sabato 22 giugno 2013

«Dove c'è la Chiesa, c'è vita eterna»



La sequela di Cristo è sempre stata nella chiesa l'anima e il senso della sua esistenza nel mondo, la missione ricevuta da Cristo prima di salire al cielo. Il mandato: "Andate e fate discepoli tutti i popoli" è stato vissuto dalla Chiesa in mille forme in questi duemila anni, secondo i tempi e storia permettendo fino ad oggi. Schiere innumerevoli di testimoni-martiri di Cristo, sempre vivo.
Buona Domenica!

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Nella 12.ma Domenica “per annum”, il Vangelo presenta il brano di Luca nel quale Gesù chiede ai discepoli anzitutto chi Egli sia secondo l'opinione della gente e poi anche secondo la loro stessa opinione. Una domanda alla quale Pietro risponde con chiarezza:

"Tu sei il Cristo di Dio".

Su questo brano evangelico, una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

La fede cristiana è fondamentalmente un incontro personale con Gesù di Nazareth. La domanda che nel Vangelo di oggi Gesù pone ai suoi discepoli diviene importante per ognuno di noi: “Voi, chi dite che io sia?”. Chi è Gesù Cristo per me? A Pietro che lo confessa: “Il Cristo di Dio”, Gesù chiarisce in cosa consista questa “consacrazione”, questo “essere tutto per Dio”, che traduce letteralmente il termine “Messia”, “Cristo”: “Il Figlio dell’uomo – dice – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”, parole che aprono un duplice scenario, difficile da immaginare per gli apostoli, ma anche per noi: deve soffrire molto e risorgere al terzo giorno.

Cosa significa questo? Seguirlo non conduce a nessun successo umano: non c’è posto per lui né tra gli anziani, né tra i capi. Per questo: “Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Ma questa croce – e lo si deve comprendere molto bene – è solo dono di Dio all’uomo, dono dell’uomo a Dio e ai fratelli. E se c’è una sofferenza in essa, se c’è un sacrificio, questo è sacrificio d’amore: la croce non ci è data perché dobbiamo soffrire, ma perché è la scala che ci porta alla vita. La croce resta sì la nostra quotidiana compagna di viaggio, ma viene resa gloriosa dall’amore, diviene la nostra quotidiana via al Cielo, non inteso come “paradiso illusorio”, ma come gioioso incontro con l’altro, dove l’altro non è l’inferno (Sartre), ma Cristo, Cristo che io amo e che mi ama. A cui ci si dona.
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MESSALE
Antifona d'Ingresso   Sal 27,8-9
Il Signore è la forza del suo popolo
e rifugio di salvezza per il suo Cristo.
Salva il tuo popolo, Signore,
benedici la tua eredità,
e sii la sua guida per sempre.

Colletta

Dona al tuo popolo, o Padre, di vivere sempre nella venerazione e nell'amore per il tuo santo nome, poiché tu non privi mai della tua guida coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore. Per il nostro Signore...
 Oppure:
Fa' di noi, o Padre, i fedeli discepoli di quella sapienza che il suo maestro e la sua cattedra nel Cristo innalzato sulla croce, perché impariamo a vincere le tentazioni e le paure che sorgono da noi e dal mondo, per camminare sulla via del calvario verso la vera vita. Per il nostro Signore...


LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura   Zc 12, 10-11; 13.1
Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19, 37).

Dal libro del profeta Zaccarìa
Così dice il Signore:
«Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito.
In quel giorno grande sarà il lamento a Gerusalemme, simile al lamento di Adad-Rimmon nella pianura di Meghiddo.
In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità».


Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 62
Ha sete di te, Signore, l'anima mia.
O Dio, tu sei il mio Dio,
dall’aurora io ti cerco,
ha sete di te l’anima mia,
desidera te la mia carne
in terra arida, assetata, senz’acqua.

Così nel santuario ti ho contemplato,
guardando la tua potenza e la tua gloria.
Poiché il tuo amore vale più della vita,
le mie labbra canteranno la tua lode.

