giovedì 27 giugno 2013

Una decisione sbagliata.






 «Giorno tragico per il matrimonio e per la nostra nazione»

«Un giorno tragico per il matrimonio e la nostra nazione»: è netta e decisa la reazione dei vescovi statunitensi dopo la decisione della Corte suprema di legittimare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Con una prima sentenza, il massimo organo di giustizia del Paese ha infatti stabilito ieri l’incostituzionalità del Defense of Marriage Act (Doma), dove si afferma che «la parola matrimonio significa solamente unione legale tra un uomo e una donna come marito e moglie, e la parola sposo o sposa si riferisce solamente a una persona del sesso opposto che è marito o moglie». Il Governo federale aveva da tempo deciso di non difendere più la costituzionalità del Doma, che era stato promulgato nel 1996. E il presidente Barack Obama, in un tweet, ha commentato la sentenza della Corte suprema definendola «un passo storico verso l’uguaglianza» e in un successivo comunicato ufficiale ha affermato, fra l’altro, che il Defense of Marriage Act era «una legge discriminatoria».
Sempre ieri, con una seconda sentenza, i giudici della Corte suprema hanno deciso di rimandare alla Corte federale dello Stato della California l’esame della legge che finora non consente di legalizzare le unioni tra persone dello stesso sesso. In pratica i giudici non hanno voluto decidere nel merito della questione: sarà la Corte federale a stabilire la legittimità o meno del divieto che è stato peraltro confermato, nel 2008, da un referendum popolare (la cosiddetta Proposition 8). La sentenza della Corte suprema include comunque l’indicazione di abolire la legge attualmente in vigore in California. Negli Stati Uniti dodici Stati, oltre al District of Columbia, hanno legittimato i matrimoni omosessuali, mentre in altri trentadue sono in vigore espliciti divieti costituzionali.
Molto decisa è stata la presa di posizione della Chiesa negli Stati Uniti dopo la pubblicazione delle sentenze. Il presidente della conferenza episcopale, il cardinale Timothy Michael Dolan, arcivescovo di New York, e il presidente del subcomitato dell’episcopato per la promozione e la difesa del matrimonio, monsignor Salvatore Joseph Cordileone, arcivescovo di San Francisco, hanno affermato in una nota che l’incostituzionalità del Doma dà luogo a «una profonda ingiustizia». La decisione dei giudici «è sbagliata», hanno sottolineato i presuli, e il Governo federale «dovrebbe rispettare la verità che il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna» anche se, si osserva, alcuni Stati della federazione «non riescono a farlo». La difesa della libertà e della giustizia, si puntualizza, «richiede che tutte le leggi, federali e statali, rispettino la verità, compresa quella sul matrimonio».
L’episcopato ha ribadito in varie occasioni che «mentre tutte le persone meritano il nostro pieno rispetto, tuttavia nessun’altra unione è in grado di provvedere al bene comune come lo è, invece, il matrimonio fra un uomo e una donna». Il matrimonio, ricordano i vescovi, «è l’unica istituzione che unisce un uomo e una donna per tutta la vita, fornendo a ogni bambino che nasce dalla loro unione la base sicura di avere un padre e una madre».
Richiamando le Scritture, la nota dell’episcopato spiega che quando «Gesù ha insegnato il significato del matrimonio lo ha fatto di fronte ai costumi e alle leggi del suo tempo» proclamando «una verità impopolare che tutti potessimo capire». Questa verità, si evidenzia, «dura ancora e noi continueremo ad affermarla coraggiosamente con fiducia e carità».
Nelle conclusioni, i vescovi ribadiscono quindi la loro volontà di mantenere alta la pressione sulle autorità e sull’opinione pubblica affinché siano rispettati i principi morali e religiosi fondamentali: «Il bene comune di tutti, specialmente dei nostri figli, dipende da una società che si sforzi di sostenere la verità sul matrimonio. Ora è il momento di raddoppiare i nostri sforzi nella testimonianza di questa verità».
Nel momento in cui la Corte suprema ha emesso le sue decisioni, si legge ancora, «con rinnovata fermezza invitiamo tutti i leader e il popolo di questa nazione a stare fermamente uniti per promuovere e difendere il significato unico del matrimonio: un uomo, una donna, per tutta la vita. Chiediamo inoltre di pregare affinché le decisioni della Corte suprema siano riviste e le loro implicazioni ulteriormente chiarite».
La tutela del matrimonio tradizionale è in questi giorni al centro di una campagna di sensibilizzazione nazionale sul tema della libertà religiosa promossa dalla conferenza episcopale. L’iniziativa, dal titolo Fortnight for Freedom, è stata avviata il 21 giugno e si concluderà il 4 luglio, in coincidenza con la principale festa civile del Paese, l’Independence Day.
L'Osservatore Romano

