venerdì 12 luglio 2013

Cinque punti fermi


Dagli amici di Alleanza Cattolica ricevo questo manifesto che pubblico volentieri.
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UNIONI DI FATTO E OMOFOBIA: CINQUE PUNTI FERMI – MANIFESTO DI ALLEANZA CATTOLICA

Di fronte a proposte di legge che vogliono introdurre anche in Italia un riconoscimento giuridico delle unioni di fatto, anche omosessuali, e le norme cosiddette anti-omofobia, Alleanza Cattolica ricorda cinque punti fermi, da cui nessun dibattito può prescindere. Alleanza Cattolica, come associazione ecclesiale, si rivolge anzitutto ai cattolici, ma sa che sono in gioco principi e valori generali, che chiunque può riconoscere sulla base della ragione. Solo un fronte ampio di amici della famiglia, credenti e non credenti, potrà ostacolare queste proposte. Alleanza Cattolica non rivendica primogeniture, ma si mette a disposizione di quanti vogliano battersi per la difesa della famiglia, per il momento offrendo la sua disponibilità per incontri e conferenze su questi temi, dal circolo culturale e dalla parrocchia fino a incontri privati tra famiglie.

1.  Riconoscere le unioni di fatto, comprese quelle omosessuali, danneggia la famiglia
«La famiglia non può essere umiliata e indebolita da rappresentazioni similari che in modo felpato costituiscono un vulnus progressivo alla sua specifica identità, e che non sono necessarie per tutelare diritti individuali in larga misura già garantiti dall’ordinamento» (Cardinale Angelo Bagnasco, Discorso all’Assemblea Generale dei Vescovi italiani, 21 maggio 2013). Lo stesso cardinale Bagnasco ha ricordato che deve considerarsi tuttora vincolante per i cattolici la Nota a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto della Conferenza Episcopale Italiana del 28 marzo 2007, dove si legge: «Riteniamo la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia». L’obiettivo di risolvere alcuni problemi pratici dei conviventi è «perseguibile nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare».
A differenza dei diritti individuali dei singoli conviventi, che in Italia non sono il problema, perché – appunto – sono «in larga misura già garantiti dall’ordinamento», le unioni civili introdotte dalle varie proposte di legge presentate in questa legislatura sono precisamente quelle «rappresentazioni similari» alla famiglia che, in quanto umiliano e indeboliscono la famiglia tradizionale, non possono essere in alcun modo accettate.
In particolare, «nel caso in cui si proponga [...] un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge. Concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 3 giugno 2003).
2. Le unioni civili non sono l’alternativa, sono l’apripista per il matrimonio e l’adozione omosessuali
A chi, pure d’accordo in linea teorica con la critica delle proposte di legge, ritiene di dovere proporre le unioni civili come un «male minore» rispetto al «male maggiore» rappresentato dal matrimonio e delle adozioni omosessuali, facciamo osservare che l’esperienza di tanti Stati, a partire dalla Francia e dalla Gran Bretagna, mostra che le leggi sulle unioni civili non sono un’alternativa ma l’apripista alle leggi sul matrimonio e le adozioni omosessuali. Prima si fa passare la legge sulle unioni civili – magari «venduta» agli oppositori come alternativa a quella sul matrimonio e le adozioni – e dopo qualche anno si trasformano le unioni civili in matrimoni, con conseguente possibilità di adozione.
3.  Le proposte anti-omofobia mettono in pericolo la libertà di espressione e di religione
L’introduzione del delitto o dell’aggravante della omofobia viene presentata come uno strumento di lotta contro la violenza e le aggressioni. Ma il nostro ordinamento punisce già, senza distinzioni, ogni aggressione all’integrità della persona e alla sua sfera morale, e in più contiene le aggravanti dei «motivi abietti» e del profittare delle condizioni di debolezza della vittima. Tali circostanze, per pacifica e antica giurisprudenza, comprendono le situazioni in cui la condotta è realizzata allo scopo di offendere, a causa dell’orientamento sessuale, la dignità della persona. La previsione di nuovi reati o aggravanti di questo tipo è rischiosa per la libertà dei cittadini, poiché impone uno scandaglio dei moventi intimi, talora inconsci, che stanno alla base delle azioni umane. Da un concetto così esteso deriva uno spazio enorme di intervento penale, che rischia di mettere in pericolo sia la libertà di espressione del pensiero sia la libertà religiosa. Il rischio di procedimenti penali sorgerebbe a fronte di qualsiasi giudizio critico, sul piano scientifico, etico ed educativo, di determinati orientamenti sessuali; o di qualsiasi dottrina religiosa, o espressione educativa, che sostenga la contrarietà al diritto naturale degli orientamenti sessuali diversi da quello eterosessuale.