Così ti benedirò per tutta la vita:
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Come saziato dai cibi migliori,
con labbra gioiose ti loderà la mia bocca.

Quando penso a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia:
la tua destra mi sostiene.


Seconda Lettura
  Gal 3, 26-29Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati
Fratelli, tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo.
Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.
Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.
 

Canto al Vangelo
   Gv 10,27
Alleluia, alleluia.

Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore,
e io le conosco ed esse mi seguono.
 
Alleluia.

   
 
   
Vangelo   
Lc 9, 18-24Tu sei il Cristo di Dio. - Il Figlio dell'uomo deve molto soffrire.
Dal vangelo secondo Luca
Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».
Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».
Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

Commenti

«Dove c’è Pietro, lì c’è la Chiesa; dove c’è la Chiesa, lì non c’è affatto morte ma vita eterna» (S. Ambrogio, Enarrationes in Psalmos). Pietro sulla soglia del desiderio di ogni uomo, il più profondo, il più intenso, l’anelito che freme insopprimibile in ogni parola, pensiero, o gesto: la vita e mai più nessuna morte. I peccati stessi gridano il nostro desiderio di felicità eterna, che si realizza, sconnesso, in fuga da ogni sofferenza, confondendo il piacere con l’eterno esistere a cui aspiriamo. Le guerre, i divorzi, gli aborti, gli abomini genetici, e le nostre ore intrise di rabbia, malinconia, ribellioni e mormorazioni, in fondo tutto esprime la volontà di non arrendersi allo scorrere ineluttabile che sa di morte. Ma anche quando, paradossalmente, si uccide in nome della vita, dietro l’egoismo, la paura e l’inganno, si nasconde la nostalgia di pienezza che non accetta la corruzione, e vorrebbe cancellarla, goffamente e perversamente, in un appello accorato alla vita che sfugge ad ogni presa. Tutti drogati di qualcosa o di qualcuno, sperando il cristallizzarsi, seppur effimero, d’un secondo almeno, un istante di tregua e di pace dove cullare le speranze deluse vissute solo in un sogno.
Leopardi descriveva inimitabilmente i nostri sentimenti: ”Questo è quel mondo? Questi i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi onde cotanto ragionammo insieme? questa la sorte dell’umane genti? All’apparir del vero tu, misera, cadesti: e con la mano la fredda morte ed una tomba ignuda mostravi di lontano” (G. Leopardi, A Silvia). Il “vero” della storia di ogni giorno ci travolge, e ci spalanca “ignude tombe”, e dolori, e lacrime, e delusioni: ci schiantiamo sul capoufficio che ha preferito il collega, sull’immaturità ribelle del figlio, sulle analisi che rivelano valori preoccupanti; quanti ragionamenti da fidanzati, e che difficile si fa, ora che appare il vero del carattere, delle attitudini profonde del cuore, e l’egoismo trattiene per sé corpo e mente, prigionieri dell’incapacità di donarsi sino in fondo.
Di fronte a Gesù, infatti, la ragione senza la luce della fede, rimane imprigionata nella religiosità impersonale della "gente". Per la folla anonima Egli è solo un profeta come gli altri. I suoi gesti e insegnamenti potrebbero orientare filosoficamente o ideologicamente l'esistenza, ma quando si innalzano oltre i criteri mondani, promoveatur ut amoveatur, li "eleviamo" al rango di sublimi utopie per renderli inoffensivi. Gesù resta irrilevante, e l'incontro con Lui non cambia radicalmente l'esistenza. Le sue parole scorrono sulle nostre giornate come una struggente colonna sonora, mentre le passioni, il piacere e l'egoismo travestiti da valori civili ci conducono lontani da Lui.
Ma "voi", tu ed io, "chi dite che io sia?". Oggi, dinanzi all’”ignuda tomba”, “chi” è Lui per me? In qualunque relazione, la conoscenza autentica scaturisce dall'amore. Nella domanda di Gesù si ode l'eco di quella che, risorto, ha posto a Pietro: "Mi ami tu più di costoro?". Il verbo “conoscere” non si riferisce a una conoscenza meramente intellettuale; in ebraico yada’ rivela una conoscenza esistenziale e affettiva. Gesù scende oggi a cercare l'amata, tu ed io, nel suo giardino divenuto, per il peccato, una “tomba ignuda” e ci dice: "O mia colomba, che stai nelle fenditura della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro" (Ct. 2,14).
Il Targum, la versione aramaica della Bibbia che veniva proclamata nelle sinagoghe ai tempi di Gesù e a cui erano aggiunte delle glosse interpretative, traduce così questo brano del Cantico: "E quando l'empio faraone inseguiva il popolo di Israele, l'Assemblea di Israele fu come una colomba chiusa nelle spaccature di una roccia, e il serpente cerca di colpirla dal di dentro, e l'avvoltoio di colpirla dal di fuori… e uscì una voce dai cieli dell'alto, che disse: Tu, Assemblea di Israele fammi vedere il tuo volto e le tue opere rette, fammi sentire la tua voce!" (U. Neri, Il Cantico dei Cantici).

