venerdì 3 maggio 2013

Papa Francesco: "Sfidiamo Gesù!"



Nuovo tweet del Papa:
 Sarebbe bello, nel mese di maggio, recitare assieme in famiglia il Santo Rosario. La preghiera rende ancora più salda la vita familiare. 
 (3 maggio 2013)

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 Messa del Papa a Santa Marta.
 I colori del Rinascimento hanno caratterizzato l’assemblea dei fedeli che hanno partecipato alla messa celebrata da Papa Francesco questa mattina, venerdì 3 maggio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Spiccavano infatti i colori delle divise indossate da una settantina di Guardie Svizzere, accompagnate alla messa dal comandante Daniel Rudolf Anrig e dal cappellano monsignor Alain de Raemy, il quale ha concelebrato con il Santo Padre insieme a diversi altri sacerdoti: tra questi, l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Papa Francesco, alla fine della messa, ha colto l’occasione per ringraziare le Guardie Svizzere «per l’amore e la vicinanza alla Chiesa, anche per la vicinanza al Papa e per l’amore per il Papa. È una bella testimonianza di fedeltà alla Chiesa. Il Signore vi benedica tanto per questo servizio. La Chiesa vi vuole tanto bene. Anche io».
Durante l’omelia invece il Pontefice ha invitato a riflettere sulla necessità di pregare con coraggio per ottenere la grazia della diffusione della fede nel mondo. Come sempre il Pontefice ha usato un’espressione capace di entrare nel cuore e nella memoria di chi lo ascolta e lasciare un segno: ha parlato di una preghiera coraggiosa, quasi come una sfida per Gesù, il quale ha detto: «Qualunque cosa mi chiederete nel mio nome, la farò perché il Padre sia glorificato nel Figlio». Pregare dunque significa «avere il coraggio di andare da Gesù e chiedergli così: “Ma tu hai detto questo, fallo! Fa’ che la fede vada avanti”».
Il Papa si è riferito alle letture del giorno, tratte dalla prima lettera ai Corinti (15, 1-8) e dal vangelo di Giovanni (14, 6-14). «Quando gli apostoli hanno deciso di creare i diaconi — ha esordito — era perché avevano tanto lavoro nell’assistenza alle vedove, agli orfani» e si sentivano come distolti da quello che era il loro dovere «di annunziare la Parola e di pregare». Un compito, ha spiegato, che è proprio del «ministero vescovile», ma che riguarda anche «tutti noi cristiani che abbiamo ricevuto la fede: dobbiamo trasmetterla; dobbiamo darla; dobbiamo proclamarla con la nostra vita, con la nostra parola. È la trasmissione della fede che va di casa in casa, di famiglia in famiglia, di persona in persona».
Il vescovo di Roma ha poi fatto riferimento al «bel testo» alla lettera in cui san Paolo parla a Timoteo della fede «“che tu hai ricevuto dalla tua mamma e dalla tua nonna e devi trasmetterla ad altri”. Così abbiamo ricevuto la fede noi, in famiglia; la fede in Gesù». Di quale fede si tratta? Di quella di cui parla Paolo, ha spiegato: «“A voi, infatti, ho trasmesso anzitutto quello che anche io ho ricevuto”. Lui aveva ricevuto la fede e dà la fede» in Cristo, che «morì per i nostri peccati secondo le Scritture, che fu sepolto, che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture, che apparve ai dodici». Il fondamento e la forza della fede sono «in Gesù Risorto, in Gesù che ci ha perdonato i peccati con la sua morte e ci ha riconciliato con il Padre. Trasmettere questo chiede a noi di essere coraggiosi: il coraggio del trasmettere la fede. Un coraggio, alcune volte, semplice».
