lunedì 8 luglio 2013

«Allora, eminenza, è stato fatto?»



«Allora, eminenza, è stato fatto?». Il cardinale Tarcisio Bertone, ancora per poco tempo Segretario di Stato, sa bene che quando Francesco telefona personalmente per verificare l'esecuzione di una sua richiesta, non è possibile tergiversare. L'udienza «di tabella» del cardinale avviene solitamente il lunedì. Ma già uno o due giorni dopo, il Papa chiama personalmente Bertone, come lo stesso porporato ha confidato a chi gli sta vicino, per assicurarsi che ciò di cui si è discusso stia diventando operativo e venga messo in pratica. Sbaglierebbe dunque chi pensasse che il Papa «della porta accanto», così capace di mostrare umanità e vicinanza alle persone, piegandosi su di esse e abbracciandole durante le udienze, abbia derogato al suo ruolo.


La seconda tappa del nostro viaggio attraverso le piccole e grandi novità del pontificato parte dallo stile di governo. Quello che il Papa argentino ha introdotto Oltretevere. «Nei quasi otto anni di regno di Benedetto XVI - racconta un prelato vaticano - è accaduto più volte che i suoi collaboratori abbiano usato due velocità nel mettere in pratica le indicazioni papali. Il Pontefice considerava una certa nomina fatta, e invece venivano frapposte difficoltà su difficoltà. E lo stesso Ratzinger scopriva, tempo dopo, che la pratica era rimasta nel limbo, sospesa...». Si è arrivati persino a pubblicare nomine negli Acta Apostolicae Sedis - dove compaiono tutte le decisioni ufficiali - senza però averle mai annunciate all'interessato perché il cardinale titolare del dicastero non era d'accordo e magari era intervenuto sulla Segreteria di Stato per bloccarle e sospenderle, nonostante la firma del Papa.


«Il giudizio qui in Vaticano - continua il nostro interlocutore - è unanime: tutti riconoscono la grandezza di Benedetto XVI, la profondità del suo sguardo sulla Chiesa, la sua umiltà manifestata anche nel gesto della rinuncia. Al tempo stesso fareste fatica a trovare qualcuno che vi dica che la Curia in questi anni abbia funzionato a dovere. Lo dimostra la via crucis del suo pontificato e il fatto che più volte Ratzinger sia dovuto intervenire di persona per coprire le mancanze dei suoi collaboratori, come insegna il caso della revoca della scomunica al vescovo Williamson negazionista sulle camere a  gas».


Una lamentela diffusa riguardava l'accessibilità del Papa. Un cardinale capo dicastero dovuto attendere otto mesi per un'udienza, qualcun altro non l'ha neanche ottenuta. Persino la proclamazione del santo Curato d'Ars patrono di tutti i preti del mondo, prevista al culmine dell'anno sacerdotale nel 2010, decisa da Benedetto XVI e comunicata per iscritto all'allora Prefetto della Congregazione del clero, Claudio Hummes, è stata revocata in extremis per pasticci di segreteria, costringendo a rocamboleschi dietro-front la Sala Stampa vaticana.


Con Francesco, ovviamente, i problemi non sono scomparsi. Ma il clima sta cambiando. I porporati e i vescovi della Curia oggi non hanno difficoltà a incontrare Francesco per affrontare direttamente con lui i problemi legati al loro lavoro. La Segreteria di Stato sta lentamente perdendo centralità e influenza, prima ancora delle attese riforme strutturali che dovrebbero riportarla a essere una «segreteria papale» al servizio del vescovo di Roma, non un organismo centrale di governo della Curia e più in generale della Chiesa.


Bergoglio è abituato a ritmi di lavoro molto serrati e come i suoi predecessori, non si risparmia. Ama il contatto diretto con le persone e soprattutto apprezza la franchezza negli interlocutori. «Non vuole avere accanto a sé dei cortigiani - spiega a La Stampa Antonio Pelayo, sacerdote, vaticanista di lungo corso nonché assistente ecclesiastico dell'ambasciata di Spagna presso la Santa Sede - né tantomeno degli adulatori. Vuole gente sincera, anche che lo critichi. Ascolta i consigli di tutti, s'informa, e poi decide in coscienza». Come ha fatto pochi giorni dopo l'elezione, quando ha voluto celebrare la messa del Giovedì Santo nel carcere minorile di Casal del Marmo, lavando i piedi - senza giornalisti al seguito - a dodici ragazzi e ragazze ospiti dell'istituto. Alcuni collaboratori l'avevano decisamente sconsigliato: quella liturgia il Papa l'ha sempre celebrava in Laterano o in San Pietro. Non nelle «periferie geografiche o esistenziali» così care a Bergoglio, abituato a far memoria dell'Ultima Cena tra nelle comunità di recupero per tossicodipendenti delle villas miserias, negli ospedali, nei centri di accoglienza per ragazze madri. Per capire sarebbe bastato contemplare l'autentica felicità nel volto di Alina, nome di fantasia di una giovane musulmana serba di etnia khorakhane, inquilina abituale del carcere di Casal del Marmo, a cui Francesco ha lavato e baciato i piedi prima di alzare gli occhi e sorriderle.


«Quando arrivi all'età di 76 anni, difficilmente cambi i tuoi atteggiamenti - spiega Antonio Pelayo - e il Papa fa benissimo a mantenere lo stile che ha caratterizzato i suoi vent'anni di episcopato a Buenos Aires». Anche stile di governo.

I più recenti ed eloquenti segni sono l'intervento deciso e preciso sullo Ior per sradicare definitivamente la possibilità di considerare il Vaticano un paradiso offshore; la volontà di canonizzare Giovanni XXIII, il Papa del Concilio, anche senza il riconoscimento di un secondo miracolo; la decisione di recarsi a Lampedusa senza seguito di politici e autorità ecclesiastche, o ancora la sedia papale bianca rimasta vuota al recente concerto nell'Aula Paolo VI a motivo di impegni più urgenti e «improrogabili». Atti che mostrano l'efficacia di una famosa affermazione di don Giuseppe De Luca, colto consigliere di Papa Roncalli che non a caso aveva studiato dai gesuiti: «Nessuna migliore maniera di dire le cose che farle».
«Quando prende una decisione vuole avere la certezza che sia buona. E quando l'ha presa non torna indietro - ripete il vescovo Eduardo Horacio García, ausiliare di Buenos Aires, arrivato dall'Argentina a Roma cinque giorni dopo la fine del conclave portando con sé in valigia un paio di scarpe nere che Bergoglio aveva fatto risuolare - È un uomo di dialogo e di discernimento, cerca di dialogare, ascoltare, consultare, avere informazioni». I collaboratori nella curia argentina ormai non si sorprendevano più quando andavano a informare il cardinale di qualcosa e spesso si rendevano conto che la notizia gli era già arrivata per altri canali.


Il Papa cerca di riformare innanzitutto con l'esempio. Non è il «terminator» dotato di lanciafiamme che qualcuno vorrebbe  per risolvere in radice qualche malcostume curiale, non è solito prendere decisioni affrettate. Proprio per questo, Oltretevere, cresce di giorno in giorno l'incertezza in quanti hanno capito di non poter «gestire» Francesco secondo le vecchie abitudini.
A. Tornielli