Don Antonello Iapicca

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Congregazione per il Clero
XII Domenica del Tempo Ordinario - C

Il Vangelo di Luca si caratterizza per il fatto che indica una svolta decisiva alla “vita pubblica” di Cristo a Cesarea di Filippo, dove il Signore fa quasi un'indagine valutativa sul periodo dell’apostolato precedente, per poi annunciare che ormai si impone il cammino a Gerusalemme, perché nessun profeta è mai morto fuori di essa (Lc 13:33). Così Gesù intraprende il suo cammino indurendo il volto (Lc 9,51). Gesù incontrerà resistenze ed incomprensioni, sul futuro che prospetta, anche da parte degli stessi Apostoli.   
La lettura tratta dal profeta Zaccaria ci offre delle espressioni molto significative della futura identità umile e dolce del Messia. 
Colui che hanno trafitto: Capiremo chi sia alla luce della Passione di Gesù. Ed a quella stessa luce intravediamo la restaurazione della Gerusalemme futura. Così siamo chiamati a contemplarlo crocifisso ma anche a vivere la con-passione alle sue sofferenze, per essere partecipi della sua gloria. Nel brano odierno si parla del pianto per il lutto, che però non può essere sterile sentimentalismo, come quello delle pie donne sulla via del calvario; san Paolo ci invita addirittura a completare nella nostra carne ciò che manca alla passione di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa (cfr Col 1,24) ed ancora a Timoteo: “ soffri anche tu insieme con me per il Vangelo” (2 Tim. 1,8 ).
Spirito di grazia e di consolazione: parlare di grazia è sempre parlare di un dono di Dio. È per grazia che Gerusalemme e la Chiesa saranno consolate. Ed il Signore non la farà mancare, perché è assolutamente necessaria per vincere il pessimismo in cui il Maligno ci vuole rinchiudere, disperando del perdono di Dio per le innumerevoli infedeltà all’alleanza. La consolazione, il pentimento ed il perdono sono necessari per rialzarsi e ripartire nella vita buona della volontà di Dio, nel suo progetto di amore per noi. Dio dispensa con prodigalità la sua grazia ma noi siamo attenti e ricettivi? La distrazione uccide l’amore, anche quello di Dio verso di noi.
Guarderanno a Colui che hanno trafitto: pensiamo ai presenti sul Calvario, l’Addolorata, l’Apostolo prediletto, … san Francesco …. i santi stigmatizzati ….  E ripetiamo: passione di Cristo confortami! La contemplazione delle sofferenze del Redentore ci deve portare al pentimento per il peccato, “è stato trafitto per le nostre infedeltà” (Is 53,5). “Mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). Come siamo stati causa di sofferenza lo dobbiamo essere anche di riparazione. Per cui il Crocifisso dice: “ io vi ho dato l’ esempio perché come ho fatto io facciate anche voi” (Gv 13,15). Lo sforzo apostolico del cristiano non consiste nell’instaurare un programma di ordine sociale, ma parte da una scossa interiore nel considerare come l’ amore con l’ amor si paga, se Lui ha dato la sua vita per noi anche noi dobbiamo dare la vita gli uni per gli altri (1Gv 3,16). I grandi convertiti hanno compreso come, dopo avere incontrato Cristo, non avrebbero potuto più fare a meno di vivere per Lui. 
La lettura evangelica ci parla del pensiero della morte che incombe su Gesù. L’ostilità dei capi del popolo sta aumentando, ed anche da un punto di vista popolare Egli sta perdendo consensi, soprattutto quando la gente s’accorge che il messia non ha ambizioni politiche, e non è disponibile a moltiplicare il pane per sfamare gratuitamente le persone (Gv 6,26). Ma Gesù sa che la Redenzione deve necessariamente passare per la porta stretta della Passione. Tuttavia quest’ultima non è mai disgiunta dal pensiero della Risurrezione: “ io ho il potere di dare la vita e di riprenderla di nuovo” (Gv 10,17). La Passione del Signore è un atto di amore liberamente offerto. Anche noi come Lui possiamo trasformare la tragica sorte di mortali in un atto di amore e di adesione alla volontà divina. La Passione di Gesù rappresenta ciò che non si sarebbe mai dovuto avverare, ma annunciando la sua morte Egli stesso afferma che il Figlio dell’uomo deve molto soffrire e dopo la Risurrezione: “non era forse necessario che il Cristo sopportasse queste sofferenze?” Ma siamo davanti ad un mistero: il mysterium iniquitatis ed il mistero dell’amore di Dio per noi, che non ha risparmiato il suo Figlio, il suo unico Figlio, ma lo ha consegnato come  vittima di espiazione, per la salvezza di ogni uomo.

