venerdì 21 giugno 2013

San Francesco, riformatore della Chiesa


Sempre, ma in alcuni momenti più ed in altri meno, la Chiesa patisce, oltre agli attacchi esterni, ribellioni e violenze interne. Questo essenzialmente per due motivi: l’esistenza del seme della discordia, che il Nemico semina a piene mani nel campo del Bene, per dividere, e le incoerenze degli uomini di Chiesa. Queste ultime contribuiscono notevolmente al diffondersi di eresie e movimenti di protesta che fanno leva su una critica di per sé giusta, con l’intento, però, non di risolvere il problema in questione, ma di distruggere la Chiesa stessa. Lutero, per intenderci, attaccò la corruzione, reale, di molti ecclesiastici, la crisi della Chiesa della sua epoca, non al fine di restaurare la Chiesa stessa, ma con l’intento di sostituirla con un’altra realtà, o meglio di svuotarla di significato, annullando il concetto stesso di Chiesa (libero esame).
Così nel Medioevo, in vari momenti della storia, sono nati movimenti ereticali, millenaristi, gnostici e quant’altro, che hanno fatto spesso leva, per affermarsi, su una critica che aveva un suo fondamento: molti uomini di Chiesa vivevano in modo immorale, legati al piacere, al potere, al lusso, generando scandalo e disgusto tra i fedeli.
Questa critica, come è ovvio, quando aveva motivi reali di esistere, trovava il sostegno di parte del popolo, che in genere desidera dei pastori, e li vorrebbe disinteressati, buoni, fedeli. Nel divampare della ribellione, dello scontro, gli eretici si ponevano così alla testa dello scontento, e lo indirizzavano al fine da loro voluto. Solitamente, il tradimento della gerarchia veniva utilizzato, sottolineato, dibattuto, al fine di dissolvere, di annichilire la gerarchia stessa. Un po’ quello che avviene oggi nel campo della critica alla famiglia: i moderni eretici, i radicali, fanno spesso leva sulle mancanze insite nella famiglia di oggi, per spiegare che non c’è più bisogno della famiglia in quanto tale. Tutti li abbiamo sentiti dire: “quante violenze accadono oggi in famiglia! Quanti stupri di padri sulle figlie!”. Non interessa certo, a costoro, nel sottolineare un problema reale, quello di risolverlo: al contrario, della crisi della famiglia vorrebbero servirsi, per distruggerla definitivamente.
Così gli eretici medievali, spesso artefici di violenze inenarrabili contro l’autorità della Chiesa e dello Stato, hanno spesso cercato di rovesciare ogni gerarchia, mettendo sopra ciò che sta sotto, e sotto ciò che sta sopra, in nome di un odio assoluto per la realtà così come Dio stesso la ha voluta e rivelata.
Dove stava, di solito, la forza degli eretici? Nella loro capacità di presentarsi come persone virtuose, ascetiche, povere, apparentemente distaccate dal potere e mosse unicamente dall’ideale, in un contesto di povertà e insicurezza generale. Lo storico Norman Cohn racconta per esempio la vicenda di Tanchelmo, fondatore di un movimento rivoluzionario apparso intorno al 1100 “nell’angolo nordorientale dell’Impero”. Tanchelmo si atteggiava a profeta, percorrendo le città più instabili dal punto di vista economico: camminava vestito da monaco, poveramente, come un vero asceta, predicando, in un primo momento, “come qualsiasi riformatore ascetico nella tradizione di Gregorio VII” (il papa che lottò contro la simonia nella Chiesa e che invitò i laici a sollevarsi contro i preti indegni): di qui il suo grande successo. Piano piano però Tanchelmo, mentre invitava i fedeli a non versare più le decime e auspicava la fine della Chiesa, ne fondò una propria e abbandonò l’ascetismo degli esordi, per atteggiarsi, in “abiti dorati”, a sovrano politico e religioso.
Altri gruppi di eretici medievali mescolavano digiuni rigorosi ed ascetismo manifesto, con la negazione di ogni autorità e di ogni legge, arrivando a sostenere la possibilità, per i “giusti”, di praticare ogni infamia, dall’adulterio, all’orgia. Un famoso flagellante del XIII secolo, per fare un altro esempio, “dopo ventidue anni di penitenza ricevette da Dio (a suo dire, ndr) l’ordine di gettar via il flagello e altri strumenti di tortura (che lo avevano reso celebre ed ammirato, ndr) e di abbandonare l’ascetismo per sempre”: “le veglie notturne in preghiera erano finite, era giusto dormire in un soffice letto. Non c’era più da digiunare: d’ora in avanti bisognava nutrire il corpo con i migliori vini e cibi, e banchettare era spiritualmente più importante che comunicarsi…”.