Con efficacia Papa Francesco ha rievocato ricordi personali per rendere ancor più chiaro il suo messaggio e ancorarlo alla realtà di una vita vissuta: «Io ricordo — scusatemi, è una storia personale — che da bambino mia nonna ogni Venerdì Santo ci portava alla processione delle candele e alla fine della processione arrivava il Cristo giacente e la nonna ci faceva inginocchiare e diceva a noi bambini: “Guardate è morto, ma domani sarà risorto!”. La fede è entrata così: la fede in Cristo morto e risorto». Il Pontefice ha anche ricordato che tanti hanno cercato di sfumare «questa certezza forte» e hanno parlato di una «risurrezione spirituale». Ma non è così: «Cristo è vivo!»; è morto ma è risorto; è apparso agli apostoli e a Tommaso ha fatto mettere le dita nelle sue piaghe; ha mangiato con loro. «Cristo — ha ribadito — è vivo e anche vivo fra noi»; e proprio a noi spetta il compito di annunciarlo, di annunciare la fede con coraggio.
C’è però un altro coraggio, ha avvertito il Santo Padre, spiegando: «Gesù — per dirlo un po’ forzatamente — ci sfida alla preghiera e dice così: “Qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò perché il Padre sia glorificato nel Figlio”. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò”. Ma è forte questo! Abbiamo il coraggio di andare da Gesù e chiedergli così: “Ma tu hai detto questo, fallo! Fa’ che la fede vada avanti, fa’ che la evangelizzazione vada avanti, fa’ che questo problema che ho venga risolto...”. Abbiamo questo coraggio nella preghiera? O preghiamo un po’ così, come si può, spendendo un po’ di tempo nella preghiera?».
Il vescovo di Roma ha quindi citato l’Antico Testamento, in particolare laddove si narra del coraggio di Abramo di parlare con Dio per chiedergli di salvare Sodoma: «“Ma se fossero 45 i giusti, tu la salverai? E se fossero 40, 35...”. Negoziava con Dio» ha ricordato il Papa. Ma per fare ciò «bisogna avere coraggio». Coraggio è anche andare dal Signore per impetrare per gli altri, come ha fatto Mosè nel deserto. E quando la Chiesa perde questo coraggio, entra «in un’atmosfera di tepore». I cristiani «tiepidi, senza coraggio — ha affermato il Pontefice — fanno tanto male alla Chiesa», perché il tepore fa rinchiudere in se stessi. E così si creano problemi tra le persone, si perdono di vista gli orizzonti. Ma soprattutto la tiepidezza fa smarrire proprio «il coraggio di pregare» e «il coraggio di annunciare il vangelo».
Eppure tutti noi «abbiamo il coraggio di immischiarci — ha notato ancora il Papa — nelle nostre piccole cose, nelle nostre gelosie, nelle nostre invidie, nel carrierismo, nell’andare avanti egoisticamente... in tutte queste cose. Ma questo non fa bene alla Chiesa... La Chiesa deve essere coraggiosa! Noi tutti dobbiamo essere coraggiosi nella preghiera, sfidando Gesù: “Tu hai detto questo, fammi il favore...”. Ma con perseveranza».
Al termine della messa il Papa ha salutato, fra gli altri, Wilfried Günther, amministratore delegato di Medien Dienstleistungs GmbH (München), Joachim Schnieders, direttore delle finanze della diocesi di Osnabrück, e Benno Wagner, viceamministratore delegato dell’Unione delle diocesi di Germania (Bonn), rappresentanti della Conferenza episcopale tedesca che finanzia l’edizione settimanale in lingua tedesca dell’Osservatore Romano, accompagnati dall’incaricato dell’edizione, la signora Astrid Haas, e dal segretario di redazione del giornale, Gaetano Vallini. L'Osservatore Romano, 4 maggio 2013.