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la XII domenica del Tempo Ordinario – Anno C. Come di consueto, il presule propone anche una lettura patristica.


LECTIO DIVINA
Non confondere Gesù Cristo con le nostre idee 
Rito romano
XII domenica del Tempo Ordinario – Anno C - 23 giugno 2013
Zac 12,10-11; Ga 3,26-29; Lc 9,18-24   
Che dice la gente chi io sia? 
Rito ambrosiano
V Domenica di Pentecoste
Gen 18,1-2a.16-33; Sal 27; Rm 4,16-25; Lc 13,23-29
La porta stretta 
1)Tre luoghi: il deserto, la preghiera e la comunità.
Quasi sempre, il Vangelo ci dice il luogo materiale, dove si svolge il fatto di cui parla: Betlemme, Nazareth. Gerico. Gerusalemme. Cesarea di Filippo ecc., ecc. Oggi il brano del vangelo narra di Gesù che si trova in un luogo solitario, “materiale”, e in preghiera, cioè un luogo “spirituale” ed è circondato dai discepoli, che sono la sua comunità di vita e missione. Questo terzo luogo potremmo chiamarlo “luogo umano”, dove vive una fraterna comunione per l’annuncio della buona Novella.
Quindi se ciascuno di noi vuol essere discepolo (=colui che impara, dal verbo latino “dìscere”: imparare) deve stare con Gesù in un luogo solitario, deserto – cioè nel mondo ma non del mondo - e in comunità.
Ho già citato altre volte il versetto 2,16 del profeta Osea, ma oggi è utile arrivare almeno al 2,22: “Così dice il Signore: Ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. (2,16-17b.21-22
).
Dio ci vuole completamente per sé e ci strappa da tutte le nostre consuetudini, dalla vita quotidiana, per portarci nel deserto, nel luogo solitario del nostro cuore. 
E in questa solitudine, Dio é tutto per l'anima e l'anima è tutta per Dio, che parla al cuore dell'uomo. Allora la persona umana è capace di accogliere questa dichiarazione d'amore che Dio gli fa: Egli le dice ti amo.
Ma dichiarazione d'amore è esigenza di risposta, che l’essere umano dà a Dio nella preghiera, che per essere fatta bene non ha bisogno di molte parole, né di molti studi.
            Mi spiego con un episodio della vita del Santo Curato d’Ars, che vedeva spesso in chiesa un contadino. Questo uomo illetterato dopo una giornata di lavoro nei campi, andava verso sera nella piccola chiesetta di Ars, si sedeva in un banco davanti al tabernacolo e vi restava per molto tempo. Un giorno, il Santo Curato si avvicinò a questo contadino in preghiera, che non apriva bocca neppure per mormorare le consuete preghiere popolari, e gli chiese: “Cosa dici al Signore?”- “Niente” rispose l’uomo e aggiunse “Io guardo Lui e Lui guarda me”.  L’adorazione è l’essenziale della preghiera, è la preghiera che diventa sguardo ed apre il cuore alla Presenza di Bontà, Verità e Amore.
Al giorno d’oggi, viviamo o in mezzo a una intensa iperattività. Neppure i preti e i religiosi vi sfuggono, anche perché sono sollecitati da compiti pastorali urgenti e così numerosi, da non poter affrontarli tutti. In mezzo a questo dilagare di vita e di attività, i periodi di preghiera tendono a presentarsi come dei vuoti, delle soste. Inoltre, molto spesso, si pensa che l'attività per gli altri sia l’unico arricchimento possibile e l’unica necessità evangelica, arrivando a guardare ai momenti di preghiera come a reali perdite di tempo.
L’esempio del contadino di Ars dimostra che è un grave errore pensare che la pura e semplice preghiera possa diventare inutile, che il tempo dedicato solamente a Dio sia tempo perso.
In effetti, come amava ripetere il Papa emerito Benedetto XVI, nessuno più di Gesù Cristo fu permanentemente in stato di adorazione e di preghiera davanti al Padre, poiché la visione di Dio dimorava nell'anima sua in mezzo a tutte le sue attività di uomo. Tuttavia Lui coglieva tutte le occasioni per immergersi nel silenzio e nella solitudine di una pura preghiera: “E, avendo congedate le folle, salì sul monte, in disparte, per pregare” (Mt 14, 23). “Il mattino, molto prima dell'alba, egli si levò, uscì e andò in un luogo solitario. E là pregava” (Mt 1, 35). Questi momenti di preghiera Gesù li sottraeva alle giornate massacranti, durante le quali non cessava di appartenere ai suoi discepoli, ai malati, alla folla che gli si accalcava intorno e lo cercava. Alla sera, di notte, al mattino, Gesù andava in disparte a pregare. Gesù, come uomo, sentiva il bisogno di momenti prolungati di preghiera, liberi da ogni attività umana.

