sabato 11 maggio 2013

Papa Francesco: "La preghiera ci fa uscire da noi stessi"




Le piaghe di Gesù sono ancora presenti sulla terra. Per riconoscerle è necessario uscire da noi stessi e andare incontro ai fratelli bisognosi, ai malati, agli ignoranti, ai poveri, agli sfruttati. È l’«esodo» che Papa Francesco ha indicato ai cristiani nell’omelia della messa celebrata sabato mattina, 11 maggio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.Si tratta — ha spiegato il Pontefice — di «un uscire da noi stessi» reso possibile dalla preghiera «verso il Padre in nome di Gesù». La preghiera che «ci annoia», invece, è «sempre dentro noi stessi, come un pensiero che va e viene. Ma la vera preghiera è uscire da noi stessi verso il Padre in nome di Gesù, è un esodo da noi stessi» che si compie «con l’intercessione proprio di Gesù, che davanti al Padre gli fa vedere le sue piaghe».
Ma come riconoscere queste piaghe di Gesù? Come è possibile avere fiducia in queste piaghe se non le si conosce? E qual è «la scuola dove si impara a conoscere le piaghe di Gesù, queste piaghe sacerdotali, di intercessione?». La risposta del Papa è stata esplicita: «Se noi non riusciamo a fare questa uscita da noi stessi verso quelle piaghe, non impareremo mai la libertà che ci porta nell’altra uscita da noi stessi, verso le piaghe di Gesù». 
Da qui l’immagine delle due «uscite da noi stessi» indicate dal Santo Padre: la prima è «verso le piaghe di Gesù, l’altra verso le piaghe dei nostri fratelli e sorelle. E questa è la strada che Gesù vuole nella nostra preghiera». Parole che trovano conferma nel Vangelo di Giovanni (16, 23-28) della liturgia del giorno. Un brano nel quale Gesù è di una chiarezza disarmante: «In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualcosa al Padre nel mio nome, Egli ve la darà». In queste parole — ha notato il Pontefice — c’è una novità nella preghiera: «Nel mio nome». Il Padre dunque «ci darà tutto, ma sempre nel nome di Gesù». 
Cosa significa questo chiedere nel nome di Gesù? È una novità che Gesù rivela proprio «nel momento in cui lascia la terra e torna al Padre». Nella solennità dell’Ascensione celebrata giovedì scorso — ha ricordato il Papa — è stato letto un brano della Lettera agli Ebrei, dove si dice tra l’altro: «Poiché abbiamo la libertà di andare al Padre». Si tratta di «una nuova libertà. Le porte sono aperte: Gesù, andando dal Padre, ha lasciato la porta aperta». Non perché «si sia dimenticato di chiuderla», ma perché «lui stesso è la porta». È lui «il nostro intercessore, e per questo dice: “Nel mio nome”». Nella nostra preghiera, caratterizzata da «quel coraggio che ci dà Gesù stesso», chiediamo allora al Padre nel nome di Gesù: «Guarda tuo Figlio e fammi questo!».
Il Santo Padre ha poi richiamato l’immagine di Gesù che «entra nel santuario del Cielo, come un sacerdote. E Gesù, fino alla fine del mondo, è come sacerdote, fa l’intercessione per noi: lui intercede per noi». E quando noi «chiediamo al Padre dicendo “Gesù”, segnaliamo, diciamo, facciamo un riferimento all’intercessore. Lui prega per noi davanti al Padre». 
Riferendosi quindi alle piaghe di Gesù, il Pontefice ha notato che Cristo «nella sua risurrezione, ha avuto un corpo bellissimo: le piaghe della flagellazione, delle spine, sono sparite, tutte. I lividi dei colpi sono spariti». Ma egli, ha aggiunto, «ha voluto avere sempre le piaghe, e le piaghe sono precisamente la sua preghiera di intercessione al Padre». Questa è «la novità che Gesù ci dice», invitandoci ad «avere fiducia nella sua passione, avere fiducia nella sua vittoria sulla morte, avere fiducia nelle sue piaghe». È lui, infatti, il «sacerdote e questo è il sacrificio: le sue piaghe». Tutto ciò ci «dà fiducia, ci dà il coraggio di pregare», perché, come scriveva l’apostolo Pietro, «dalle sue piaghe siete stati guariti». 
In conclusione il Santo Padre ha ricordato un altro passo del Vangelo di Giovanni: «Finora non avete chiesto nulla nel mio nome: chiedete ed otterrete, perché la vostra gioia sia piena». Il riferimento — ha spiegato — è alla «gioia di Gesù», alla «gioia che viene». Questo è «il nuovo modo di pregare: con la fiducia», con quel «coraggio che ci fa sapere che Gesù è davanti al Padre» e gli mostra le sue piaghe; ma anche con l’umiltà per riconoscere e trovare le piaghe di Gesù nei suoi fratelli bisognosi. È questa la nostra preghiera nella carità. 
«Che il Signore — ha auspicato il Pontefice — ci dia questa libertà di entrare in quel santuario dove Lui è sacerdote e intercede per noi e qualsiasi cosa che chiederemo al Padre nel suo nome, ce la darà. Ma anche ci dia il coraggio di andare in quell’altro “santuario” che sono le piaghe dei nostri fratelli e sorelle bisognosi, che soffrono, che portano ancora la Croce e ancora non hanno vinto, come ha vinto Gesù». 
Alla messa hanno partecipato, fra gli altri, Juan Pablo Cafiero, ambasciatore di Argentina presso la Santa Sede, e 23 giornalisti di lingua spagnola, fra i quali don Antonio Pelayo, che ha concelebrato. Era inoltre presente un gruppo di una quarantina di appartenenti al Corpo della Gendarmeria Vaticana.
L'Osservatore Romano

