venerdì 24 maggio 2013

Puglisi: la santa audacia



Gigliola Alfaro
Una settimana impegnativa per il cardinal Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo e presidente della Conferenza episcopale siciliana. La visita ad limina, insieme con gli altri vescovi siciliani e l’incontro con il Papa, l’Assemblea generale della Cei e la beatificazione di don Pino Puglisi, sabato 25 maggio. Malgrado i molteplici impegni, il cardinale ha parlato al Sir sia dell’incontro con il Pontefice sia della grande attesa che sta vivendo la Chiesa di Palermo e tutta la Sicilia per la beatificazione del sacerdote ucciso dalla mafia in odium fidei.

Eminenza, ci racconti l’incontro con il Papa…
“Durante le congregazioni che hanno preceduto il Conclave e poi durante il Conclave stesso avevo già avuto modo di conoscere l’aspetto umano del Papa, sempre accogliente e sorridente: un uomo di preghiera, di pensiero, amante della Chiesa, con un grande interesse per la promozione della dignità umana, desideroso di conoscere le situazioni delle nostre Chiese particolari, disponibile all’ascolto. Questo è un atteggiamento molto bello di Papa Francesco. Si è sinceramente interessato alla nostra isola, soffermandosi sui problemi sociali, economici, sul cammino di fede. È stato molto soddisfatto di sapere che in Sicilia ci sono vocazioni al sacerdozio, è buona la situazione della vita consacrata e grande l’impegno dei laici. Ci ha colpito come il Santo Padre, ascoltandoci, annuiva e insisteva. E alla fine ha detto: ‘sono qui per servire’. Il suo è l’atteggiamento dell’ascolto del pastore che vuole sapere come vive la Chiesa per servire. Io già durante il precedente Conclave avevo potuto apprezzare questo modo di essere dell’allora cardinale Bergoglio”.

Avete presentato al Santo Padre anche gli aspetti problematici della Sicilia?
“Gli abbiamo parlato anche dell’impegno della Chiesa nell’evangelizzazione che si scontra con il modus vivendi dei gruppi illegali, soprattutto quelli organizzati, che sono fuori della comunione con la Chiesa: il Vangelo dice ‘perdona’ e loro dicono ‘ammazza’, il Vangelo dice ‘ti guadagnerai il pane con il sudore della tua fronte’ e loro dicono ‘ricatta e sottrai il bene agli altri’. La beatificazione di don Pino Puglisi mette in luce l’incompatibilità tra il Vangelo e questi gruppi, persone o culture. Non solo chi appartiene tecnicamente a un gruppo malavitoso, ma anche chi cade in questa mentalità, esclude Dio dalla città degli uomini”.

Sabato 25 maggio c’è la beatificazione di don Pino Puglisi: come si è preparata la sua diocesi a questo evento?“C’è stato tutto un fermento in preparazione a questo giorno in cui don Pino sarà proclamato martire della Chiesa. Nella diocesi sono state promosse centinaia di iniziative a livello parrocchiale di scoperta di padre Puglisi, del suo ministero sacerdotale lungo 33 anni, del suo impegno ad aiutare i ragazzi, i giovani, i fidanzati a vivere una vita cristiana, del suo identificarsi con le problematiche del territorio non solo negli ultimi tre anni di vita a Brancaccio. C’è, poi, una fioritura di pubblicazioni, rappresentazioni teatrali e iniziative anche a livello comunale e nelle Università. La sua figura non riguarda più solo la Chiesa di Palermo, ma noi abbiamo una responsabilità maggiore nel raccogliere la sua eredità per un rinnovato impegno nell’evangelizzazione e nel servizio alla società palermitana. Don Puglisi non è più un estraneo, si parla di lui come testimone della fede, come modello di vita da seguire”.