Non va dimenticato che per Lui il legame tra l’azione è la preghiera era l’amore e altrettanto deve esserlo per noi. Un amore che si mette a disposizione dell’annuncio che Dio è diventato uomo e che questo uomo è presente in un “segno” di concordia, di comunione, di unità di comunità, di unità di popolo, nella comunità dei redenti (è il terzo “luogo” di cui oggi parliamo): la Chiesa, vissuta in famiglia, in parrocchia, nel movimento, nel monastero.
2) La gente chi dice che io sia? E voi?
Con queste domande Gesù non intende certamente fare un sondaggio di opinione, che va bene per farsi un'idea su un argomento, non per impegnare la vita. Egli fa questa domanda vuole aiutare i discepoli di allora e quelli di adesso a capire chi è Lui per noi e chi siamo noi per Lui.
Nel Vangelo di oggi questa domanda riceve due risposte.
La prima esprime l’opinione della gente che in Gesù vede un profeta, magari un grande profeta, ma non riesce a scorgere altro. La gente non era ostile a Gesù. Anzi accorreva in massa ad ascoltarlo, ma era interessata più ai vantaggi materiali che poteva ottenere dai suoi miracoli che dai vantaggi spirituali della sua presenza di carità tra loro. Evidentemente la folla non aveva capito il mistero della persona di Gesù. 


