martedì 9 luglio 2013

Dalla fine del mondo



di Giorgio Bernardelli | 09 luglio 2013 
Ieri a Lampedusa abbiamo capito da dove arriva Papa Bergoglio: più che da una terra lontana, viene dal capitolo 25 del Vangelo di Matteo

Subito dopo l'elezione si è presentato come il nuovo Papa che i cardinali sono andati a prendere «dalla fine del mondo». E tutti abbiamo pensato subito a un terra lontana. Ma non è che ci siamo sbagliati? Non è che in quella auto-definizione c'è dentro qualcosa di più? Un riferimento - magari anche inconsapevole - a qualcosa che ha a più a che fare con un tempo da cogliere che con uno spazio da cercare?
È già da un po' che ho in mente questa idea, ma le immagini che abbiamo visto e le parole che abbiamo ascoltato ieri da Lampedusa me l'hanno ulteriormente rafforzata. Che cosa ci affascina così tanto in Papa Francesco? In fondo non dice parole nuove, ripete semplicemente la strada che il Vangelo indica da sempre. Ma ciò che lui riesce a fare in una maniera straordinaria è comunicare l'urgenza che quegli stessi inviti - già ascoltati mille volte - portano con sé. È come se stesse togliendo un velo di fronte a qualcosa che prima non riuscivamo a vedere con chiarezza.
Certo, ci si può anche fermare all'emozione di fronte al Successore di Pietro che arriva a Lampedusa con la barca. Oppure ci si può schierare con facilità dalla parte di «quelli che l'avevano sempre detto» che bisognava fare qualcosa di più per gli immigrati. Eppure - se siamo sinceri fino in fondo - chi di noi ieri non ha avvertito un brivido dietro alla schiena quando citando i barconi affondati ci ha chiesto se avevamo pianto per fatti come questo? La verità è che ci voleva un uomo venuto «dalla fine del mondo» per togliere la questione della tratta delle persone sulle carrette del mare dall'universo delle polemiche di carta e riportarlo nella loro dimensione più autentica: quella - appunto - delle lacrime.
E allora eccolo il Papa venuto «dalla fine del mondo». Perché lui arriva dritto dal capitolo 25 del Vangelo di Matteo: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». Ma anche dal capitolo 3 dell'Apocalisse, quello delle parole durissime all'angelo della Chiesa di Laodicea (quella che la Parola di Dio definisce «vomitevole» perché non è né calda né fredda): «Tu dici: io sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di nulla e non sai invece di essere disgraziato, miserabile, povero, cieco e nudo».
Francesco invita costantemente a non farsi togliere la speranza e a lasciare spazio nella propria vita alla misericordia di Dio. Ma questo - spiega - diventa possibile solo se «usciamo dalla bolla», se facciamo i conti con le domande della Genesi («Adamo, dove sei?», «Caino, dov'è tuo fratello?») e con l'orizzonte ultimo della nostra esistenza («il sudario non ha tasche», è stata una delle sue prime frasi che hanno fatto breccia).

Viene «dalla fine del mondo». Cioè dal punto di vista migliore per aiutarci a capire ciò che conta davvero.