4. La legge naturale e il senso comune non valgono solo per i cattolici
A chi afferma che si tratta di principi che valgono per i cattolici, ma non si possono imporre in uno Stato laico ai non cattolici e ai non credenti, rispondiamo che il carattere nocivo di queste leggi si deduce dall’esperienza, dal buon senso e dai principi della legge naturale, da cui la legge positiva non può allontanarsi se vuole essere vera legge, i quali – in quanto riconoscibili dalla ragione – s’impongono a tutti a prescindere dalla fede e dall’appartenenza religiosa, e da tutti chiedono di essere rispettati.
5. Considerare la marcia verso le unioni omosessuali come «irreversibile» significa essere vittime del mito illuminista del progresso
A quei cattolici e a quegli amici della famiglia tentati dallo scoraggiamento e convinti di stare combattendo una battaglia moralmente necessaria ma di retroguardia, di battersi per onore di firma ma senza possibilità di vincere, perché il «senso della storia» è un altro, vogliamo dire che non possiamo accettare il mito illuminista di una storia lineare, pilastro della dittatura del relativismo, il quale presenta la verità come figlia del tempo e certi processi come irreversibili. La storia non ha nessun senso umano predeterminato e necessario, le battaglie le vincono e le perdono gli uomini e le donne, e per il cristiano nessuna vittoria del male è ineluttabile o irreversibile. Chi pensa diversamente è vittima, per dirla con Papa Francesco, di quella «mondanità spirituale» che perde la fiducia in Dio e segue le vie e il consenso del mondo, e di quella disperazione storica che, come non si stanca di spiegarci il Pontefice, viene molto spesso dal diavolo.
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Dal 22 luglio la Camera inizierà la discussione di un disegno di legge che in nome della lotta all’omofobia impedirà la manifestazione della libertà di pensiero e minaccerà la libertà religiosa.
Firma per chiedere ai parlamentari di fermare questa legge
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Il Documento del 2003
Dieci anni fa la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato«Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali», un documento che reca la data formale del 3 giugno ma è stato pubblicato il 31 luglio 2003 a firma del Prefetto Card. Joseph Ratzinger e del Segretario Mons. Angelo Amato. Controfirmato dal Beato Giovanni Paolo II, è a tutti gli effetti un atto di Magistero pontificio. Pur non contenendo novità dottrinali, esso richiama i punti essenziali del problema che oggi sta emergendo con drammatica attualità, fornisce ai vescovi alcune argomentazioni di carattere razionale e illumina gli uomini politici cattolici, ai quali indica le linee di condotta in proposito, coerenti con la coscienza cristiana. È dunque quanto mai opportuno ricordare il suo decimo anniversario.
Le argomentazioni sono proposte non soltanto ai credenti, ma a tutti coloro che sono impegnati nella promozione e nella difesa del bene comune della società: «l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla complementarità dei sessi ripropone una verità evidenziata dalla retta ragione e riconosciuta come tale da tutte le grandi culture del mondo. [...] Nessuna ideologia può cancellare dallo spirito umano la certezza secondo la quale esiste matrimonio soltanto tra due persone di sesso diverso, che per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, tendono alla comunione delle loro persone. In tal modo si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite».
Il documento evidenzia tre dati fondamentali della verità naturale sul matrimonio, confermata dalla Rivelazione: innanzitutto il fatto che «l’uomo e la donna sono uguali in quanto persone e complementari in quanto maschio e femmina. La sessualità da un lato fa parte della sfera biologica e, dall’altro, viene elevata nella creatura umana ad un nuovo livello, quello personale, dove corpo e spirito si uniscono».
In secondo luogo «è istituito dal Creatore come forma di vita in cui si realizza quella comunione di persone che impegna l’esercizio della facoltà sessuale». E «infine, Dio ha voluto donare all’unione dell’uomo e della donna una partecipazione speciale alla sua opera creatrice. Perciò Egli ha benedetto l’uomo e la donna con le parole: "Siate fecondi e moltiplicatevi" (Gn. 1, 28). Nel disegno del Creatore complementarità dei sessi e fecondità appartengono quindi alla natura stessa dell’istituzione del matrimonio. Inoltre, l’unione matrimoniale tra l’uomo e la donna è stata elevata da Cristo alla dignità di sacramento».
