sabato 11 maggio 2013

Tra le mura dell'anima



Perché si dovrebbero aiutare i detenuti? Perché una persona sana di mente dovrebbe spendere, tempo ed energie per aiutare gente che ha commesso atti malvagi? Chi può essere così folle da chiedere ad un padre di perdonare e aiutare chi gli ha ucciso il figlio? Con quale logica si può immaginare di redimere le tante vittime del male con atti di immensa e coraggiosa carità? Come fare ad amare chi ha compiuto atti che hanno fatto male a tante persone? E’ giusto provare a far lavorare insieme vittime e carnefici? Come è possibile far riconoscere le responsabilità ai colpevoli e lenire le ferite delle vittime?
Impossibile direbbero alcuni. Eppure esiste una associazione che si chiama Prison Fellowship International, presente in 132 paesi ed in tutti continenti, i cui affiliati entrano nelle carceri per promuovere quella che chiamano “giustizia ripartiva”, cercando di allievare la sofferenza delle vittime e recuperare l’umanità dei colpevoli.
La sezione italiana si chiama Prison Fellowship Italia Onlus ed è diretta da Marcella Clara Reni.
Gli italiani, che come si sa tendono sempre a migliorare i progetti, non si sono accontentati di assistere i carcerati. Così dopo l’esperienza “Sicomoro” svolta nel carcere di Opera, hanno coinvolto nel progetto anche gli ex detenuti, le loro famiglie e le vittime.
Per raccontare l’esperienza di chi ha pensato di portare Gesù nelle carceri e ha scoperto che Cristo si trovava nei volti e nelle sofferenze di carcerati e vittime, Marcella Reni e Carlo Paris hanno scritto il libro “Tra le mura dell’anima” (edizioni Sabbiarossa).
Per saperne di più ZENIT ha intervistato Marcella Clara Reni. Una donna coraggiosa, sposata, madre di tre figli, di professione notaio, direttore Nazionale del Rinnovamento nello Spirito, Presidente di Prison Fellowsìhip Italia Onlus e di Victim Fellowship Italia Onlus.
Perché hai iniziato questo lavoro con i carcerati?
E’ successo in maniera del tutto casuale. Faccio di professione il notaio, e ho un papà maresciallo dei Carabinieri. Come si può immaginare ho una formazione e mentalità molto legalista. Un giorno viene da me un conterraneo e mi dice: ‘Caro Notaio mio fratello è un giovane medico, è recluso in attesa di giudizio, ma lui è innocente, non ha fatto niente. Bisognerebbe andare in carcere per ricevere una sua procura generale’. Sono andata a ricevere questa procura con grandi pregiudizi. Pensavo: ‘dicono tutti così, sono tutti innocenti, ma poi va a sapere…’
Ho incontrato questo giovane. In maniera fredda e distaccata gli ho letto la procura. Ho cercato di capire se capisse quanto stavo leggendo. Quando ho finito di leggere e l’ho invitato a firmare, mi sono resa conto che era come se fosse fisicamente ed emotivamente morto. Mi sono sentita a disagio. Ero già in un cammino spirituale e mi ha molto colpito vedere un giovane che non aveva più voglia di vivere. L’ho guardato negli occhi e gli ho detto: ‘coraggio, da oggi io pregherò per lei, ogni giorno reciterò un Padre nostro per lei’. Ho raccolto le mie carte, Me ne sono andata e ho cominciato a  pregare davvero per quest’uomo. Ogni sera recitavo un Padre nostro.
E mi chiedevo, e se fosse vero che è innocente? Perché tanto dolore? Poi la vita frenetica mi ha distratto, non ho più pregato per lui. Dopo un paio di anni mi arriva in studio un uomo che non ho riconosciuto, e mi ha detto: ‘Buona sera notaio, sono quello del carcere. Volevo dirle grazie per avermi salvato la vita. In questi due anni per tre volte ho tentato il suicidio. Per tre volte ho sentito nel cuore una voce che diceva: ‘Fuori c’è qualcuno che prega per te’. E per tre volte mi sono fermato all’ultimo istante.
In verità io mi ero dimenticata di pregare per lui, però Dio non lo ha mai dimenticato e si era ricordato di lui. Da qui nasce il mio interesse per i detenuti. Successivamente a questo fatto ho avuto la possibilità di incontrare in Italia alcuni esponenti di Prison Fellowship International che non conoscevo. Si tratta di un associazione che è presente in cinque continenti ed erano venuti a chiedere di aprire una sezione in Italia.
Cercavano un gruppo di cattolici. Avevano chiesto in Vaticano a Giovanni Paolo II, li aveva indirizzati al Rinnovamento nello Spirito, perché “solo gente appassionata e entusiasta di Dio poteva svolgere un lavoro del genere”.
Così dopo vari incontri, nel 2009 nasce e comincia ad operare lai Prison Fellonwship Italia Onlus.
Per ragioni professionali e visto che sono laureata in giurisprudenza, quelli del RnS mi hanno proposto di dirigere l’associazione. Ho preso questo progetto con molta superbia, pensavo di andare nelle carceri per portare Gesù e la cosa che invece mi ha toccato il cuore e che mi ha convertito e che quando sono entrata nella carceri ho trovato lì Gesù Vivo che mi veniva incontro. Non ho portato niente se non la mia povertà.