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Dopo la sentenza statunitense sui matrimoni tra omosessuali. La delegittimazione di chi non è d’accordo

(Lucetta Scaraffia) La decisione della Corte suprema statunitense di accettare i matrimoni omosessuali non è solo una sconfitta per una gran parte di americani — basti ricordare che il matrimonio gay è accettato in soli dodici Stati — ma si accompagna a una martellante campagna mediatica. Il coro di commenti che circonda queste “vittorie della libertà” gronda infatti ideologia ed è poco rispettoso delle opinioni diverse.Con le parole «ha vinto l’uguaglianza», forse non volendo, il presidente degli Stati Uniti ha toccato un punto centrale, quello cioè che considera uguali realtà che non lo sono, cioè maschio e femmina. È infatti proprio la differenza sessuale a garantire la generazione e a fondare il matrimonio: con quello omosessuale si nega che questa differenza esista e abbia valore costitutivo, e si vuole affermare che la differenza, se riconosciuta, significa obbligatoriamente disuguaglianza. Si può invece garantire dignità e libertà uguali a donne e uomini, omosessuali ed eterosessuali, pur rispettando la realtà, e cioè la differenza.
Si sostiene in questo modo implicitamente un’altra affermazione non fondata: che il matrimonio faccia parte dei diritti umani, mettendo in secondo piano che esso è primariamente un’istituzione sociale e antropologica che richiede delle condizioni.
Ma tutto questo serve a confermare l’interpretazione corrente delle leggi che legalizzano il matrimonio per gli omosessuali: che si tratti di un progresso, di passi avanti verso la dignità e la libertà. Che da una parte, quella del matrimonio gay, ci sia la libertà e l’uguaglianza, e dall’altra, quella di chi lo nega, ci sia solo la vergogna per gli omosessuali. È una forzatura tendenziosa, che ha una funzione ben precisa: quella di negare ogni dignità al punto di vista di coloro che si schierano contro il matrimonio omosessuale, in modo da scoraggiarli dall’intervenire nel dibattito e lasciare quindi sola la Chiesa cattolica a difendere questa posizione, al massimo con il supporto di altre confessioni religiose. In modo da relegare tutto alla rubrica “fondamentalismi religiosi”. Per questo numerosissimi laici che sono contrari a questa legalizzazione per la massima parte tacciono, per evitare di essere accusati di omofobia.
In questo clima di nuove “libertà”, chi paga un prezzo altissimo e ingiusto è infatti chi vorrebbe anche solo aprire una discussione, chi è consapevole che si sta trasformando uno dei fondamenti antropologici di ogni società umana, e proprio per questo pensa che sarebbe il caso di discuterne con calma, serietà e coraggio. Delegittimando gli avversari — proprio perché hanno buone, anzi buonissime ragioni per opporsi — si ottiene certo il risultato di condizionare nel senso voluto l’opinione pubblica, ma ci si priva di ogni possibilità di riflettere sulla società che si vuole creare per il futuro. E questo silenzio è un prezzo troppo alto da pagare, per qualsiasi società e per qualsiasi popolo.
L'Osservatore Romano