mercoledì 8 maggio 2013

Papa Francesco: "Gesù non esclude nessuno!".

 


Gesù non ha escluso nessuno. Ha costruito ponti, non muri. Il suo messaggio di salvezza è per tutti. Questa mattina, mercoledì 8 maggio, durante la messa nella cappella della Domus Sanctae Marthae, Papa Francesco si è soffermato sull’atteggiamento del buon evangelizzatore: aperto a tutti, pronto ad ascoltare tutti, senza esclusioni. Fortunatamente, ha notato, «adesso è un buon tempo nella vita della Chiesa: questi ultimi cinquanta anni, sessanta anni, è un bel tempo. Perché io ricordo quando ero bambino si sentiva nelle famiglie cattoliche, anche nella mia: “No, a casa loro non possiamo andare, perché non sono sposati per la Chiesa, eh”. Era come una esclusione. No, non potevi andare! O perché sono socialisti o atei, non possiamo andare. Adesso, grazie a Dio, no, non si dice».
L’esempio proposto dal Pontefice è quello dell’apostolo Paolo che nell’areopago (Atti degli apostoli, 17, 15. 22 - 18, 1) annunzia Gesù Cristo tra gli adoratori di idoli. Importante è, secondo il Papa, il modo in cui lo fa: «Lui non dice: “Idolatri, andrete all’inferno!”», ma «cerca di arrivare al loro cuore»; non condanna dall’inizio, cerca il dialogo: «Paolo è un pontefice, costruttore di ponti. Lui non vuole diventare un costruttore di muri». Costruire ponti per annunziare il Vangelo, «questo è l’atteggiamento di Paolo ad Atene: fare un ponte al cuore loro, per poi fare un passo in più e annunziare Gesù Cristo».
Paolo è coraggioso e «questo ci fa pensare sull’atteggiamento di un cristiano. Un cristiano deve annunziare Gesù Cristo in una maniera che Gesù Cristo venga accettato, ricevuto, non rifiutato». Del resto, «l’annunzio della verità dipende dallo Spirito Santo. Gesù ci dice nel Vangelo di oggi (Giovanni, 16, 12-15): “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità”. Paolo non dice agli ateniesi: “Questa è la enciclopedia della verità. Studiate questo e avrete la verità!”».
La verità, dunque, «non entra in una enciclopedia»; è piuttosto l’«incontro con la somma verità: Gesù, la grande verità. Nessuno è padrone della verità» e — ha avvertito il Pontefice — la verità non si può gestire a proprio piacimento, non si può strumentalizzare, «neppure per difenderci». E ancora: «L’apostolo Pietro ci dice: “Voi dovete dar conto della vostra speranza”. Sì, ma una cosa è dar conto della propria speranza e altra cosa è dire: “Noi abbiamo la verità: questa è! Se voi non la accettate, andate via”». Paolo ha seguito l’atteggiamento di Gesù, il quale ha parlato con tutti: «Ha sentito la samaritana, il dialogo con la samaritana; andava a pranzo con i farisei, con i peccatori, con i pubblicani, con i dottori della legge. Gesù ha sentito tutti e quando ha detto una parola di condanna, è stato alla fine, quando non c’era niente da fare».
Ma Paolo è anche «consapevole che deve evangelizzare, non fare proseliti». La Chiesa «non cresce nel proselitismo; Benedetto XVI ce lo ha detto; ma cresce per attrazione, per la testimonianza, per la predicazione». Infine «Paolo agisce così perché era sicuro, sicuro di Gesù Cristo. Non dubitava del suo Signore. I cristiani che hanno paura di fare i ponti e preferiscono costruire muri, sono cristiani non sicuri della propria fede, non sicuri di Gesù Cristo. E si difendono» erigendo dei muri.
Paolo insegna quale debba essere il cammino dell’evangelizzazione, da seguire con coraggio. E «quando la Chiesa perde questo coraggio apostolico, diventa una Chiesa ferma. Ordinata, bella; tutto bello, ma senza fecondità, perché ha perso il coraggio di andare alle periferie, qui dove ci sono tante persone vittime dell’idolatria, della mondanità, del pensiero debole». E se a frenare è la paura di sbagliare bisogna pensare che ci si può rialzare e continuare ad andare avanti. «Quelli che non camminano per non sbagliare — ha concluso Papa Francesco — fanno uno sbaglio più grave».
Tra i concelebranti vi erano il cardinale Francesco Coccopalmerio e l’arcivescovo Oscar Rizzato. Fra i presenti, un gruppo di collaboratori dei servizi generali del Governatorato e i giudici e gli addetti alla cancelleria del Tribunale del Vaticano, con il presidente Giuseppe Dalla Torre. L'Osservatore Romano, 9 maggio 2013.