Se questo è il matrimonio, «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale. Gli atti omosessuali, infatti, "precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun modo possono essere approvati"».
Il documento, ribadendo quanto la Chiesa ha sempre insegnato, distingue tra l’inclinazione omosessuale — e qui riafferma la grande carità che deve sempre essere messa in atto nei confronti delle persone —, inclinazione oggettivamente disordinata ma che di suo non costituisce peccato, e le pratiche omosessuali, che invece sono peccati gravemente contrari alla castità. È poi necessario distinguere accuratamente tra il comportamento privato e la sua eventuale legittimazione pubblica, contraria alla ragione e nociva al bene comune. Questa legittimazione «finirebbe per comportare modificazioni dell’intera organizzazione sociale che risulterebbero contrarie al bene comune». Le leggi infatti «svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una mentalità e un costume», per cui «in presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell’equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest’ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all’obiezione di coscienza».
Una prima conclusione è quindi che «le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali sono contrarie alla retta ragione perché conferiscono garanzie giuridiche, analoghe a quelle dell’istituzione matrimoniale, all’unione tra due persone dello stesso sesso».
Ma vi sono anche altri motivi di ordine biologico e antropologico, in quanto le unioni omosessuali non sono in condizione di assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana, in esse è del tutto assente la dimensione coniugale che rappresenta la forma umana ed ordinata delle relazioni sessuali, e inoltre creano ostacoli allo sviluppo normale dei bambini eventualmente inseriti all’interno di queste unioni. «Inserire dei bambini nelle unioni omosessuali per mezzo dell’adozione significa di fatto fare violenza a questi bambini, nel senso che ci si approfitta del loro stato di debolezza per introdurli in ambienti che non favoriscono il loro pieno sviluppo umano. Certamente una tale pratica sarebbe gravemente immorale e si porrebbe in aperta contraddizione con il principio, riconosciuto anche dalla Convenzione internazionale dell’ONU sui diritti dei bambini, secondo il quale l’interesse superiore da tutelare in ogni caso è quello del bambino, la parte più debole e indifesa».
Ci sono poi argomentazioni di ordine sociale: il riconoscimento legale delle unioni omosessuali porterebbe alla ridefinizione del matrimonio, che perderebbe l’essenziale riferimento ai fattori collegati alla eterosessualità, come ad esempio il compito procreativo ed educativo. «Mettendo l’unione omosessuale su un piano giuridico analogo a quello del matrimonio o della famiglia, lo Stato agisce arbitrariamente ed entra in contraddizione con i propri doveri».
Dal punto di vista giuridico infine occorre osservare che, mentre le famiglie propriamente dette sono le cellule del tessuto sociale e il loro semplice esistere ridonda a favore della società, le unioni omosessuali «non esigono una specifica attenzione da parte dell’ordinamento giuridico, perché non rivestono il suddetto ruolo per il bene comune».
Il riconoscimento legale delle unioni omosessuali non è affatto necessario per la tutela dei diritti comuni che essi hanno in quanto persone e in quanto cittadini. «In realtà, essi possono sempre ricorrere — come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata — al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse. Costituisce invece una grave ingiustizia sacrificare il bene comune e il retto diritto di famiglia allo scopo di ottenere dei beni che possono e debbono essere garantiti per vie non nocive per la generalità del corpo sociale».
Il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede si conclude con un forte appello ai politici cattolici, ai quali vengono date delle precise indicazioni. Ognuno di essi innanzitutto ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge che sia favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali oppure, nel caso esistesse già una tale legge nel proprio Paese, deve opporsi in tutti i modi possibili rendendo «chiara e a tutti nota» la sua «personale assoluta opposizione».
In conclusione – insegna il documento di cui ricorre il decennale –, «la Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali. Il bene comune esige che le leggi riconoscano, favoriscano e proteggano l’unione matrimoniale come base della famiglia, cellula primaria della società. Riconoscere legalmente le unioni omosessuali, o peggio ancora equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità. La Chiesa non può non difendere tali valori, per il bene degli uomini e di tutta la società».
Martinucci