La seconda risposta viene da San Pietro. Il Capo degli Apostoli dà una stupenda risposta: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”. Gesù è così contento di questa risposta che dice: “Beato te Simone, perché né la carne, né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli”. Ma nello stesso tempo afferma che non ci sarebbe mai arrivato da solo, se il Padre non gliel'avesse suggerito.
Va notato che Gesù non aveva fatto la domanda dicendo: “Tu chi dici che io sia”, sebbene: “Voi chi dite che io sia?”. Il “Voi” è ecclesiale, perché è in questa risposta che nasce la Chiesa. Il rapporto “Io-Tu” è molto bello, ma l’“Io-Voi” è ancora più bello, perché in questa risposta personale diventiamo comunità, “luogo della festa e del perdono” dove incontriamo il Dio della Vita e dell’Amore.
La risposta di Pietro è esatta: “Cristo è Dio”, che vince il male con la Croce che fa morire la morte con la Croce, che dà la vita per amore, che è ricco “solamente” di misericordia. E’ il contrario dell’egoista che vuole salvare se stesso: Dio-Amore vuole salvare l’altro. Lui il giusto si lascia giudicare. Lui che è la legge, è misericordia e perdono. Noi gli togliamo la vita, Lui dona la vita per noi. E’ magnifico questo Uomo-Dio.
Ma come possiamo seguirLo (vangelo romano) e varcare la porta stretta (vangelo ambrosiano) che si apre solo con la Croce come chiave? Come possiamo parlare di Lui, il Cristo di Dio, come ha fatto San Pietro? In ciò ci sono di esempio le Vergini consacrate, che parlano di Cristo solo quando viene loro chiesto, ma vivono in modo tale che si chieda loro di Cristo (cfr Paul Claudel), perché la loro vita vissuta nella verginità dice che “Cristo è Dio e merita tutto”. La loro vita parla. Con una vita di e da Vergini che attendono lo Sposo e con la preghiera vigilante domandano per sé e per l’umanità intera che sia Cristo a varcare la porta stretta del nostro cuore dilatandolo. (Rito di Consacrazione della Vergini, n. 36 – Invio per la missione)
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LETTURA PATRISTICA
Omelie 25 ; PL 76, 1188
Propongo il prologo della Regola di San Benedetto perché aiuta a capire e a vivere il fatto che l’essenziale è che il cuore dilati dicendo liberamente sì ad una salvezza che non viene da lui mediante la consacrazione. E poi essenziale è che il cuore, cosciente della sua incapacità a salvarsi da sé, ma anche del suo inalienabile desiderio di pienezza e felicità, decida di ascoltare un Altro nella preghiera, e che lo ascolti con la disponibilità a lasciarsi guidare, istruire, condurre verso la vita.
Regola dei monaci
Prologo
Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell'obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l'ignavia della disobbedienza.Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che, avendo deciso di rinunciare alla volontà propria, impugni le fortissime e valorose armi dell'obbedienza per militare sotto il vero re, Cristo Signore.
Prima di tutto chiedi a Dio con costante e intensa preghiera di portare a termine quanto di buono ti proponi di compiere,affinché, dopo averci misericordiosamente accolto tra i suoi figli, egli non debba un giorno adirarsi per la nostra indegna condotta.
Bisogna dunque servirsi delle grazie che ci concede per obbedirgli a ogni istante con tanta fedeltà da evitare, non solo che egli giunga a diseredare i suoi figli come un padre sdegnato,ma anche che, come un sovrano tremendo, irritato dalle nostre colpe, ci condanni alla pena eterna quali servi infedeli che non lo hanno voluto seguire nella gloria.
Alziamoci, dunque, una buona volta, dietro l'incitamento della Scrittura che esclama: "E' ora di scuotersi dal sonno!" e aprendo gli occhi a quella luce divina ascoltiamo con trepidazione ciò che ci ripete ogni giorno la voce ammonitrice di Dio:" Se oggi udrete la sua voce, non indurite il vostro cuore!", e ancora: "Chi ha orecchie per intendere, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese!".
E che dice? "Venite, figli, ascoltatemi, vi insegnerò il timore di Dio.Correte, finché avete la luce della vita, perché non vi colgano le tenebre della morte".
Quando poi il Signore cerca il suo operaio tra la folla, insiste dicendo:"Chi è l'uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici?".