Qual è, a suo avviso, il tratto più rilevante di don Puglisi uomo e sacerdote?
“Il suo binomio, sempre attuale, di evangelizzazione e promozione umana, come dimostra il ripetuto invito di Papa Francesco ad andare alle periferie, non solo geografiche ma anche quelle dove l’uomo vive nel degrado morale. Pino Puglisi ci insegna che un Vangelo lontano dalla promozione della dignità umana non è Vangelo. È in discussione l’antropologia: in un modo diretto, non da filosofo o sociologo, don Puglisi, quando parlava di evangelizzazione e promozione umana, ci mostrava una antropologia che vede nell’uomo l’opera più grande di Dio e nel peccato l’offesa più grande di cui è vittima lo stesso uomo. Oggi quando si parla di nuova evangelizzazione e delle problematiche della nostra società si sta prendendo coscienza della grande crisi dei valori. Bisogna ritornare, allora, a Gesù. Evangelizzazione e promozione umana significano un Vangelo che diventa veramente fermento della società e la trasforma. E ognuno di noi può contribuire. Don Puglisi ci spinge ad abbandonare la mentalità della delega: di fronte alla crisi economica e al degrado umano e sociale non dobbiamo pensare che gli altri devono intervenire, tutti dobbiamo fare qualcosa, tutti dobbiamo cambiare. Non è sufficiente dire: ‘come è bello lo stile di Papa Francesco’; è necessario che anche noi ci rivestiamo di umanità e di semplicità, vivendo alla presenza di Dio. Questa è una risposta ai bisogni di oggi, vorrei dire l’attualità della testimonianza di don Puglisi”.

Da questa beatificazione cosa si aspetta per la Chiesa di Palermo?
“Vorrei che don Puglisi intercedesse per la Chiesa di Palermo perché ciascuno di noi faccia un passo avanti verso la conversione personale. Don Puglisi ha anche favorito la comunione nei ministeri che gli erano affidati: che dunque possa essere uno stimolo anche oggi a promuovere la comunione a tutti i livelli. Inoltre, il sacerdote ha avuto una sollecitudine particolare per le vocazioni e, quindi, auspico una rinnovata fecondità di vocazioni nella nostra Chiesa. Metà del clero di Palermo è stata ordinata negli ultimi venti anni, dall’uccisione di Puglisi. Ancora, c’è bisogno di una maggiore attenzione ai giovani, sia civica sia ecclesiale. Civica perché non possiamo pensare di lasciare i giovani senza lavoro in quanto l’ozio è il padre dei vizi. Né costringerli ad emigrare per avere un’opportunità di vita. Papa Francesco ci ha ricordato che una società che non riesce a dare lavoro ai suoi figli non è giusta. E Pino Puglisi ha lavorato per la giustizia. Don Puglisi dovrebbe essere un ‘elettroshock’ positivo che aiuti società e Chiesa a impegnarsi nella costruzione del Regno di Dio in mezzo agli uomini in modo che ognuno possa vivere con dignità”.
Sir