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Due mesi con un Papa: "Dalla fine del mondo"



A due mesi dall'elezione di Francesco quale primo bilancio si può trarre? Che Papa è stato in queste prime settimane Jorge Mario Bergoglio?
 

Simpatia e confessioni

Innanzitutto è innegabile l'ondata di simpatia nei confronti del nuovo Papa: le presenze agli Angelus e alle udienze rimangono molto alte, con un boom di richieste alla Prefettura della Casa Pontificia. Bergoglio sembra voler puntare molto su questo contatto con la folla, dato che dedica la maggior parte del tempo proprio nel passare tra i fedeli assiepati sulla piazza San Pietro, a partire dai più lontani, fermandosi molto spesso e scendendo dalla papamobile per salutare. All'udienza di mercoledì scorso ha dedicato quasi un'ora e mezza a questo contatto personale con i fedeli. Nonostante l'indubbia fatica fisica che ciò comporta, Francesco mostra di considerare tale vicinanza un elemento insostituibile del suo ministero di vescovo «con il popolo». C'è chi guarda con un certo scetticismo e in qualche caso persino fastidio a questa «luna di miele» con le folle, attendendo il momento in cui agli «osanna» si sostituiranno i «crucifige», magari in seguito a qualche presa di posizione forte sui temi della morale sessuale. Ma sarebbe un errore catalogare quanto sta accadendo soltanto come un effetto novità amplificato dai media. Fin dai primi giorni dopo l'elezione di Francesco, i suoi accenni e i suoi accenti sul tema della misericordia («Il messaggio di Gesù è la misericordia. Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore», affermò alla messa nella parrocchia di Sant'Anna domenica 17 marzo) hanno mosso qualcosa di ben più profondo di un'ondata di simpatia, dato che molte persone si sono riaccostare alle confessione anche dopo decenni di lontananza dalla Chiesa citando esplicitamente le parole del Papa. Un dato confermato non soltanto da sporadiche interviste giornalistiche ma anche da una più sistematica ricerca promossa dal sociologo Massimo Introvigne.

 
Il caso Santa Marta

Papa Francesco dopo l'elezione ha confermato collaboratori e capi dicastero curiali «donec aliter provideatur», cioè «fino a quando non si provveda altrimenti», tenendosi dunque le mani libere per effettuare cambiamenti quando e come riterrà necessario. Con alcune decisioni prese fin dall'inizio del suo pontificato Francesco - che è rimasto semplicemente se stesso continuando a mantenere lo stile del suo episcopato a Buenos Aires - ha contribuito a modificare protocolli consolidati e al tempo stesso ha offerto un segnale nella direzione della sobrietà e della semplicità, che i fedeli hanno riconosciuto e apprezzato. E che qualcuno, probabilmente punto nel vivo, ha subito bollato come «pauperismo» perché mette in discussione un certo uso del denaro e una certa ostentazione di segni e monili ecclesiastici. Decisamente innovativa è la scelta di rimanere ad abitare nella Casa Santa Marta, la residenza dove hanno alloggiato i cardinali durante il conclave. In questo caso non si è trattato di una questione di «sobrietà» (l'appartamento privato del Papa nel palazzo apostolico non è certo una reggia) quanto piuttosto di una decisione provocata dal senso di «isolamento» che Francesco ha avvertito visitando per la prima volta quella che doveva essere la sua casa. Rimanendo a Santa Marta, Bergoglio ha depotenziato «l'Appartamento», inteso come corona e filtro di collaboratori attorno a lui. Senza contare che Santa Marta, oltre a permettergli un contatto maggiore con le persone, è anche occasione di incontri e scambi fraterni con gli ospiti, come nel caso del patriarca ecumenico Bartolomeo I, con il quale il Papa si è intrattenuto a lungo e informalmente in più occasioni condividendo con lui lo stesso tetto. O come è avvenuto due giorni fa quando Francesco è andato ad attendere alla porta di Santa Marta l'arrivo del nuovo Papa copto Tawadros II.
 