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(Franco La Cecla) Nella visita di Papa Francesco a Lampedusa ci sono alcuni elementi che nella loro freschezza e immediatezza raccontano il significato del gesto al pari delle parole pronunciate durante la messa. Il primo, dopo l’omaggio agli immigrati annegati in mare, è l’incontro sul molo Favaloro con un gruppo di giovani (una cinquantina) arrivati con i barconi dall’Africa. Il secondo è la presenza di handicappati e di migranti nelle prime file dinanzi all’altare durante la messa nello stadio, un lato del quale è occupato dalle carcasse delle “carrette del mare” a bordo delle quali hanno perso la vita in questi anni migliaia di persone. Il terzo è l’assenza di qualsiasi autorità pubblica, a eccezione del sindaco coraggioso di Lampedusa, Giusi Nicolini.
Si aggiunge a questi elementi una nuova consapevolezza della popolazione della piccola isola. Solo due anni fa venne promessa una forma di “risarcimento” per il danno causato al turismo dalle immagini degli sbarchi e dei naufragi. Oggi il Papa ha incontrato la popolazione e l’ha invitata a prendere con orgoglio il posto d’avanguardia nella lotta contro l’indifferenza. E una scena che si aggiunge agli elementi straordinari di questa visita è stata la reazione dei turisti presenti nell’isola che abbracciavano i migranti per strada e si fermavano a parlare con loro.
Papa Francesco ha indicato i lampedusani come popolazione modello per un’Europa che non ha ancora capito quanto gravi siano le responsabilità per l’ininterrotta catena di morti al largo di queste coste come di quelle spagnole e francesi. Una strage che chiede giustizia, che deve scuotere e scandalizzare. Come è successo al Papa qualche settimana fa aprendo il giornale e leggendo dell’ennesimo naufragio. Non è possibile che l’Europa si senta assolta da una colpa sempre più grave nei confronti di madri, bambini, giovani e uomini che finiscono in fondo al mare.
Queste morti sono uno scandalo e i migranti non vanno più considerati come l’altro da respingere a tutti i costi, ma sono invece quel futuro dell’Europa come continente dalla vocazione universale a cui Papa Francesco implicitamente ha fatto riferimento con la sua venuta. È importante che il Pontefice abbia rivendicato a sé quello che nessun governante europeo riesce oggi a incarnare: lo spirito universale che guida i diritti a una vita degna per tutti.
La Chiesa nel suo ruolo di testimone di un messaggio al di là di ogni frontiera è in prima linea proprio sui confini, allo stesso tempo sempre più artificiali e atroci, di un mondo globalizzato. Non è un caso che il Papa abbia detto a Lampedusa che dobbiamo sfuggire alla globalizzazione dell’indifferenza, conseguenza di una globalizzazione economica che ha svuotato l’universalismo di qualunque significato. È ora che i cristiani si facciano testimoni nel mondo della necessità di un’umanità sentita come condizione comune di accesso alla salvezza. Una salvezza intesa nel senso più basilare di sopravvivenza e più ampio di diritto a una vita piena.
Credo che Papa Francesco abbia voluto indicare che i confini del cristianesimo non coincidono con quelli dell’occidente. Rifiutando anche di identificare l’islam, l’induismo, l’animismo come rappresentanti di un mondo lontano dalla Chiesa e dalla sua missione universale, rivolta cioè all’umanità.
Nell’invito del Pontefice a vedere i migranti come fratelli c’è il monito a non accettare più il ricatto di una globalizzazione che ha trasformato in scontro di civiltà la possibilità reale di una convivenza ricca e nuova tra fedi e culture diverse. Il Santo Padre ha ricordato che Lampedusa è uno scoglio a cui si aggrappa la disperazione di chi fugge da condizioni difficili o impossibili.
Ma il Pontefice ha ricordato che l’isola siciliana è anche una lampada e un faro — iscritti nel nome stesso dell’isola — che illuminano la speranza di un’umanità futura oltre la banalità della divisione del Mediterraneo risalente a diversi secoli fa. Nella sua modernità, il messaggio di Papa Francesco ci ricorda che da allora la storia è andata avanti e ci chiede altre soluzioni e altro coraggio.
L'Osservatore Romano

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I commenti sulla stampa internazionale al primo viaggio di Papa Francesco. L’emigrante in bianco contro la nostra apatia