Come è nata Prison Fellowship International e in che modo la sezione italiana si è sviluppata?
Prison nasce nel mondo perché nel 1976 il senatore democratico Charles Colson braccio destro di Nixon viene accusato di Watergate informatico. Venne condannato  a tre anni di carcere. Lì si convertì e quando uscì dal carcere vendette tutto quello che aveva per dedicarsi all’opera di portare aiuto a tutti i detenuti nel mondo. Esistono luoghi nel mondo dove la detenzione è disumana, e Colson diceva: “con Gesù il carcere, anche il peggiore, diventa un luogo più umano, senza Gesù è un luogo disumano”.
Nel contesto di questa che è una sorta di ‘compagnia degli amici dei detenuti’, l’intuizione, che per ora è solo italiana, ha fatto un passo in avanti con il progetto Sicomoro che è un incontro tra detenuti e vittime, Così abbiamo fondato in italia anche la Victim Fellowship, perché ci rendiamo conto che le vittime soffrono non meno dei detenuti e che hanno bisogno di essere ristorati, e in qualche maniera risarciti dai detenuti in una relazione di riparazione.
Parlando con un detenuto che si era macchiato di ben trentacinque omicidi, Mario Congiusta, a cui è stato ucciso il figlio perché si è opposto ad una richiesta di ‘pizzo in Calabria’, gli ha detto ‘per te prima o poi la pena finisce. La mia pena invece non finirà mai’.
Oggi Mario Congiusta, spiega che “va dal dolore all’impegno perché non succeda ad altri”, ed ha ritrovato la sua serenità dopo aver lavorato per il progetto Sicomoro. Come lui sono tante le vittime che ritrovano la pace dopo aver lavorato per i progetti di Prison e Victin Fellowship..
Il Primo progetto ‘Sicomoro’ è nato nel carcere di Opera.  Tutti ergastolani. Gente che hanno le mani che grondano di sangue.  Lo abbiamo fatto chiedendo che ci affidassero i detenuti  più buoni per provare a vedere se funzionava. Gli esperti ci hanno dato invece i peggiori perché hanno detto: ‘se funziona con loro funzionerà con tutti’ E ha funzionato!
Ma chi ve lo fa fare?
E’ una cosa che ci chiedono tutti. E’ un modo di restituire e riconquistare al bene persone, perché ci rendiamo conto che molti di loro, anche i più criminali,  sono essi stessi vittime, nel senso che molti vengono da situazioni familiari disperate, da povertà sociali e morali, e noi abbiamo il dovere di riparare i danni
E poi assistiamo a tantissime storie dei conversioni. Uno che abbiamo incontrato al primo progetto Sicomoro era un testimone di Geova.  Nato e vissuto in una famiglia di Testimoni di Geova. Alla fine del progetto ha chiesto di ricevere i sacramenti cattolici.  Oggi è battezzato e quando gli ho chiesto perché aveva preso questa decisione mi ha risposto, “il Dio che mi avevano presentato (Geova) mi aveva sempre giudicato, voi mi avete portato un Gesù che mi perdona” ed io voglio questo Dio.
Cosa si può fare per sostenere il vostro lavoro?
Noi siamo molto poveri, non abbiamo né finanziamenti nè sponsor, però tutti i proventi del libro vanno ai progetti Sicomoro.
Quello che sarebbe utile è che le vittime che hanno desiderio di guarire le ferite del danno subito, ci contattino. Abbiamo visto che l’incontro tra vittime e detenuti  crea benefici per entrambi.
Adesso stiamo per entrare nel carcere di Modena, dove c’è un braccio di detenuti che si sono macchiati di femminicidio.  Ci sono molti islamici, ben 15 di loro hanno accettato di partecipare al progetto.
L’incontro tra le vittime e i detenuti presuppone un lavoro difficile e faticoso, ma genera tante grazie. Nel libro c’è la lettera di una delle vittime, una ragazza di 23 anni che all’inizio era molto spaventata e scettica. Apostrofava i detenuti accusandoli di essere dei vigliacchi. Dopo questa esperienza ha però inviato una lettera in cui ha scritto: “Carissimi. Mi siete mancati. Questa è stata l’esperienza più grande della mia vita”.
Noi aiutiamo le persone accompagnandole con le preghiere, e assistiamo a cambiamenti miracolosi.  Ci sono due detenuti che hanno partecipato al progetto Sicomoro.  Le famiglie di questi due detenuti sono rivali in maniera feroce da decenni, Si tratta di due famiglie di clan rivali della stessa città. Già essere riusciti farli incontrare è stata un miracolo.  Il direttore del carcere mi ha detto che le due famiglie si stanno riconciliando, così siamo diventati strumenti di pace.
All’inizio avevamo difficoltà a farci accedere alle carceri, adesso ci cercano, perchè hanno capito la potenza del progetto. Sono almeno dieci le carceri che hanno chiesto il nostro intervento.
Appena dentro al carcere facciamo una presentazione ai detenuti spiegando il progetto. Quelli che decidono di partecipare vengono selezionati. In base al tipo di crimine noi cerchiamo le vittime. Quelle che vengono in carcere, buttano in faccia ai detenuti il loro dolore. Questa esperienza fa prendere coscienza e consapevolezza ai detenuti che non possono fare a meno di capire la sofferenza che hanno procurato. Questo li spinge  a cercare di riparare il danno. Si tratta di incontri a forte carica emotiva che toccano il cuore anche di noi che organizziamo l’incontro. A quel punto si inizia una relazione con pentimenti e perdono. I risultati sono incredibili, con il recupero di vite macchiate dal crimine e vittime liberate dalla sofferenza.
La crescita del progetto è tale che abbiamo organizzato dei corsi per preparare i volontari. Chiunque, anche non cattolico, può partecipare al corso di formazione, e lavorare nel progetto. Abbiamo dei siti chiunque voglia aiutare se partecipa al corsop fine maggio a Loreto primo di giugno chiunque voglia partecipare ci scriva. (A. Gaspari)
Zenit