venerdì 17 maggio 2013

Quella carezza della Chiesa...

 

Papa Francesco incontra il comitato esecutivo della Caritas internationalis e parla della crisi economica mondiale
La carità è la carezza della Chiesa. Lo ha detto Papa Francesco incontrando questa mattina, giovedì 16 maggio, a Santa Marta, il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, presidente della Caritas internationalis, con il segretario generale Michel Roy e il comitato esecutivo dell'organismo che il Pontefice ha definito "l'istituzione dell'amore della Chiesa". Una istituzione che ha una doppia dimensione: di "azione sociale, nel senso più ampio della parola, e una dimensione mistica, cioè inserita nel cuore della Chiesa".Dopo aver ascoltato le testimonianze dei rappresentanti dei diversi continenti, il Papa ha preso spunto da un'iniziativa che sarà lanciata alla fine dell'anno per combattere la fame nel mondo e, richiamando il Vangelo e la storia del profeta Elia, ha detto: "Riguardo ai pani e ai pesci vorrei fare una precisazione: non si moltiplicarono, non è vero, semplicemente non finirono, come non finirono la farina e l'olio della vedova". Quando uno dice moltiplicare, ha continuato il Santo Padre, può confondersi e credere di fare una magia. No, "è la grandezza di Dio e dell'amore che ha messo nei nostri cuori". Riprendendo poi le testimonianze ascoltate ha anticipato quattro punti: "Primo, la crisi, secondo la carezza, terzo lo sviluppo, quarto la spiritualità, e un'appendice che vorrei aggiungere, che sono i rifugiati".
Stiamo vivendo un'epoca di crisi molto grave, ha detto: "Non è solamente una crisi economica, è un aspetto, non è solamente una crisi culturale, è un altro aspetto, non è solamente una crisi di fede: è una crisi in cui è l'uomo a subire le conseguenze di tale instabilità. Oggi è in pericolo l'uomo, la persona umana, è in pericolo la carne di Cristo". Per noi, ha continuato, ogni persona, ancor di più se è emarginata o malata, è la carne di Cristo. Il lavoro della Caritas soprattutto è rendersi conto di questo.
Il Pontefice ha quindi ricordato un testo ebraico medievale sulla costruzione della torre di Babele. Quando cadeva un mattone era un dramma, ma se cadeva un operaio non succedeva nulla. "Questo midrash riflette quello che sta succedendo ora: c'è disequilibrio negli investimenti finanziari", ha detto il Papa. E ha così continuato: la gente muore di fame, muore di malattia. La nostra civiltà si è confusa e invece di far crescere la creazione, perché l'uomo sia più felice e sia migliore l'immagine di Dio, "instaura - la parola è dura, però credo che sia esatta - la cultura dello scarto: chi non serve si scarta, alla spazzatura i bambini, gli anziani, con questa eutanasia nascosta che si sta usando, e i più emarginati. Questa è la crisi che stiamo vivendo".
Parlando poi della carezza, il Santo Padre ha ricordato tante immagini di donne che soccorrono i feriti di una guerra: "Ci sono momenti dove la situazione è tale che semplicemente bisogna neutralizzare il male. C'è fame, diamo da mangiare e poi vediamo". Questa, ha continuato, "è una guerra culturale che lascia molti feriti ai lati del cammino. E la carezza della madre Chiesa è curare". Bisogna insomma "saper distinguere le urgenze dalle necessità più radicali: evidentemente la più radicale è la necessità di promozione".
In tempo di guerra e di crisi si devono curare i feriti, curare i malati, ma si deve anche promuovere, ha detto Papa Francesco. "San Giovanni Crisostomo lo diceva chiaramente: che serve adornare la Chiesa se non adorni il corpo di Cristo che sta soffrendo la fame?" ha detto il Pontefice, che ha così continuato: "Per me l'espressione più bella della carezza di fronte a un bisogno è quella del buon samaritano".