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La riforma della Curia passa anche per Santa Marta

Nella pioggia fitta di modelli “sponsorizzati” che dovrebbero ispirare l’assetto futuro della Curia romana cominciano a arrivare anche quelli partoriti nelle Accademie pontificie. Da pochi giorni è stato pubblicato in un agile fascicolo l'estratto di una tesi di dottorato in diritto canonico discussa lo scorso anno presso la Pontificia Università Lateranense. Il testo di studio, intitolato "Natura e funzioni della Curia romana secondo la costituzione apostolica Pastor bonus", è stato elaborato sotto la direzione dell’arcivescovo Giuseppe Sciacca, canonista e attuale segretario del Governatorato della Stato della Città del Vaticano, che presso l’Ateneo lateranense è docente di Stilus Romanae Curiae. L’autore Stefano Rossano, dopo aver descritto le caratteristiche storico-giuridiche e le funzioni istituzionali di dicasteri e organismi della Curia romana, espone nelle conclusioni alcune linee teoriche e operative da tenere in considerazione per una loro  futura ristrutturazione.

Il primo criterio da applicare con maggiore solerzia è secondo Rossano il principio della distinzione dei poteri. «Alcuni dicasteri» scrive l’autore dello studio-vademecum «hanno delle competenze miste: da una parte esercitano potere giudiziario, dall’altra dispongono ugualmente di un certo potere esecutivo. Competenze non sempre chiaramente definite. Raggruppando queste competenze in modo più uniforme, si eviterebbero dispute di giurisdizione».

Un secondo approccio più operativo alla riforma della Curia romana esplorato dalla tesi riguarda l’armonizzazione e conseguente riduzione del numero degli organismi curiali. Alcuni Pontifici Consigli secondo Rossano «potrebbero confluire, con le loro attuali competenze, nelle Congregazioni esistenti, con la creazione, all’interno di esse, di appositi uffici». Si tratterebbe di realizzare in maniera sistematica accorpamenti sulla falsariga di quelli prefigurati già sotto Benedetto XVI, che nel 2006 aveva unito a livello di presidenza il Pontificio Consiglio dei migranti e itineranti con quello di  Giustizia e Pace e il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso con quello della Cultura. Analogamente – scrive l’autore – «si potrebbero accorpare il Pontificio Consiglio dei laici con quello per la famiglia, e il Pontificio Consiglio Cor Unum con quello di Giustizia e Pace». Lo studioso ipotizza anche di estendere gli accorpamenti al Pontificio Consiglio per la  pastorale della salute e di accentuare una «direzione istituzionale» unitaria di tutto il settore della comunicazione - Sala Stampa, Radio Vaticana, Centro Televisivo Vaticano, Osservatore Romano - sotto l’egida del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali. Sempre nell’ottica delle fusioni, lo studio inserisce nel ventaglio delle ipotesi anche la confluenza della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti con quella per le cause dei Santi.

C’è da dire che le ricette contenute nello studio elaborato presso l’Ateneo pontificio guidato dal vescovo rettore Enrico dal Covolo risultano almeno in parte superate dai fatti. Per di più, lo stesso Rossano ammette che un eventuale riordino di competenze e campi di azione sarebbe efficace solo se fosse il segno di un «mutamento di mentalità», senza il quale ogni ritocco funzionale risulterebbe sterile come qualsiasi operazione di mera cosmesi funzionalista. I progetti devono essere espressione di una “mens” che riconduca la Curia romana alle sue prerogative di strumento del vescovo di Roma, nel servizio da lui reso alla Chiesa universale e alle Chiese particolari. In questo senso, i cenni e i criteri di riforma già rintracciabili nelle prime indicazioni di Papa Francesco sembrano in qualche modo trovare anch’essi la propria sorgente nelle liturgie eucaristiche celebrate ogni giorno dal successore di Pietro nella cappella di Santa Marta. Nell’immagine del Papa che dice ogni giorno messa con vescovi e sacerdoti per le diverse “squadre” di dipendenti vaticani sembra prendere sostanza l’auspicio espresso quasi 50 anni fa da Paolo VI, nel suo primo discorso rivolto da Sommo Pontefice al corpo degli alti funzionari vaticani. «Non sia pertanto la Curia Romana» disse Papa Montini «una burocrazia, come a torto qualcuna la giudica, pretenziosa e apatica, solo canonista e ritualista, una palestra di nascoste ambizioni e sordi antagonismi, come altri la accusano; ma sia una vera comunità di fede e di carità, di preghiera e azione, e di fratelli e figli del Papa, che tutti fanno, ciascuno con rispetto all'altrui competenza e con senso di collaborazione, per servirlo nel suo servizio ai fratelli ed ai figli della Chiesa universale e della terra intera». Era il 21 settembre 1963.
(G. Valente)