«E tra loro un vescovo c’era / dando a tutti / la sua benedizion». È probabile — scrive Gian Antonio Stella sul «Corriere della Sera» nell’editoriale che commenta la visita di Papa Francesco a Lampedusa — «che Jorge Mario Bergoglio abbia nelle orecchie fin da bambino le note dolenti de Il tragico naufragio del vapore Sirio, dedicato alla tragedia del bastimento affondato nel 1906 mentre navigava verso il “suo” Sudamerica.
Canzone che sfuma narrando di José de Camargo Barros, il vescovo di São Paulo del Brasile che morì tra i flutti consolando gli altri poveretti». E se sono anni «che, sotto i nostri occhi, si ripetono quelle apocalisse vissute dai nostri nonni», e se sono anni di terribili dati ufficiali, ecco che «ci voleva un Papa figlio di emigrati in Argentina — prosegue il giornalista italiano — per dare uno scossone all’indifferenza quotidiana dell’Occidente».
Su «La Stampa» Enzo Bianchi analizza quindi i valori nascosti nel gesto del Pontefice: «Un uomo, un cristiano, un Papa venuto dalla fine del mondo sceglie l’estrema periferia sud dell’Italia per la sua prima uscita da Roma e va in pellegrinaggio a un santuario dell’umanità sofferente. (...) Un gesto che vuole ricordare a tutti, a cominciare da chi ha responsabilità politiche ed economiche, che nessun essere umano è clandestino su questa terra, che ciascuno ha diritto a veder riconosciuta e rispettata la propria dignità, che migranti, profughi, esuli, vittime di guerre e di carestie non si metterebbero in viaggio se trovassero pane e giustizia là dove sono le loro radici e il loro cuore». Conclude quindi il priore di Bose notando che «in quell’umile gesto della corona di fiori gettata pregando nel mare di Lampedusa, porta d’Europa, periferia delle periferie, in quell’invito a prendersi cura del fratello come di se stessi, in quella memoria resa a uomini e donne che cercavano vita per sé e i loro cari e hanno trovato morte anonima occorre cogliere un’urgenza per tutti noi: patire con chi patisce, piangere con chi piange perché questa è fraternità umana, è custodia dell’altro, è compassione! E c’è anche la rinnovata possibilità di avere fiducia nell’altro, c’è il sapersi parte di un’unica comunità, c’è la consapevolezza che “chi ha salvato una sola vita, ha salvato l’umanità intera”».
E se secondo il francescano Isidoro Macías la lezione del viaggio di Papa Bergoglio è «che dobbiamo spalancare le porte per accogliere i nostri fratelli» (così in un’intervista rilasciata a «La Razón»), dai microfoni di Radio Vaticana anche Laurens Jolles, rappresentante della Agenzia dell’Onu per i Rifugiati per l’Europa Meridionale, si è soffermato sul grande lascito dell’accoglienza, commentando il «grande gesto simbolico» compiuto dal Papa. Perché, nelle parole di Kevin Clarke su «America», «nessun uomo è un’isola... Nemmeno a Lampedusa».
Di «un’omelia di rara densità» ha scritto invece Jean-Marie Guénois su «Le Figaro», mentre più in generale a proposito del primo viaggio compiuto da Papa Bergoglio, Frédéric Mounier su «la Croix» ha scritto: «a memoria di vaticanista, è da tantissimo tempo che non si vedeva un viaggio papale caratterizzato da una tale improvvisazione, profondamente commovente ma al contempo così gioioso». Ed è da notare, infine, il grande spazio che i giornali non italiani hanno dedicato alla situazione di Lampedusa in genere: dati, informazioni, cartine e notizie che confermano la grande intuizione del Pontefice. Il dramma di quanti sbarcano sull’isola sicula per entrare in Europa era del tutto sconosciuto ai più.
L'Osservatore Romano

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”la Repubblica” - Rassegna "Fine settimana"
(Adriano Sofri) Nessun uomo è un’isola. Nessuna isola è un’isola. Anche la parabola del buon samaritano può essere raccontata di nuovo al passaggio da una strada di periferia a una strada d’acqua: “Donne e uomini, bambini e vecchi salivano dalla costa libica a(...)