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(Cardinale Salvatore De Giorgi) La beatificazione di don Pino Puglisi rappresenta il dono di Dio più atteso da tutta la Sicilia, e non solo. Ma è anche uno splendido e stimolante messaggio per tutti nell’Anno della fede. Il riconoscimento del suo martirio da parte della Chiesa è la conferma della grandezza morale e spirituale di un sacerdote fedele ed esemplare, autentico testimone di Gesù Cristo e annunciatore della speranza cristiana soprattutto in mezzo alle nuove generazioni.Ma è anche il sigillo della perenne attualità del suo messaggio, che con la voce del sangue invita tutti al coraggio, alla coerenza, alla fortezza, alla santa audacia nell’esercizio sia del ministero sacerdotale come di ogni altro servizio nella Chiesa, per il trionfo delle forze del bene su tutte le aggressioni del male, soprattutto se, come quello mafioso, agisce da perversa struttura di peccato, antiumana e antievangelica, tanto più subdola e pericolosa quanto più si ammanta o si circonda di segni e di riferimenti religiosi.
A vent’anni dalla sua uccisione, don Puglisi parla ancora. Parla più forte. Parla a tutti. E come non può morire o appannarsi la sua memoria, così non può essere soffocata la sua voce, la voce del sangue, che invita a chiedere perdono delle nostre inadempienze e la grazia di seguire il suo esempio di fedeltà alla sequela di Cristo per combattere con coraggio, con fermezza, senza tentennamenti e senza compromessi, la lotta del bene contro il male.
«Generoso ministro di Cristo», come lo ha definito Giovanni Paolo II, sacerdote innamorato del suo sacerdozio e appassionato promotore della pastorale vocazionale, don Puglisi si rivolge anzitutto a noi, suoi confratelli, per ricordarci che il nostro ministero — come d’altronde la vita di ogni cristiano — è per sua natura vocazione al martirio di ogni giorno nella donazione totale, serena, gioiosa, generosa, al popolo di Dio e che dalla preghiera, culminante nella celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, trae la forza per andare avanti nonostante le difficoltà, le incomprensioni, le avversità che esso comporta: il prezzo della carità pastorale è la Croce.
«Coraggioso testimone del Vangelo», don Puglisi ci ripete che il nostro primo dovere è l’annunzio del Vangelo, soprattutto ai giovani, per aiutare i fratelli a seguire Cristo e quindi a vivere onestamente nell’osservanza dei suoi comandamenti, per formare le coscienze al rispetto delle persone, all’amore vicendevole, al gusto della solidarietà, al senso della legalità, alla capacità del perdono, e vincere così ogni forma di prepotenza, di violenza, di sopruso, di ritorsione, di ingiustizia, di collaborazione col crimine: piaghe antiche che non si riesce ancora a sanare, soprattutto dove maggiore è il degrado ambientale e morale. Ci ricorda che l’impegno di promozione umana è parte integrante della evangelizzazione e quindi del nostro ministero presbiterale.
La voce di don Pino giunge a tutti i cristiani per ricordare che la testimonianza del Vangelo oggi è necessaria come non mai per l’affievolirsi della fede in tanti cristiani. Cristiani che ne ignorano le verità fondamentali, che vivono come se Dio non esistesse, che non ascoltano la sua parola, che non mettono in pratica la sua legge, che non partecipano al sacrificio eucaristico, che non santificano il giorno del Signore. Cristiani, che pur dicendosi tali o mostrandosi praticanti, aderiscono alle forze del male, alle strutture di peccato assolutamente incompatibili col Vangelo, come la mafia, infangando così il nome di Cristo, che è il Dio della vita e dell’amore. Erano queste le contraddizioni e le incoerenze che turbavano il cuore sacerdotale di don Puglisi e lo stimolavano a una instancabile e molteplice azione pastorale, animata dalla preghiera e aliena da ogni forma di protagonismo, di esibizionismo e di preoccupazione massmediatica.
La sua voce giunge particolarmente ai genitori, perché con l’esempio e con la parola educhino al bene i propri figli, oggi esposti come non mai alle suggestioni della droga, dell’alcool, dei paradisi artificiali, e anche, soprattutto in certe zone, alla dispersione scolastica, alle peggiori forme di sfruttamento sociale e ai tentacoli della malavita diffusa e organizzata. Era questo il suo più assillante tormento pastorale, e per questo creò il centro Padre Nostro. «Il primo dovere a Brancaccio — diceva alcuni mesi prima di essere ucciso — è rimboccarsi le maniche. E i primi obiettivi sono i bambini e gli adolescenti: con loro siamo ancora in tempo, l’azione pedagogica può essere efficace».
La sua voce giunge a quanti hanno responsabilità politiche e amministrative perché abbiano sempre più a cuore la soluzione dei problemi dei quartieri più a rischio o più abbandonati, come don Pino non si stancava di chiedere quando era vivo per Brancaccio, dove purtroppo i suoi sogni non sono stati ancora del tutto realizzati. Egli era convinto che la mancanza dei servizi essenziali non solo li rende meno vivibili, ma ostacola ogni serio tentativo di liberazione, di riscatto, di risanamento, di rinnovamento, di formazione, con grande vantaggio delle organizzazioni criminali. Egli continua a ripetere: «Ciò che è un diritto non si deve chiedere come un favore». Ascoltare chi si fa voce del popolo, soprattutto degli ultimi, è un atto di responsabilità e di amore alla città.
La sua voce, infine, giunge anche, e direi soprattutto, ai criminali di ogni genere con la forza profetica di Giovanni Paolo II nella valle dei Templi, per ricordare loro che egli, come Gesù, ha versato il suo sangue per la loro conversione, per la loro redenzione, per la loro liberazione dalla schiavitù del peccato, più dura del carcere più duro. Il sorriso con il quale ha detto al suo killer: «me l’aspettavo», è un invito a tornare decisamente a Dio, che nella sua misericordia infinita li aspetta come il padre della parabola evangelica. Solo tornando a Dio, essi potranno ritrovare la pace del cuore e ridonare alla società e alle proprie famiglie la serenità perduta e la speranza nel futuro.
L'Osservatore Romano