Se a queste parole tu risponderai: "Io!", Dio replicherà: "Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, guarda la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati dall'iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila".
Se agirete così rivolgerò i miei occhi verso di voi e le mie orecchie ascolteranno le vostre preghiere, anzi, prima ancora che mi invochiate vi dirò: "Ecco sono qui!".
Fratelli carissimi, che può esserci di più dolce per noi di questa voce del Signore che ci chiama?Guardate come nella sua misericordiosa bontà ci indica la via della vita!
Armati dunque di fede e di opere buone, sotto la guida del Vangelo, incamminiamoci per le sue vie in modo da meritare la visione di lui, che ci ha chiamati nel suo regno.
Se, però, vogliamo trovare dimora sotto la sua tenda, ossia nel suo regno, ricordiamoci che è impossibile arrivarci senza correre verso la meta, operando il bene.Ma interroghiamo il Signore, dicendogli con le parole del profeta: "Signore, chi abiterà nella tua tenda e chi dimorerà sul tuo monte santo?".
E dopo questa domanda, fratelli, ascoltiamo la risposta con cui il Signore ci indica la via che porta a quella tenda: "Chi cammina senza macchia e opera la giustizia; chi pronuncia la verità in cuor suo e non ha tramato inganni con la sua lingua; chi non ha recato danni al prossimo, né ha accolto l'ingiuria lanciata contro di lui"; chi ha sgominato il diavolo, che malignamente cercava di sedurlo con le sue suggestioni, respingendolo dall'intimo del proprio cuore e ha impugnato coraggiosamente le sue insinuazioni per spezzarle su Cristo al loro primo sorgere; gli uomini timorati di Dio, che non si insuperbiscono per la propria buona condotta e, pensando invece che quanto di bene c'è in essi non è opera loro, ma di Dio, lo esaltano proclamando col profeta: "Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria!".
Come fece l'apostolo Paolo, che non si attribuì alcun merito della sua predicazione, ma disse:" Per grazia di Dio sono quel che sono"e ancora: "chi vuole gloriarsi, si glori nel Signore".
Perciò il Signore stesso dichiara nel Vangelo: "Chi ascolta da me queste parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio il quale edificò la sua casa sulla roccia. E vennero le inondazioni e soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia".
Dopo aver concluso con queste parole il Signore attende che, giorno per giorno, rispondiamo con i fatti alle sue sante esortazioni.
Ed è proprio per permetterci di correggere i nostri difetti che ci vengono dilazionati i giorni di questa vita secondo le parole dell'Apostolo: "Non sai che con la sua pazienza Dio vuole portarti alla conversione?"
Difatti il Signore misericordioso afferma: "Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva".Dunque, fratelli miei, avendo chiesto al Signore a chi toccherà la grazia di dimorare nella sua tenda, abbiamo appreso quali sono le condizioni per rimanervi, purché sappiamo comportarci nel modo dovuto.Perciò dobbiamo disporre i cuori e i corpi nostri a militare sotto la santa obbedienza.
Per tutto quello poi, di cui la nostra natura si sente incapace, preghiamo il Signore di aiutarci con la sua grazia.
E se vogliamo arrivare alla vita eterna, sfuggendo alle pene dell'inferno, finche c'è tempo e siamo in questo corpo e abbiamo la possibilità di compiere tutte queste buone azioni, dobbiamo correre e operare adesso quanto ci sarà utile per l'eternità.
Bisogna dunque istituire una scuola del servizio del Signore nella quale ci auguriamo di non prescrivere nulla di duro o di gravoso;ma se, per la correzione dei difetti o per il mantenimento della carità, dovrà introdursi una certa austerità, suggerita da motivi di giustizia, non ti far prendere dallo scoraggiamento al punto di abbandonare la via della salvezza, che in principio è necessariamente stretta e ripida.
Mentre invece, man mano che si avanza nella vita monastica e nella fede, si corre per la via dei precetti divini col cuore dilatato dall'indicibile sovranità dell'amore.           
Così, non allontanandoci mai dagli insegnamenti di Dio e perseverando fino alla morte nel monastero in una fedele adesione alla sua dottrina, partecipiamo con la nostra sofferenza ai patimenti di Cristo per meritare di essere associati al suo regno.