha rinnegato per tre volte. «Quello sguardo di Gesù, tanto bello — ha detto il Papa —  tanto bello! E Pietro piange».  Questa «è la storia degli incontri » durante i quali Gesù forgia nell’amore l’anima di Pietro.
Quell’amore per il quale Pietro piange quando Gesù, in un altro incontro, «gli chiede per tre volte “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”». Ogni volta che Gesù ripete questa domanda a Pietro torna in mente  che lo ha rinnegato, che ha detto di non conoscerlo «e si vergogna. La vergogna di Pietro, no?».
Insomma «è un uomo grande, questo Pietro. Peccatore: peccatore. Ma il Signore gli fa sentire, a lui e anche a noi, che tutti siamo peccatori» e  che «il problema non è essere peccatori», ma «non pentirsi del peccato, non avere vergogna di quello che abbiamo fatto. Quello è il problema». Ma Pietro sente questa vergogna, questa umiltà, no? Il peccato...».
Solo che Pietro aveva un cuore grande e questo  «lo porta a un incontro nuovo con Gesù, alla gioia del perdono, quella sera, quando ha pianto». Il Signore non recede  da quello che aveva promesso, cioè «“Tu sei pietra”, e anche in questo momento gli dice: “Pasci il mio gregge”» e consegna a un peccatore il suo gregge. «Ma Pietro — ha precisato il vescovo di Roma — era peccatore, ma non corrotto, eh? Peccatori, sì, tutti: corrotti, no».
Poi Papa Francesco ha raccontato, come spesso accade durante queste celebrazioni mattutine, un episodio della propria vita: «Una volta ho saputo di un prete, un buon parroco che lavorava bene; è stato nominato vescovo, e lui aveva vergogna perché non si sentiva degno, aveva un tormento spirituale. È andato dal confessore. Il confessore lo ha ascoltato  e poi gli ha detto: “Ma non ti spaventare. Se con quella così grossa che ha fatto Pietro, lo hanno fatto Papa, tu vai avanti!”.  È che il Signore è così. Il Signore è così. Il Signore ci fa maturare attraverso tanti incontri con lui, anche con le nostre debolezze, quando le riconosciamo; con i nostri peccati. Lui è così, e la storia di quest’uomo che si è lasciato proprio modellare — credo che si dica così — con tanti incontri con Gesù,  serve a tutti noi, perché siamo sulla stessa strada, dietro a Gesù per praticare il Vangelo. Pietro è un grande ma non perché sia dottore in questo o perché sia uno bravo che ha fatto questo... No: è un grande, è un nobile, ha un cuore nobile, e questa nobiltà lo porta al pianto, lo porta al dolore, alla vergogna ma anche a prendere il suo lavoro di pascere il gregge».
Un esempio per tutti  quest’uomo che si incontra continuamente col Signore, ha detto Papa Francesco concludendo, il quale  «lo purifica, lo fa più maturo» proprio con questi incontri. «Chiediamo che  aiuti anche  noi ad andare avanti cercando il Signore e ad incontrarlo. Ma più di questo è importante lasciarci incontrare dal Signore: lui sempre ci cerca, lui è sempre vicino a noi. Ma tante volte, noi guardiamo dall’altra parte perché non abbiamo voglia di parlare con il Signore o di lasciarci incontrare dal Signore: questa è una grazia. Ecco la grazia che ci insegna Pietro. Chiediamo oggi questa grazia».
Alla celebrazione questa mattina hanno partecipato tra gli altri il terzo gruppo di dipendenti dei Musei Vaticani e gli addetti al Servizio di sicurezza dei luoghi di lavoro in Vaticano accompagnati dall’architetto Pierpaolo di Mattia. L'Osservatore Romano


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Papa Francesco contro i «cristiani da salotto». Bruno Forte: «Ce l’ha con chi cerca carriera e privilegi»


Dice l’Apocalisse che Dio vomiterà «i tiepidi», perché non sono né «freddi» né «ferventi». Più o meno la medesima “accusa” formulata ieri da Papa Francesco che ha chiesto di guardarsi dai «cristiani da salotto».
Bruno Forte, teologo di pregio, arcivescovo di Chieti – Vasto consacrato dal cardinale Joseph Ratzinger, già membro della commissione teologica internazionale, chi sono i «cristiani da salotto»?
«L’ha detto il Papa. Sono coloro che non hanno il coraggio di dare fastidio. Che vivono per la comodità e gli agi, appiattendosi sulle logiche del potere e della convenienza, le logiche proprie del mondo. Sono coloro che rifiutano lo scandalo della vita cristiana: la croce di Cristo, Dio che si fa servo dell’uomo».
Un richiamo anzitutto a Roma e alla sua curia?
«Un richiamo a tutta la Chiesa. Affinché si torni alla radicalità del Vangelo. Non è questo il tempo di una Chiesa che cerchi nella comodità dei salotti il proprio tornaconto, una Chiesa che rinunci allo Spirito nel nome del potere o della convenienza politica».
La Chiesa vive troppo di carrierismo e privilegi?
«Il Papa chiede che si abbandoni ogni autoreferenzialità. Chi vive riferendo tutto a se stesso non ama, e vive quindi per la carriera, per i privilegi. Questa Chiesa non è la Chiesa di Gesù Cristo. Il Papa chiede che ogni fedele – e l’intero popolo di Dio – esca da se stesso e abbracci ogni periferia del mondo e anche del cuore, geografica e spirituale».
Insomma, non vuole una Chiesa tranquilla?
«Esatto. Vorrei citare qui san Bernardo che dice che “Amaritudo Ecclesiae sub tyrannis est amara; sub haereticis est amarior; sed in pace est amarissima”. E cioè: “È amara la vita della Chiesa quando è perseguitata dai tiranni; di più lo è quando è divisa a causa degli eretici; ma raggiunge il suo culmine quando se ne sta tranquilla e in pace”. Se la Chiesa è tranquilla significa che c’è qualcosa che non va…».
L’arrivo di Francesco ha cambiato e sta cambiando molte cose.
«Il suo arrivo chiede un rinnovamento certamente anche interno. È il tempo della Chiesa dei poveri, della Chiesa che sappia servire tutti gli uomini, a cominciare dagli ultimi. Se le priorità sono altre, la Chiesa non è fedele alla sua vocazione e missione».
Per essere aiutato in questo servizio il Papa ha chiamato accanto a sé otto cardinali di continenti diversi. Una svolta anche qui, affinché si conduca la Chiesa più collegialmente e ascoltando tutti?
«Già la sera dell’elezione, affacciandosi dalla loggia delle benedizioni, Francesco aveva citato sant’Ignazio d’Antiochia, che all’inizio del II secolo si riferisce alla Chiesa di Roma come a quella “che presiede nella carità”. La convocazione del consiglio dei cardinali risponde alla logica della Chiesa unita nella fede, capace di tenere presente e valorizzare ogni diversità nella comunione collegiale dei vescovi intorno al vescovo di Roma e con la sua guida. Veramente una e cattolica»
P. Rodari (La Repubblica)

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