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I giovani, seminaristi e laici destinatari e promotori della nuova evangelizzazione, alla luce delle linee del Sinodo che su questo tema si è svolto nell’ottobre scorso. Questo il tema al centro della Giornata di Studio organizzata ieri all’Università Lateranense dall’Istituto Pastorale "Redemptoris hominis". Ad aprire i lavori, mons. Nicola Eterovic, segretario generale del Sinodo dei Vescovi. Gabriella Ceraso gli ha chiesto quali effetti sta avendo il messaggio che dall’assise sinodale è giunto nelle Chiese particolari:

R. – Si può parlare di un rinnovamento della pastorale ordinaria, secondo un nuovo entusiasmo, nuovi metodi, nuove espressioni, e di una maggiore attenzione verso le persone, che si sono allontanate, battezzate ma insufficientemente catechizzate. Anche il Santo Padre Francesco parla di andare verso le periferie per incontrare queste persone. Si parla, dunque, di missione continentale, di missione cittadina - soprattutto nei momenti forti dell’anno liturgico – di missione popolare, che bisogna riprendere. 

D. – Il Papa ha usato il termine “evangelizzazione” sin dall’inizio e ha anche sottolineato il fatto che la Chiesa debba scendere a conquistare le persone, scendere tra la gente. Questo nuovo slancio vi ha aiutato?

R. – Senz’altro, perché Gesù Cristo è vivo in mezzo a noi, ci dà il suo Spirito Santo, e noi dobbiamo vivere questa realtà e trasmetterla agli altri in modo accessibile e comprensibile. Gesù Cristo è sempre attuale, soprattutto per il nostro uomo contemporaneo, che cerca la verità, la giustizia e la pace e la può trovare solo in Gesù Cristo.

D. – Nel documento finale del Sinodo si parlava di famiglia e parrocchia come luoghi cardine per l’evangelizzazione, ma anche dell’importanza dei giovani, che non vanno scoraggiati, non vanno mortificati nel loro entusiasmo. Questo è anche un tema delle parole di Papa Francesco, no? “Non perdete la speranza, puntate in alto”: questo ha portato nuova linfa?

R. – Senz’altro, perché i giovani sono la speranza della Chiesa e del mondo, che purtroppo oggi è un po’ in crisi, perché tanti genitori, non conoscono sufficientemente la fede e non possono trasmettere ai figli il contenuto. In questo caso, è la comunità tutta insieme che deve aiutare questi genitori: le parrocchie, i movimenti e le tante iniziative delle Chiese particolari. Anche il grande catecheta, il Santo Padre Francesco, si mette su questa strada. I giovani, però, sono non solo oggetto, ma anche soggetto della nuova evangelizzazione. Spesso, noi abbiamo esperienze molto belle: i giovani, preparandosi ad esempio al Sacramento della Prima Comunione, a volte avvicinano a Gesù anche i loro genitori che per vari motivi si erano allontanati.

D. – Con questa giornata, quale nuovo tassello si vuole inserire nel contesto?

R. – Questa giornata s’inserisce nel processo di riflessione sul tema del Sinodo “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede” aperta ai giovani, che stanno studiando e preparandosi per essere nuovi evangelizzatori. E’ importante, dunque, specificare che cosa intendiamo per nuova evangelizzazione. Questi giovani, poi, devono anche annunciare ciò che vivono negli ambienti dove diventeranno evangelizzatori, visto che non ci sono solo seminaristi, sacerdoti, ma anche laici. E’ importante anche la testimonianza dei laici, negli ambienti dove vivono, a cominciare dalla famiglia, dalla parrocchia, dalle Associazioni, dai Movimenti e così via. 

D. – Rispetto a quelle che erano le intenzioni del Sinodo, quali sono – se emerse in questo lasso di tempo – le problematicità?

R. – Abbiamo recepito che il tema è molto attuale e riguarda tutta la Chiesa, anche se in modo particolare i Paesi più secolarizzati. Nel nostro mondo globalizzato, però, il tema riguarda anche Paesi di prima evangelizzazione: in tanti anche lì si sono allontanati dalla Chiesa. Ci sono alcune barriere, anche culturali, che dobbiamo superare, ma c’è molta apertura, molto desiderio di essere testimoni di Gesù Cristo, non tanto con le parole, quanto con l’esempio della vita.
 Radio Vaticana