Predicazione semplice 

Un'altra novità del pontificato è rappresentata dalle brevi omelie (mai più di dieci minuti) che Francesco tiene nel corso della messa mattutina celebrata nella cappella della Casa Santa Marta, concelebrata con prelati di passaggio o da esponenti della Curia, in presenza di gruppi di dipendenti vaticani e di altri ospiti. Le sintesi offerte dalla Radio Vaticana sono diventate un appuntamento quotidiano. Il Papa prepara queste omelie ogni mattina, dopo essersi alzato alle 4.30 ed aver pregato e meditato sulle Scritture del giorno per quasi due ore. Le sue parole sono semplici, comprensibili. Più volte ha già parlato della malattia dell'autoreferenzialità e del carrierismo nella Chiesa - temi questi molto cari a Benedetto XVI, approfonditi in occasione di concistori e ordinazioni episcopali, anche se spesso le sue parole sono state lasciate cadere proprio da quanti erano attorno a lui - come pure ha invitato i cristiani a uscire, a dirigersi verso le «periferie geografiche ed esistenziali», a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo. Le trascrizioni integrali di queste omelie a braccio non vengono diffuse (si tratta di messe private) né vengono trasmesse via radio. Ma un'idea sul loro stile non è difficile farsela ascoltando le prediche pubbliche di Francesco, che spesso lascia da parte il testo scritto per improvvisare: come quando ha chiesto ai nuovi preti di Roma di essere «mediatori» e non «intermediari», o quando ha citato la nonna e i suoi preziosi insegnamenti, o ancora quando ha detto, citando San Francesco d'Assisi: «Annunciate il Vangelo, se necessario anche con la parola», lasciando intendere quanto l'annuncio e la testimonianza debbano essere trasmessi con la vita.
 
Riforme su riforme

Nelle congregazioni generali precedenti il conclave dai cardinali è venuta la richiesta di una riforma della Curia come pure di una maggiore collegialità e condivisione di alcune scelte riguardanti il governo della Chiesa. Papa Francesco il 13 aprile, a un mese esatto dall'elezione, ha nominato un consiglio di otto cardinali ai quali è stata affidato lo studio di una riforma della Costituzione «Pastor Bonus», che regola la Curia romana e le sue strutture. Il consiglio, composto da otto porporati - sette dei quali non curiali, ma arcivescovi nei cinque Continenti - è incaricato anche di consigliare in forma permanente il Papa nel governo della Chiesa. La riforma della Curia sarà dunque studiata da porporati che non ne fanno parte. Ogni previsione al momento è fuori luogo: si sa soltanto che questo organismo - pensato per servire il Papa e non per governare centralmente la Chiesa cattolica - deve essere semplificato, snellito, reso più consono alle esigenze del tempo presente, meno burocratico. Il Papa ha già incontrato tanti cardinali e tanti esponenti della Curia (oltre alle udienze di cui viene data notizia ne esistono altrettante, il pomeriggio a Santa Marta, che rimangono riservate) e ha soprattutto ascoltato. In più di un caso, chi è stato ricevuto, appena uscito a ritenuto di dover raccontare il dialogo avvenuto. Ma spesso si è trattato dei propri «desiderata», non delle indicazioni del Pontefice. Di certo è già cambiato il rapporto tra il Papa e i capi dicastero, che prima dovevano attendere anche otto mesi prima di ottenere un'udienza: sarà più diretto, immediato e costante.

 
L'identikit del futuro Papa secondo Bergoglio, Padre Angel Strada, dopo l'elezione ha raccontato a Evangelina Himitian, autrice del libro «Francisco, el Papa de la gente» una sua conversazione privata con Bergoglio avvenuta tre giorni prima della sua partenza per il conclave. Parlando del profilo necessario del nuovo Papa, l'arcivescovo di Buenos Aires aveva detto che, secondo lui, «per primo deve essere un uomo di preghiera, profondamente unito a Dio. In secondo luogo deve essere profondamente convinto che Gesù è il Signore della storia. In terzo luogo deve essere un buon vescovo, capace di accogliere, tenero con le persone e capace anche di creare comunione. Infine deve essere capace di riformare la Curia». I cardinali, in meno di ventiquattr'ore, lo scorso 13 marzo sembrano averlo trovato. (Tornielli)