E’ in questo clima di rivendicazioni e di eresie pauperiste che la figura di san Francesco si rivela un grande dono per la Chiesa. San Francesco fu, infatti, la dimostrazione vivente più perfetta e più manifesta del vero spirito cristiano: spirito di povertà, ma anche di amore per le creature di Dio; di umiltà, quella vera; di obbedienza, e non di orgoglio… Francesco non fu, come Tanchelmo e mille altri, un demagogo, un rivoluzionario, ma l’uomo chiamato da Dio, secondo il sogno di papa Innocenzo III, a restaurare la Chiesa. La quale, certamente, si trovava in un momento difficile, come tante volte è successo nella storia. Francesco la amò e la riconobbe, ugualmente, come sua madre, sempre, in ogni istante della sua vita.
Nel bellissimo “I poveri nel Medioevo”, di Michel Mollat, si trova un paragrafo intitolato: “Tradizione e novità in san Domenico e san Francesco”. In esso si afferma che “la loro protesta (dei domenicani, ndr) si levava contro l’arbitrio dei signori, l’iniquità dei giudici, la durezza dei mercanti e degli speculatori, gli odi all’interno delle famiglie, delle città, dei popoli”. E conclude: “Combattevano l’avarizia, l’orgoglio e la violenza, non il mondo, opera di Dio, di cui san Francesco aveva cantato la bellezza e l’equilibrio”. Francescani e domenicani, si potrebbe aggiungere, a differenza degli eretici catari, loro contemporanei, combattevano l’errore e il male, negli uomini di Chiesa, non la Chiesa; l’edonismo e la sensualità, non la materia o il matrimonio; la concupiscenza e la brama, non la bellezza del Creato e delle creature.
San Francesco, dunque, come testimonia la sua stessa vita, non concepì mai la sua missione contro la Chiesa. Non si atteggiò a profeta solitario. Non concepì una visione utopica e non perseguì un disegno politico di palingenesi. Anzi, si affrettò a mettersi sotto la protezione del papa, chiedendo ed ottenendo l’approvazione della sua regola prima a Innocenzo III (che concesse un permesso orale) e poi a papa Onorio III (che nel 1223 diede l’approvazione ufficiale): entrambi probabilmente coscienti che l’ordine fondato dal santo di Assisi sarebbe stato, con la sua radicalità evangelica, un vero antidoto alle eresie pauperiste, qualcosa di duraturo e di vero, e non la solita esplosione di fanatismo chiliasta.
Così immediata fu la “fortuna” dei francescani all’interno della Chiesa che uno dei primi seguaci, Girolamo Masci, fu eletto papa il 22 febbraio 1288 (accettò, dopo aver rifiutato l’incarico, conferitogli 7 giorni prima all’unanimità). Senza contare che da una parte Francesco, per tenere il suo Ordine fedele all’ortodossia “lo pose sotto la tutela del Papato mediante un cardinale protettore” e ordinò ai suoi frati di stare “sottomessi ai prelati e ai chierici di Santa Madre Chiesa” (Guido Vignelli, “San Francesco antimoderno”), dall’altra i papi ricorsero subito ai francescani per combattere, sia con la predicazione che giuridicamente, l’eresia.
Su questa fedeltà alla Chiesa tutte le fonti antiche sono concordi. Tommaso da Celano ci riferisce infatti che Francesco “era convinto che, prima di tutto e soprattutto, è assolutamente necessario conservare, venerare e vivere la fede della Santa Chiesa Romana, che è l’unica salvezza per tutti”. La storica laica di san Francesco oggi tra le più accreditate, Chiara Frugoni, pur non esitando a dare in molti momenti una interpretazione del santo un po’ parziale e ideologica, nota più volte nel suo “Storia di Chiara e Francesco”, che il comportamento dei frati fu “assolutamente all’interno dell’ortodossia religiosa più piena e di una perfetta obbedienza alla Chiesa, che sempre Francesco si premurò di sottolineare e proclamare”.
Ben sapendo, si potrebbe concludere, che la Chiesa non è fatta solo di santi, ma anche di peccatori, e che nel contempo ha gli strumenti, dalla dottrina ai Sacramenti, per generare i santi che la riformino, quando necessario, in ogni momento della storia. (Agnoli)
Articolo comparso su Il Timone, di luglio 2013