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Tre opinionisti di formazione laica, sui tre quotidiani ritenuti vicini al centrodestra, non sono stati troppo entusiasti delle parole del Papa a Lampedusa...
(V. Covato) Per molti fedeli è stata una conferma del carattere rivoluzionario di quel Papa che viene dalla fine del mondo e in quelle acque vuole continuare a navigare. Per padre Lombardi è stato un gesto di “portata storica”, mentre Papa Francesco fin da subito ha temuto che quello stesso gesto, il suo primo viaggio a Lampedusa, venisse frainteso.
In effetti quando ci sono di mezzo questioni controverse, su cui cittadini e politica dibattono, è facile che si alzi un polverone. Forse più complicato quando chi l’ha provocato si chiama Francesco e siede sul soglio di Pietro.
Ha fatto bene o ha fatto male il Papa a spingersi fino a quell’isola teatro di un fenomeno che adesso potrebbe ancor più agitare le acque del Nord Africa? Tra i commenti del gesto e delle parole del Papa spiccano sui quotidiani in particolare tre pareri non proprio entusiasti.
L’errore secondo il Foglio
“Tutto splendido, la decisione, il viaggio, il calice di legno, il gesto che parla da solo, il calore cristiano alitato come vento sul mare e sulle sue onde con il linguaggio dei fiori, della memoria, della compassione. Vorrei vedere che non fosse così”, scrive il direttore del Foglio in un editoriale di questa mattina sotto forma di Elefantino. Ma per Giuliano Ferrara l’errore di Papa Francesco sta nel “non detto”: “Su un punto non si può transigere: qui non è tutto giustizia, carità, libertà e benessere, figuriamoci, ma qui è la soluzione, lì la mera sofferenza come sistema”. E per Ferrara “questo andava detto, ricordato con forte caratura razionale”, perché “la globalizzazione è alla radice della speranza, non la sua negazione nell’indifferenza fattasi mondo”.
Cosa dimentica per Libero
“Papa Francesco può fare quel che vuole, ma pur con le migliori intenzioni può aver fatto una scelta che ha effetti negativi nel Paese adiacente a quello in cui vive”, scrive Maria Giovanna Maglie oggi su Libero. Secondo l’editorialista il Papa “conosce bene le conseguenze delle parole e delle azioni di un prelato influente, figuriamoci di un pontefice”. La posta in gioco? “Su certi argomenti è pesante e dolorosa, la coincidenza strumentalizzabile, il tempo perfino sospetto”, scrive Maglie.
Avrà pensato Bergoglio alla legge che intende eliminare il reato di clandestinità?
“Il Papa – commenta Maglie – da oggi avrà degli amici e degli alleati pelosi nel panorama politico italiano: lui può infischiarsene, noi no”. La giornalista fa quindi riferimento all’ondata di critiche e proteste che accompagnò il discorso sull’Occidente di Ratzinger: “Gli indignados del meticciato erano gli stessi che oggi plaudono alla corona di fiori nel mare cimitero di Lampedusa, ma domani riprenderanno a massacrare la Chiesa e a calunniarla se serve per la causa dei matrimoni di preti e di omosessuali”.
In tutto ciò c’è una cosa che Bergoglio dimentica: “quando il Papa parla di globalizzazione dell’indifferenza, come se tutta la cattiveria dell’umanità fosse concentrata qui e ora, dimentica anche la sua storia, perché sa benissimo che l’Argentina degli immigrati è stata costruita sullo sterminio degli indigeni”.
I fedeli da supermercato visti dal Giornale
Il viaggio “umanissimo” e “meritevole di un Papa però, non può autorizzare un certo tipo di credenti a utilizzare le sue parole per appoggiare le proprie tesi sui migranti. Lo dichiara a gran voce questa mattina lo scrittore Giordano Bruno Guerri sul Giornale rivolgendosi a coloro che usano la fede come un supermercato: “Entri, prendi il carrello, passi fra gli scaffali e scegli quel che più ti conviene, oppure come un fai-da-te, la voglio umile ma con un tocco di eleganza, severa tranne con chi dà un buon 8 per mille”.
Questo perché il richiamo all’accoglienza di Papa Francesco non è stato accolto solo da “pie donne e pii uomini fieri di rispettare interi i dieci comandamenti”. No, fra loro per Guerri ci sono “probabilmente gli stessi che qualche giorno fa hanno arricciato il naso quando Francesco, rafforzato Ratzinger, ha emesso un’enciclica dove fra l’altro si ribadisce che il matrimonio si fa solo fra uomo e donna, come dicono la Bibbia e le Leggi del Signore”. Gli stessi che oggi “lodano Chiesa e Papa per la loro luminosa visione del modo e della vita, consigliando il mondo laico di fare legge delle parole di Francesco. Che invece erano soltanto una preghiera”, conclude Guerri.