Bisogna, ha detto poi il Pontefice, "far crescere l'immagine di Dio in quella persona che si sta aiutando a crescere". E ha citato don Bosco, il quale "si trovò nella sua parrocchia, nella sua terra, in un momento di crisi, di grande crisi, di grande povertà, con un sacco di bambini che andavano per le strade, naturalmente affamati, imparavano i vizi e finivano nella delinquenza e da adulti forse sulla forca. Vide ciò e disse no. I ragazzi! Incominciò con questa idea della sequela delle arti e dei mestieri" offrendo loro "uno strumento perché potessero guadagnarsi da vivere".
Sottolineando la lungimiranza dei santi nell'uso "dei mezzi di promozione" Papa Francesco ha di nuovo citato l'attualità di don Bosco e della "sapienza della progressione nella promozione", cioè "questa visione di saper trovare le soluzioni attuabili nella promozione".
Parlando infine del fondamento della spiritualità della carità il Santo Padre ha detto che consiste nel "donare se stessi, uscire da se stessi, e stare al servizio continuo delle persone che vivono in situazione di periferia": una spiritualità che si può ispirare al capitolo venticinquesimo del vangelo di Matteo. È una "spiritualità della tenerezza, e noi abbiamo escluso dalla Chiesa la categoria della tenerezza" ha affermato, insistendo ancora una volta sulla necessità di recuperare nella Chiesa questa dimensione. La Chiesa è finita, ha continuato il Papa, "nella deviazione, nelle sette, nelle eresie, quando è stata troppo seria, vale a dire quando ha preso le cose di qua troppo seriamente e si è dimenticata della carezza, della tenerezza". Alla fine il Pontefice ha parlato del dramma dei rifugiati: "Bisogna assisterli. Bisogna pensare che in questo momento le persone che hanno lasciato la Siria dirette in Libano sono più di un milione". Ma, ha continuato, "in tutti i nostri Paesi ci sono i rifugiati. Gente che è entrata clandestinamente, senza documenti, o gente che viene sfruttata nel lavoro schiavo, a cui tolgono il passaporto e fanno lavorare come schiavi". Lì c'è bisogno di "molta presenza di tenerezza della Chiesa".
Il tema della crisi economica mondiale è stato ripreso dal Papa durante l'udienza agli ambasciatori di quattro Paesi - Kyrgyzstan, Antigua e Barbuda, Lussemburgo e Botswana - che gli hanno presentato le lettere con cui vengono accreditati presso la Santa Sede. "Il denaro deve servire e non governare!" è il forte monito lanciato da Papa Francesco.
L'Osservatore Romano

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 Il rifiuto di Dio e dell'uomo alla base della tecnocrazia
  di Massimo Introvigne
Cogliendo l’occasione della presentazione delle lettere credenziali degli ambasciatori di quattro Paesi – il Kyrgyzstan, Antigua e Barbuda, il Lussemburgo e il Botswana – il 16 maggio Papa Francesco ha riproposto un insegnamento fondamentale dell’ampio Magistero che Benedetto XVI aveva consacrato alla crisi economica internazionale in atto dal 2008.
Le radici di questa crisi, ha ribadito il Pontefice, non sono semplicemente economiche, ma antropologiche e vanno cercate nel rifiuto della nozione di bene comune e ultimamente nel rifiuto di Dio che ispirano l’ideologia dominante dei poteri forti contemporanei, che Papa Ratzinger chiamava tecnocrazia.
«L’umanità – ha detto Papa Francesco – vive in questo momento come un tornante della propria storia». Se vi è certamente un progresso tecnologico, utile all’uomo in molti campi, «va anche riconosciuto che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo continuano a vivere in una precarietà quotidiana con conseguenze funeste».
Il quadro dipinto dal Papa è tutt’altro che rassicurante: «alcune patologie aumentano, con le loro conseguenze psicologiche; la paura e la disperazione prendono i cuori di numerose persone, anche nei Paesi cosiddetti ricchi; la gioia di vivere va diminuendo; l’indecenza e la violenza sono in aumento; la povertà diventa più evidente. Si deve lottare per vivere, e spesso per vivere in modo non dignitoso».
Quali sono le cause della crisi? Anzitutto, risponde Papa Francesco, dobbiamo guardare con un serio esame di coscienza «al rapporto che abbiamo con il denaro, nell’accettare il suo dominio su di noi e sulle nostre società». Potrebbe sembrare che il problema sia dunque di natura prevalentemente economica. Ma, come appunto già insegnava Benedetto XVI, non è così. Oggi «la crisi finanziaria che stiamo attraversando ci fa dimenticare la sua prima origine, situata in una profonda crisi antropologica. Nella negazione del primato dell’uomo!
Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,15-34) ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano».
Ci troviamo di fronte a «deformità» della finanza e dell’economia, alla cui radice c’è «soprattutto la grave carenza della loro prospettiva antropologica, che riduce l’uomo a una sola delle sue esigenze: il consumo».
Il consumo è una dimensione reale dell’economia, che non va demonizzata. La deformità nasce quando «l’essere umano è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare. Abbiamo incominciato questa cultura dello scarto», che il cardinale Bergoglio denunciava anni fa a Buenos Aires citando l’esempio di un’«eutanasia silenziosa» praticata negli ospedali, senza troppo dirlo, a danno di malati senza parenti – o con parenti complici – lasciati morire nelle corsie.
La stessa «solidarietà, che è il tesoro dei poveri, è spesso considerata controproducente, contraria alla razionalità finanziaria ed economica».
L’esito paradossale della crisi, che porta solo pochi ultra-ricchi ad arricchirsi ancora di più mentre sia le classi medie sia quelle più disagiate s’impoveriscono ogni giorno, «deriva da ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria», «una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone unilateralmente e senza rimedio possibile le sue leggi e le sue regole».
Si riconosce qui la critica alla tecnocrazia di Benedetto XVI: un sistema dove domina un’economia virtuale, falsa, dove «l’indebitamento e il credito allontanano i Paesi dalla loro economia reale e i cittadini dal loro potere d’acquisto reale». Anche «una corruzione tentacolare e un’evasione fiscale egoista» e «una volontà di potenza e di possesso [che] è diventata senza limiti» danno il loro contributo.
Ma – attenzione – non si tratta solo di mancanza di solidarietà, di senso civico, di rispetto delle regole che dovrebbero mantenere sotto controllo la finanza. Il problema, avverte il Pontefice, è molto più radicale e riguarda «il rifiuto dell’etica» e «il rifiuto di Dio».
Anzitutto, il rifiuto della legge naturale: «proprio come la solidarietà, l’etica dà fastidio! È considerata controproducente: come troppo umana, perché relativizza il denaro e il potere; come una minaccia, perché rifiuta la manipolazione e la sottomissione della persona». Ma neppure il rifiuto dell’etica naturale – cioè di «un’etica non ideologica – è la dimensione ultima della crisi. In effetti «l’etica conduce a Dio», ed è proprio Dio che i poteri forti della tecnocrazia rifiutano.
«Dio è considerato da questi finanzieri, economisti e politici, come non gestibile, Dio non [è] gestibile, [è] addirittura pericoloso perché chiama l’uomo alla sua piena realizzazione e all’indipendenza da ogni genere di schiavitù».
Certo, a fronte della gravissima crisi economica internazionale «sarebbe auspicabile realizzare una riforma finanziaria che sia etica e che produca a sua volta una riforma economica salutare per tutti. Questa tuttavia richiederebbe un coraggioso cambiamento di atteggiamento dei dirigenti politici».
Ma perché avvenga questo «ritorno dell’etica» la politica e l’economia dovrebbero convincersi che «il bene comune non dovrebbe essere una semplice aggiunta, un semplice schema concettuale di qualità inferiore inserito nei programmi politici», ma lo scopo e la misura dell’agire delle istituzioni che presiedono all’economia e dei governi. E se questi manterranno il loro rifiuto di «rivolgersi a Dio per ispirare i propri disegni», allora «la dicotomia assoluta tra la sfera economica e quella sociale» continuerà a generare crisi sempre più gravi. (Introvigne)
La nuova bq